La croce dalle sette pietre
Ecco uno dei film più brutti, peggio recitati, più sconclusionati,più imbarazzanti della storia del cinema italiano.
Un esordio con aggettivi dequalificanti, ma assolutamente necessari per inquadrare questa ignobile pellicola da definire zzz movie, quasi una tripla x destinata ad essere un vero e proprio marchio d’infamia.
La croce dalle sette pietre si qualifica già nel sottotitolo con cui venne distribuito, quel Il lupo mannaro contro la camorra che fa tanto racconto del babau al bimbo che non vuol dormire.
La storia è di una semplicità e bruttura disarmanti; Marco è nato da un rapporto sessuale tra sua madre e il diavolo, per cui reca con se un’antica maledizione, ovvero trasformarsi in un lupo mannaro quando ovviamente c’è la luna piena.
Per salvarsi da questa maledizione, Marco porta con se un medaglione a forma di croce, che lo protegge in qualche modo dalla maledizione stessa, ma al solito il medaglione gli viene rubato da alcuni delinquenti, ovviamente a Napoli (e dove se no?).
Per recuperarlo il tapino dovrà combattere nientemeno che contro la camorra, ma avrà fortuna anche perchè così troverà l’amore.
Di per se, raccontata in questo modo, la storia sembrerebbe ridicola ma niente più.
Ma chi non ha visto il film provi a immaginare sequenze dirette in maniera amatoriale, effetti scenici tra i più scarsi immaginabili, con la perla della trasformazione di Marco in Lupo mannaro, forse la sequenza più divertente dell’intera storia del cinema.
A tal proposito ho selezionato proprio i fotogrammi di questa sequenza per mostrare e additare al pubblico ludibrio Marco Antonio Andolfi, regista e attore del film.
Vi renderete conto dell’approssimazione con cui è stato girato il flm stesso, “impreziosito” da altre perle, come gli attacchi del lupo mannaro agli uomini che vogliono impedirgli di recuperare la famosa croce.
Nel marasma generale è coinvolta anche l’attrice francese Annie Belle, quasi incredula di aver accettato di partecipare ad una simile sciocchezza; l’attrice infatti dopo questa pellicola ne girerà solo un’altra, forse consapevole di aver imboccato il tunnel senza uscita dei film da cinema oratoriale.
Finanziato con soldi pubblici, La croce delle sette pietre dimostra come nel 1987 si sprecassero soldi altrimenti utilizzabili in operazioni finanziate senza controllo, che hanno contribuito poi a dilapidare un piccolo patrimonio che avrebbe potuto essere utilizzato per lanciare registi di ben altro calibro e spessore.
Credo che, senza tema di smentite, questo film possa essere annoverato tra quella particolare categoria dei film ultra trash meritevoli di essere visti almeno una volta per capire cosa bisogna evitare quando si gira un film.
Andrebbe proposto infatti al DAMS come testo, decalogo di comportamento per indicare tutto ciò che va evitato in un film.
La croce dalle sette pietre (Il lupo mannaro contro la camorra) , un film di Marco Antonio Andolfi, con Eddy Endolf, Annie Belle, Gordon Mitchell, Paolo Fiorino,Marco Antonio Andolfi Horror,Italia 1987
Marco Antonio Andolfi: Marco Sartori
Annie Belle: Maria
Gordon Mitchell: Black Mass Leader
George Ardisson: Boss
Zaira Zoccheddu: Madame Amnesia
Giulio Massimini: Ministro
Regia Marco Antonio Andolfi
Soggetto Marco Antonio Andolfi
Sceneggiatura Marco Antonio Andolfi
Fotografia Carlo Poletti
Musiche Paolo Rustichelli
Costumi Gilian
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Incredibile: “se non lo vedi, non ci credi”. Ha il primato di passanti che guardano in macchina. Andolfi è protagonista, regista, soggettista, sceneggiatore, montatore e cura gli effetti speciali. La presenza di Ardisson dà al tutto un tono ancor più surreale. Ultimo credito della Zoccheddu (in tenuta iper-troiesca): se ha smesso per il solo timore di poter essere coinvolta, all’epoca, in qualcosa di peggio, si è trattato di un’errata valutazione. Citazioni (volute?) da Il bacio della pantera e Stati di allucinazione.
Incredibile esempio di pressappochismo che riguarda ogni settore della macchina cinematografica: dalla regia (improvvisata e confusa) alla storia (horror, action e “camorra”, con dialoghi sui generis), passando per un trucco che fa apparire i recenti lavori autoprodotti a budget “zero” veri e propri kolossal. Eppure qualcosa da salvare c’è, e sta nella selezione di attori secondari che ricordano tempi migliori del cinema nostrano. Un buon esempio, insomma, al contrario: per imparare cosa si deve evitare di fare in un film…
Uno dei film più brutti e deliranti della storia del cinema, nonché uno dei più trash. Sotto questo punto di vista la pellicola non ha eguali e raggiunge il suo culmine quando il protagonista si trasforma in lupo mannaro. Notevoli sono anche le visioni orrorifiche di cui è preda durante il sonno. La sceneggiatura è un qualcosa di pietoso e grottesco allo stesso tempo, mentre gli attori (ma è giusto chiamarli così?) sono tra i più impresentabili e imbarazzanti di sempre. Insomma, un film che vi farà sbellicare dalle risate dal principio alla fine
Un vero e proprio culto trash che fu girato, ormai più di vent’anni fa, grazie a finanziamenti statali ma che non è praticamente possibile vedere se non scaricandolo da internet. Che dire: il film mantiene tutte le promesse annunciate dalla sua “fama”. Non c’è un solo aspetto da salvare: recitazione, regia, soggetto ed effetti speciali sono indegni di tali nomi, ma come spesso succede quando un prodotto è così mal riuscito riesce a diventare un vero e proprio feticcio per chi ama i film brutti. Invedibile ma anche imperdibile.
Cultone del genere trash. Certo nel cast si conta qualche caratterista (Annie Belle, Ardisson, Mitchell; ci sono pure Piero Vivaldi e Giulio Massimini), ma il resto è una pena assoluta. Recitazione inesistente (e la Zoccheddu dà il meglio di sè), effetti speciali al limite del ridicolo, soprattutto il make-up di Eddy Andolf. Sequenza di torture con mostro oscene! Non vi sono parole per descrivere questa pellicola: vederla è un’esperienza unica.
Notevole trashone italico. La storia è altamente demenziale e il protagonista Andolfi, i dialoghi, gli effetti speciali (incredibile il make up del lupo mannaro) e le scene di sesso sono quanto di più ridicolo si sia mai visto in un horror. Curioso il cast di contorno (Annie Belle, Gordon Mitchell, Giorgio Ardisson) che però in questo caso mette solo tristezza. All’estero gira una versione insertata, a quanto sembra ancora più assurda. Comunque sia, è un film da non perdere.
Oddio! Avete presente il “giornalino di classe” fatto dai bambini alle elementari senza l’intervento della maestra? Ecco, questo film rappresenta a livello tecnico il giornalino di classe del cinema. Un ragazzo ha una maledizione: si trasforma in uomo lupo, ma può evitarla grazie a un particolare medaglione, che però gli viene rubato… dalla camorra!!! Attori lerci, regia, sceneggiatura e effetti speciali fatti in cucina… Un mito del cinema brutto.
Impossible pensare che non sia stato fatto volontariamente così brutto. A confronto Bruno Mattei è David Lynch. Resta il fatto che è un film imperdibile non solo per gli amanti del trash, ma per tutti quelli che, stanchi della comicità becera e caciarona che non fa ridere nessuno, decidano di tuffarsi in questo delirante scherzo della macchina da presa. All’estero gira una director’s cut…
Incredibile: il lupo mannaro vs camorra! È proprio vero: tra un horror e una sceneggiata napoletana. Dirige grazie al finanziamento statale “Eddy Andolf” che è pure protagonista (oltre a tutto il resto) ed è di una inespressività disturbante. E che dire del mitico Gordon Mitchell in quello che forse è il ruolo più inutile della sua filmografia? Incredibile, un tuffo nel folklore napoletano a bordo di una vecchia macchina color cachi tra frasi d’amore, trasformazioni indecenti ed erotismo di serie Z. Di tutto e di più: fino al volto di S. Pietro.
Confesso che adoro i trash italiani. Da Il sesso della strega a Patrick vive ancora passando per Zombi horror e via di seguito. Ma qui siamo in una dimensione diversa, imparagonabile al cinema di serie Z del quale questo film riesce a cogliere pochissimi aspetti caratteristici (qualcosa nei flashback sessuali, per esempio). Il resto della follia risulta anche noioso, senza ovviamente entrare nel merito di un qualsiasi aspetto tecnico o estetico. Inoltre se, come si dice, il film si è giovato pure dei finanziamenti di stato, subentra in più la disapprovazione morale!
Un trashone abominevole che non ha pietà per nulla! La recitazione è agghiacciante, per non parlare del make-up del lupo mannaro. Il dialetto napoletano non aiuta certo nella comprensione del film, che vanta una sceneggiatura colabrodo, non avendo né capo né coda. Uno di quei film orrendi dei quali, una volta iniziata la visione, non si può fare a meno di andare fino in fondo, come quando si vede un gatto schiacciato per la strada e, sebbene sia disturbante, non si riesce a non guardarlo…
Si dice che non c’è limite al peggio, ma in questo caso c’è: davvero difficile pensare che si possa fare un film peggiore di questo. Il protagonista in versione licantropo è qualcosa di imperdibile: completamente nudo tranne una (brutta) maschera sul volto, si muove del tutto ebete emettendo assurdi squittii da topo. La colonna sonora è inesistente, composta solo da patetici effetti sonori probabilmente ottenuti da qualche giocattolo per bambini. Talmente brutto da essere diventato un cult.
Uno dei peggiori horror dello Stivale, di certo il più trash d’Europa. Frasi come “ma ‘sta troia fotte int’al telefono?” o scene come gli scleri del licantropo sono difficili da scordare. Personaggi come Mitchell-sacerdote, Ardisson all’americana e Andolfi restano negli annali. Le voci del doppiaggio fanno venire i crampi allo stomaco per le risate e le espressioni ebeti di Eddy non lascian dubbi: si può parlare di cult movie. Ma almeno ci si diverte parecchio, altro che boiate tipo I fantasmi di sodoma, in cui nemmeno c’è comicità involontaria!
Non prendiamoci in giro: un novellino con una telecamera digitale e due soldi farebbe quasi certamente una cosa migliore di questa roba che nemmeno chiamo film. Andolfi prende letteralmente in mano la situazione e si inventa factotum di questo disastro su pellicola che vanta (vanta?) attori che non recitano e lo fanno pure male, musiche da mal di testa, una storia ai limiti del demenziale ed effetti che chiamarli casalinghi è un eufemismo. Almeno però si ride parecchio.
Il peggior film di tutti i tempi, lo zero cinematografico, non può non essere commentato. Rispetto ovviamente Andolfi come persona, ma questo suo lavoro, favorito anche da aiuti statali, è quanto di più anticinematografico mai apparso sul pianeta Terra. Recitazione, regia, sfx, tutto da dimenticare. Ne esiste anche una seconda versione, con scene in più, chiamata El talisman e pure un seguito. Da notare la presenza di Gordon Mitchell, che c’era pure nel capolavoro Fellini Satyricon… Dalle stelle alle stalle… Un must… del trash.
Mettete assieme attori che più incapaci non si può, effetti speciali dall’incontenibile effetto trash ed elaborate una storia sfrontatamente assurda. Il risultato di questa alchimia sarà una pellicola delle più brutte mai realizzate e proprio per questo imperdibile. Davvero, non c’è nulla che si salva. Consiglio questo film a tutti coloro che hanno bisogno di farsi una risata malsana e isterica.
Sicuramente il film italiano più trash di tutti i tempi. La cosa che sorprende è che questo film fu finanziato dallo Stato, cosa a dir poco utopica al giorno d’oggi! Inutile rimarcare la pochezza del titolo (sia dei mezzi, sia della progressione narrativa). In ogni caso questo “Lupo mannaro contro la camorra” è fonte di fragorose risate, anche dopo più visioni.
Forse è secondo solo a Delirio di sangue di Bergonzelli. È tutto perfettamente poveristico: attori, dialoghi, ambientazioni… e per ultimo, ma non in ordine di importanza, Marco Antonio Andolfi nella parte di se stesso medesimo, una sorta di Pietro Germi dei giorni nostri. Grandioso. Gordon Mitchell si conferma l’attore con la carriera più sconvolgentemente in discesa della storia dell’umanità. Da recuperare senza esitazione.
Mogliamante
Luigi ed Antonia sono una coppia sposata da qualche tempo.
Lui è uno stimato commerciante di vini, lei è una donna ricca, che però vive confinata in una camera da letto afflitta da una paralisi che è soltanto provocata da problemi psicologici.
I due vivono una relazione complicata; lui accusa la donna di essere frigida, lei gli rimprovera di lasciarla sempre sola.
Luigi in realtà ha una doppia vita; oltre ad essere un commerciante di vini, quindi sempre in giro per lavoro, è anche uno scrittore dagli ideali anarchici. Si cela dietro lo pseudonimo di Ulisse, con il quale pubblica saggi clandestini. Oltre a questo, tradisce a tutto spiano la moglie, per rifarsi di quella mancanza di affetto e di vita coniugale che non trova più con Antonia.
Una sera Luigi si trova ad assistere ad un omicidio, senza vedere chi l’abbia compiuto; avvicinatosi al cadavere dell’uomo viene visto da una ragazzina.
Certo di essere incolpato dell’omicidio, Liigi scappa con il suo calesse, che abbandona poco lontano da casa e si rifugia da suo cugino ( e vecchio amico) Vincenzo, che ha una merceria proprio di fronte casa sua.
Qui Luigi, che è ferito, si nasconde ma ha anche la possibilità di vedere quel che accade in casa sua.
Antonia, che ha visto ritornare il calesse senza il marito, decide di prendere in mano le redini dell’attività dell’uomo, e parte per visitare i suoi clienti.
Poco alla volta scoprirà che in fondo ha sposato un perfetto sconosciuto; il marito aveva in pratica una doppia vita, perchè manteneva una stanza in una locanda nella quale si rifugiava per scrivere, aveva una stanza anche al circolo cittadino, nella quale si incontrava con una sua amante, la dottoressa Paola e a volte anche con la segretaria, Clara, una ragazza in procinto di sposarsi e che vive con loro.
Non solo.
Luigi ha avuto anche un rapporto a tre con Clara e Paola.
Per Antonia è troppo.
Decide quindi di vendicarsi del marito, allacciando dapprima una relazione con un carabiniere, poi, insoddisfatta, con un medico idealista ingiustamente accusato di essere omosessuale e infine andando a letto sia con Paola che con il conte Brandini, allacciando così un triangolo proprio come aveva fatto suo marito.
Luigi, dalla sua stanza sulla merceria, assiste alla metamorfosi della moglie, impotente.
La vede tradirlo con il medico, trasformarsi in una donna completamente diversa da quella che lui ha conosciuto.
Un giorno Antonia capisce che il marito è vivo e si nasconde di fronte casa sua; incontra infatti Vincenzo, che non fuma, in una tabaccheria mentre fa scorta delle sigarette che fuma suo marito.
Marcello Mastroianni
Così, accompagnandolo a casa, vede socchiudersi le finestre di fronte e capisce che il marito è vivo.
La scoperta della vera identità dell’assassino, Enrico, adesso marito di Clara, pone fine alla necessità da parte di Luigi di nascondersi.
L’uomo torna a casa, dove Antonia lo attende, ancora innamorata di lui.
La coppia può riprendere a vivere insieme, ma su basi completamente diverse.
A quattro anni di distanza dal lusinghiero successo di Paolo il caldo, Marco Vicario, dopo l’esperienza non propriamente felice del film L’erotomane, torna sul set con un film ambientato ancora agli inizi degli anni venti, ancora una volta con un soggetto riguardante la middle class.
Questa volta non c’è un soggetto letterario a vincolare il regista, che scrive una sceneggiatura a due mani con Rodolfo Sonego; il risultato è più che accettabile, perchè la trama è intrigante e ben costruita.
Il cast è di ottimo livello, costruito attorno alla coppia Mastroianni-Laura Antonelli, con attori come Elsa Vazzoler, Gastone Moschin, Olga Karlatos, Annie Belle, William Berger,Hélène Chanel a fare da contorno.
Inaspettatamente, Mastroianni sembra un tantino in difficoltà con un personaggio tutto sommato non complesso, mentre la Antonelli, al culmine della sua bellezza, per una volta non si spoglia per nulla e recita più che dignitosamente.
Molto bene le altre due protagoniste femminili, ovvero Annie Belle, amante di Luigi e poi giovane vedova e Olga Karlatos, intensa nel ruolo della dottoressa Paola; Gastone Moschin è la solita sicurezza.
Il film ha qualche punto debole sul piano del ritmo e nell’eccesso di primi piani, quasi tutti riservati a Laura Antonelli e al suo personaggio che all’inizio appare davvero ambiguo.
Bella la fotografia, curata da Ennio Guarnieri, le musiche sono di Armando Trovaioli
Mogliamante, un film di Marco Vicario. Con William Berger, Marcello Mastroianni, Olga Karlatos, Laura Antonelli, Leonard Mann, Stefano Patrizi, Attilio Dottesio, Gastone Moschin, Elsa Vazzoler, Enzo Robutti, Luigi Diberti, Armando Brancia, Annie Belle
Drammatico, durata 107 min. – Italia 1977.
William Berger, Laura Antonelli e Olga Karkatos
Laura Antonelli – Antonia De Angelis
Marcello Mastroianni – Luigi De Angelis
Leonard Mann – Dr. Dario Favella
William Berger – Conte Brandini
Gastone Moschin – Vincenzo
Olga Karlatos – Dr. Paola Pagano
Stefano Patrizi – Enrico, fidanzato di Clara
Enzo Robutti – Il prete
Daniele Gabbai – IL carabiniere
Hélène Chanel – La locandiera
Paul Muller – Hotel concierge
Elsa Vazzoler – Teresa la cameriera
Annie Belle – Clara
Regia: Marco Vicario
Sceneggiatura: Marco Vicario, Rodolfo Sonego
Produzione: Franco Cristaldi, Alberto Pugliese
Musiche: Armando Trovajoli
Editing: Nino Baragli
Costumi:Luca Sabatelli
L’alcova
Elio de Silveris, ufficiale dell’esercito italiano, ritorna nella sua villa in un luogo imprecisato.
Ad attenderlo c’è sua moglie, Alessandra, che nel frattempo. vista la lontananza del marito, si è consolata con la sua segretaria e factotum Wilma.
L’arrivo di Elio ridesta i sensi sopiti di Alessandra, che inevitabilmente trascura Wilma, che altrettanto inevitabilmente soffre lo stato delle cose.
Ma ad aggravare la situazione, ecco un colpo di scena; l’ufficiale reca con se una splendida donna abissina, Zerbal, che presenta come una sua preda di guerra.
La donna è vista da subito come fumo negli occhi sopratutto dalla legittima consorte, che però ben presto scopre di essere attratta dalla nuova arrivata.
Annie Belle (Wilma) e Lilli Carati (Alessandra)
Laura Gemser
Così tra le due nasce una intensa relazione saffica, ben vista dal marito, mentre Wilma, ormai messa completamente da parte, ripiega su un giovane ufficiale.
L’atmosfera nella villa diventa sempre più viziosa; ai giochi lesbici delle due donne, si aggiunge Elio, che proietta filmini porno, eccitando ancor di più i sensi delle protagoniste.
Ma l’eccesso di erotismo gioca uno scherzo fatale.
Alessandra e Zerbal, ormai indissolubilmente legate, per gioco legano Wilma ad un letto, facendola violentare dal guardiano della villa.
La cosa sconvolge la ragazza, che confessa tutto al giovane ufficiale.
Così, una sera, mentre Elio, Alessandra e Zerbal sono seduti a tavola in giardino, fra torce che illuminano la villa, Wilma e il suo compagno arrivano non attesi.
Zerbal si avvicina alla ragazza, ma il giovane ufficiale lancia in segno spregiativo un oggetto verso lei; cadendo, l’oggetto rovescia una candela, che appicca il fuoco al sottile vestito di Zerbal.
Un attimo e la donna è preda delle fiamme.
Morirà bruciata viva, senza che i presenti possano ( o vogliano) fare qualcosa per salvarla.
Film scopertamente erotico di Joe D’Amato, diretto nel 1984, L’alcova tuttavia si discosta dai film a luce rossa che imperversavano in quel periodo, pur se le tematiche e molte scene del film sono ai limiti labili del confine con il cinema hard.
Il film ha una sua sceneggiatura, sorprendentemente ben fatta, e si avvale anche di una splendida fotografia, che immerge il film in un’atmosfera quasi d’annunziana, come del resto recita il titolo del film.
L’aria che si respira è morbosa, decadente; i personaggi agiscono per istinto, un istinto animalesco, che li porta ben oltre la morale comune.
I rapporti lesbici si sprecano, e sono la costante del film.
Ma la storia è ben diretta, ha una sua logica, pur nei limiti di un’operazione di marketing cinematografico.
Non a caso come protagoniste del film D’Amato sceglie due star del cinema erotico, Laura Gemser e Lilli Carati, affiancati da una sfiorita Annie Belle.
Delle tre la più conturbante è proprio l’attrice orientale, che in qualche modo tiene a galla il suo personaggio, rivestendolo di un’aura di esotismo e mistero.
Lilli Carati appare spaesata, forse perchè già da tempo alle prese con i suoi gravi problemi di dipendenza dalla droga.
Appare appesantita, stralunata, pur mantenendo uno standard recitativo sufficiente.
Annie Belle appare ancor più estranea; sfiorita, appesantita, con i capelli castani, appare quasi irriconoscibile, dall’efebica ragazza che a metà anni settanta aveva interpretato film come La fine dell’innocenza.
Al Cliver fa la sua parte, dignitosamente.
Alla fine, paradossalmente, proprio i difetti decritti fanno si che il prodotto risultante sia accettabile.
Gli attori ci mettono buona volontà, assecondando un D’Amato che sembra aver ritrovato l’antica mano, l’abilità nel creare storie torbide condendole con un pizzico d’erotismo (forse molto più di un pizzico), creando atmosfere lussuriose, malsane e intriganti, in cui il sesso, le sue derivanti sono la struttura stessa del racconto.
Del resto reggere un film con otto attori non è da tutti.
D’Amato ci riesce.
Qualche nota sulle attrici; per Annie Belle questo è uno degli ultimi film interpretati.
Dopo questo, arriverà La venexiana, in cui ha una breve parte e il terrificante La croce dalle sette pietre, uno dei film più scombinati mai girati in Italia; anche Lilli carati è ormai al tramonto, visto che dopo L’alcova girerà Voglia di guardare e Lussuria, prima di prendere la strada senza ritorno del film hard.
Laura Gemser invece continuerà la sua onesta carriera, grazie anche alla sua bellezza sottile, che manterrà presso chè intatta.
L’alcova, un film di Joe D’Amato. Con Al Cliver, Lilli Carati, Annie Belle, Nello Pazzafini, Laura Gemser Commedia, durata 86 min. – Italia
La notte dell’alta marea
Richard Butler è un maturo e affascinante direttore di un’agenzia pubblicitaria; don Giovanni impenitente, vive separato da sua moglie.
Un giorno casualmente incontra l’androgina Diana, enigmatica ragazza alla ricerca di un lavoro.
Richard, colpito dalla personalità magnetica della ragazza, le offre un lavoro, e contemporaneamente cerca di sedurla.
Ha inizio così un gioco delle parti, in cui il cacciatore, Richard, vede la sua preda sfuggirgli con ogni sotterfugio.
La ragazza inizia a fare il classico gioco del gatto con il topo, così Richard ormai preso nella trappola, si scopre attratto in maniera fatale dalla donna.
A sistemare il tutto arriverà una salutare trasferta in un’isola, dove i due separeranno le loro vite per sempre; Richard avrà alla fine una notte d’amore con la bella Diana, mentre la stessa convolerà a giuste nozze con un giovane.
Luigi Scattini elabora un romanzo di Todisco, Il corpo, e lo trasforma in un film, La Notte dell’Alta Marea, che purtroppo ha pochi pregi e tanti difetti.
Il principale è la scelta dei protagonisti, Anthony Steel e Annie Belle; come racconta il regista nel suo blog, luigiscattini.wordpress.com, i protagonisti principali dovevano essere Marcello Mastroianni e Dalila Di Lazzaro.
Venuti a mancare loro, per una serie di problemi, Scattini dovette accontentarsi di Steel e Annie Belle, con conseguenze irreparabili.
Se Steel appiattisce il personaggio di Richard attraverso una recitazione monocorde e a tratti irritante, la Belle fa di peggio, rendendo il personaggio di Diana gelido come un ghiacciolo consumato al Polo Nord.
Così, venuti a mancare i presupposti principali, ovvero la capacità degli attori di trasmettere un minimo di emozione, il film scorre senza alcun sussulto fino alla fine, appiattendosi in maniera totale.
Annie Belle
E a nulla valgono i tentativi del bravo Scattini di recuperare le cose attraverso la sua indubbia abilità nel presentare i paesaggi, che dovrebbero fare da contorno ad una storia di per se già vita e francamente poco attraente.
Così i paesaggi magici della Martinica, quelli splendidi del Canada, finiscono per essere l’unica attrattiva del film; a parte la colonna sonora di Timmy Thomas, autore della hit Why can’t we live together, scritturato per armonizzare il film e dargli un sottofondo esotico, non si riesce a trovare altro pregio nel film.
Pam Grier
Che, ripeto, naufraga per colpe non imputabili al regista, che fa del suo meglio; ma Steel è davvero impresentabile e la Belle, che non ha mai avuto nella recitazione il suo punto di forza, riesce ad essere attraente solo quando si spoglia.
Bene invece Pam Grier, all’epoca poco conosciuta e bene anche Giacomo Rossi Stuart, sempre professionale e inappuntabile.
Per questa storia ci sarebbe stato bisogno di un’attrice con una personalità magnetica, capace di sedurre e attrarre lo spettatore; viceversa la platinata attrice francese appare talmente monocorde da indurre la sonnolenza piuttosto che un risveglio dei sensi.
Scattini, che veniva dal controverso Blue nude e dal grande successo dei due film con la splendida Zeudi Araya, Il corpo e La ragazza dalla pelle di luna, chiude così in maniera anonima una carriera sicuramente dignitosa, in cui aveva messo in mostra qualità di rilievo.
La stessa Annie Belle si riciclerà in seguito nel cinema regionale, anche se non mancherà di apparire in alcune buone produzioni; Anthony Steel viceversa troverà un filone fertile nella tv, per la quale girerà delle fiction, fino alla sua morte avvenuta nel 2001 a Londra.
In definitiva un’occasione sprecata, visto che il tema trattato, affidato ad un cast di ben altro tipo, avrebbe ottenuto il risultato di attirare lo spettatore su una storia deja vu, certo, ma non priva di fascino.
La notte dell’alta marea, un film di Luigi Scattini. Con Anthony Steel, Annie Belle, Pam Grier, Hugo Pratt, Giacomo Rossi Stuart, Gerardo Amato
Drammatico, durata 90 min. – Italia, Canada 1977.
Anthony Steel … Richard Butler
Annie Belle … Diana
Hugo Pratt … Pierre
Pam Grier … Sandra
Giacomo Rossi-Stuart … Guida
Alain Montpetit … Fotografo
Gerardo Amato … Philip
Annie Belle
Annie Brilland, in arte Annie Belle, è un’attrice francese che ha conosciuto in Italia un discreto successo, anche se limitatamente a film considerati b movies, appartenenti in larga parte al genere erotico, con qualche doverosa eccezione come Il mondo nuovo di Scola.
Nata a Parigi il 10 dicembre del 1956, ha esordito nel mondo del cinema a 18 anni, nel 1974 con il film Bacchanales sexuelles del regista francese Jean Rollin, con il quale lavorerà ancora in seguito.
Annie Belle in Baccanales sexuelles
Il film, un erotico molto spinto, ampliato poi dalla distribuzione con scene hard, ottiene un discreto successo,che le vale la scrittura nello stesso anno per il film Le rallye des joyeuses di Alain Nauroy, pellicola assolutamente dimenticata anche per il cast di illustri sconosciuti che presentava. In entrambi i film citati Annie utilizza il suo cognome da ragazza, Brilland, cosa che farà anche nel film successivo, datato 1975 nuovamente diretto da Rollin. Si tratta del famoso Levres de sang, o anche Lips of blood, nel quale Annie Briand (come si fa chiamare questa volta) è Jennifer, una donna coinvolta in una storia sanguinosa di vampiri.
Nel film Levres de sang, o anche Lips of blood di Rollin
L’anno successivo ecco Annie utilizzare il suo pseudonimo definitivo, Belle; lo fa con il film Laure, diretto dalla scrittrice francese Emanuelle Arsan, che aveva creato l’eroina del cinema e della letteratura erotica Emmanuelle. La sua è la parte principale, quella di Laure, una splendida ragazza che vive nelle Filippine, e che farà una straordinaria esperienza proprio nella giungla. Ormai abbastanza nota nel circolo degli amanti del cinema erotico, Annie Belle ottiene la scrittura per La fine dell’innocenza, diretto da Massimo Dallamano.
Annie Belle in La fine dell’innocenza…..
… e in Laure, di Emmanuelle Arsan
La sua interpretazione del personaggio omonimo, che nel film si chiama Annie Belle, diviene famosa anche per le numerose scene di nudo dell’attrice, che con il suo look dai capelli biondo cenere, seduce e ammalia. Grazie anche al successo della colonna sonora del film, anche questa chiamata Annie Belle, la giovane attrice, adesso ventunenne, ottiene nuove scritture.
Lavora in Velluto nero, di Brunello Rondi, al fianco della star Laura Gemser e con Susan Scott, che per una volta si ritrova ad essere madre in maniera improponibile proprio di Pina, il personaggio interpretato da Annie Belle nel film. Subito dopo eccola sul set di Un giorno alla fine di ottobre, al fianco del suo boy friend di allora, l’attore Al Cliver. Il film non ottiene alcun successo, ma la Belle imperturbabile inanella un altro film erotico nel suo curriculum. Si tratta di Climax, diretto da Francisco Lara Polop, con al fianco un cast di illustri sconosciuti.
Con Susan Scott nel film Velluto nero
Una buona opportunità le viene data da Luigi Scattini, che la scrittura per La notte dell’alta marea, che riduce per lo schermo il romanzo “Il Corpo” di Alfredo Todisco e le affida il ruolo di Diana, una giovane modella ambiziosa che farà innamorare di se un maturo direttore di un’agenzia pubblicitaria.
La recitazione di Annie Belle è decisamente monocorde, ma la sua bellezza intrigante e il suo fascino ambiguo le permettono ancora altri lavori; è Clara nel film Moglieamante di Marco Vicario, dove finalmente lavora in un prodotto di livello accanto ad attori che possono definirsi tali, come Mastroianni, William Berger,Laura Antonelli e Gastone Moschin.
Annie Belle in La notte dell’alta marea
Poi è costretta ad uno stop di due anni; i film in cui ha recitato la Belle erano generalmente softcore o comunque blandamente erotici, mentre il cinema di genere di fine anni settanta sta lentamente e progressivamente scivolando verso l’hard.
Nel 1979 è sul set di Switch, una commedia di basso profilo diretta da Giuseppe Colizzi,mentre nel 1980 lavora nella commedia sexy La compagna di viaggio, di Ferdinando Baldi; un film che mette insieme un cast di attrici ormai al tramonto, come Marisa Mell, di giovani emergenti e future star dell’hard come Moana Pozzi e Marina Hedman, attrici emergenti della commedia sexy come Annamaria Rizzoli e sopratutto Serena Grandi.
Nel torrido L’alcova, di Joe D’Amato
Nel 1980 eccola in Molto di più, di Mario Lenzi, dove ritrova l’ex compagno di vita Al Cliver; anche questo è un film poco fortunato, mentre di ben altro successo è il seguente La casa sperduta nel parco, di Deodato, un thriller ben fatto che vede proprio l’attrice francese tra le protagoniste; lei è Lisa, una delle ragazze costrette ad una notte da incubo in una villa, segregate da due maniaci omicidi.
Il film successivo, Rosso sangue, di Joe D’Amato, è uno slasher famoso tra i “cultisti” del genere; lei è la protagonista, Emily, alle prese con un mostro sanguinario; poi arrivano due produzioni francesi, la prima Nana tratta da un romanzo di Emile Zola, nel quale l’attrice è Rennée de Chéselles, poi il citato Il mondo nuovo, di Scola, nel quale è una prostituta.
Nel 1982 l’attrice francese lavora in Fuga dall’archipelago maledetto di Antonio Margheriti, mediocre film conosciuto anche come Tiger Joe, in cui lei è l’unica attore di rilievo, in seguito in una piccola parte in
Liar’s moon di David Fisher, con la futura star Matt Dillon.
Nel 1982 Ciro Ippolito, che ha inaugurato la fortunata serie dei film girati a Napoli, eredi delle sceneggiate e con un folto pubblico di seguaci fedelissimi la scrittura per Pronto Lucia, un film a metà strada proprio tra la sceneggiata e il musicarello anni 60; la trama di questi film è spesso molto labile, e ruotano attorno al protagonista maschile, spesso un cantante con una vasta eco principalmente in Campania.
Con Laura Antonelli in Mogliamante
In questo caso il protagonista è il cantante Carmelo Zappulla, in auge proprio agli inizi degli anni ottanta,come del resto lo saranno altri due fortunati protagonisti di questo filone secondario del cinema made in Italy, ovvero Nino D’Angelo e Mario Merola.
Il discreto successo ottenuto porta Ippolito a replicare il film l’anno successivo; questa volta il titolo è Zampognaro innamorato, accanto ad Annie c’è nuovamente Carmelo Zappulla, oltre a Angela Luce; accanto a Nino D’Angelo invece gira L’ammiratrice, per la regia di Romano Scandariato e con Nini Grassia O’ surdato ‘nnammurato, accanto alla star meteora Franco Cipriani.
Buono il successo riportato da Al bar dello sport, una commedia gradevole interpretata da Annie al fianco di Lino Banfi, che nel film è uno sfigato che ha un colpo di fortuna, imbrocca una schedina miliardaria.
La Belle compare anche in qualche fiction tv, di relativo successo, come “Storia d’amore e d’amicizia” (1982), “Il passo falso (1983”), “Quei 36 gradini” (1984) TV mini-series,”Quo Vadis?” (1985), ma subito dopo aver partecipato al rovente L’alcova, di Joe D’Amato, in cui compaiono al suo fianco Laura Gemser e Lilli Carati, l’attrice va incontro ad un rapido declino cinematografico, confermato dal pessimo Uccelli d’Italia, di Ciro Ippolito, dall’inconsistente La venexiana, una pruderia di Bolognini, che si segnala solo per aver portato sullo schermo una Laura Antonelli in disarmo e un pessimo figlio d’arte come Jason Connery.
La stellina Belle si eclissa, dopo aver partecipato al terrificante La croce dalle sette pietre,di Marco Antonio Andolfi, conosciuto anche come Il lupo mannaro contro la camorra, uno dei film più ridicoli della storia del cinema italiano, girato con attori pressochè improvvisati e con effetti speciali degni di un film amatoriale.
L’ultimo film che vede impegnata Annie Belle è Fuga dalla morte, di Enzo Milioni, nel cui cast compaiono anche Pamela Prati, destinata ad una discreta carriera televisiva, Jessica Moore e Zora Kerova, un’altra attrice con un passato cinematografico altalenante tra b movie e film di cassetta.
Da quel momento la Belle sparisce del tutto dai set televisivi e di lei si perdono le tracce.
Attrice che ha basato larga parte della sua carriera sulle doti fisiche, peraltro non accentuate, tenendo conto che aveva un fisico esile e aggraziato, Annie Belle è ormai un’attrice di culto solo per gli appassionati di cinema anni settanta, che la ricordano biondo platino in La fine dell’innocenza, con i capelli scuri in Levres de sang, sempre pronta a spogliarsi per esigenze di copione, starlette di quel particolare genere cinematografico ornato di erotismo soft che fece le sue fortune proprio ai margini del cinema di serie A.
Una trentina di film non di certo memorabili, che però le hanno permesso quanto meno di avere, ancora oggi, una serie di fan che l’adorano ancora, come testimoniato da alcuni blog che ne ricordano il passato cinematografico.
Il mondo nuovo
Fuga dall’arcipelago maledetto
Molto di più
Uccelli d’Italia
O’surdato ‘nnammurato
Mogliamante
L’ammiratrice
La croce dalle sette pietre
Zampognaro innamorato
Climax
La venexiana
Un giorno alla fine di ottobre
I piloti del sesso
Fuga dalla morte (1989)
La croce dalle sette pietre (1987)
La venexiana (1986)
L’alcova (1984)
Uccelli d’Italia (1984)
O’ surdato ‘nnammurato (1983)
Al bar dello sport (1983)
L’ammiratrice (1983)
Zampognaro innamorato (1983)
Pronto… Lucia (1982)
Liar’s Moon (1982)
Fuga dall’archipelago maledetto (1982)
Il mondo nuovo (1982)
Nana (1982)
Rosso sangue (1981)
La casa sperduta nel parco (1980)
Molto di più (1980)
La compagna di viaggio (1980)
Switch (1979)
Mogliamante (1977)
La notte dell’alta marea (1977)
Climax (1977)
Un giorno alla fine di ottobre (1977)
Velluto nero (1976)
La fine dell’innocenza (1976)
Laure (1976)
Lèvres de sang (1975)
Le rallye des joyeuses collégiennes (1974)
Bacchanales sexuelles (1974)
La Venexiana
Ennesimo film con ambientazione veneziana, come del resto recita il titolo, preso alla lettera da un romanzo scritto in dialetto veneziano nel 1500, non ancora attribuito con certezza. Un romanzo allegro, ridanciano e divertito, scopertamente erotico sia come tematica sia come situazioni. Jules, gentiluomo straniero, approda nella città lagunare durante la locale festa del Ringraziamento; qui conosce Bernardo, gondoliere, che scarrozza l’affascinante ospite attraverso una Venezia che appare da dubito sotto una luce libertina. Il gondoliere, oltre ad illustrare le meraviglie di Venezia, decanta la bellezza delle donne locali, prospettando al giovane la possibilità di avere molte avventure galanti.
Il giovane viene immediatamente notato da due donne; la prima, Angela, è una vedova, ancora piacente e affascinante, mentre l’altra, Valeria, è una donna dai robusti appetiti sessuali, essendo giovane e maritata ad un uomo che è sempre assente per lavoro. La furba Valeria sguinzaglia la sua cameriera personale Oria sulle tracce del giovane, riuscendo a carpire al giovane la promessa di u incontro notturno con la sua padrona. Così, la sera, Jules accompagnato da Bernardo conosce Angela, e bruciato da cocente passione la ama per tutta la notte, mentre il buon Bernardo si consola tra le braccia di una corpulenta fantesca.
Monica Guerritore
Il tour de force di Jules continua, perchè Valeria, incapricciata del giovane, non demorde, riesce a convocarlo a casa sua, dopo essere andata personalmente di notte in giro per le calli veneziane vestita da cavaliere a cercarlo. Così il fortunato Jules si gode anche le grazie della bella Valeria; il tutto però arriva alla fine con il rientro in città del marito della donna, così Jules, appagato e soddisfatto, probabilmente anche un tantino sollevato, può ripartire dalla città lagunare.
Jason Connery e Laura Antonelli
Del romanzo libertino e ridanciano dell’anonimo veneziano resta poco; l’atmosfera di peccato, di erotismo diffuso rimane, nelle intenzioni del regista Bolognini, tutto nelle intenzioni, e si trasforma quasi in un dramma, quindi lontano anni luce dall’atmosfera pagana e divertita del romanzo stesso. Il regista, pur usando la sua patinata fotografia, la sua classica ambientazione curata, cerca di puntare qualcosa sulle psicologie dei personaggi, ma incappa prima di tutto in un errore clamoroso, scritturando per il film Jason Connery, figlio del grande Sean, assolutamente inespressivo e assolutamente inadatto alla recitazione.
Si salvano le due protagoniste femminili, Laura Antonelli, ormai avviata al tramonto, comunque in grado di tenere dignitosamente la scena e la giovane Monica Guerritore, forse più a suo agio nei panni (svestiti) della moglie insoddisfatta. Da ricordare anche la presenza di Claudio Amendola nei panni del gaudente Bernardo, il gondoliere. Un film francamente deludente, immerso in un erotismo patinato, con fosche tinte e colori, quasi più vicino al drammatico che al godereccio leif motiv del romanzo, che alla fine toglie al tutto quel sapore di festa pagana dell’Eros che Bolognini non ha voluto riprendere.
La Venexiana, un film di Mauro Bolognini. Con Jason Connery, Laura Antonelli, Monica Guerritore, Annie Belle, Stefano Davanzati, Claudio Amendola, Clelia Rondinella, Monica Guerritore
Erotico, durata 125 min. – Italia 1985.
Laura Antonelli: Angela
Monica Guerritore: Valeria
Jason Connery: Jules
Clelia Rondinella: Nena
Claudio Amendola: Bernardo
Cristina Noci: Oria
Regia Mauro Bolognini
Soggetto dalla commedia di anonimo La Venexiana
Sceneggiatura Massimo Franciosa
Produttore Ciro Ippolito
Casa di produzione Lux International
Musiche Ennio Morricone
La fine dell’innocenza
Una bella ragazza, Anne, orfana sin dall’infanzia, è protetta da un personaggio ambiguo, Michael, dedito a traffici internazionali, che nutre nei riguardi della ragazza losche mire. Quando termina gli studi, Anne è costretta a seguire l’uomo nei suoi spostamenti, uno dei quali la porta ad Hong Kong, dove scopre una realtà a lei sconosciuta.
Inserita in un ambiente equivoco, malsano, la ragazza riesce per un pò di tempo a mantenere un equilibrio, ma subito dopo che Michael viene arrestato dalla polizia, Anne è costretta a subire le attenzioni pressanti di un giocatore, che la violenta. Il trauma subito è profondo, e l’unica che apparentemente è in grado di aiutarla è Linda, la moglie del giocatore. L’aiuto che Linda le offre non è però disinteressato: la donna mostra subito un attaccamento morboso, mentre Anne, conosciuto Phil, se ne innamora.
Ma anche in questo caso l’uomo non è quello che sembra: tutto attorno a Anna sembra muoversi sui binari della perversione, della depravazione morale, così Phil la cede ad un amante di Linda. Sarà l’incontro con un buddista a spingere la ragazza ad allontanarsi dal giro perverso; grazie all’aiuto di Sara, una ragazza che frequenta la compagnia buddista, troverà la forza per dire basta al circolo vizioso di cui è prigioniera, e fuggire così verso la libertà.
Diretto da Massimo Dallamano nel 1976, La fine dell’innocenza è un film a metà strada tra la commedia drammatica e il giallo, con netta propensione a privilegiare l’ambientazione, tuttavia l’ambientazione decadente, viziosa in cui si muove il film appare forzata, così come i personaggi appaiono caratterizzati troppo in negativo. Girato in parte ad Hong Kong, in parte a Roma, il film si avvale di una bella colonna sonora, mentre la protagonista del film, l’attrice francese Annie Belle, è brava e misurata nella sua interpretazione. Da segnalare il cameo di Enrico Beruschi e una insolita Ines Pellegrini nel ruolo della “monaca” buddista.
La fine dell’innocenza,un film di Massimo Dallamano. Con Annie Belle, Ciro Ippolito, Felicity Devonshire, Charles Fawcett,Rik Battaglia, Ines Pellegrini, Linda Ho
Commedia, durata 91 min. – Italia 1976.
Annie Belle: Annie
Ciro Ippolito: Angelo
Felicity Devonshire: Linda
Charles Fawcett: Michael
Al Cliver: Philip
Maria Rohm: Susan
Linda Ho: Genevieve
Charlie Chan Yiu-Lam: Chen
Rik Battaglia: ispettore di polizia
Ines Pellegrini: Sarah
Linda Slade: Caroline
Tim Street: Harry
Ted Thomas: George
Patrizia Banti: Su
Enrico Beruschi: il ciclista guardone
Massimo Dallamano: un uomo in montagna
Regia Massimo Dallamano
Soggetto Massimo Dallamano, Marcello Coscia (Annie Belle e Harry Alan Towers non accreditati)
Sceneggiatura Massimo Dallamano, Marcello Coscia (Annie Belle e Harry Alan Towers non accreditati)
Produttore Fulvio Lucisano, Harry Alan Towers
Casa di produzione Italian International Film, Cobalta Cinematografica, Barongreen
Fotografia Franco Delli Colli
Montaggio Angelo Curi
Musiche Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera
Tema musicale Annie Belle di Dammico-Bixio-Frizzi-Tempera, cantata da Linda Lee
Scenografia Uberto Bertacca
Costumi Uberto Bertacca
Trucco Oretta Melaranci
Stefano Satta Flores: Angelo
Ada Maria Serra Zanetti: Linda
Renato Turi: Michael
Luigi La Monica: Philip
Angiolina Quinterno: Susan
Solvejg D’Assunta: Genevieve
Vittorio Di Prima: ispettore di polizia
Livia Giampalmo: Sarah
Luciano Melani: Harry
Giancarlo Maestri: George