Il fidanzamento
Luigi e Mirella sono due giovani che da alcuni anni sono legati sentimentalmente;lui,funzionario dello stato,è uno scapolone davvero poco interessato al matrimonio mentre lei è una bella donna che fondamentalmente non sembra affatto offesa dal modo in cui Luigi la considera.
Eh si,perchè l’uomo appare più interessato alle grazie fisiche di Mirella,dai soddisfacenti rapporti sessuali con lei che ai sentimenti della donna.
Ma Mirella ha una madre,Mussia,che al contrario della figlia ha dei valori ben precisi (più per convenzione sociale che per intima convinzione) ; sogna infatti per la figlia il matrimonio e la realizzazione quindi della sua vita come obiettivo fondamentale.
Ma di fronte ai continui rinvii di Luigi,Mussia escogita un piano,che riesce perfettamente; sorprende infatti i due proprio durante un rapporto sessuale e tenta di costringere lui a quello che sarebbe un matrimonio riparatore.
Ma Luigi scappa da quella che considera una gabbia.
Ottiene quindi un trasferimento a L’Aquila,in centro Italia, ben lontana dalla natia Catania.
Mussia, temendo che la figlia sia destinata ad una vita da zitella combina una storia tra Mirella e un giovane, Lucio; la notizia arriva in qualche modo a Luigi che,da buon siciliano (come da stereotipo) scopre in se il germe della gelosia.
Riuscirà a far rompere il fidanzamento tra la nuova coppia, provocando l’allontanamento di Lucio; così Mussia,messa alle strette, approfittando anche della morte del marito
riesce con mille sotterfugi a far riavvicinare i Luigi e Mirella.
Che così,alla fine,si sposano,con la benedizione della finalmente soddisfatta Mussia.
Diretto da Giovanni Grimaldi nel 1975,Il fidanzamento è da considerare una fiera delle banalità oltre che un film molto noioso salvato solo da una recitazione accettabile; tutti gli stereotipi possibili sono contenuti in 100 minuti di un film
che non solo non avvince,ma che a tratti irrita.Il siciliano donnaiolo dapprima,geloso poi,la donna all’apparenza libera sessualmente ma sotto sotto alla ricerca di un marito da accalappiare,la suocera preda del tipico e atavico vizio delle mamme del sud, il sogno di un marito benestante che assicuri la tranquillità (sopratutto economica) alla propria figlia e che briga tanto da raggiungere l’agognata meta.
A questo si può aggiungere una trama davvero banale e dei dialoghi piatti,in cui in nessun momento del film la pellicola stessa si solleva da un’algida,aurea mediocrità.
La presenza di Buzzanca attira qualche spettatore in più,la bellissima Martine Brochard qualche sguardo concupiscente,in virtù di qualche sprazzo di nudità, quello della Anna Proclemer (di gran lunga la migliore) ammirazione per la resa di un personaggio fondamentalmente antipatico,quello della suocera; da segnalare la presenza di Daniela Giordano,Didi Perego,Riccardo Garrone. Grimaldi ha sicuramente fatto di meglio nel corso della sua carriera,come i discreti La prima notte del dottor Danieli, industriale, col complesso del… giocattolo e Le inibizioni del dottor Gaudenzi, vedovo, col complesso della buonanima, Le belve ,tutti del 1971 e tutti con Lando Buzzanca come protagonista oltre all’ottimo La governante.
Davvero ben misera cosa per giustificare una visione del film.Che del resto non è nemmeno passato spesso in tv,tanto da essere di difficile reperibilità.Tuttavia in rete,su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=hJfe3_1sJoM
è comparsa una versione peraltro poco vista per il titolo in inglese del film e della dizione trailer. Ma il film,in discreta versione,è integrale e sopratutto in italiano.
Il fidanzamento
Un film di Gianni Grimaldi. Con Lando Buzzanca, Didi Perego, Martine Brochard, Riccardo Garrone,Gina Mascetti, Gabriele Antonini, Anna Proclemer, Ennio Balbo, Daniela Giordano , Maria Bertrand Commedia, durata 93 min. – Italia 1975.
Lando Buzzanca: Luigi Mannozzi
Martine Brochard: Mirella Guglielmi
Didi Perego: Elide, sorella di Mussia
Anna Proclemer: Mussia Katiuscia, madre di Mirella
Michele Abruzzo: Edmondo Guglielmi, padre di Mirella
Carlo Sposito: Totò
Gabriele Antonini: Lucio Davossa
Antonia Brancati: Maria Pia
Ennio Balbo: monsignor Solinas
Riccardo Garrone: Vincenzo, fratello di Luigi
Daniela Giordano: Lina, moglie di Vincenzo
Gina Mascetti: oste
Regia Giovanni Grimaldi
Soggetto dal romanzo omonimo di Goffredo Parise
Sceneggiatura Giovanni Grimaldi
Produttore Fulvio Lucisano
Casa di produzione Italian International Film
Distribuzione in italiano Italian International Film
Fotografia Mario Capriotti
Montaggio Daniele Alabisio
Musiche Piero Umiliani
Scenografia Vincenzo Del Prato
Costumi Marisa Crimi
La nottata
Milano.
La giovane Susy esce di casa,inseguita dalle urla della madre,che le rimprovera di essere una vagabonda.
Contemporaneamente,in un altro punto della città,Angela saluta un suo occasionale amante;le due giovani finiscono per incontrasi nelle toilette
di un locale dove una signora di mezza età,dopo essersi truccata,dimentica un anello su un lavabo.
Susy lo prende e le due escono,recandosi in un cinema dove subiscono le avance prima di uno spettatore,al quale rifilano un colpo sui genitali
per poi sbeffeggiare un esibizionista che compare loro nudo per le scale della galleria del cinema stesso.
E’ l’inizio di una nottata (quella del titolo) in cui le due ragazze passeranno,come in un road movie,attraverso varie avventure;conosciuto un tassista
gli mostrano l’anello e lui propone loro di venderlo ad un suo conoscente.
Lo strano terzetto finisce in una balera,dove incontrano il losco e trucido ricettatore,di qui finiscono in casa di un morto,ancora in casa di un travestito e ancora in giro, attraverso una Milano piena di svaghi trasgressivi,in anticipo sulla città da bere degli anni ottanta.
Venderanno l’anello,ma per un prezzo irrisorio,poi in casa di una donna equivoca…alla fine,dopo una nottata che sembra valere una vita,le due ragazze scopriranno che quello che resta loro di tutte le avventure bruciate in poche ore è solo quella che sembra essere l’inizio di una bella amicizia.
Film girato in economia e anche in fretta, a giudicare dalla scarsa cura delle sequenze,La nottata esce nelle sale nel 1975 per la regia di Tonino Cervi.
Il figlio del grande Gino,produttore di film di successo come Boccaccio 70 e Deserto rosso è qui alle prese con la terza delle sue undici regie cinematografiche,che segue il buon esito di Le regine-Il delitto del diavolo,un interessante horror del 1970.
La nottata è un film pieno di difetti e con pochi acuti;il suo voler essere quasi un documentario,nello stile tipico dei road movie alla fine è più un handicap che un valore aggiunto.
Nonostante il buon ritmo,del resto agevolato dal voler mostrare in poco tempo uno spaccato della Milano notturna di metà degli anni settanta,il film risente di una sceneggiatura vaga e sopratutto troppo incline a mostrare il lato “proibito” della Milano stessa per non apparire un’operazione smaccatamente tesa a rastrellare soldi al botteghino.
Ipotesi avvalorata dalla gran quantità di nudi esposti nel film,di situazioni pruriginose,in definitiva dalla monotematica del sesso come filo d’Arianna.
Forse Cervi intendeva puntare il dito sui vizi privati della Milano nascosta; ma lo fa con un linguaggio greve (anche nel senso del parlato),con situazioni ben oltre il kitsch (la balera con tanto di Casadei che canta Simpatia) e ciliegina sulla torta,i dipinti di Mao di Wahrol e i Fontana sulle pareti di in un cesso di lusso.
Film ampiamente artefatto,poco credibile,scoordinato.
Attori a corrente alternata;un Giorgio Albertazzi travestito (sicuramente una parte accettata per divertimento),una Martine Brochard versione “porcona”,Claudio Cassinelli e Giuliana Calandra presenti in camei presumibilmente “alimentari”
Susanna Javicoli e Sara Sperati,le due protagoniste,fanno quello che possono;in realtà poco,ma espongono generosamente i loro corpi e con ogni probabilità era quello che da loro si voleva.
Film smaccatamente erotico,quindi,mascherato malamente da film/indagine.
Cervi si farà valere più come sceneggiatore;come regista,almeno in questo film lascia molto a desiderare.
Il film è presente in una ottima versione all’indirizzo https://1fichier.com/?fvdhbbqq17 ;per poter scaricare il link (verificato) è necessario inserire la password SMz
La nottata
Un film di Tonino Cervi. Con Giancarlo Prete, Giorgio Albertazzi, Martine Brochard, Giuliana Calandra, Sara Sperati, Max Delys, Susanna Javicoli,
Elisa Mainardi, Aldo Bonamano, Claudio Cassinelli, Angelo Pellegrino Commedia, durata 95 min. – Italia 1974.
Sara Sperati: Susy
Susanna Javicoli: Angela
Giancarlo Prete: taxista Vito
Max Christian Delys: Piero
Giuliana Calandra: proprietaria dell’anello
Angelo Pellegrino: ricettatore
Benedetto Simonelli:
Giorgio Albertazzi: “Destino”
Martine Brochard: Marta
Claudio Cassinelli: Davide
Raoul Casadei: se stesso
Regia Tonino Cervi
Soggetto Tonino Cervi
Sceneggiatura Umberto Simonetta,
Cesare Frugoni,
Tonino Cervi
Casa di produzione P.A.C. Produzioni Atlas Cinematografica
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Nino Baragli
Musiche Vince Tempera
Scenografia Pietro Filippone
Costumi Maria Cristina Lorenzi
Trucco Dante Trani
Fango bollente
Ovidio,Giacomo e Pepe.
Tre giovani,con un impiego tranquillo in un’azienda che produce calcolatori elettronici.
Ma che genera,nella loro psiche,un’alienazione dovuta ad una molteplicità di fattori.
Sopratutto in Ovidio,il più inserito socialmente,ma anche il più nevrotico dei tre amici;ha una famiglia,ma la moglie è più
un fantasma (spocchioso e supponente fra l’altro) troppo preoccupata nel fare carriera mentre sul lavoro il giovane è costretto a subire le angherie del suo capufficio.
Ben presto la mente del giovane raggiunge un punto di saturazione che esplode in comportamenti sociopatici;i tre in seguito ad un incidente stradale uccidono a coltellate un camionista.
E’ l’inizio di un’escalation del terrore che coinvolge innocenti vittime,mentre la polizia,che non riesce a trovare un legame nella serie di omicidi dei quali i tre si rendono responsabili,brancola nel buio.
Sarà il commissario Santaga a capire il nesso casuale delle cose e a indagare nella giusta direzione…
Diretto da Vittorio Salerno nel 1975,Fango bollente è un ottimo noir,bollato spregiativamente e frettolosamente come “poliziottesco” da buona parte della critica dell’epoca.
Un film teso e ottimamente diretto da Salerno,regista capace e invece inspiegabilmente autore di sole quattro regie,peraltro tutte di livello superiore come Libido (1965),No il caso è felicemente risolto (1973),Fango bollente e Notturno con grida (1981).
Incentrato sulla disumanizzazione della società dei consumi,sull’alienazione lavorativa,capace di creare nevrosi estreme nell’individuo,Fango bollente riprende la tematica di Arancia meccanica di Kubrick portandola in un’area metropolitana,quella di Milano,che per certi versi è l’emblema della società estraneante,quella che isola l’individuo rendendolo un automa sul lavoro e un essere invisibile fuori.
Attraverso una regia lucida,rigorosa,Salerno segue le imprese criminali dei tre giovani,che sembrano agire irrazionalmente,spinti solo da un confuso malessere che genera una violenza cieca e incontrollabile.
Che è poi quella che spingeva Alex De Large.
Ma le similitudini tra i due film finiscono quà.
Alle spalle di Fango bollente non c’è un robusto,splendido romanzo come A clockwork orange e ovviamente Salerno non è Kubrick;tuttavia il risultato è un film equilibrato,senza fronzoli e che centra perfettamente gli obiettivi che si era prefisso.
Ottima la prova attoriale,sopratutto quella di Enrico Maria Salerno,fratello del regista impegnato ancora una volta nel ruolo del commissario disilluso,ma anche lucido e intelligente.
Bene Joe Dalessandro,attore forse poco espressivo ma capace,in questo caso,di rendere perfettamente il personaggio dello psicotico Ovidio.
Ottima la Brochard e tutti gli altri attori del cast.
Film sottovalutato alla sua uscita,è oggi diventato un cult tanto da essere ricordato come uno dei prodotti migliori degli anni settanta.
Per chi volesse visionare il film,in rete c’è una riduzione dvix di discreta qualità (solo download) agli indirizzi http://fboom.me/file/5a5158739f917/S7v5ge.part1.rar
e http://fboom.me/file/18fd874a5d186/S7v5ge.part2.rar
Fango bollente
Un film di Vittorio Salerno. Con Enrico Maria Salerno, Carmen Scarpitta, Joe Dallesandro, Martine Brochard, Gianfranco De Grassi. Drammatico, durata 93 min. – Italia 1975.
Enrico Maria Salerno: Commissario Santagà
Carmen Scarpitta: Moglie del politico
Joe Dallesandro: Ovidio Mainardi
Martine Brochard: Alba
Gianfranco De Grassi: Giacomo
Guido De Carli: Pepe
Enzo Garinei: Direttore del Centro Ricerche
Sal Borgese: Il custode
Luigi Casellato: Questore di Torino
Umberto Ceriani: Commissario Tamaroglio
Claudio Nicastro:Primario clinica privata
Regia Vittorio Salerno
Soggetto Vittorio Salerno, Ernesto Gastaldi
Sceneggiatura Giovanni Balestrini, Ernesto Gastaldi, Lucille Laks, Vittorio Salerno
Produttore esecutivo Angelo Iacono
Casa di produzione La Comma 9
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Giulio Albonico
Montaggio Enzo Meniconi
Musiche Franco Campanino
Scenografia Emilio Baldelli
Quel movimento che mi piace tanto
Un buon 2017 a tutti,quanto meno sereno.
Quando nel 1976 Franco Rossetti gira Quel movimento che mi piace tanto, involontariamente, (visto anche la natura della pellicola) anticipa un tema di grande attualità, quello dei volta gabbana della politica.
Quarant’anni fa il cambio di casacca,o se vogliamo di ideologia politica,non era affatto un fenomeno frequente;gli schieramenti politici erano fermi, granitici, arroccati sulla difesa delle idee e della passione politica per esse.
Oggi le cose sono ben diverse, più sfumate.
Il tramonto delle ideologie ha determinato un fenomeno ampio,quello del cambio della casacca,dello schieramento politico molto disinvolto,con buona pace degli elettori.
Discorso lungo,che tra l’altro non appartiene nemmeno al film,poiché in realtà si tratta di una commedia sexy che parla fugacemente dell’argomento,senza approfondimento o satira.
Il protagonista della pellicola è l’avvocato Fabrizio Siniscalchi,deputato al parlamento di un partito non specificato,donnaiolo e perennemente alle prese con guai economici.
Vorrebbe cambiare schieramento politico,più per opportunismo che per convinzione nell’ideologia di sinistra,ma è bloccato in questo dalla relazione che intrattiene con Livia Bonoli-Serpieri,esponente della nobiltà senese,donna focosa e sessualmente irrefrenabile.
Per Fabrizio,che deve anche quotidianamente subire le rampogne di suo fratello Salvatore,pragmaticamente convinto che la relazione creerebbe imbarazzo in uno schieramento come quello della sinistra,nasce quindi la necessità di sbarazzarsi di Livia.
Troppo,per il volubile avvocato.
Nonostante i ricatti della nobildonna,che lo tiene legato anche economicamente,in qualche modo Fabrizio riesce a lasciare Livia.
La donna,vendicativa,si rivolge ad un amico marchese per incastrare il “fedifrago”; i due decidono di assoldare una baby prostituta,la bella Anna Gilioli facendo in modo che l’ignaro Fabrizio allacci con lei una relazione per poi renderla pubblica e creare uno scandalo.
Anna riesce ad agganciare l’avvocato,che ne resta irretito.
Ma quello che la nobildonna non può prevedere è che tra i due le cose vadano ben diversamente dal preventivato… .
Quel movimento che mi piace tanto è una commedia dell’abbondante filone della commedia sexy,diretta dal senese Franco Rossetti,che omaggia la sua città girando la pellicola in una splendida e assolata Siena.
Uno dei suoi otto film,l’ultimo di un livello accettabile,anche se,come leggerete nel trafiletto sotto,il film venne addirittura denunciato da alcuni giovani come stupido e volgare,tanto da costringere il pretore ad emettere una sentenza di assoluzione in quanto il film (testualmente) “è opera scadente e volgarmente indecente,e quindi più ripugnante che contrario alla morale“.
Giudizio severissimo e assolutamente tranciante.
Non siamo di certo di fronte ad un’opera da consigliare tout court,ma nemmeno ad un prodotto indecente.
La storia in fondo è ben congegnata e il cast assoldato ha un indiscusso buon livello;si va infatti dalla presenza di due ottimi attori della commedia leggera come Carlo Giuffrè e Renzo Montagnani (piutto in ombra,invero) oltre alla presenza del bravo Cannavale.
Le parti femminili sono affidate a due attrici particolarmente affascinanti,come Martine Brochard e Cinzia Monreale.
Basterebbe questo quindi a dare una patente di “serietà” al prodotto,che tra l’altro,se è vero che abbonda di casti nudi,non è certo opera softcore.
Del resto la commedia sexy aveva questa peculiarità: mostrare quanti più centimetri di epidermide per stuzzicare la fantasia degli spettatori.
Il film non brilla per particolare comicità,tuttavia è discretamente congegnato grazie alla sceneggiatura di Francesco Milizia,dello stesso Giuffrè e di Rossetti,gente che conosceva il proprio mestiere.
La satira è lievissima,tanto da risultare impalpabile,mentre tutto il carico del film è portato sulle caratteristiche di Giuffrè,attore di indubbio talento;peccato per il sacrificio di Montagnani,una volta tanto relegato in terz’ordine, mentre appare
per la prima volta sullo schermo un attore che da lì a qualche anno avrebbe fatto fortuna: Carlo Verdone, nei panni di un garzone del bar.
Bene la Brochard e la Monreale,bella decisamente la location senese,discrete le musiche di Manuel De Sica.
Film ricomparso dopo una lunghissima latitanza,disponibile in una versione più che buona su You Tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=WMitKg9YCw4
Quel movimento che mi piace tanto
Un film di Franco Rossetti. Con Renzo Montagnani, Martine Brochard, Mario Colli, Carlo Giuffrè,Francesca Benedetti, Cinzia Monreale,
Enzo Cannavale Commedia, durata 103 min. – Italia 1975.
Carlo Giuffrè …Avvocato Fabrizio Siniscalchi
Martine Brochard …Livia Bonoli-Serpieri
Renzo Montagnani …Marchese Cecco Ottobuoni
Cinzia Monreale …Anna Gilioli
Francesca Benedetti… Lucy
Enzo Cannavale …Salvatore Siniscalchi
Regia Franco Rossetti
Soggetto Francesco Milizia, Franco Rossetti
Sceneggiatura Carlo Giuffré, Francesco Milizia, Franco Rossetti
Produttore Franco Rossetti
Casa di produzione Pan Hubris
Distribuzione (Italia) Stefano Film
Fotografia Roberto Gerardi
Musiche Manuel De Sica
Scenografia Gaia Romanini Rossetti
Costumi Gaia Romanini Rossetti
Trucco Maurizio Giustini
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B. Legnani
Spottistico. Commediola per e con Giuffrè, che, se non fosse ipotesi assurda, si potrebbe ipotizzare commissionata dall’Azienda di Promozione Turistica della città. Si basa su una sola idea buona, che rischiara la parte centrale del film, in corrispondenza di arrivo e prima “rivelazione” della Monreale. Poi il film si avvita un po’, cercando un secondo colpo di scena che funziona assai meno del primo. Giuffré fa ciò che gli viene chiesto, mal sfruttati la Brochard e (ancor meno) Montagnani, così così Cannavale. Bruttino. Comparsata di Verdone.
Undying
Il regista della Cavalla tutta nuda porta sullo schermo una commedia ben costruita (i dialoghi sono curati da Francesco Milizia) e resa gradevole dalla presenza (spesso nuda) della piacevole Cinzia Monreale (poi vista in Buio Omega, L’aldilà e in un altra manciata di horror massaccesiani). Oltre al debutto di Verdone, va segnalata la convincente prestazione offerta da Giuffré e il (sempre) esilarante ruolo di Montagnani. A suo modo, oltre al divertissement, il film tenta un approccio “politico”, pur sempre modico, ma presente…
Markus
Curiosa commedia sexy di ambientazione senese. Il protagonista assoluto è un surreale Carlo Giuffrè in una delle poche occasioni avute per essere protagonista assoluto e, volendo guardare, cinematograficamente al canto del cigno. Cast nutrito e funzionale al racconto: certamente spicca una sexy Cinzia Monreale, la cui carriera però non è propriamente decollata, sebbene la buona riuscita di questo film. La parte comica, per altro contenuta, è affidata, oltre che a Giuffrè, ad Enzo Cannavale e, meno risalto in questa occasione, a Renzo Montagnani.
Daidae
Non malaccio, considerando anche che lo stesso regista è “colpevole” della regia del pessimo Una cavalla tutta nuda. Discreta commedia sexy, con un valido cast sia maschile che femminile, su tutti la interpretazione dell’ottimo Giuffrè e della bella Monreale.
Luchi78
Commedia sexy a tutti gli effetti, nonostante una parvenza di critica sociale e politica ben interpretata dalla coppia Giuffrè-Cannavale, che mostrano un certo contegno nonostante l’esibizione costante di nudi e atti sessuali. Il film si perde proprio in questa morbosa sceneggiatura, che vorrebbe proporre la Monreale come una verginella adolescente da un lato, prostituta abile e con tendenze lesbo dall’altro. Il finale scade nel ridicolo, con dichiarazioni a dir poco imbarazzanti se non proprio comico-demenziali.
Dusso
Una delle tante commedie sexy anni 70; è un film dignitoso, piacevole e abbastanza divertente. Nudissima una giovanissima Cinzia Monreale ma anche la Brochard ci concede un nudo integrale. Esordio assoluto per Carlo Verdone che è assistente alla regia e che fa una comparsata in un bar dove vanno Cannavale e Giuffrè. Si parla di una versione del film ancora più spinta e per questo la Monreale sembrava un po’ preoccupata… (Martine Brochard da Cine 70 n.6)
Giacomovie
Uno dei tanti filmetti-pretesto per mostrare le bellezze di turno senza veli, che riesce almeno a tenere un piede fuori dal banale. Il solito erotismo casereccio è inserito in situazioni che strappano qualche risata, col collaudato duo Montagnani- Cannavale a proprio agio. Simpatica la trovata della “puttana vergine”. Curioso poi che un film con poco senso facia riferimento a Senso, col personaggio della contessa Serpieri che nel film di Visconti era di Alida Valli. **
Motorship
Simpatica e divertente commedia sexy anni 70. Il film, pur non essendo un capolavoro, sa ben coadiuvare nudi da urlo con scene assai divertenti e altre amarognole. Il film funziona principalmente per un ottimo e istrionico Carlo Giuffrè, il quale regge praticamente da solo il film; funzionano anche Cannavale e Montagnani, bellissime le frequenti nudità della splendida Cinzia Monreale (anche se Martine Brochard ci concede un nudo da urlo). Apparizione per un giovanissimo Carlo Verdone. Non male.
Maxx
Il film segue quel filone scollacciato che tanto andava di moda all’epoca. Si ride poco e bisogna dire che l’occhio, a parte qualche nudo piuttosto fugace, gode pochetto. Montagnani solito istrione, Giuffré esagerato, Cannavale annacquato e piuttosto sprecato. L’idea non sarebbe male ma non parliamo di satira politica riuscita. Si può perdere.
Una spirale di nebbia
Un colpo di fucile risuona nel bosco.
C’è una battuta di caccia e a sparare è Fabrizio Sangermano,sposato con Valeria e padre di due figli;il bersaglio però non è un animale ma la moglie di Fabrizio.
La donna cade,colpita mortalmente; ma è stato un terribile incidente o Fabrizio ha deliberatamente colpito sua moglie?
A indagare su quello che si presenta da subito un caso di difficilissima interpretazione è Renato Marinoni, giudice inquirente che ha il compito di raccogliere prove e testimonianze proprio all’interno della famiglia Sangermano.
Qui si troverà ben presto a cospetto di un mondo assolutamente impenetrabile, coinvolto in prima persona nell’inestricabile groviglio di segreti e inconfessabili peccati che tutti i componenti della famiglia in qualche modo tentano di occultare.
In primis c’è Fabrizio,che ha sposato la francese Valeria contro il parere della sua famiglia, oltremodo ricca la dove la ragazza è invece di umili origini;qualche tempo dopo il matrimonio l’uomo si è quasi rintanato nella tenuta della sua famiglia, dedicandosi esclusivamente alla fattoria e al commercio ad essa legato.
Marc Porel
Eleonora Giorgi e Stefano Satta Flores
Marinoni poco alla volta ricostruisce il puzzle dei legami sentimentali dei vari componenti della famiglia;scopre così che il matrimonio di Fabrizio con Valeria non era affatto felice, scopre che Maria Teresa, cugina di Fabrizio, sposata a Marcello ha anch’essa un matrimonio in bilico, avendo la donna scoperto che il marito era assolutamente impotente proprio la prima notte di nozze.
Via via che scorrono le indagini Marinoni ha modo di conoscere Vittorio, amico di Fabrizio che è sposato ma ha una relazione extra coniugale con l’infermiera Armida, scopre che la cameriera di Maria Teresa, Armida, ha avuto una relazione con un domestico del quale è ora incinta, ma che la stessa donna ha intenzione di dichiarare di essere incinta di Marcello allo scopo di coprire l’impotenza del suo padrone.
L’unico punto fermo di Renato sembra essere la sua relazione con Lidia, unica oasi di serenità nel corso delle indagini, che mettono a contatto il disincantato giudice con un mondo in cui i valori tradizionali sembrano essere una chimera, in cui anche i rapporti personali, amorosi o sessuali diventano cose dai contorni indistinti.
Martine Brochard
Marina Berti
Alla fine il giudice deve arrendersi; le indagini non hanno portato a nulla e Fabrizio potrebbe aver ucciso volontariamente la moglie oppure no; questa è la conclusione che trasmetterà ai suoi superiori.
Una spirale di nebbia, tratto da un racconto di Michele Prisco da Eriprando Visconti è un film in perenne bilico tra il thriller e il film di indagine psicologica e comportamentale.Immerso in’atmosfera volutamente fredda, quasi inanimata, vive sull’indagine introspettiva di pirandelliani personaggi in cerca d’autore.Tutti i comportamenti personali o sociali dei vari protagonisti appartengono ad una logica di base che vede i rapporti di tutti i generi che gli stessi protagonisti allacciano o hanno allacciati mediati e alla fine minati da sentimenti inesplorabili, legati come sono allo status sociale, agli obblighi verso la società stessa e in fondo ad una immatura genesi degli stessi.
Il sesso, patinato ed elegante del e nel film è volutamente rarefatto, freddo, quasi glaciale;tutte le pulsioni sessuali dei protagonisti appaiono slegate,meccaniche,tanto da rendere il film stesso gelido e al tempo stesso didascalico.
Visconti aveva già affrontato tematiche molto simili, analizzando comportamenti umani come farebbe invece un entomologo alle prese con il mondo degli insetti; si pensi a film come La orca o ad Oedipus orca, nei quali i personaggi sembrano essere inanimati, privi di senso d’orientamento, fatalmente avviati verso destini volutamente disperati.
Una spirale di nebbia è quindi un buon film,con momenti felici (la battuta di caccia) e qualche cedimento strutturale che però alla fine rendono in maniera dignitosa sia a livello di risultato sia come “insegnamento” impartito, ovvero la dove c’è la borghesia, la ricchezza,la dove la classe sociale si eleva ecco affiorare il retroterra della stessa, fatto di valori decadenti quando non del tutto assenti.
Bene sicuramente tutto il cast, con fior di protagonisti come Porel e Satta Flores, oltre ad un cast femminile da urlo, fra le quli segnalerei la Giorgi,Martine Brochard e Claude Jade, splendida la fotografia.
Il film è finalmente disponibile in una versione da digitale;lo potrete trovare qui https://uploadto.us/file/details/cElQ1NEGL8o/Sprl77mst.rar. Vi ricordo per l’ennesima volta che dopo averlo visionato avete l’obbligo legale di eliminare il file…
Una spirale di nebbia
Un film di Eriprando Visconti. Con Duilio Del Prete, Stefano Satta Flores, Marc Porel, Martine Brochard,Claude Jade, Enzo Fiermonte, Marina Berti, Corrado Gaipa, Valeria Sabel, Victoria Zinny, Wendy D’Olive, Flavio Bucci, Dario Ghirardi, Eleonora Giorgi, Giorgio Trestini, Carlo Puri, Roberto Posse, Anna Bonaiuto, Flavio Andreini Drammatico, durata 104′ min. – Italia, Francia 1977.
Claude Jade: Maria Teresa
Marc Porel: Fabrizio
Duilio Del Prete: Marcello
Carole Chauvet: Valeria
Stefano Satta Flores: Renato Marinoni
Roberto Posse: Molteni
Martine Brochard: Lavinia, l’infermiera
Flavio Bucci: Vittorio, il medico
Marina Berti: Costanza San Germano
Corrado Gaipa: Pietro San Germano
Eleonora Giorgi: Lidia
Anna Bonaiuto: Armida
Elvira Cortese: Cesira
Valeria Sabel: Cecilia
Carlo Puri: Piero
Giorgio Trestini: Boris
Victoria Zinny: la governante
Tom Felleghy: Bellini
Regia Eriprando Visconti
Soggetto Michele Prisco (romanzo)
Sceneggiatura Luciano Lucignani, Fabio Mauri, Lisa Morpurgo, Roselyne Seboue, Eriprando Visconti
Fotografia Blasco Giurato
Montaggio Franco Arcalli
Effetti speciali
Musiche Ivan Vandor, Carl Maria von Weber
E così continuava a fissare assorta la fotografia di sua madre e a rincorrere l’immagine di Valeria, ormai persa abbandonata dietro questo giuoco di sovrimpressioni: e forse perché adesso doveva pensarla morta, eliminata per sempre, avvertiva a un tratto un vago turbamento, un rimorso, no, non proprio un rimorso, semmai un’insofferenza confusa e delusa, una specie di, come poteva definirla, di necessità di riparazione, ma neppure è l’espressione giusta, di maggiore tolleranza e umanità, di ordine, ecco, di pulizia. Per quel bisogno che abbiamo, di fronte alla morte, di sistemare per bene i nostri rapporti con coloro che ci hanno preceduti evitando di lasciare zone d’ombra, sentimenti di cruccio o d’acredine, quasi per sentirsi in pace con noi stessi più che per non sentirsi in debito con loro. Quasi per farci perdonare d’essere ancora vivi…
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Un Chabrol all’italiana, questo Una spirale di nebbia, penultimo film della non lunghissima carriera di Eriprando (nipote di Luchino) Visconti; è in pratica il ritratto di un ‘gruppo di famiglia in un interno’ sociale, nelle convenzioni cioè che la relazionano a sè stessa e con il prossimo (amici, servitù e via dicendo). Piano piano ognuno di questi legami si viene a scoprire in realtà debole, debolissimo, se non addirittura già sciolto nei fatti, ma mantenuto vivo solamente per confermare le apparenze; l’infedeltà sentimentale è solamente una delle mille varianti possibili in tale contesto, nel quale ogni personaggio nasconde qualcosa a tutti gli altri. Ma rispetto all’entomologo – chirurgico nell’approccio, insomma – Chabrol, Visconti si prodiga nel mostrare la vivace italianità della storia: corna e menzogne spudorate la fanno da padrone. Dignitosissimo il cast, che vanta una coppia di nomi, qui centrali, che hanno sempre sfiorato il cinema di serie A da protagonisti, senza mai riuscire però a conquistarlo: con vero peccato, perchè fra Stefano Satta Flores e Flavio Bucci è difficile scegliere il migliore, ma se la cavano bene anche Martine Brochard, Marc Porel, Duilio Del Prete, Claude Jade e ci sono infine due particine per Anna Bonaiuto ed Eleonora Giorgi. Sceneggiatura che Visconti scrive insieme a Luciano Lucignani, Fabio Mauri, Lisa Morpurgo e Roselyne Seboue, tratta da un romanzo di Michele Prisco; sontuose e patinate le musiche di Ivan Sandor e la fotografia di Blasco Giurato; montaggio di Franco Arcalli
L’opinione di Undijng dal sito http://www.davinotti.com
Durante una battuta di caccia un ricco possidente uccide (involontariamente?) la moglie. Ad un tormentato magistrato tocca il difficile compito di stabilire la verità. Ispirato dall’omonimo romanzo di Michele Prisco, Eriprando Visconti dirige un significativo erotico dalle forti componenti thriller e dai risvolti inquietanti, sempre in bilico tra menzogna e realtà. L’ottimo cast offre al regista un mezzo potente per dare corso ad una storia ambigua e compatta, spesso limitrofa al territorio dell’hard (la scena della fellatio).
L’opinione di fauno dal sito http://www.davinotti.com
…Alla fine mi sono alzato ad applaudire! Sincero, controcorrente, mette KO tutte le ipocrisie e le schifezze borghesi. Non solo il denaro non rende felici, ma non fa neppure da lenitivo quando in certe unioni matrimoniali si devono accettare ingiustizie o prevaricazioni del genere… di più: il medesimo può portare perfino all’autodistruzione. Un film talmente bello che nudità e petting si interpretano finalmente per quel che sono: le cose più belle e naturali del mondo e non quello sboccatissimo ciarpame che viene pubblicizzato adesso…
L’opinione di The gaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Un inno all’irrisolto: una morte che rimane avvolta nel mistero, una galleria di personaggi o per meglio dire di coppie di personaggi, afflitte da una gabbia esistenziale alla quale devono soggiacere per rispetto delle convenzioni. Si è parlato della grande presenza di nudi integrali in questo film di Eriprando Visconti, ma è un erotismo volutamente sfumato e meccanico, noioso persino. In questo contesto dove tutti faticano a trovare una propria dimensione e si accetta qualsiasi compromesso, suonano amare le parole del giudice quando afferma “cosa devo mettere come movente del delitto nel fascicolo? La Vita?” Parole amare per un film amaro. apprezzabile per il soggetto di base, con un buon cast di attori, ma eccessivamente freddo, a mio parere, nella rappresentazione.
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Le monache di Sant Arcangelo
Nel Convento di Sant’Arcangelo di Baiano l’anziana badessa è ormai in fin di vita; Giulia di Mondragone, una giovane e bella suora è candidata con Carmela e Lavinia alla successione per la guida del convento.
Giulia è ambiziosa ed è sessualmente lesbica; ha una relazione, infatti, con Suor Chiara ma accetta per interesse la corte di don Carlos Ribera, un nobiluomo senza scrupoli e senza principi morali.
Suor Giulia sa infatti che la protezione del potente nobile può esserle utile nel sogno di dirigere il monastero.
Accetta così, pur contro voglia e contro le proprie tendenze sessuali di appagare il nobile; che però ha anche delle mire sulla giovane novizia Isabella, una bellissima suorina della quale don Carlos è incapricciato.
La morte della badessa superiora provoca l’avvio di una crisi drammatica all’interno del convento: le tre rivali brigano in tutti i modi per assicurarsi la successione e Suor Giulia alla fine è costretta ad accettare la richiesta di Don Carlos, volta ad ottenere una notte d’amore nella cella della novizia Isabella.
Mentre infuria la guerra intestina al convento, giocata sul campo dell’ignominia più completa, l’eco degli avvenimenti giunge a Roma.
Siamo nel 1577, il Regno di Napoli è soggetto anche alle leggi della Santa Inquisizione: dalla città campana viene inviato dall’Arcivescovo il vicario Carafa, uomo integerrimo ma anche brutale ed inflessibile.
Le sue indagini interne portano alla scoperta degli intrighi che le rivali al ruolo di badessa tessono instancabilmente l’una alle spalle delle altre; con la tortura Carafa estorce la confessione di Giulia di Mondragone, che viene condannata a morte mediante l’ingestione di cicuta.
La suora muore tra atroci dolori mentre Suor Isabella, con un astuto e provvidenziale ricatto, riesce a mettere freno alle ambizioni di Don Carlos.
Per evitare ulteriori scandali, la suorina viene “condannata” ad essere dispensata dai voti…
Le monache di Sant’Arcangelo, film tipico del filone nunsploitation ( filone erotico/conventuale) esce nelle sale nel 1973, diretto da Domenico Paolella, su un soggetto ispirato molto liberamente ad un libricino scritto forse da Stendhal,Cronaca del convento di Sant’Arcangelo a Bajano, probabilmente però opera di un anonimo francese.
Alla riduzione cinematografica viene chiamato Tonino Cervi, che ne ricava un soggetto tutto sommato equilibrato, che Paolella, veterano del cinema di genere, dirige con buona mano senza calcare troppo sul versante erotico della storia.
Il film ha un’ambientazione, ovviamente, prettamente conventuale e si inserisce nel genere di nicchia che raccontava storie abbastanza pruriginose di suore poco avvezze ai loro voti, senza però sconfinare nello scollacciato fine a se stesso tipico di un’altra branca del cinema erotico con sfondo conventuale, il classico decamerotico.
Grazie ad un ottimo cast, Paolella gira una pellicola di discreto valore, nella quale spicca principalmente la buona ricostruzione storica;assolutamente in linea il cast che vede nel ruolo principale, quello di Suor Giulia da Mondragone l’attrice inglese Anne Heywood, non nuova al cinema conventuale; nel 1969 infatti aveva lavorato in La monaca di Monza (regia di Eriprando Visconti) nel ruolo della sventurata Virginia De Leyla e chiamata ancora una volta a interpretare una parte scabrosa, quella di Giulia di Mondragone, assetata di potere a tal punto da sacrificare le proprie idee, la propria dignità e in fondo anche il suo amore per Suor Chiara in nome della sua ambizione.
Nel cast figura anche una giovane e bella Ornella Muti, l’unico personaggio davvero positivo del film ed anche l’unica a scansare la furia dell’Inquisizione, rappresentata dal torvo Carafa, uomo implacabile e infervorato dalla sua missione, convinto di dover estirpare il male con tutti i mezzi possibili, incluso l’uso abominevole della tortura.
Il ruolo di Carafa è svolto in modo inappuntabile da Luc Merenda,mentre l’Arcivescovo di Napoli è Claudio Gora.
Spazio anche a Martine Brochard, bravissima nel ruolo di Suor Chiara, amante di Suor Giulia.
Discrete sia le musiche che le scenografie, mentre ottima è la fotografia.
Le monache di Sant’Arcangelo è un film di discreta reperibilità, oggi disponibile anche in digitale, mentre un suo passaggio televisivo è abbastanza improbabile anche per la tematica trattata.
Le monache di Sant’Arcangelo
Un film di Domenico Paolella. Con Luc Merenda, Ornella Muti, Martine Brochard, Anne Heywood, Claudio Gora Drammatico, durata 103′ min. – Italia 1973.
Ornella Muti: suor Isabella
Pier Paolo Capponi: don Carlos Ribera
Anne Heywood: badessa Giulia di Mondragone
Claudia Gravi: badessa Carmela
Maria Cumani Quasimodo: badessa Lavinia
Martine Brochard: suor Chiara
Luc Merenda: vicario Carafa
Claudio Gora: emin. cardinal d’Arezzo
Duilio Del Prete: Pietro
Muriel Catalá: Agnese
Gianluigi Chirizzi: Fernando
Regia Domenico Paolella
Soggetto Domenico Paolella
Sceneggiatura Tonino Cervi
Produttore Tonino Cervi
Montaggio Nino Baragli
Musiche Piero Piccioni
Scenografia Claudio Cinini, Giovanni Fratalocchi
Costumi Osanna Guardini
L’opinione dell’utente sasso 67, dal sito http://www.filmtv.it
La trama del film deriva da un fatto di cronaca verificatosi nei pressi di Napoli nel 1577 e sfociato in un processo inquisitoriale. La materia non è nuovissima nemmeno per il cinema, basti pensare ad opere come Made Giovanna degli Angeli di Kawalerowicz o a I diavoli di Ken Russell, che aveva lanciato alla grande il filone “conventuale”. Ovviamente, l’aspetto pruriginoso della vicenda ha un ruolo preponderante, come del resto ebbe nella realtà, ma questa volta il regista cerca di non insistere eccessivamente sulle immagini piccanti e di aggiungere un elemento “politico” a condizionare la conduzione della faccenda da parte delle autorità ecclesiastiche. Tra le quali emerge la forte personalità di Monsignor Carafa, vicario dell’Arcivescovo di Napoli. Mentre quest’ultimo si dimostra prudente, ma anche titubante e pilatesco, il giovane Carafa (probabilmente quel Decio Carafa che sarà poi a sua volta arcivescovo di Napoli e cardinale) è deciso a combattere la corruzione e gli intrighi, sebbene abbia delle remore morali di fronte alla tortura e alla pena di morte.
Bisogna dire che il compito è svolto da Paolella con il professionismo di cui era dotato e, a parte un finale da tragedia greca, con tanto di cicuta, che stona con altri momenti di buona ricostruzione storica, si tratta di uno spettacolo, in certi limiti, dignitoso.
L’opinione dell’utente Homesick, dal sito http://www.davinotti.com
Rievocazione di un fatto di cronaca claustrale del XVI secolo – lo scandalo del convento di Sant’Arcangelo a Bajano – varca i limiti del voyeurismo e dei sadomasochismi da bancarella imposti dal filone nunsploitation allora in voga per soffermarsi sulla cura di fotografia, costumi e suppellettili e sul rilevamento dell’aspetto psicologico e politico, massimo nell’invettiva anticlericale pronunciata dalla moritura Heywood. Impegnato a rispecchiare risolutezza moralizzatrice e dubbi del vicario Carafa, Merenda acquisisce un inedito carisma, anche in virtù del doppiaggio di Sergio Graziani.
Il domestico
Durante la seconda guerra mondiale Rosario Cavadoni, conosciuto da tutti come Sasa, lavora in mensa come cameriere fino al giorno in cui viene chiamato al servizio del maresciallo Badoglio.
La proclamazione dell’armistizio vede la fuga del maresciallo stesso da Roma mentre il povero Sasa si salva grazie alle sue doti di adattamento ai lavori di casa finendo al servizio di un ufficiale tedesco e in seguito all’occupazione militare americana in Germania ai servizi di un comandante statunitense.
La fine della guerra vede Sasa alla ricerca di un’occupazione in pianta stabile; finisce così per entrare al servizio di Salvatore Sperato, un produttore cinematografico che decide di farlo lavorare nel cinema accanto a sua moglie Lola Mandragali, una popolana sguaiata e becera.
Fallito miseramente il tentativo di diventare attore, Sasa entra a servizio di una famiglia nobile romana, impelagata con il fascismo. Qui Sasa ha modo di rendersi utile al vecchio patriarca portandolo in giro per i bordelli, dove l’uomo alla fine viene colto da malore, proprio mentre Sasa è a colloquio intimo con la simpatica prostituta Rita.
La famiglia del nobile mette a tacere lo scandalo, anche perchè ormai l’epoca dei bordelli si avvia malinconicamente alla conclusione per l’avvento della legge Merlin che stabilì la chiusura della case chiuse.
L’odissea di Sasa continua: l’uomo finisce alle dipendenze di una coppia dalla morale sessuale molto aperta e discutibile e alla fine approda in casa di Ambrogio Perigatti, un ricco petroliere dalle molte ombre.
Qui Sasa ritrova una vecchia conoscenza, la prostituta Rita diventata nel frattempo moglie dell’uomo d’affari.
Sasa avrà modo di rendersi utile guarendo la figlia della coppia da una forma di strabismo: durante lo sbarco dell’uomo sulla luna, infatti, avrà un rapporto intimo con Linda (figlia di Amrogio e Rita) provocando la scomparsa del fastidioso disturbo che Sasa furbescamente attribuirà all’emozione provata dalla ragazza davanti alla tv durante l’allunaggio.
Ma è destino che il domestico non debba trovare tregua: Ambrogio Perigatti coinvolgerà come prestanome il povero domestico in una speculazione,che avrà come risultato la condanna di Sasa alla detenzione.
In carcere finalmente l’uomo potrà dedicarsi al suo lavoro di domestico….
Il domestico, diretto da Luigi Filippo D’Amico su una sceneggiatura di Sandro Continenza e Raimondo Vianello è una gradevole commedia del 1974 appartenente al florido filone della commedia all’italiana e non alla commedia sexy come erroneamente scritto da alcuni recensori della domenica.
L’impianto narrativo infatti è di stampo classico e della commedia sexy non riprende alcuna tematica: le scene sexy infatti sono limitate a qualche topless fugace delle belle protagoniste ed il film vive tutto sulla verve di Lando Buzzanca, chiamato per una volta a interpretare un ruolo brillante defilato dai ruoli sexy a cui l’attore siciliano aveva abituato il pubblico.
Il film percorre 30 anni della storia italiana, con Sasa che si imbatte via via in personaggi arricchiti e volgari, parvenue della borghesia emergente o vecchie glorie della nobiltà, nostalgiche di un passato ormai irrimediabilmente scomparso.
Se nel film manca la profondità, per ovvi motivi trattandosi di una commedia brillante, ci si consola con alcune gag gustose tra le quali spiccano la visita di Sasa con il vecchio nobile in un bordello pochi giorni prima della loro soppressione e la scena dell’allunaggio con la seduzione da parte della giovane Linda del maturo domestico Sasa, che la ragazza provoca in tutti i modi.
Finale agro dolce, o meglio, amaro con Sasa che finisce per fare il suo lavoro dietro le sbarre, condannato da un destino avverso che lo ha visto entrare e uscire da diverse famiglie ognuna delle quali con vizi nascosti, tipici della borghesia rampante dell’Italia post bellica.
Luigi Filippo D’Amico dirige con mano sicura un cast di caratteristi tutti all’altezza, con alcune tra le più belle star del cinema italiano anni settanta: si passa da Femi Benussi (l’attrice Lola Mandragali che odia il caviale e lo rifila al suo cane! ) a Martine Brochard, perfettamente a suo agio nel ruolo della prostituta Rita che sogna di fuggire dal bordello in cui lavora e che vedrà coronato il suo sogno visto che sposerà nientemeno che un petroliere fino a Eleonora Fani, bravissima come suo solito nel ruolo dell’adolescente pruriginosa che guarirà dallo strabismo da cui è affetta grazie alla performance erotica di Sasa.
Ancora, in ruoli di contorno troviamo Erika Blanc, la Silvana commessa in un negozio che si rifiuta di fare la scomoda testimone delle infedeltà della coppia presso la quale lavora Sasa ricordando che guadagna 120.000 lire al mese per lavorare 12 ore al giorno mentre i viziosi padroni di casa se la spassano avendo denaro e tempo libero; troviamo una splendida Malisa Longo in una parte lampo (quella della prostituta del bordello), Ivana Monti nel ruolo della moglie infedele che Sasa cercherà disperatamente di coprire
e accanto a loro attori come Arnoldo Foà (Ambrogio Perigatti), Enzo Cannavale (il produttore Salvatore Sperato),Antonino Faa Di Bruno (il nobile puttaniere) e infine Gordon Mitchell (il Generale Von Werner), tutti a loro agio nei ruoli attribuiti.
Il domestico è un film senza grandi pretese ma riuscito: va detto che alcune scene sono prolisse e che alcune situazioni sono davvero tirate per i capelli, ma nel complesso il film regge e si guarda con piacere.
Come al solito rivolgo l’invito a non fidarsi di alcune recensioni dei critici di alcuni siti, troppo snob per riconoscere un valore minimo ad una pellicola che non sarà un capolavoro ma che è sicuramente meglio di tanti prodotti osannati dai critici stessi.
Questa recensione in particolare, “soldato semplice nella seconda guerra mondiale, “Zazà” viene mandato addirittura a fare l’attendente di Badoglio. Finisce poi al servizio di un ufficiale nazista e, infine, di uno americano. Tipico veicolo per Buzzanca. Comicità facile e scollacciata con velleità satiriche.” mostra un’acredine davvero spiazzante; il film non è affatto scollacciato, ma come ormai sappiamo bene il vero problema è la puzza sotto al naso di parte dei soloni cinematografici.
Il domestico,un film di Luigi Filippo D’Amico. Con Femi Benussi, Luciano Salce, Silvia Monti, Lando Buzzanca, Paolo Carlini, Martine Brochard, Arnoldo Foà, Nanda Primavera, Camillo Milli, Renzo Marignano, Enzo Cannavale, Erika Blanc, Gordon Mitchell, Silvia Monelli, Malisa Longo, Carla Mancini, Mico Cundari, Empedocle Buzzanca
Commedia, durata 105 min. – Italia 1974.
Lando Buzzanca … Rosario Cabaduni, soprannominato ‘Sasa’
Martine Brochard … Rita
Arnoldo Foà … Ambrogio Perigatti
Femi Benussi … Lola Mandragali
Leonora Fani Linda Perigatti
Paolo Carlini … Andrea Donati
Enzo Cannavale … Salvatore Sperato
Antonino Faa Di Bruno…. il nobile
Erika Blanc … Silvana
Luciano Salce … Il regista
Gordon Mitchell … General Von Werner
Erika Blanc…. Silvana
Malisa Longo…Una prostituta
Regia: Luigi Filippo D’Amico
Sceneggiatura: Sandro Continenza e Raimondo Vianello
Musiche : Piero Umiliani
Editing: Renato Cinquini
Produttore: Medusa
Fotografia : Sandro D’Eva
Montaggio : Renato Cinquini
Distribuzione: Medusa
Scenografia : Ennio Michettoni, Franco Velchi
Costumi : Luciana Fortini
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Divertente, ma sbilanciato. Molto buona la prima ora, però cala con la parte popolata da Foà e la Fani, nonostante la bravura degli interpreti, perché è troppo prolissa. Esilarante la parte con la Monti, Marignano, la Blanc (presunta monarchica…). Buzzanca, in ogni caso, è semplicemente eccezionale. E poi ci sono Salce, il grande Faà di Bruno, Cannavale, una sfolgorante Benussi.
Interessante parabola sull’esistenza di un “servo” che viene analizzata (in vérve comica) a partire dall’inizio della carriera (a ridosso della fine della 2a guerra mondiale) sino ad un finale (corrispondende al 1969 e relativo sbarco sulla Luna) che avanza teorie “politiche” esterne al genere: Luigi Filippo D’Amico riesce a mettere insieme momenti esilaranti (basterà ricordare Luciano Salce nella parodia di se stesso), senza scordarsi una sana polemica sulla corruzione politica e sociale, già all’epoca, ai vertici dei ministeri…
Valida commedia sulla lealtà dei servi e i vizi dei padroni, costruita su Buzzanca – al solito siculo e mandrillo – e su una variopinta galleria di attori e starlets: la Fani strabica e lolitesca, la statuaria Monti, la delicata Tanzilli, la Blanc che ghigna come la Facchetti, Foà distributore di bustarelle, Mitchell nazista…Trova spazio pure una parodia di Riso amaro (e del mondo del cinema in generale), con Salce regista e Buzzanca e la Benussi nei ruoli che furono di Gassman e della Mangano.
L’italico servilismo, ma anche il camaleontismo e l’ipocrisia: in questo anomalo Buzzanca-movie, dove il nostro è leccapiedi per vocazione (ma pur sempre mandrillo siculo), i vizi atavici dell’italiano vengono passati in rassegna in una svelta successione di episodi piuttosto ben sceneggiati, dove il migliore è quello con Salce neorealista a dirigere Lando domestico del produttore. Buona scelta dei comprimari, buon assortimento di fanciulle: la dolce e maliziosa Fani (semiesordiente) si fa notare nel ruolo della lolita strabica.
Notevole commedia, probabilmete il miglior film di Buzzanca. I toni sono più seri e impegnati del solito, ma il film è comunque veloce e divertente. Bravissimo Buzzanca, ottimo il resto del cast, pieno di nomi noti. Forse il finale non è troppo convincente, ma il film riesce a volare inaspettatamente in alto. Bellissima la colonna sonora.
Azzardo a definirlo il miglior Buzzanca-movie di tutti i tempi. La qualità della pellicola si manifesta in molti aspetti: innanzitutto il ruolo affibbiato a Buzzanca gli è congeniale e lo si vede convinto (dunque convincente). Bella l’idea di raccontare ad episodi la storia di questo domestico dall’Italia della Seconda Guerra Mondiale fino al 1974, con aspetti anche storiografici. Molto bella la colonna sonora di Piero Umiliani.
Solita commediola con protagonista Lando Buzzanca. Non dissimile da mille altre che l’attore ha interpretato nel corso del suo periodo d’oro. Ha un buon ritmo e due o tre gag apprezzabili, ma in fondo la si dimentica in fretta. Cast non particolarmente in palla, a partire dal protagonista.
Il domestico è un ruolo che si addice alla maestria comica del grande Buzzanca, libero di impersonare le varie caratteristiche di questo lavoratore in tutte le sue accezioni. Si ride anche se non ci si spancia, v’è da dirsi, ma neanche si affonda nel mare magnum triviale cui spesso la commedia italiana di quel periodo ci aveva abituato. La Fani che seduce il bravo Lando posizionando il suo dolce piedino proprio lì (riacquistando al contempo la perfetta simmetria oculistica) vale tutto il film, grazie anche all’espressione di lui…
Gatti rossi in un labirinto di vetro
Barcellona, Spagna.
Tra un gruppo di turisti in viaggio verso la città della Catalogna agisce un misterioso killer che non si accontenta di uccidere le malcapitate vittime, ma enuclea dall’orbita anche un occhio.
Le indagini della polizia brancolano nel buio e di volta in volta il sospettato cambia, ma l’assassino verrà smascherato nel convulso finale.
Per forza di cose ho dovuto riassumere la trama in maniera sintetica, ma in questo caso specifico onde evitare a chi non abbia visto Gatti rossi in un labirinto di vetro occorre evitare l’esposizione dei fatti che accadono durante il film.
Ci sono infatti citazioni e immagini che se colte dall’inizio indicano abbastanza chiaramente chi è il colpevole e il gioco di Lenzi è proprio quello di coinvolgere lo spettatore omaggiando qua e là alcuni registi (come Argento) a cui il regista toscano si è evidentemente ispirato.
Dopo Così dolce… così perversa , Orgasmo e Paranoia (1969), il discontinuo Il coltello di ghiaccio (1972) e dopo il buon Sette orchidee macchiate di rosso (dello stesso anno) Umberto Lenzi torna a dirigere un thriller, avendo a disposizione però un budget modesto.
E sopratutto sfruttando una sceneggiatura con alcuni buchi e poco credibile.
La mano del grande regista c’è tutta e il mestiere maschera incongruenze e recitazione a tratti approssimativa di alcuni partecipanti al cast; manca la profondità lenziana tipica dei primi prodotti, quella capacità psicologica mista alla trattazione dell’etica degli stessi che avevano caratterizzato i thriller del maestro.
Del resto Lenzi non ha più a disposizione Trintignant e la Baker, Castel , Jean Sorel o Erika Blanc ; Martine Brochard fa del suo meglio, ma non ha la personalità ne è sua la capacità drammatica, da attrice di thriller della Baker o della Blanc.
Il film tuttavia raggiunge la sufficienza perchè Lenzi non è un artigiano qualsiasi ma un professionista capace di mascherare le pecche con la sua indubbia, indiscutibile capacità di creare atmosfera anche con poco come in questo caso.
Nella pellicola, qualche momento gore, come le varie mutilazioni oculari dei vari assassinati oppure la scena della ragazza data in pasto ai maiali; qua e là qualche momento saffico e qualche casto nudo affidato alle grazie della Brochard e di Ines Pellegrini, l’attrice italo africana protagonista dei due pasoliniani Il fiore delle mille e una notte e del Salò.
Poco altro da dire, se non una citazione per il resto del cast che include il monocorde e inespressivo John Richardson e la solita sicurezza rappresentata da Daniele Vargas; colonna sonora autenticamente anni 70 di Bruno Nicolai però molto più adatta ad un poliziottesco invece che ad un giallo/thriller.
Un film che temo deluderà i fans del thriller all’italiana, sopratutto i fans del maestro se avranno avuto la ventura di imbattersi prima in questo film che nel resto della sua produzione antecedente.
Gatti rossi in un labirinto di vetro, un film di Umberto Lenzi. Con Martine Brochard, Ines Pellegrini, Joan Richardson, Daniele Vargas,Raf Baldassarre, Georges Rigaud, Silvia Solar, John Richardson
Thriller, durata 90 min. – Italia 1975.
Martine Brochard: Paulette Stone
John Richardson: Mark Burton
Ines Pellegrini: Naiba Levin
Andrés Mejuto: Commissario Tudela
Mirta Miller: Lisa Sanders
Daniele Vargas: Robby Alvarado
George Rigaud: reverendo Bronson
Silvia Solar: Gail Alvarado
Raf Baldassarre: Martinez
José María Blanco: Ispettore Lara
Marta May: Alma Burton
John Bartha: sig. Hamilton
Olga Pehar: sig.ra Randall
Veronica Miriel: Jenny Hamilton
Olga Montes
Richard Kolin: sig. Randall
Rina Mascetti: infermiera dell’ospedale
Fulvio Mingozzi:poliziotto
Francesco Narducci: receptionist all’hotel Presidente
Tom Felleghy: medico legale
Regia Umberto Lenzi
Soggetto Félix Tusell
Sceneggiatura Félix Tusell
Fotografia Antonio Millán
Musiche Bruno Nicolai
La governante
La famiglia Platania è un nucleo famigliare che ruota attorno alla figura del patriarca Leopoldo, rimasto vedovo e che vive con suo figlio Enrico, sua nuora Elena, i due nipotini e una domestica che asseconda le bizzarrie e le volontà di tutta la famiglia, una bella e ingenua ragazza siciliana di nome Jana.
Il gruppo vive una vita rispettabile, con Leopoldo che fa la vita del pensionato, dedicandosi principalmente a se stesso, mentre suo figlio Enrico dedica gran parte del suo tempo alle donne; Elena, una donna scioccherella con pretese di essere una intellettuale, accetta la corte di uno scrittore, peraltro molto discreta, ma in maniera platonica.
Il collante della famiglia è la religiosità, che viene ostentata in primis da Leopoldo; una religiosità di facciata, che prende dal cattolicesimo solo alcuni dettami, trascurando quelli che sono viceversa i fondamenti della religione stessa, la carità, l’altruismo ecc.
Martine Brochard e Agostina Belli
Tutto verrà messo in discussione, incluso le vite dei singoli famigliari il giorno in cui arriva dalla Francia l’affascinante Catherine, con il compito di fare da governante e istitutrice; la donna ben presto entra in conflitto con Leopoldo proprio in materia di religione.
In una lunga discussione con lo stesso, Catherine rimprovera all’uomo proprio la religiosità esteriore, ostentata ma non praticata.
La donna dal canto suo ha un segreto che non rivela alla famiglia che la ospita; è scappata dalla Francia dopo il suicidio della sua amante.
La sessualità di Catherine, repressa per ovvi motivi, non ultimo il particolare concetto di peccato che Leopoldo ha verso tutto ciò che esula dalla “normalità” della sua fede esplode però a contatto con Jana.
La ragazza, bella e ingenua, turba Catherine, che scopre di essere attratta morbosamente da essa.
Così la donna mette in moto un meccanismo che avrà tragiche conseguenze; accusa Jana di avere tendenze lesbiche, provocando così l’allontanamento della stessa dalla famiglia.
Jana in lacrime e assolutamente innocente lascia la casa.
Ma il destino ha in serbo per lei una sorte peggiore; durante il viaggio di ritorno verso casa Jana rimarrà vittima di un incidente ferroviario nel corso del quale perderà la vita.
Nella famiglia Platania tutto sembra tornare alla normalità.
Arriva una nuova cameriera, Francesca.
Martine Brochard e Christa Linder
Leopoldo però scopre Catherine in atteggiamenti saffici con Francesca e si rende conto della realtà.
Durante un drammatico colloquio con la stessa Catherine, scopre il perchè della messa in scena e delle bugie dette dalla stessa ai danni di Jara.
Per evitare di “contaminarla” e di rovinare la sua purezza e ingenuità, Catherine ha fatto in modo di allontanarla da se, anche per non perdere il lavoro ma sopratutto per non perdere la stima di Leopoldo, che la tratta a volte da figlia a volte come una donna dalla quale è attratto.
Subito dopo la confessione Catherine scappa in camera sua e dopo aver appeso un lenzuolo ad un lampadario, si impicca.
Ma è destino che questa volta le cose vadano per il verso giusto.
Allarmato da una frase che Catherine ha pronunciato, l’uomo corre in camera della donna e riesce a salvarla appena in tempo.
Dopo averla rianimata, la prende tra le braccia e cullandola la chiama figlia mia.
Diretto da Giovanni Grimaldi, poliedrico regista attivo sopratutto negli anni 50 e 60, La governante, uscito nelle sale nel 1974 è un film di buona fattura, al contrario di quanto sostenuto dal solito ineffabile Morandini che boccia il film come becero e triviale ed è tratto da un’omonima piece di Vitaliano Brancati.
Al contrario, la pellicola non presenta assolutamente ne linguaggio da caserma ne situazioni erotiche tali da far gridare allo scandalo.
Il film si distingue per una sua specifica eleganza e sobrietà e per la capacità di affrontare un tema così complesso come il rapporto tra la religione e la morale, attraverso il conflitto tra Leopoldo, uomo tradizionalista ed ancorato ad una visione della religione molto arcaica e la giovane Catherine, afflitta dai complessi di colpa e sicuramente disposta ben diversamente nei confronti della religione.
Se è vero che messo così il discorso sembrerebbe portare ad una visione di un film profondo e problematico, và detto che il tutto è affrontato in superficie, senza alcuna intenzione, da parte dello sceneggiatore, di impelagarsi in un’opera strutturalmente troppo complessa e che non poteva essere affrontata usando l’ironia e la leggerezza, cosa che invece nel film è predominante.
Tutto viene affrontato e discusso quasi si fosse di fronte ad una giornata normale nella vita della classica famiglia media italiana, nello specifico siciliana, quindi vista con i difetti che generalmente venivano attribuiti alla stessa.
Quindi tendenza al conservatorismo, ipocrisia e sopratutto i soliti stereotipi del figlio macho e ruspante che tenta di sedurre tutto ciò che è di sesso femminile, incluse le cameriere e la governante, con tanto di aggiunta dell’immancabile amante.
Tuttavia il regista fa la sua parte, imbastendo una storia con una sua credibilità, anche se manca quasi completamente uno spessore dei personaggi che giustifichi la parte drammatica che si materializza dopo la prima metà del film stesso.
Il discorso dei sensi di colpa di Catherine è appena abbozzato, così come sono privi di qualsiasi spessore i personaggi di Elena, la scioccherella figlia di Leopoldo e della stessa Catherine, che sembra oscillare tra la sua incerta sessualità e la mortificazione che le arriva da un senso di estraneamento da quella famiglia che invece segue regole molto rigide, anche se viste con una morale molto elastica.
La recitazione dei vari attori è però molto convincente, a partire da Turi Ferro, perfettamente a suo agio nel ruolo di Leopoldo per proseguire con una affascinante Agostina Belli, la giovane e ingenua cameriera che finirà per essere l’unica a pagare per giunta per una colpa nemmeno immaginata e tanto meno accaduta.
Bene Martine Brochard, anche se leggermente rigida e monocorde nel tratteggiare la figura ambigua di Catherine mentre appaiono decisamente di contorno i ruoli di Pino Caruso, peraltro impeccabile nell’interpretazione del galletto Enrico, di Paola Quattrini, splendida e brava nel ruolo della svampita Elena.
Chiude il cast Christa Linder, che ha una piccola parte, quella della nuova cameriera che sostituisce Jara.
Per concludere, lasciate da parte i balzani consigli di Morandini e C. e guardatevi questo film che vale sicuramente il tempo speso davanti al televisore.
La governante, un film di Gianni Grimaldi. Con Vittorio Caprioli, Paola Quattrini, Agostina Belli, Martine Brochard, Turi Ferro, Umberto Spadaro, Lorenzo Piani, Christa Linder, Pino Caruso
Commedia, durata 109 min. – Italia 1974.
Turi Ferro – Leopoldo Platania
Agostina Belli – Jana
Martine Brochard – Catherine
Paola Quattrini – Elena
Vittorio Caprioli – Alessandro Bonivaglia
Pino Caruso – Enrico Platania
Christa Linder – Francesca
Regia: Gianni Grimaldi
Sceneggiatura: Gianni Grimaldi
Soggetto: Vitaliano Brancati
Musiche: Piero Umiliani
Editing: Daniele Alabiso
Fotografia : Gastone Di Giovanni
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Interessante trasposizione cinematografica di un celebre dramma di Brancati, il quale ebbe problemi di censura. L’opera risente della struttura teatrale, ma Gianni Grimaldi (che stavolta vola in temi alti) tiene bene il bàndolo e conduce in porto una pellicola interessante, con interpreti bravi. Il finale del testo originale viene, ahimé, profondamente cambiato. Da rivedere.
Piuttosto fedele al testo di origine (ispirato da una pièces teatrale di Vitaliano Brancati) ha la particolarità d’esser più vicino (per effetto contrario) al film di Samperi di quanto non ci si aspetti. Più della presenza di Turi Ferro, quello che ne fa un Malizia-speculare è la diversità sessuale della protagonista: una governante lesbica (giovane e di nazionalià francese) destinata (poiché spregiudicata e decisa) a scatenare pulsioni “carnali” di vario tipo in ogni abitante della casa presso la quale viene ingaggiata. Il dramma si sovrappone, gradualmente, al sotteso (ma presente) erotismo…
Riuscita notevole di Grimaldi, anche di una certa aderenza al grande Brancati, salvo nel finale e pur concedendo qualcosa alla commediola. Merito anche di un cast quasi perfetto (il quasi riguarda la Belli, tanto carina ma inadatta alla parte), con menzione d’onore per il superbo Caprioli nei panni dello scrittore di successo (Brancati vi parodiò Moravia, che se ne ebbe un po’ a male). Da vedere: si astenga però chi, fuorviato dal titolo e da Turi Ferro, si aspetti un sotto-Malizia.
Adattando l’opera di Brancati, Grimaldi dosa attentamente commedia alla siciliana e dramma, mantenendo spesso – specie durante le discussioni tra i personaggi – una struttura tipicamente teatrale. Le scene considerate più scabrose (lesbismo e masturbazione) sono più accennate che mostrate. Molto validi gli interpreti: primeggiano Ferro, Caprioli e la Brochard, ma anche le loro spalle sono azzeccate.
Il film l’ho visto tardivamente e debbo dire che ero piuttosto prevenuto, poiché il genere sexy-familiare in genere ha risultati piuttosto soporiferi; invece il film ha del ritmo e si segue con un certo entusiasmo: merito dell’ottimo cast e delle bellezze imprescindibili delle “donzelle”, tra le quali spicca (a mio avviso) una poco sfruttata dal cinema quale è Paola Quattrini. Un film di vecchio stampo e terribilmente “settantiano” nelle ambientazioni, ma azzeccato.
Film interessante dalla trama non banale, che parte e si sviluppa come classica commedia con stereotipi vari, ben sceneggiati e benissimo recitati (il siciliano tradizionalista e patriarca, il figlo inetto, la nuora milanese “moderna” e insoddisfatta, la governante francese, l’ossessione per le corna) per poi prendere una piega morbosa e concludersi in modo drammatico e inaspettato. Esilarante Vittorio Caprioli che scimmiotta Moravia, ottimi tutti gli interpreti, a cominciare dall’insondabile Martine Brochard.
Prigione di donne
Ingresso alle celle di un carcere femminile.
Martine, una studentessa francese, guarda attonita la fila di celle che la circonda e rivive i momenti che hanno preceduto il suo arrivo e la sua detenzione nel carcere.
La giovane, una studentessa giunta a Roma per motivi di studio, gironzola con una sua amica tra le rovine della città eterna ed entra in una grotta dove ci sono dei giovani che stanno utilizzando droga.
L’arrivo della polizia fa si che uno di essi infili delle bustine di stupefacenti nella tasca del vestito di martine, che nel frattempo viene fermata, arrestata e tradotta in questura.
Martine Brochard interpreta Martine
Nonostante proclami la sua innocenza, la giovane viene portata in carcere, dove inizia la sua odissea.
Viene infatti sottoposta ad un’umiliante ispezione corporale e spedita in una cella in compagnia di detenute per vari reati.
Qui Martine fa conoscenza con Susanna, una prostituta che è anche la più violenta della cella, leader del gruppo di detenute, con Gianna che è una “mammana” ovvero una persona che pratica aborti clandestini, con Grazia, una detenuta politicizzata.
Le condizioni di vita delle detenute sono disumane; angariate dalle superiori e da suore che hanno poca pena sia delle anime sia dei corpi delle stesse detenute, le donne diventano molto più ciniche e disumane proprio in virtù del trattamento che subiscono.
Le stesse alla fine attuano una serie di vendette nei confronti delle secondine e delle superiori; adulterano il cibo, denudano una delle suore più giovani umiliandola e costringendola a girare completamente nuda e via dicendo.
Susanna promuove una rivolta per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita, ma la rivolta tessa finisce nel sangue; sarà Grazia a pagare quando, inseguita dai poliziotti che nel frattempo hanno sedato a manganellate la rivolta, deciderà di suicidarsi pur di non tornare in cella.
Martine, ancora una volta innocente in quanto ha tentato in tutti i modi di frenare la rivolta, viene inviata con Susanna, Gianna ed altre in un carcere di massima sicurezza, dal quale però uscirà quasi subito essendo stata riconosciuta la sua estraneità alla vicenda originale che l’ha portata in carcere, ovvero la detenzione della droga.
E’ una donnamolto più matura quella che lascia il penitenziario e sale su un traghetto, guardando con pietà il carcere nel quale ci sono ancora le sue compagne di sventura.
Prigione di donne è un WIP, women in prison, un genere cinematografico che ebbe un certo successo ambientato sempre all’inetrno di carceri e penitenziari femminili; si distingue dagli altri numerosi cloni per una certa sobrietà sia nello stile del racconto sia per la quasi totale assenza di una delle componenti che caratterizzarono molti film del filone, ovvero le immancabili sequenze saffiche tra detenute.
La componente erotica è limitata ad un paio di scene peraltro molto caste, come la sfida lanciata da Susanna che inscena una finta masturbazione a tutto vantaggio di una guardia di custodia e a qualche immancabile scena di docce comuni.
Il film ha anche l’ambizione di denunciare il trattamento subito dalle detenute nelle carceri, e quà fallisce un pò l’obiettivo per eccesso di zelo.
Brunello Rondi, regista molto controverso, autore di film smaccatamente erotici come I prosseneti e Velluto nero, ma anche di film di discreta fattura come Ingrid sulla strada, è troppo smanioso di conferire alla sua pellicola una patente di credibilità e mette troppa carne al fuoco.
Il film così assume a tratti caoticità mescolata ad una denuncia forte ma anche esagerata delle condizioni di vita delle detenute; le secondine, le suore, il personale del carcere, il commissario, l’avvocato finiscono per essere caratterizzati in senso negativo e ciò nuoce alla credibilità del film stesso.
La scena del sicidio di Grazia, con tanto di tv pronta a sciacallare sull’evento con una diretta in cui il cronista altro non aspetta che la morte della ragazza per fare audience è molto forzata, così come esagerata è la recitazione della pur brava (e bellissima) Marilu Tolo che interpreta Susanna.
L’oltraggio alla giovane suora, l’attrice Cristine Galbò
L’attrice romana dà un tono di isterismo al suo personaggio francamente irritante; molto più posata Martine Brochard che interpreta la svagata Martine, colpevole solo di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Le altre attrici, fra le quali segnalo Cristine Galbò che interpreta la giovane suora, Erna Schurer che interpreta l’equivoca Gianna e Katia Christine, che da corpo al personaggio tragico di Grazia fanno il loro dovere con professionalità.
La sequenza della morte di Grazia, l’attrice Katia Christine
Competano il cast Corrado Gaipa, il magistrato, Luciana Turina qui nelle vesti di una suora, Maria Pia Conte che interpreta l’amica di Martine che si guarda bene dall’intervenire al momento dell’arresto della stessa e Andrea Scotti, l’antipaticissimo poliziotto che interroga Martine facendo pistolotti abbastanza surreali sui francesi e sugli studenti che potrebbero stare a casa loro senza importunare la gente per bene.
Un film di buona fattura quindi, ben sceneggiato e ben diretto, con momenti abbastanza felici mescolati ad esagerazioni sceniche, che però non inficiano sulla buona riuscita del film, che in fondo è abbastanza interessante e coinvolgente.
Prigione di donne, un film di Brunello Rondi. Con Marilù Tolo, Martine Brochard, Erna Shurer, Andrea Scotti, Erna Schurer, Lorenzo Piani, Corrado Gaipa, Aliza Adar, Katia Christine, Luciana Turina, Christine Galbo
Drammatico, durata 90 min. – Italia 1974.
Martine Brochard Martine Fresienne
Marilù Tolo … Susanna
Erna Schürer … Gianna
Katia Christine … Grazia
Cristina Galbó … La giovane suora
Isabelle De Valvert … Isabelle
Aliza Adar … La detenuta di colore
Luciana Turina … Suora
Maria Cumani Quasimodo- Suor Ursula, la madre superiora
Maria Pia Conte … L’amica di Martine
Felicita Fanny … Una detenuta
Corrado Gaipa … Magistrato
Giovanna Mainardi… Secondina
Anna Melita … Una hippie
Lorenzo Piani … L’hippy tossico
Jill Pratt … La madre di Martine
Regia: Brunello Rondi
Sceneggiatura: Brunello Rondi, Leila Buongiorno, Aldo Semeraro
Prodotto da: Pino De Martino
Musiche: Alberto Verrecchia
Film Editing : Giulio Berruti
Costumi: Oscar Capponi
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Uno dei primi e più riusciti (causa professionalità del regista e degli interpreti) Women in Prison di stampo italiano. Incentrato sulle vicende della nuova introdotta all’interno d’un carcere femminile, che devo sopportare ogni tipo di vessazione, a cominciare dalle ispezioni intime (decisamente forti nella versione integrale). Il tema predominante (ovvero il sesso) è esplorato in maniera distorta, come già era accaduto in un altro dramma, sempre siglato da Rondi (Valeria Dentro e Fuori, 1972). Sicuramente un titolo di punta nel genere…
Nobile assunto, ma film indeciso (fra denuncia civile e concessione all’erotismo, fra recitazione composta – la Brochard – e quella eccesivamente sguaiata – la Tolo, eccetera). Calcare troppo sugli aspetti di denuncia (penso alla figura della Cumani Quasimodo), rischia di cadere nel grottesco, nel non credibile, e quindi nel non far arrivare a bersaglio la denuncia. Gineceo favoloso: oltre alle citate, la Schurer, la Christine (sì! La vittima designata) e la Galbó (sì! Gli orrori del Liceo).
Avvalendosi della consulenza alla sceneggiatura del criminologo Semerari, Rondi getta un’occhiata polemica contro il sistema carcerario e mediatico, ma nello stesso tempo cede ai richiami del wip puro – nudi, ispezioni corporali, secondine sadiche, docce, masturbazioni, lesbismo, rivolte – per il quale dispone di una nutrita manovalanza femminile, ben caratterizzata nel fisico e nell’animo: innocente e sensibile la Brochard, burina romantica la Tolo, ribelle la Christine, vezzosa la Schurer; al di là delle sbarre, una ieratica Cumani e una fragile Galbò. Acconce musiche di Verrecchia.
Women in prison di quelli teoricamente a mezza strada tra le nobili intenzioni e le concessioni al pubblico. In realtà il lato sociale è piuttosto debole, con le solite accuse al sistema che opprime le donne eccetera; ed anche a livello exploitation il film non mi ha convinto più di tanto. Certo si tratta di un film vitale, forse persino troppo con queste donne che non fanno altro che fare caciara appena possono; ma nel complesso l’ho trovato deludente
Film su donne in prigione che per la prima volta anzichè puntare unicamente su sesso e violenza dà spazio anche a una – ridicola – denuncia sociale. Certe scene sono talmente esagerate da far ridere, vedi quando Christine chiama e chiede di parlare col presidente della repubblica (sic!) o la rivolta fatta da donne spogliate a forza. Mediocre, considerando anche il livello delle altre pellicole italiane (e estere) su questo (per fortuna oggi tramontato) sottogenere.
Di forte impatto emotivo, ma non travolgente come altri film dello stesso regista, forse anche perché la protagonista sembra un pesce fuor d’acqua e la si apprezza più che altro per la sua caparbietà a difendersi e a credere in una giustizia. Vincono la Tolo, con le sue espressioni sprezzanti e sarcastiche, i visi truccati della Schurer e la meraviglia strabiliante della Christine… Sembra che Rondi l’abbia fatto apposta a far torturare la più bella…