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Il paese del sesso selvaggio

Il fotografo inglese John Bradley, in viaggio in Thailandia per lavoro uccide una persona e per sottrarsi alla cattura da parte della polizia si rifugia nelle foreste tailandesi, dove però viene fatto prigioniero dai nativi. Qui l’uomo è costretto a cimentarsi con una realtà completamente diversa da quella in cui è vissuto fino ad allora. Sarà grazie all’aiuto di una donna della tribù che parla un pò della sua lingua e grazie sopratutto all’amore della bella Maraya che John riuscirà a farsi valere nella tribù fino a diventarne un guerriero.

John prigioniero

Ma le lotte fratricide fra i popoli indigeni lo priveranno della moglie, così John deciderà di restare nella tribù per difenderla dagli attacchi dei tanti nemici. Su una sceneggiatura ridotta all’osso e saccheggiando in larga parte la trama di Un uomo chiamato cavallo di Elliot Silverstein uscito nel 1970, Umberto Lenzi imbastisce questo film avventuroso dal titolo Il paese del sesso selvaggio, meglio distribuito all’estero con il sobrio titolo di The man of deep river. Un film che in origine doveva essere una semplice avventura tra gli indigeni della Thailandia e che invece si trasformò suo malgrado nel capostipite di un genere con poche luci e tantissime ombre, quello dei Cannibal movie. L’elemento cannibale a dire il vero è estremamente limitato alla sequenza in cui alcuni indigeni cannibali fanno scempio del corpo di Maraya, ma tanto bastò a fare di Il paese del sesso selvaggio

La splendida Me Me Lai

Tra Maraya e John scoppia l’amore

la base di partenza di un genere fatto nella stragrande maggioranza da epigoni colmi di scene splatter, di uccisioni di animali riprese dal vivo con spruzzate più o meno corpose di erotismo. Lenzi utilizza alcune sequenze barbare per dare drammaticità al film, creando purtroppo le basi per quella che sarà la caratteristica specifica di molti Cannibal movie ovvero l’uccisione mostrata dal vivo di animali; se nel film in questione le scene sono molto limitate (l’uccisione di una capra, i combattimenti tra manguste e cobra) nei film successivi purtroppo si trasformeranno in disgustose sequenze di massacri di povere bestie documentate in primo piano con la scusa di mostrare le usanze dei popoli indigeni. A parte questo, il film di Lenzi ha dalla sua il fascino di essere stato girato in una natura bellissima, che esalta anche il discorso leggibile che fa tra le righe il regista, ovvero esaltare la maniera primitiva ma semplice di vivere della tribù in cui si imbatte John, che avrà modo di apprezzare le qualità specifiche di una vita vissuta tra mille pericoli (la natura selvaggia e ostile, le difficoltà di procurarsi cibo, i combattimenti con le tribù nemiche) ma degna di essere vissuta perchè a contatto con gli elementi essenziali dell’esistenza umana. Lenzi in qualche scena sembra esaltare questo modo di vivere rude e primitivo, legato a leggi ancestrali ma strettamente connaturate all’ambiente in cui vive la tribù dalla quale è ospitato; se c’è un evidente ricalcare le vicende di John Morgan,

I preparativi per le nozze

protagonista di Un uomo chiamato cavallo, il quale farà un’analoga esperienza di vita presso i Sioux, guadagnandosi alla fine il rispetto dei nativi americani, è vero anche che il regista si stacca almeno come logistica dal film di Silverstein. Quì siamo tra nativi che vivono nella giungla e il nemico non è soltanto rappresentato dai temibili guerrieri delle tribù vicine, ma anche da una natura profondamente ostile, oltre che dalla presenza dell’onnipotente e onnipresente uomo bianco, poco incline a rispettare la diversità e sopratutto bramoso di conquistare territori vergini alla ricerca ossessiva di ricchezze. Se questa parte di discorso è poco sviluppata lo si deve al fatto che Lenzi

Maraya corre felice nella giungla

appare intento a mostrare i tentativi di John di integrazione negli usi della tribù, dopo che quest’ultimo ha realizzato l’impossibilità dei suoi sogni di fuga. Qui si sviluppa la storia d’amore tra la bella Maraya e l’uomo bianco, l’incontro tra due culture diversissime unite fra loro soltanto da un istinto primario, forse il più importante ovvero l’amore, quell’istinto che abbatte tabù e differenze di pelle e di cultura stessa. Il film è gradevole e si lascia vedere volentieri; la sceneggiatura di Barilli, futuro regista di una delle perle del cinema targato anni settanta, il triller/noir parapsicologico Il profumo della signora in nero, è ben strutturata e fila senza intoppi. Il paese del sesso selvaggio quindi fissa i paletti per il successivo sviluppo

Le dure prove per diventare un guerriero

di un genere che avrà qualche buon epigono e tanti film davvero brutti; tra gli esempi migliori del genere cannibal movie si possono citare Mangiati vivi e Cannibal ferox, diretti entrambi proprio da Lenzi che vedranno l’elemento slasher prevalere su tutto mentre altri registi come Ruggero Deodato esalteranno ancora più l’elemento gore del genere attraverso film diventati cult come Ultimo mondo cannibale, Cannibal Holocaust e Inferno in diretta. Lenzi si ritroverà quindi, suo malgrado, a diventare il padre di un genere; ma i film successivi si discosteranno da questo “capostipite”, che manterrà nel corso degli anni successivi un candore e una semplicità esemplari. Per quanto riguarda il cast, il personaggio principale, quello del fotografo John è affidato a Ivan Rassimov, che per una volta abbandona i panni del cattivissimo e si trasforma nel paladino della tribù che lo accoglierà. Accanto a lui, bravo e misurato c’è la bellissima Me Me Lai che si farà notare proprio grazie alla sua interpretazione di Maraya;

Morte di Maraya

Il pasto cannibale

bellezza fresca ed esotica Me Me Lay finirà poi nei cast di Ultimo mondo cannibale intepretando Pulan e in seguito concluderà la sua personale trilogia “cannibalesca” con Mangiati vivi, nel quale incontrerà nuovamente Rassimov questa volta nei panni del cattivissimo e crudele Jonas Melvyn. Una curiosità sul film riguarda il soggetto originale da cui è tratto; a scriverlo è Emmanuelle Arsan, l’autrice della serie di celebri romanzi a sfondo erotico Emmanuelle, divenuta poi anche lei regista dalle scarse qualità. Per quanto riguarda il titolo, che strizza l’occhio a chissà quali peccaminose avventure erotiche in realtà doveva intitolarsi L’uomo del fiume profondo come del resto evidenziato dal titolo imposto alla versione internazionale, The Man from the Deep River. Un film di buon livello questo di Lenzi, che anche oggi si può guardare con piacere.

Il paese del sesso selvaggio

Un film di Umberto Lenzi. Con Ivan Rassimov, Me Me Lay, Prasitsak Singhara, Sulallewan Suxantat Avventura, durata 93 min. – Italia 1972.

Il primo difficile dialogo

John Bradley… Ivan Rassimov
Maraya… Me Me Lai
Prasitsak Singhara … Taima
Sulallewan Suxantat … Karen
Ong Ard … Lahuna
Prapas Chindang … Chuan
Pipop Pupinyo … Mihuan
Tuan Tevan … Tuan
Chit … Cannibal
Choi … Cannibal
Song Suanhud … Witch Doctor
Pairach Thaipradit … Thai

 

Regia Umberto Lenzi
Soggetto Emmanuelle Arsan
Sceneggiatura Francesco Barilli, Massimo D’Avack
Produttore Ovidio G. Assonitis
Fotografia Riccardo Pallottini
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Daniele Patucchi
Costumi Ettora Marotti

Lobby card del film

Flano del film

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Il paese del sesso selvaggio locandina 3

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febbraio 20, 2012 Posted by | Drammatico | , , | Lascia un commento

Camping del terrore

Camping del terrore locandina

Julie e Robert Ritchie sono una coppia di mezza età che vive in un camping desolatamente abbandonato a se stesso, con l’unica compagnia dello sceriffo locale, Charlie, segretamente innamorato della ancor piacente Julie.

A guastare la monotonia e il silenzio in cui è immerso il camping, divenuto con il passare del tempo un luogo desolato da quando anni prima un misterioso maniaco aveva ucciso una coppia di giovani arriva una comitiva chiassosa di ragazzi.
Tra di loro c’è Ben, il figlio della coppia di ritorno dal servizio militare; i giovani sono accolti con poca cordialità da Robert che non ama la compagnia.
Tra l’altro, l’uomo ha disseminato nei boschi una serie di trappole per tentare di catturare il misterioso assassino dei giovani, che alcuni testimoni affermano essere uno sciamano.Camping del terrore 7

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I giovani comunque si sistemano nel camping, ma ben presto dovranno fare i conti con il ritorno del misterioso assassino, che dopo undici anni all’improvviso torna a colpire.
Poco alla volta i ragazzi finiscono massacrati dall’invisibile presenza, che alla fine verrà fermata grazie a Charlie, il poliziotto che non ha mai smesso di amare Julie.
Sarà proprio la morte di quest’ultima a rivelare il vero volto dell’inafferrabile assassino, che altri non è che Ben; il giovane era rimasto sconvolto anni prima dalla visione di un incontro amoroso proprio tra Charlie e la madre.
Da allora la mente sconvolta del giovane aveva meditato vendetta.

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Ma quando tutto sembra essere diventato chiaro, con il camping sul quale ormai aleggia solo la morte ( a scampare al massacro ci sono solo Charlie e Robert ) ecco che…

Horror slaher diretto da Ruggero Deodato nel 1987, Camping del terrore anticipa di poco un film praticamente identico come location e come trama, Cheerleader camp che avrà un buon successo di pubblico in America, ma paga un pesante dazio a Venerdi 13 al quale si ispira in maniera forse troppo evidente, riprendendone atmosfere e anche alcuni trucchi.
Deodato gioca molto sull’atmosfera da incubo che viene a crearsi nel camping, usando il ricordo del fantomatico sciamano assassino come incubo ricorrente per i giovani del camping.
Ed anche per lo spettatore che però intuisce da subito che l’assassino è un essere in carne ed ossa e non certamente un ectoplasma.

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Man mano che la storia si sviluppa, si assiste quindi alla lunga teoria dei morti ammazzati, tra qualche scena gore e qualche tentativo di allegerire la tensione rappresentata dai soliti scherzi tra ragazzi che il regista inserisce per dare l’impressione di una normalità che però è solo apparente.
Il film è ben costruito, anche se la trama può sembrare scontata, vista l’ennesima variazione di una vicenda girata nel solito bosco con tanto di assassino fantasma in azione.
Ma il mestiere di Deodato permette al film di reggere una certa tensione per tutto il film, puntando ogni tanto sui due protagonisti defilati della vicenda, la coppia di coniugi Robert-Julie che appare divisa da una tensione palpabile.
Elemento di disturbo della coppia sembra essere lo sceriffo Charlie con la sua manifesta ammirazione per la signora Ritchie; la loro storia d’amore scopriremo essere la causa scatenante della follia di Ben è forse la parte più debole del film.

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Ma alla fine Deodato inserisce il classico colpo di scena che ovviamente non rivelo e così facendo il totale i conti tornano.
Il regista potentino torna allo slasher dopo L’inferno in diretta; non c’è più la giungla ma c’è il bosco e si intuisce che Deodato predilige le atmosfere bucoliche per creare un forte contrasto tra la vicenda e il posto in sui si svolge.
Del resto precedentemente Deodato aveva diretto due cannibal movie con atmosfere identiche, Ultimo mondo cannibale e Cannibal holocaust con i quali in qualche modo aveva già sperimentato il genere slasher. Il prodotto finale è un film senza grosse pecche, abbastanza scorrevole che però ha un grosso limite rappresentato da un cast spaccato in due.

Da un lato ci sono le prove più che discrete dei tre “adulti” del cast, ovvero la sempre affascinante Mimsy Farmer (Julie), di David Hess (Robert) e del compianto Charles Napier (lo sceriffo), scomparso nel 2011, dall’altro quello del plotoncino di giovani attori che appaiono legnosi e poco espressivi.
Luisa Maneri, Valentina Forte, la stessa Nancy Brilli sono acerbe e scarsamente convincenti cosi come Nicola Farron, Stefano Madia e c. appaiono altresi poco in sintonia con il film stesso.
Nel cast figurano anche due ottimi caratteristi come John Steiner e Ivan Rassimov, che però hanno ruoli minori e quindi non giudicabili.

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Girato in Abruzzo, Camping del terrore ha come punti di forza la magnifica e selvaggia location che appare davvero un sostituto ideale dei boschi americani e delle buone musiche del grande Enrico Simonetti.
Un film di discreto livello, quindi, al contrario di quanto sostenuto da critici che evidentemente si prendono troppo sul serio.

Camping del terrore
Un film di Ruggero Deodato. Con Mimsy Farmer, Bruce Penhall, John Steiner, Ivan Rassimov, Luisa Maneri, Stefano Madia, Charles Napier, Nicola Farron, Elena Pompei, Nancy Brilli Horror, durata 87 min. – Italia 1987

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Charles Napier … Charlie, lo sceriffo
Mimsy Farmer … Julia Ritchie
David Hess … Robert Ritchie
Luisa Maneri … Carol
Nicola Farron … Ben Ritchie
Andrew J. Lederer … Sidney
Stefano Madia … Tony
John Steiner … Dr. Olsen
Nancy Brilli … Tracy
Cynthia Thompson … Cissy
Valentina Forte … Pamela Hicks
Ivan Rassimov … Vice sceriffo Ted
Elena Pompei … Sharon
Bruce Penhall … Dave Calloway
Sven Kruger … Scott

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Regia Ruggero Deodato
Sceneggiatura Alessandro Capone, Dardano Sacchetti, Luca D’Alisera
Produttore Ruggero Deodato
Fotografia Emilio Loffredo
Montaggio Mario Morra
Musiche Claudio Simonetti
Scenografia Paolo Biagetti

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febbraio 15, 2012 Posted by | Thriller | , , , , , , | Lascia un commento

Un bianco vestito per Marialè

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Una giovane donna è appartata ,con il suo amante completamente nudo, in un prato; un uomo che imbraccia un fucile (presumibilmente suo marito) spara ai due sotto gli occhi terrorizzati di una bambina.

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Evelyn Stewart è Marialè

Diversi anni più tardi Massimo arriva ad una villa, convocato da una sua vecchia amica, Marialè, che vive praticamente segregata dal mondo con suo marito e con un maggiordomo.
Proprio quest’ultimo comunica a Massimo che nella villa non c’è nessuno, ma è falso; infatti poco dopo arriva un gruppo di persone, tutte convocate da Marialè.La donna, che ha delle turbe psichiche originate dalla visione della scena raccontata all’inizio, è in pratica prigioniera nella villa sotto custodia di suo marito che le somministra sedativi e narcotici. La donna, per poter chiamare il gruppo di amici, è riuscita ad eludere la stretta sorveglianza del marito e del maggiordomo, a rompere il lucchetto e a telefonare a diversi amici del suo passato.

L’arrivo della variegata comitiva sembra scuotere la donna, ma ben presto si inizia a capire che qualcosa non funziona; tra i vari componenti del gruppo ci sono gelosie, risentimenti e ben presto accade qualcosa di grave.

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Pilar Velasquez è Mercedes

Ci scappa il primo morto, poi il secondo e in un crescendo di morte ben presto si arriva alla soluzione finale con la scoperta dell’assassino e delle sue motivazioni.
Thriller con evidenti colorazioni di gotico, Un bianco vestito per Marialè è un film del 1972 diretto da Romano Scavolini; un prodotto non privo di un certo fascino, anche se abbastanza confuso e penalizzato da un finale telefonato.
Elegante la confezione, con una fotografia vivace e ben curata, abbastanza claustrofobica la location, bene le prestazioni di Evelyn Stewart (Ida Galli), Luigi Pistilli e Ivan Rassimov.

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Quà si fermano le buone notizie.
Il plot del film è molto prevedibile, anche se il primo quarto d’ora, quello introduttivo che ci mostra le cause scatenanti del trauma subito da Marialè sembrerebbe orientare il film verso un’atmosfera tipicamente “gialla”.
Lo svolgimento del film invece mostra la corda, perchè Scavolini resta abbastanza indeciso su quale genere di film proporre; il giallo lascia il posto al gotico classico, con atmosfera tipica dei Dieci piccoli indiani della Christie, per poi fare un’escursione nella denuncia sociale.
Infatti è il momento (abbastanza lungo, per la verità), dei tempestosi rapporti che si scoprono esserci tra i vari ospiti della villa, con inclusa cena delle beffe finale e colpi di sciabola del regista alle convenzioni sociali e alla morale borghese.
Dopo queste tre fasi, che occupano tre quarti del film, si arriva al momento topico, con la strage di tutti i presenti peraltro mostrata senza grossi elementi slasher o gore.

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Luigi Pistilli è Paolo

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Il percorso del film quindi non è lineare, anzi; ma tutto sommato si riesce ad appassionarsi alla storia raccontata; Scavolini getta la con nonchalance anche una scena saffica e permette un paio di sbirciatine ai seni della splendida Pilar Velasquez.
Tutto sommato un film senza grossi picchi ma anche senza evidenti pecche, che però in rete gode di una fama abbastanza negativa per una serie di motivi legati alla sceneggiatura, da molti considerata farraginosa.
La cosa è in parte vera, però va ascritto a indubbio merito del regista l’aver evitato la trappola mortale dell’uso abnorme del sangue o il facile richiamo dell’erotismo tout court.
In ultimo la mia solita, devota ammirazione per Evelyn Stewart, che ricopre il doppio ruolo di Marialè e di sua mamma, con la solita grazia ed eleganza.

Il film è disponibile su You tube, in un’ottima versione all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=BLKQ4y9l5ro

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Un bianco vestito per Marialé,un film di Romano Scavolini. Con Luigi Pistilli, Evelyn Stewart, Edilio Kim, Ivan Rassimov,Pilar Velasquez, Gianni Dei, Bruno Boschetti, Ezio Marano, Carla Mancini, Gengher Gatti
Horror, durata 89 min. – Italia 1972

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Un bianco vestito per Mariale protagonisti

Evelyn Stewart ( Ida Galli): Marialè
Ivan Rassimov: Massimo
Luigi Pistilli: Paolo
Pilar Velázquez: Mercedes
Ezio Marano: Sebastiano
Giancarlo Bonuglia: Jo
Gianni Dei: amante della madre di Marialè
Franco Calogero: padre di Marialè
Gengher Gatti: Osvaldo,il maggiordomo
Edilio Kim: Gustavo
Carla Mancini: donna che legge il libro
Shawn Robinson: Semy

Un bianco vestito per Mariale cast

Regia     Romano Scavolini
Sceneggiatura     Remigio Del Grosso, Giuseppe Mangione
Casa di produzione     KMG Cinema
Fotografia     Romano Scavolini
Montaggio     Francesco Bertuccioli
Musiche     Fiorenzo Carpi, Bruno Nicolai
Costumi     Herta Swartz Scavolini
Trucco     Carlo Sindici

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luglio 11, 2011 Posted by | Thriller | , , , , | 1 commento

Emanuelle, perchè violenza alle donne?

Emanuelle perché violenza alle donne locandina

Durante uno dei suoi tanti viaggi in giro per il mondo per realizzare servizi fotografici di vario genere, Emanuelle si ferma in un albergo dove viene salvata da un tentativo di violenza sessuale da Malcom, un funzionario di un’agenzia governativa che si occupa di aiuti ai paesi poveri; i due fraternizzano ma devono lasciarsi per i rispettivi impegni.
Nella hall, Emanuelle incontra la sua vecchia amica Cora, anch’essa impegnata in un difficile reportage; la donna infatti sta girando per il mondo allo scopo di documentare la condizione femminile e la violenza esercitata a tutte le latitudini sulle donne.

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Laura Gemser, la reporter Emanuelle

Sarà proprio Emanuelle a scoprire come il lavoro di Cora sia attuale e terribilmente pericoloso; mandata in India per un servizio fotografico e documentaristico su una specie di santone che propaganda una strana religione sui rapporti sessuali e sul sistema per renderli infiniti, Emanuelle lo sbugiarda pubblicamente, ma prima di tornare in patria ha modo di consolarsi con una giovane e bella ragazza, Mary.
Emanuelle, notoriamente bisessuale, ha una breve relazione con la ragazza, che le racconta una terribile storia di soprusi e violenze subite.
Riagganciata Cora, decide di accompagnarla nel viaggio che la donna sta facendo per documentare le violenze.
Giunte a Roma, le due amiche hanno modo di mettersi nei guai, mentre indagano su una misteriosa organizzazione che rapisce giovani ragazze per destinarle ai bordelli dell’estremo oriente; Cora ed Emanuelle però vengono rapite e farebbero una brutta fine se non venissero salvate in extremis da Jeff, un amico della reporter.

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Brigitte Petronio, la giovane Mary

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Ma la banda non ha intenzione di mollare e riesce ad arrivare nuovamente a Cora, che viene seviziata e violentata da alcuni adepti dell’organizzazione.
Nonostante tutto, Cora riparte per l’Oriente sempre accompagnata dall’inseparabile reporter, che vivrà con lei una nuova pericolosa avventura, prima di tornare a casa e scoprire che anche negli States il fenomeno è purtroppo diffusissimo.
Emanuelle perchè violenza alle donne?, distribuito negli Usa con il titolo più appropriato di Emanuelle Around the World, è il quarto film della serie dedicata alla bella reporter di colore Emanuelle ed è il terzo diretto da Aristide Massaccesi che ancora una volta usa il suo nome d’arte Joe D’Amato.

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Il successo delle sue due pellicole precedenti, Emanuelle nera – Orient Reportage (1976) e Emanuelle in America (1976) permise a Massaccesi l’utilizzo di un budget più ampio, che il regista romano utilizzò principalmente per rendere ricche le location, trasportando la protagonista, l’affascinante venere nera Laura Gemser attraverso tre continenti ovvero Europa, America e Asia e ben quattro metropoli, come Roma, New York, Hong Kong e Nuova Delhi.

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Il meccanismo è lo stesso dei due film precedenti, quindi una miscela di erotismo e  violenza nella quale si inserisce il classico “pistolotto” moraleggiante che però suona tanto come espediente per accalappiare gonzi.
Questa volta D’Amato affianca alla Gemser oltre alla Schubert la giovane Brigitte Petronio, l’occasionale amante saffica immancabile nei film della serie Emanuelle nera (ricordiamo la Galleani e la De Selle, per esempio)
Film diretto con una certa cura e attenzione ai particolari, Emanuelle perchè violenza alle donne? ha il grosso demerito di cambiare spesso e caoticamente la storia, rendendola quanto meno improbabile e sopratutto farraginosa e tirata per i capelli.

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Ma al solito D’Amato non sembra affatto preoccupato di dare un senso alla sceneggiatura, quanto mostrare visivamente il solito campionario di scelleratezze unite ad un erotismo molto pronunciato, vero trademark del regista.
La violenza la fa da padrona, così come l’eros; al solito, il film ebbe due versioni, una più pulita e l’altra con inserti hard core abbastanza mediocri.
La versione “pulita” ebbe comunque grossi problemi con la censura per la presenza delle famose scene di violenza e delle scene dell’orgia, anche prive degli inserti erotici.
Per quanto riguarda il cast, gli attori fanno con diligenza la loro parte.

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Bene come al solito la Gemser, non ancora caratterizzata da quel dimagrimento che in seguito le dette un’aria sofferente e patita; la sua Emanuelle è conturbante e sexy, la sua capacità recitativa resta sufficiente.
Molto bene anche Karin Schubert che interpreta Cora.
La sequenza dello stupro sembra quasi reale, e dispiace pensare che Karin che pure era una buona  attrice abbia poi sceso la china così velocemente e in maniera così traumatica.

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Karin Schubert (Cora)

Spazio anche alla bionda ed efebica Brigitte Petronio, starlette poco valorizzata che nel film interpreta la giovane Mary, che ha subito sul suo corpo la violenza maschile e che ha una breve ed intensa relazione saffica con Emanuelle, così come apprezzabile è Ivan Rassimov una volta tanto non penalizzato dal solito ruolo del duro e cattivo. Così così George Eastman nel ruolo del guru fregnone, bene Gianni Macchia in quello dell’emiro che salva da una brutta fine Emanuelle.
Se il film non è da annoverare tra i film indimenticabili, ha dalla sua tuttavia qualche buon guizzo, a patto di chiudere un occhio sull’abitudine di Massaccesi di voler ad ogni costo strizzare l’occhio al messaggio moralistico del film.
Se si vuol fare un’opera di denuncia,non la si costella di scene erotiche fine a se stesse.
Il solito vizio del regista romano, costretto a ciò anche dalla furbizia dei produttori che, afferrato il filone giusto, non chiedevano altro al regista che usare il suo indubbio talento per agganciare una parte di pubblico poco interessato ai discorsi sociali e molto più ai nudi femminili e alle atmosfere torbide.

Emanuelle: perché violenza alle donne? un film di Joe D’Amato. Con George Eastman, Don Powell, Karin Schubert, Ivan Rassimov, Laura Gemser, Gianni Macchia, Marino Masé, Paola Maiolini, Brigitte Petronio
Erotico, durata 90 min. – Italia 1977.

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Emanuelle perché violenza alle donne protagonisti

Laura Gemser: Emanuelle
van Rassimov: Malcolm Robertson
Karin Schubert: Cora Norman
Don Powell: Jeff Davis
George Eastman: il guru
Brigitte Petronio: Mary
Al Thomas: eunuco
Aristide Massaccesi: Caleb
Marina Frajese: partecipante all’orgia
Rick Martino: partecipante all’orgia

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Regia     Joe D’Amato
Soggetto     Maria Pia Fusco
Sceneggiatura     Maria Pia Fusco
Produttore     Fabrizio De Angelis
Casa di produzione     Embassy Productions S.p.A.
Distribuzione (Italia)     Fida Cinematografica
Fotografia     Aristide Massaccesi
Montaggio     Vincenzo Tomassi
Musiche     Nico Fidenco
Scenografia     Maurizio Dentici

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Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com

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Terza pellicola del ciclo dedicato alla disinibita reporter, qui in viaggio per il globo terracqueo tra Stati Uniti, Italia e Hong Kong, impegnata a sventare un traffico “internazionale” di schiave bianche, spesso sottoposte a vere e proprie sessioni di tortura. Nel suo peregrinare svergogna, per tramite del proprio corpo, un falso ­santone indiano, ideatore/propugnatore del coito prolungato. Forse il più maschilista/cinico (e pornografico) dell’intera serie, curiosamente sceneggiato anche da mano femminile.

Buon film del filone esotico/erotico di Emanuelle, la splendida Laura Gemser… La trama è suppergiù sempre quella, con la bella fotoreporter giramondo coinvolta in qualche losco intrigo più grosso di lei. Ovviamente è tutto un pretesto per mostrare scene erotiche, e per i mercati esteri anche hard-core. Un prodotto comunque più che dignitoso, che non annoia ed anzi fa passare i canonici 90 minuti in tutta tranquillità. Certo, con Joe D’Amato alla regia almeno un momento splatter non poteva mancare… e difatti non manca: vedere per credere.

Così così. Le scene erotiche sono ottimamente realizzate e quelle di tortura sono molto efficaci. Peccato che questi due elementi, uniti, finiscano per stonare. La sceneggiatura è mediocre come al solito, ma la buona regia di Massaccesi riesce a salvare il salvabile. Non male il cast: bellissima come sempre la Gemser, stesso discorso per la Schubert, bravo Rassimov e cultissimo George Eastman. Splendida la colonna sonora, la migliore realizzata per la serie insieme a quella di Emanuelle in America.

Le pericolose scorribande erotiche per il mondo di una famosa reporter, implicata in pericolosi giri d’affari fatti sulla pelle delle donne. Costumi, scenografia e fotografia (ovviamente..) di gran classe, sceneggiatura così così.. A volte la confusione si trasforma in noia e il prodotto perde carattere. Scene erotiche ben fatte, moderatamente spinte, con un paio di inserti hardcore marginali e piuttosto inutili (almeno nella versione visionata). La componente violenta scaturisce potente e in alcune occasioni davvero estrema, ma stiamo parlando del D’Amato!

Interessante. Questo personaggio di reporter-detective che indaga sul fenomeno della tratta delle bianche calza a pennello a una donna come Emanuelle, la cui concezione del sesso -ludica e scanzonata- è effettivamente agli antipodi rispetto ad ogni forma di violenza o di mercimonio. Dunque, è una storia che ha una buona coerenza interna. Le locations (Roma, la Thailandia, l’India, New York) sono ben utilizzate: Paese che vai usanza che trovi, soprattutto rispetto agli usi e costumi sessuali! Non monotono, buone musiche e, complessivamente, ottimo look!

IL titolo è chiaro, ma quello inglese (“The degradation of Emanuelle”) lo è ancora di più: sulla falsariga del precedente seguiamo la fotoreporter Emanuelle sulle tracce di un esclusivo mercato nero di sfruttamento delle donne. Autentiche perle del trash massaccesiano, su tutte la scuola di sesso diretta dallo scaricatore di porto Eastman nei panni di un improbabilissimo guru indiano (che predica il ritardo dell’orgasmo ma al dunque non si trattiene manco lui). Sul piano erotico/hard aumenta la vena sgradevole. Interessante e ben realizzato.

Visto nella versione hard del dvd polacco (meno completo, pare, di quello della Severin). Pellicola gradevolissima con la splendida Laura Gemser e una buonissima regia di Joe D’Amato. A dispetto di altri titoli del filone, nonostante la trama sia semplice qui (almeno io) ho trovato un po’ di confusione nel finale e quindi non sono rimasto del tutto soddifatto. Meglio altri capitoli della saga.

In questo episodio la bella Emanuelle, con la scusa dei reportage scandalistici, crea un’alleanza di ferro con la giornalista Cora Norman (una divina Karin Schubert) e riesce a sgominare una banda internazionale di farabutti dedita alla tratta delle bianche, da Roma ad Hong Kong. Nel mezzo una love story con un diplomatico Rassimov, una puntatina in India per toccare con mano le teorie sul coito prolungato di un presunto santone (un mitico Montefiori!) e nel finale uno stupro a New York. Vedibile ma poco coinvolgente rispetto ad altri capitoli.

Il più fresco, colorato e scanzonato della serie di Emanuelle. Memorabile il “guru” interpretato da Luigi Montefiori, ma ci sono anche altri momenti molto divertenti e nel complesso il film non risulta noioso pur essendo privo degli eccessi che fanno storia visti in “in America” e nel successivo “e gli ultimi cannibali”. Il film, co-sceneggiato da Maria Pia Fusco, ha anche un certa dignità sul piano della denuncia sociale, pur diluita nella commercialità e nell’eros venduto al chilo tipico delle opere del buon Massaccesi.


marzo 29, 2011 Posted by | Erotico | , , , , , , | 2 commenti

Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave

Un titolo chilometrico, ripreso da Sergio Martino nel 1972, dopo il lusinghiero successo ottenuto da Lo strano vizio della signora Wardh, e ricavato da un biglietto che il persecutore di Julie Wardh, Jean, aveva recapitato alla sua ex amante. Per questo film Martino si avvale, nel cast, nuovamente della Fenech e di Rassimov, volto da duro buono sopratutto per le parti da cattivo. A completare il cast vengono chiamati Luigi Pistilli e Anita Strindberg, mentre il soggetto si ispira, in qualche modo, ad un’opera di Edgar Allan Poe; un’operazione non facile, ed infatti il film, pur non essendo mal riuscito, risente della difficoltà di trasposizione delle tipiche atmosfere di Poe in riduzione cinematografica.

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Anita Strindberg

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Daniela Giordano

Il film narra la storia di Oliviero Reuvigny, scrittore fallito e affetto da turbe mentali, oltre che dedito all’alcool, e della moglie Irene, nevrotica, che vive con il marito in compagnia di un gatto nero di nome Satana. Oliviero ha gravi problemi psicologici,legati ai fanatsmi della madre, di cui non si è mai liberato; in qualche modo vede nella moglie una vittima, mentre l’unica cosa che ha un valore affettivo è il gatto. Nel paese vicino alla casa dello scrittore avviene un brutale delitto, e i sospetti si incentrano proprio sullo scrittore; la ragazza assassinata, infatti, era una delle vecchie amanti di Oliviero.

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E’ proprio la moglie, Irene, a fornire un alibi al marito. Ma poco tempo dopo la cameriera di colore della coppia viene brutalmente uccisa. A questo punto i due coniugi, sicuri che questa volta la polizia avrebbe arrestato l’uomo, decide di occultare il cadavere. Il corpo della ragazza viene così trasportato in cantina, dove viene murato. A sconvolgere la vita già precaria della coppia arriva, qualche giorno dopo, una ragazza, nipote di Oliviero; è Floriana, una disinibita ragazza dai costumi molto leggeri, che in poco tempo tempo diventa dapprima l’amante dello zio, poi l’amante di Irene, e infine si concede anche ad un giovane fornitore della casa,Dario.

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L’arrivo della ragazza mette in crisi il fragile equilibrio della coppia, che inizia ad odiarsi in maniera assoluta. Oliviero confida a Floriana di essere stanco della moglie, mentre dal canto suo anche Irene, che sospetta il marito di essere l’assassino delle due ragazze, medita di sbarazzarsi di lui. Il dramma arriva al suo compimento; Irene uccide, tagliandogli la gola, il marito,  con la tacita complicità di Floriana, che assiste senza intervenire.

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Edwige Fenech

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Enrica Bonaccorti

Il silenzio di Floriana viene comprato con alcuni gioielli, e così Irene finalmente si sbarazza dell’odiato marito, mentre Floriana si allontana dalla villa con Dario, sulla sua moto. Appena andata via la ragazza, Irene avvisa il suo amante del percorso dei ragazzi; è stata proprio lei a uccidere le due vittime precedenti, con l’aiuto dell’amante, per liberarsi dell’odiato marito. Dario e Floriana troveranno la morte, così come Walter, l’amante di Irene, che a sua volta verrà ucciso dalla diabolica donna; il piano sembrerebbe perfetto, ma il diavolo, alle volte, si scorda i coperchi, è c’è spazio per la sorpresa finale.

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Edwige Fenech e Luigi Pistilli

Un film che risente, come già detto, della necessità di mantenersi fedele all’impianto letterario, ma che risente di troppi stereotipi del genere thriller, come la mancanza di atmosfera, l’eccessiva lentezza del film e un generale senso di incompiuto che aleggia sulla pellicola.

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Buone, comunque, le prove della seducente Fenech, di Luigi Pistilli, che tratteggia benissimo la figura dello scrittore erotomane ed alcolizzato e della bravissima Strindberg. Nel cast compaiono, per pochi minuti, Dalila Di Lazzaro, Daniela Giordano ed Enrica Bonaccorti, oltre al compianto Franco Nebbia.

Un film di Sergio Martino. Con Luigi Pistilli, Anita Strindberg, Edwige Fenech, Daniela Giordano, Ivan Rassimov.Enrica Bonaccorti, Franco Nebbia Drammatico, durata 95 min. – Italia 1972

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Il tuo vizio è una stanza chiusa banner personaggi

Edwige Fenech: Floriana
Anita Strindberg: Irina Rouvigny
Luigi Pistilli: Oliviero Rouvigny
Ivan Rassimov: Walter
Franco Nebbia: Ispettore
Riccardo Salvino: Dario
Angela La Vorgna: Brenda
Enrica Bonaccorti: Hooker
Daniela Giordano: Fausta
Marco Mariani: Libraio
Nerina Montagnani: Mrs. Molinar

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Regia Sergio Martino
Soggetto Luciano Martino, Sauro Scavolini – tratto dal racconto Il gatto Nero di Edgar Allan Poe
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Adriano Bolzoni, Sauro Scavolini
Produttore Luciano Martino
Casa di produzione Lea Film
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Attilio Vincioni
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Giorgio Bertolini
Costumi Oscar Capponi
Trucco Giulio Natalucci

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febbraio 17, 2009 Posted by | Thriller | , , , , , | Lascia un commento

Lo strano vizio della signora Wardh

Diretto da Sergio Martino nel 1971, Lo strano vizio della signora Wardh ebbe un lusinghiero successo di pubblico, facendo da apri pista al genere thriller all’italiana che avrebbe avuto, tra i maggiori esponenti, Lucio Fulci e Dario Argento. Giocato sul doppio binario erotismo/morte, il film, pur sorretto da una buona colonna sonora, aveva però dei buchi abbastanza notevoli nella sceneggiatura, a tratti inverosimile e a tratti tirata per i capelli.

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Edwige Fenech, la signora Julie Wardh

La storia parte dall’arrivo a Vienna di Julie (Edwige Fenech), splendida moglie di un diplomatico, reduce da una tempestosa relazione avuta con Jean, un sadico, che ha in qualche modo segnato la psiche della donna. L’ arrivo in città di Julie  coincide con una serie di brutali omicidi che coinvolgono giovani donne, assassinate a colpi di rasoio da un misterioso killer. Proprio a Vienna Julie si imbatte nuovamente nel fantasma del suo passato, Jean, che cerca in qualche modo di  attirare a se la donna. Una sera,ad un party organizzato dalla sua amica Carol, Julie conosce George, affascinante erede con Carol delle fortune di un loro zio comune.

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Cristina Ayroldi, nel ruolo di Carol Brandt

Attratta dall’uomo, Julie inizia una relazione con lui, ma Jean continua a perseguitare la donna. Un giorno, in un parco, Carol viene uccisa dal killer del rasoio, che la scambia per Julie; la donna aveva sostituito l’amica ad un appuntamento al quale doveva recarsi proprio la signora Wardh, ricattata telefonicamente. Poco tempo dopo anche Julie viene aggredita, ma riesce a salvarsi; convinta che si tratti di Jean, Julie si reca a casa di quest’ultimo con il marito, e scopre che Jean è stato assassinato nella sua vasca da bagno, naturalmente a colpi di rasoio.

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George Hilton interpreta George, l’amante di Julie

L’episodio convince la donna della necessità i cambiare aria; spinta da George, accetta di accompagnarlo in Spagna per una vacanza. Ma qui, in maniera assolutamente straordinaria, scopre che Jean non è morto; il fragile equilibrio della donna si incrina.

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Mi fermo qui con la trama per non rivelare particolari che svelino la conclusione del film, che in un certo modo è abbastanza sorprendente. Tuttavia, come già detto all’inizio, la trama mostra i segni di una sceneggiatura stiracchiata, pur avendo, lo stesso film, una buona tensione generale. Poco sangue, qualche scena di erotismo piuttosto ardita per l’epoca, accenni ad una relazione sadomaso tra Julie e Jean sono gli ingredienti di una storia raccontata, tutto sommato, con discreta perizia dal regista.

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La Fenech è assolutamente straordinaria, sia che reciti vestita, sia che mostri il suo stupendo corpo, con generosità. Molto più a disagio George Hilton, mentre Ivan Rassimov è luciferino nel ruolo di Jean. Un thriller che è particolarmente datato, ma che ha in qualche modo segnato un’epoca, lanciando la straordinaria bellezza della Fenech e facendo da volano a tutti i thriller successivi, a partire dall’ottimo L’uccello dalle piume di cristallo, di Dario Argento, nel quale viene ripresa la scena dell’omicidio di Carol nel parco.

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Lo strano vizio della signora Wardh ( The Strange Vice of Mrs. Wardh )

Un film di Sergio Martino. Con George Hilton, Edwige Fenech, Ivan Rassimov, Cristina Airoldi.
Manuel Gill, Brizio Montinaro, Bruno Corazzari, Manuel Gil Giallo, durata 98 min. – Italia 1971.

* George Hilton: George Corro
* Edwige Fenech: Julie Wardh
* Conchita Airoldi: Carol Brandt
* Carlo Alighiero: fattorino
* Ivan Rassimov: Jean
* Alberto de Mendoza: Neil Wardh
* Bruno Corazzari: killer

Regia Sergio Martino
Soggetto Eduardo Manzanos Brochero
Sceneggiatura Vittorio Caronia, Ernesto Gastaldi, Eduardo Manzanos Brochero
Produttore Antonio Crescenzi, Luciano Martino
Casa di produzione Devon Film, Copercines
Fotografia Emilio Foriscot
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Nora Orlandi
Scenografia Jaime Pérez Cubero, José Luis Galicia
Costumi Riccardo Domenici
Trucco Mario Di Salvio

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febbraio 13, 2009 Posted by | Thriller | , , , , | 4 commenti

Tutti i colori del buio

Tutti i colori del buio locandina

La vita di Jane,una bellissima donna inglese,è stata condizionata da un evento terribile avvenuto quando era piccola. Ha infatti assistito all’omicidio della madre. Questo evento le ha provocato sempre degli incubi, in cui una misteriosa mano armata di pugnale si avvicina nell’ombra per ucciderla. Ad aggravare la situazione arriva un altro evento traumatico:Jane viene coinvolta in un incidente stradale e perde il bambino che aspettava.

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Dominique Boschero

Sia il marito che la sorella Barbara assistono preoccupati alla evoluzione della psiche della giovane donna; così Barbara la indirizza dal professor Burton, uno psicologo che inizia con lei una serie di sedute terapeutiche, con le quali cerca di andare alle radici del problema, in primis ovviamente l’omicidio della madre di Jane.

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Marina Malfatti

Nel frattempo Jane apprende che nel palazzo dove vive abita una misteriosa donna, Mary, che sembra dotata di strani poteri; la incontra e quest’ultima le parla di una strana setta di cui fa parte, una setta dedita a misteriosi riti esoterici, con forti connotazioni demoniache. Jane, pur titubante, accetta di partecipare ad una di queste messe nere. Lungi dal trarre un giovamento,la mente di Jane si perde ancor più, rischiando la follia.

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Ad aggravare le cose arrivano tre misteriosi omicidi; muoiono, in successione, il dottor Burton, che aveva in cura la donna,e due persone anziane che avevano in cura Jane.

Ma la storia, che si è complicata enormemente, arriva ad una svolta per merito di Richard,il marito di Jane, che mette sulla strada giusta la polizia;tutti i misteriosi appartenenti alla setta vengono arrestati e si arriva alla drammatica e inaspettata conclusione:tutta la vicenda era stata organizzata dalla subdola Barbara,che,avendo ricevuto una grossa somma di denaro dall’assassino della loro madre,aveva organizzato una congiura, lavorando sugli incubi della sorella per portarla alla follia.

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Susan Scott

Tutti i colori del buio, girato da Sergio Martino nel 1972 è un ottimo thriller della scuola italiana di genere,che mescola con intelligenza sottili immagini erotiche (niente di particolare,alla luce di ciò che si è visto in seguito sullo schermo) e una buona trama,con il classico colpo di scena finale.

Un film che mescola il thriller al sovrannaturale,che in questo caso centra poco, come si scoprirà alla fine, ma è solo un pretesto per una squallida storia di denaro.

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Edwige Fenech

Ottima la Fenech,in un ruolo che potremmo definire drammatico,e buono il cast dei protagonisti, con Hilton che interpreta Richard, il marito di Jane, la bella Susan Scott nel ruolo della perfida Barbara e Marina Malfatti nel ruolo della misteriosa Mary.

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Tutti i colori del buio, un film di Sergio Martino. Con George Hilton, Edwige Fenech, Marina Malfatti, Ivan Rassimov, Renato Chiantoni, Georges Rigaud, Dominique Boschero, Carla Mancini. Genere Thriller, colore 94 minuti. – Produzione Italia 1972.

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Tutti i colori del buio banner protagonisti

George Hilton     …     Richard Steele
Edwige Fenech    …     Jane Harrison
Ivan Rassimov    …     Mark Cogan
Julián Ugarte    …     J.P. McBrian
George Rigaud    …     Dr. Burton
Maria Cumani Quasimodo Anziana vicina di casa
Nieves Navarro    …     Barbara Harrison
Marina Malfatti    …     Mary Weil
Luciano Pigozzi    …     Avv. Franciscus Clay
Dominique Boschero    Donna Uccisa Nel Sogno
Lisa Leonardi    …     Ragazza con il cane
Renato Chiantoni    Sig. Main – guardiano della villa in campagna
Tom Felleghy    …     Ispettore Smith
Vera Drudi    …     Vecchia Donna Nel Sogno

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Regia Sergio Martino
Soggetto Santiago Moncada
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Sauro Scavolini
Produttore Mino Loy, Luciano Martino
Casa di produzione Lea Film, National Cinematografica, C.C. Astro
Fotografia Giancarlo Ferrando, Miguel Fernandez Mila
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Jaime Pérez Cubero, José Luis Galicia
Costumi Giulia Mafai
Trucco Giuseppe Ferrante

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Edwige Fenech in una foto promozionale del film

Marina Malfatti

Lobby card internazionali

Soundtrack del film

Maggio 23, 2008 Posted by | Thriller | , , , , , | 2 commenti