I ragazzi del massacro
In una scuola milanese, durante il corso serale, un gruppo di giovani stupra e uccide la bella insegnante del corso.
Le indagini sono condotte dal commissario Duca Lamberti, che ha la certezza che il delitto è avvenuto in seno al branco; la causa scatenante la furia omicida è da ricercarsi in una bevanda drogata che ha eccitato i ragazzi fino a trasformarli in belve sanguinarie.
Ma non è stato comunque un delitto di gruppo, bensi ascrivibile ad una mano sola.
Lamberti usa il pugno di ferro per cercare la verità:così dall’interno del branco iniziano a circolare le voci sul presunto colpevole, un ragazzo che in realtà è impotente.
Duca Lamberti non va per il sottile, e per questo è malvisto dai superiori.
Anche perchè lui decide di cercare le vere motivazioni della morte della giovane insegnante al di fuori della cerchia dei ragazzi, aiutato in questo dalla bella assistente sociale Livia Ussaro.
Mentre ormai Duca Lamberti sembra sulla strada giusta per risolvere il caso, il giovane impotente si uccide: a questo punto l’ultimo tentativo che il commissario può fare è quello di trovare tra i giovani uno che possa essere in qualche modo riabilitato e che sia disposto a collaborare.
Sarà in questo modo che Lamberti arriverà alla soluzione del caso…
Tratto dal romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco, I ragazzi del massacro è opera di Fernando Di Leo,che dirige il primo dei suoi film noir, inaugurando la straordinaria collaborazione con lo scrittore di origine ucraina che porterà al capolavoro di Di Leo Milano calibro 9.
Lo scrittore ucraino, vero specialista in noir d’atmosfera presterà in seguito la sua penna ad altri film del cinema di genere, come Il caso ‘Venere privata’ (1970) di Yves Boisset e La morte risale a ieri sera (tratto dal romanzo I milanesi ammazzano al sabato) diretto da Duccio Tessari dove ritroviamo Duca Lamberti già presente in Il caso Venere privata.
Di Leo riduce per lo schermo il romanzo di Scerbanenco mantenendo intata solo la struttura del racconto e portando avanti quella che sarà la linea guida della celebre trilogia del milieu; la Milano del regista pugliese appare già nella sua versione cupa e moralmente decadente, violenta e inafferrabile nella sua struttura criminale che agisce sotto la facciata di rispettabilità e operosità della capitale economica d’Italia.
Fernando Di Leo è al bivio della sua carriera; alle spalle ha il successo di Brucia ragazzo brucia e quello meno evidente di Amarsi male; il suo cinema è sicuramente avveniristico, è un regista che non ha alcuna paura di rappresentare visivamente la violenza in una forma nuova, diretta.
Ed è quello che fa con questo film, nel quale vediamo in azione un Duca Lamberti decisamente diverso da quello che verrà ripreso da Boisset o da Tessari.
E’ un uomo dai modi spicci, a tratti brutale.
Un uomo che crede nella giustizia ma che sa anche che per andare in guerra bisogna usare il cannone e non certo un mazzo di rose.
Ecco perchè usa metodi anticonvenzionali e brutali, metodi che lo rendono inviso ai suoi superiori.
Poichè però giunge sistematicamente ai risultati, Lamberti è tollerato anche se non incoraggiato.
Non è nato poliziotto, Lamberti, ma questo non l sappiamo dal film, bensi dai romanzi di Scerbanenco; è figlio di un poliziotto, è un ex medico che ha scontato tre anni di galera per aver somministrato un’iniezione letale ad un’anziana paziente. E’ diventato poliziotto dopo aver risolto brillantemente alcuni casi a lui sottoposti da un amico del padre.
Lamberti si muove quindi un una metropoli ormai lontana dal boom economico; nella scuola dove avviene l’omicidio non ci sono i ragazzi “normali”, quelli che in qualche modo sono figli del boom economico e si sono integrati nella realtà del lavoro e nella realtà sociale di Milano.
Ci sono invece i ragazzi che dal boom non hanno ricavato nulla, se non abitazioni ai limiti del decoro e che vanno a scuola mentre gli altri, dopo una giornata di lavoro o di studio vanno a divertirsi.
Sono la parte nascosta di Milano, quella che la città ignora e che nasconde alla vista di chi guarda alla città stessa come ad un modello esemplare di efficienza e integrazione.
Questo è un territorio inesplorato dalla persona qualunque ed è in questo ambito che il disilluso commissario si muove, usando i suoi metodi la dove non possono funzionarne altri.
Di Leo mostra la sua capacità di analisi e di descrizione di un fenomeno poco conosciuto come il background che sta dietro la facciata rispettabile della città e che diverrà poi il suo punto di forza con la celebrata trilogia del milieu, composta da tre opere distinte ma in qualche modo unite fra loro come Milano calibro 9, La mala ordina e Il boss.
I ragazzi del massacro è un ottimo film, accolto con diffidenza da parte della critica, incapace di vedere oltre la superficie le potenzialità di un regista a suo modo scomodo.
Un di quelli che pesca nel torbido, che mostra una realtà che evidentemente è preferibile ignorare.
Lo fa con un linguaggio scarno ed essenziale, con sangue e violenza stagliate sullo sfondo della nebbia e dell’omertà di un mondo con delle regole ferree e crudeli.
A leggere alcune recensioni (molte delle quali di pochi anni fa) non c’è che da rabbrividire; quella degli anni sessanta è una stagione irripetibile e se non si è capaci di cogliere in film come questi la capacità innovativa di raccontare senza fronzoli anche vicende marginali e squallide come quella mostrata nel film, allora si è di palato troppo aristocratico e ben abituato.
Se si paragona questo film ad opere degli ultimi 25 anni apparse in Italia, ci si rende conto come si vivesse in un’età dell’oro a livello visivo.Anni in cui la fertilità e il genio andavano di pari passo, anni in cui anche con pochi soldi si riusciva a costruire belle e affascinanti opere.
Tornando alla pellicola, va segnalata la positiva presenza nei panni di Duca Lamberti di Pier Paolo Capponi, attore di ottime qualità che a cavallo tra il 1967 e il 1974 comparve in circa una trentina di produzioni molte delle quali di buon livello per poi passare in pianta stabile a produzioni tv di ottima fama.
L’attore di Subiaco è espressivo e duro al punto giusto, quindi Lamberti è il suo personaggio, costruito con una recitazione asciutta e senza sbavature.
Accanto a lui, defilata, c’è la bellissima Susan Scott che fa il suo con grazia e garbo, mentre il resto del cast è composto da onesti comprimari.
Discrete le musiche di Silvano Spadaccino.
I ragazzi del massacro è un film che passa molto raramente in tv, tuttavia è editato in digitale anche se è di difficilissima reperibilità sul web.
I ragazzi del massacro
Un film di Fernando Di Leo. Con Pier Paolo Capponi, Susan Scott, Marzio Margine, Enzo Liberti, Ettore Geri, Sergio Serafini, Michel Bardinet, Renato Lupi Noir/Thriller, durata 91 min. – Italia 1969.
Pier Paolo Capponi: commissario Duca Lamberti
Susan Scott: Livia Ussaro
Enzo Liberti: questore Luigi Càrrua
Marzio Margine: Carolino Marassi
Michel Bardinet: Stelvio Sampero
Renato Lupi: Mascaranti
Danika La Loggia: Beatrice Romani
Giuliano Manetti: Fiorello Grassi
Jean Rougeul: Federico Dell’Angeletto
Regia Fernando Di Leo
Soggetto Giorgio Scerbanenco (romanzo)
Sceneggiatura Fernando Di Leo, Nino Latino, Andrea Maggiore
Produttore Tiziano Longo
Fotografia Franco Villa
Montaggio Amedeo Giomini
Musiche Silvano Spadaccino
Scenografia Franco Bottari
Passi di danza su una lama di rasoio
Una donna è in attesa del suo boy friend sul Pincio; per ingannare l’attesa inserisce una monetina in un cannocchiale ad uso e consumo dei turisti e lo punta sul panorama attorno.
Lo strumento d’osservazione si ferma casualmente su una casa e su una finestra dove si svolge un fatto di sangue: un uomo uccide una donna.
La persona in attesa sul Pincio è Kytty, una splendida svedese che aspetta Alberto Morosini suo attuale compagno con il quale convive in un appartamento di Roma.
La donna informa le autorità e il commissario Meruggi, che raccoglie la denuncia, scopre che la donna uccisa è la ballerina Martinez.
L’uomo collega anche la morte della ballerina ad un altro fatto di sangue avvenuto tempo prima, la morte di una donna che anch’essa lavorava come ballerina.
Sommando gli indizi Meruggi inizia a sospettare del compagno di Kitty, ovvero Alberto; ma la morte in rapida successione di tre persone (una donna anziana, un’altra ballerina e una prostituta) costringono il commissario a rivedere la sua teoria visto che Alberto ha un alibi a prova di bomba.
Meruggi convince Alberto a fare da esca, ma l’espediente fallisce miseramente così come fallisce il tentativo di usare la bella Kitty come adescatrice.La donna, vestita come una prostituta, cerca inutilmente di identificare il misterioso killer.Sarà una pura casualità a mettere la polizia sulle tracce dell’assassino.
Una giornalista, Lidia che ha una sorella ballerina e un marito musicista, indagando sul caso non solo salverà Alberto e Kitty, ma farà una scoperta tremenda…
Passi di danza su una lama di rasoio è un thriller diretto da Maurizio Pradeaux nel 1972, su sceneggiatura dello stesso regista che si avvale dell’aiuto di Alfonso Balcazar e George Martin; un film che rinchiude in se praticamente tutti i canoni del genere thriller che vanno dall’assassinio misterioso di persone apparentemente slegate l’una dall’altra al trappolone ordito da un ingenuo commissario che utilizza due possibili vittime come esca (un’espediente al limite dell’incredibile) passando per le solite immagini sexy affidate ai corpi della splendida Nieves Navarro/Susan Scott e della bella ma inespressiva Anuska Borova.
Un film che mostra qualche buona idea ma che si perde clamorosamente nel finale, quando i nodi vengono al pettine e si scopre la vera identità del fantomatico assassino, che agisce per motivi francamente assurdi e cervellotici.
Maurizio Pradeaux, conosciuto anche come sceneggiatore, dirige uno dei suoi sette film complessivamente girati in carriera con mano da artigiano, alternando cose interessanti a cose banalissime, ammiccando tramite le scene sexy (anche se non erotiche) ai bassi istinti dello spettatore, noncurante delle evidenti falle della sceneggiatura.
Scene di assassini con la giusta tensione e subito dopo clamorose ingenuità caratterizzano l’andamento della pellicola, che mostra più di un debito ai classici del cinema, prima di tutto il celebre La finestra sul cortile di Alfred Hithcock al quale Pradeaux si ispira per la parte iniziale.
Letteralmente copiata infatti è l’idea del cannocchiale che casualmente si ferma su una casa dove sta per avvenire un fatto di sangue, come ricorderà chi ha visto il binocolo di Jeff del film di Hitchcock indugiare sulla finestra dell’appartamento di fronte.
Altro tributo Pradeaux lo riserva ai gialli di Argento, ai quali si ispira sia per le atmosfere sia per la scelta dei primi piani e delle inquadrature.
Insomma, un vero e proprio minestrone di idee mal amalgamate, che dimostra come il regista romano avesse le idee confuse sul cinema, come del resto dimostrerà con l’inguardabile Passi di morte perduti nel buio e con il suo ultimo film diretto nel 1989, Thrilling Love.
Per quanto riguarda il cast, menzione per la bellissima e sexy Navarro/Scott, arrivata tardi al giallo e sopratutto poco sfruttata in film di livello superiore, mentre Anuska Borova che interpreta la giornalista Lidia ha dalla sua un bel volto, un corpo praticamente perfetto e una mobilità facciale molto vicina allo zero il che fornisce una spiegazione sul perchè l’attrice dopo questo film sia letteralmente scomparsa dal mondo del cinema.
Il cast maschile è al minimo sindacale, anzi sarei tentato di dire sotto: Robert Hoffmann, con i suoi insopportabili baffetti ha un’aria da merluzzo appena scongelato mentre Simón Andreu mostra un cipiglio da bel tenebroso perennemente arrabbiato degno di un film drammatico.
George Martin, l’ispettore Meruggi fa il minimo indispensabile mentre nel cast ci sono due piccole parti affidate alla bella Rosita Torosh e a Nerina Montagnani, che questa volta finisce assassinata.
Commento musicale da spettacolino del sabato sera affidato a Roberto Pregadio, autore di oltre 50 soundtrack, molte delle quali utilizzate in film sexy.
Film a corrente alternata, quindi, che può valere una visione a patto di accontentarsi delle pretestuose motivazioni finali accampate per giustificare gli atti dell’assassino; forse con un finale più logico e aderente allo svolgimento del film si sarebbe potuto assegnare una sufficienza al film stesso, che invece resta abbastanza al di sotto della media.
Passi di danza su una lama di rasoio
Un film di Maurizio Pradeaux. Con Robert Hoffman, Susan Scott, Serafino Profumo, Anna Liberati,Sal Borgese, Nerina Montagnani, George Martin, Rosita Torosh
Thriller, durata 90 min. – Italia, Spagna 1973.
Robert Hoffmann … Alberto Morosini
Nieves Navarro … Kitty (come Susan Scott)
George Martin … Commissario Meruggi
Anuska Borova … Doppio ruolo di Lidia e Silvia Arrighi
Simón Andreu … Marco, marito di Lidia
Anna Liberati … Segretaria della scuola di danza
Rosita Torosh … Nina Ferretti
Cristina Tamborra … Magda Hopkins
Nerina Montagnani … Marta
Orlando Baralla … Generale
Gianni Pulone … Pompiere
Salvatore Borghese … Asdrubale Magno
Rodolfo Lolli … Assistente del commissario
Regia: Maurizio Pradeaux
Sceneggiatura: Maurizio Pradeaux,Alfonso Balcazar e George Martin
Musiche: Roberto Pregadio
Editing: Eugenio Alabiso
Art direction: Juan Alberto Soler
La moglie in bianco, l’amante al pepe
Peppino Patanè, dentista e Barone, tipico esempio di galletto ruspante di mezz’età, si barcamena tra la moglie, cicciottella e stranita e la splendida amante Anna Maria.
La sua pacifica vita da gaudente viene stravolta dall’arrivo del figlio Gianluca, che si presenta alla stazione del paese dove Patanè vive, vestito di rosa e con tanto di orecchino (siamo nel 1980).
Ben presto al barone e a suo padre, ormai anziano e in punta di morte, sorgono molti dubbi sulla virilità del giovane, aggravati dalla sua passione per il culturismo. La morte del padre di Peppino sconvolge la famiglia, non per il dolore, ma per il testamento che l’anziano lascia.
Secondo le sue disposizioni, infatti, affinchè la famiglia Patanè possa ereditare il patrimonio Gianluca deve avere un figlio entro 12 mesi dalla morte del nonno.
Peppino cerca di mettere alla prova la virilità del figlio, facendolo incontrare con la sua amante Anna Maria, senza esito.
Occorre quindi trovare una moglie al giovane e il caso arriva in aiuto del barone. Un sacerdote suo amico ha una nipote, Sonia, una ragazza dal passato turbolento; la donna, mimetizzata sotto occhiali spessi e un vestito castigato si rivelerà una splendida fanciulla, fisicamente esplosiva.
Alla fine Sonia e Gianluca arriveranno alle nozze e daranno alla luce il tanto sospirato erede maschio, chiamato Calogero.
Tutto sembra funzionare per il meglio, ma il giorno della presentazione al paese del bimbo, mentre tutta la famiglia è festante sul balcone con il paese radunato sotto ad applaudire, si vede Gianluca mandare un bacio furtivo ad un suo amico culturista.
La moglie in bianco l’amante al pepe, regia di Michele Massimo Tarantini (al soggetto ci si sono messi in 4 a lavorare!) è la più classica delle commedie sexy del periodo a cavallo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta (Il film è datato 1980); il canovaccio è quello ormai tradizionale del fertile filone famigliare, ovvero il padre mandrillo, il figlio imbranato, l’amante bellissima con la moglie ovviamente tutt’altro che appetibile e in mezzo stravaganti e improbabili amorazzi, tradimenti, fughe precipitose da camere da letto.
Questa volta il prorompente Lino Banfi, che replica per l’ennesima volta il ruolo del marito fedifrago è alle prese con un figlio (interpretato malamente dall’inespressivo Javier Viñas) sospettato, con buona ragione, di essere gay. Attorno a questo trito e abusato punto fermo, si sviluppa una commedia con rari sprazzi di comicità, affidata più all’estemporanea capacità dell’attore pugliese di far ridere grazie al suo campionario di gag che ad altro.
Non fosse per la presenza della splendida (anche se vistosamente in là con gli anni) Susan Scott/Nieves Navarro e per le superbe doti fisiche di Pamela Prati, davvero ci sarebbe ben poco da commentare.
La storia è sempre la stessa e mette assieme luoghi comuni (il meridionale che deve assolutamente far sfoggio di virilità) e battute da trivio, natiche e seni in primo piano e le solite scene girate in camere da letto di anonimi alberghi, luoghi di convegno sei soliti immancabili adulteri.
Tutto già visto altre volte, quindi.
Cambia solo la protagonista femminile, che questa volta è la scarsamente (quasi nulla) espressiva Pamela prati, impegnata però a far sfoggio di un fisico davvero superbo.
Nel cast figura,anche se in una particina davvero marginale, Ria De Simone, mentre alla Scott è affidato il ruolo dell’amante di Peppino Patanè, che l’attrice spagnola ricopre con la consueta abilità.
Filmetto di grana grossa, con qualche sprazzo comico (limitatissimo) che suscita ilarità.
La moglie in bianco… l’amante al pepe,un film di Michele Massimo Tarantini. Con Lino Banfi, Pamela Prati, Marina Porcel, Raf Baldassarre,Bruno Minniti,Susan Scott,Ria De Simone
Commedia, durata 85 min. – Italia, Spagna 1980.
Lino Banfi: Giuseppe ‘Peppino’ Patanè / Calogero Patanè
Pamela Prati: Sonia
Marisa Porcel: moglie di Peppino Patanè
Javier Viñas: Gianluca, figlio di Peppino Patanè
Ria De Simone: sorella di Peppino Patanè
Susan Scott: amante di Peppino Patanè
Toni Ucci: Zio Cosimo
Regia: Michele Massimo Tarantini
Soggetto: Luciano Martino, Michele Massimo Tarantini
Sceneggiatura: Giorgio Mariuzzo, Bruno Di Geronimo, José Vicente Puente, Michele Massimo Tarantini
Musiche: Sereno De Sutti
Editing: Alberto Moriani
Costuni: Elio Micheli
Nel suo periodo di massimo fulgore cinematografico Lino Banfì girò moltissimi film dalle alterne fortune commerciali ma dal simile (limitato) spessore cinematografico. Questa pellicola si inserisce ottimamente nel filone erotico-pecoreccio in cui eccelse l’attore pugliese ma è nel complesso una delle meno divertenti: situazioni comiche riciclate da innumerevoli film precedenti, battute poco divertenti e cast (a parte Banfi) decisamente debole.
La carenza di una vera “star” femminile (debutto ufficiale per Pamela Prati, vero nome Paola Pireddu) viene aggirata con l’escamotage di affiancarle un “fisico” dignitoso come quello della Navarro (aka Susan Scott), che non mostra -per fortuna virile- particolari inibizioni al momento di rimuovere vestiti (pur attillati). Banfi ormai è lanciato in soggetti cretini (forse neanche sceneggiati) e tira fuori il meglio dell’improvvisazione da cabaret. La musica, sempre presente, non risolleva il clima di mestìzia che alberga nell’intero film.
Da parte mia è di culto as-so-lu-to. Banfi recita la parte del barone Patané talmente sopra le righe da farlo diventare uno dei suoi ruoli più divertenti. Anzi, il ruolo è doppio visto che nella prima parte lo vediamo anche nei panni del nonno sporcaccione. Certo tecnicamente si è visto di meglio, anche restando nella filmografia di Michele Massimo Tarantini, ma la storia è perfetta per le corde del comico barese ed il film guadagna punti su punti. Imbambolata ma da sturbo l’esordiente Pamela Prati, che non avrà mai grande fortuna col cinema.
Ma basta!!! Al miliardesimo film-pochade all’italiana Banfi ha chiarito essere un attore dal repertorio limitatissimo. Anche Totò faceva brutti film ma nonostante ciò era un genio. Quindi la giustificazione che Banfi era costretto da copioni beceri non regge. Questo, coproduzione spagnola con una starlet così poco memorabile come la Prati (sembra un trans), è tra i meno riusciti di un universo cinematografico che oggi sembra così poco politically correct ma che all’epoca era solo volgare. Nieves Navarro solleva la desolante situazione tette-culo.
Un Banfi scatenato così non lo avevamo mai visto: un susseguirsi di urla, gestacci, versi in pieno stile “banfesco” fanno da cornice a questa classica commedia degli equivoci (se così vogliamo chiamarla). C’è una giovane Pamela Prati (alla faccia a quelli che dicevano che era un travestito) e un nonnino che non è altro che Banfi sulla sedia a rotelle. Forse uno dei migliori film diretti da Tarantini.
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile
Una serie di assassini, un ispettore chiamato a risolvere l’enigma.
Un plot classico, che più classico non si può; si inizia con la morte di alcune belle donne, sposate ai notabili della città, accanto ai cadaveri delle quali vengono rinvenute delle foto.
Sono immagini ovviamente di amanti delle donne, ma presentano una particolarità: i volti degli uomini sono stati rimossi, ovviamente per nascondere la loro identità.
L’ispettore Capuano è incaricato delle indagini, che si presentano subito difficili per i nomi coinvolti; a lui si affianca l’anatomo patologo Casali , che si rivela una preziosa fonte di informazioni per capire come sono morte le donne e la maniera in cui ha operato l’assassino.
Cercando di non pestare i piedi a nessuno, Capuano indaga, prendendo anche delle cantonate, come quella che lo vede sospettare dell’addetto alla ricucitura dei cadaveri.
Ma poco alla volta il caso si sbroglia, fino ad un finale assolutamente a sorpresa.
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, film del 1972 diretto da Roberto Bianchi Montero rivela da subito la scarsa attitudine del regista per il genere thriller;
Sylva Koscina è Barbara Capuana
la trama è abbastanza intricata ma anche maldestramente svolta, tanto che in alcuni punti si fa fatica a seguire i guizzi del regista, che sembra privilegiare più l’aspetto prettamente estetico che quello cinematografico.
Si assiste, difatti, ad una parata di morte assassinate generalmente in desabillè, cosa che la dice lunga sulle intenzioni del regista.
La trama resta abbastanza nell’oscurità, spiazzando lo spettatore, che si riavrà solo sul finale, quando il tutto giungerà alla conclusione, in maniera peraltro ben congegnata.
Susan Scott (Nieves Navarro) è Lilly
Debitore as usual del solito Argento, Bianchi Montero punta tutto su una certa latente tensione, sul cast di starlette che popola il film e su un robusto contributo sonoro del grande Gaslini; se la ricetta non funziona appieno è perchè manca uno degli ingredienti fondamentali, ovvero una suspence tirata, di quelle che inchiodano lo spettatore alla poltrona.
Manca anche nerbo nella recitazione, sopratutto da parte di Farley Granger, imperturbabile e azzimato nei panni dell’ispettore Capuano; Chris Avram se la cava meglio, così come una sicurezza è Luciano rossi, questa volta delegato nella parte decisamente antipatica di un becchino addetto all’estetica dei cadaveri, che ovviamente diventa il sospettato numero uno.
Ma lo spettatore scafato, quello che ama il genere thriller, non si lascia depistare da un si facile indizio, e cerca ovviamente altre soluzioni; la troverà in un finale un tantino tirato per i capelli, ma tutto sommato abbastanza originale.
Se il modus operandi dell’assassino sembra schematicamente compresso, con le morti che avvengono tutte nello stesso modo e che sembrano ricalcare il clichè della punizione delle adultere, la solita immancabile eliminazione del vizio, a salvare la braca pericolosamente inclinata arriva proprio il finale e sopratutto la curiosità di vedere la parata di belle attrici alle prese con il misterioso maniaco.
Il cast, come accennatto, presenta una parata di bellezze di primo piano; Annabella Incontrera, Sylva Koscina, Krista Nell, Femi Benussi, Susan Scott, Angela Covello sono decisamente tutte belle, sexy e affascinanti.
E sono anche abbastanza spogliate, il che induce a qualche malizioso pensierino sulle finalità del film di Montero.
Ma, in definitiva, è un film che può essere visto senza annoiarsi troppo, con qualche bel colpo a patto però di non aspettarsi un thriller mozzafiato
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, un film di Roberto Bianchi Montero. Con Annabella Incontrera, Sylva Koscina, Silvano Tranquilli, Farley Granger, Susan Scott, Philippe Hersent, Andrea Scotti, Ivano Staccioli, Sandro Pizzorro, Benito Stefanelli, Krista Nell, Femi Benussi, Bruno Boschetti, Jessica Dublin, Chris Avram, Fabrizio Moresco, Angela Covello, Luciano Rossi
Poliziesco/Thriller, durata 91 min. – Italia 1972.
Farley Granger … Ispettore Capuana
Sylva Koscina … Barbara Capuana
Silvano Tranquilli … Paolo Santangeli
Annabella Incontrera … Franca Santangeli
Chris Avram … Professor Casali
Femi Benussi … Serena
Krista Nell … Renata
Angela Covello … Bettina Santangeli
Fabrizio Moresco … Piero
Irene Pollmer … Giannina
Luciano Rossi … Gastone
Jessica Dublin … Rossella
Philippe Hersent … Questore
Nieves Navarro … Lilly
Bruno Boschetti … Poliziotto
Regia: Roberto Bianchi Montero
Sceneggiatura: Luigi Angelo
Produzione: Angelo Faccenna, Eugenio Florimonte,Mario Pellegrino
Musiche: Giorgio Gaslini
Costumi: Oscar Capponi
Editing: Rolando Salvatori
Effetti: Vitantonio Ricci
Costumi: Lidia Maniero
“Giallino italico con trama quasi inesistente e qualche trovatina (mega-citazione dal baviano Sei donne…, il sangue dalla scala a chiocciola, l’inanità del testimone del delitto finale…). Povero il contorno (risibili l’omicidio della Benussi e la lentezza del commissario nel far partire il registratore) e recitazioni appena sufficienti (il regista amava il “buona la prima”). L’amore per il genere, per il decennio e per il superbo gineceo spingerebbero almeno verso la risicata sufficienza: la razionalità, invece, dice uno e mezzo.
La trama è scritta un tanto al chilo, ma quello che rende interessante il film di Montero è – oltre all’impatto scenico cagionato dalla presenza (inusuale) di un elevato numero di fascinose attrici (in ruolo di apòstate) – la solida mano di un regista abituato a realizzare, con professionalità (ed accortezza scenica, con riguardo per la buona fotografia) pellicole di svariati generi. Se l’influenza di Argento si fa sentire, bisogna però segnalare che Montero anticipa l’utilizzo di un grande compositore musicale (Giorgio Gaslini) indòtto a comporre un tema à la Morricone.
Tipico giallo anni Settanta, unisce l’estetica di Bava e la meccanica di Argento (modalità degli omicidi e particolare rivelatore) a un sottotesto maschilista e moralista. La suspense scarseggia, essendo schiacciata dall’incontenibile pressione erotica delle attrici più in voga del momento nel cinema di genere (Koscina, Benussi, Scott, Nell, Incontrera), tutte artisticamente spogliate; c’è anche la giovanissima Covello, unica donna dal ruolo innocente e pudico. Reminescenze hitchcokiane nel beffardo finale.
Giallo girato in economia ma non disprezzabile. Si accumulano omicidi ed ovviamente si pensa bene di fornire al pubblico qualche facile sospettato su un piatto d’argento (un cinico avvocato, un medico pazzo col ghigno del grande Luciano Rossi…) solo per arrivare alla sorpresa finale. Da gustarsi più con la pancia che non col cervello, in ogni caso. Notevole il cast femminile, con nudi a ripetizione.
Risibile thrillerino all’italiana in cui un feroce assassino si diverte ad uccidere donne fedifraghe. Perché? Pare che neanche gli sceneggiatori avessero le idee chiare in proposito, tanto che hanno dato vita ad un plot piuttosto confuso e farraginoso che non coinvolge quasi mai lo spettatore e che si fa notare solo per il finale beffardo ed intriso di umorismo. Per il resto c’è davvero poco da stare allegri.
Ottimo giallo italiano con un cast femminile strepitoso. In quale film possiamo trovare la Koscina, la Scott, la Neill, la Benussi, la Incontrera… Anche il cast maschile è ottimo: Granger, Avram e soci (una gioia per gli occhi del fan degli Anni Settanta). Buone le musiche, i delitti molto sanguinosi, il finale beffardo (un pochino traballante nella soluzione, ma ottimo). Irresistibile, almeno dal mio punto di vista.
Piacevole thriller argentiano con qualche venatura poliziesca. Discreta la regia e curiosamente insistiti i dettagli gore (mai splatter però) e le scene di nudo (integrale quello di Susan Scott). La storia non è nulla di eccezionale, con qualche lentezza e un po’ troppi riferimenti ad Argento, ma bene o male regge fino alla fine. Ottimo il protagonista Farley Granger, bravo Silvano Tranquilli, notevole il cast femminile. Nulla di eccezionale le musiche di Gaslini. Sorprendente l’omicidio sulla spiaggia.
Tra i vari spin-off italici dell’Argento prima maniera, spicca questo giallo dal titolo assai bizzarro (e logorroico). In realtà, a parte un cast rispettabile che mette insieme molte starlette dell’epoca, il film non presenta grandi motivi d’interesse: la sceneggiatura è appena sufficiente, il ritmo latita, la tensione è pari a zero, le scene cruente sono poche e mal realizzate. Tra i pro invece segnalo le belle musiche di Gaslini e il finale spietato, che mette sullo stesso piano buoni e cattivi. Si denota un fondo misogino e anti-borghese.
Il commissario col baffetto azzimato che risolve il caso senza scomporsi: c’è. Alcune sequenze importanti come l’omicidio sulla spiaggia o il finale con fotogrammi sovraimposti: ci sono. Bellezze discinte: non mancano, anzi abbondano. Il sospettato numero uno, un platinatissimo necrofilo che alla fine è innocente: presente. La colonna sonora evocativa e stucchevole: non poteva mancare. Insomma, gli ingredienti che hanno fatto grande il giallo italiano ci sono tutti, ma da metà pellicola causa inedia diffusa, è la voglia di arrivare alla fine, che mi mancava.”
L’infermiera nella corsia dei militari
Grazia, giovane e bella cantante, più che brava, procace, ha una relazione con Johnny, il gestore un tantino losco del night nel quale lavora. L’uomo le chiede di fingersi un’infermiera, per poter recuperare due quadri appartenuti a sua madre, rubati e ora nascosti all’interno della clinica psichiatrica del professor Larussa. Così Grazia entra nella clinica,dove ovviamente abbondano i fuori di testa, inclusi i classici generali e il pittore con qualche dote.
Lino Banfi è il Professor Larussa
La donna è costretta anche a difendersi dalle lunghe mani dei pazienti, oltre che a doversi guardare dal professor Larussa, un uomo che ha problemi con la moglie, che crede frigida. Dopo diverse peripezie, Grazia rintraccia i due famosi quadri, proprio nella stanza di peppino, il pittore fuori di testa. scopre però che non si tratta di due quadri della madre di Johnny, ma di due preziosissimi Caravaggio, rubati, ovviamente.
Alvaro Vitali è il pittore pazzo
Scopre anche che Johnny non ha alcuna intenzione di farla diventare una cantante famoa, ma che intende vendere i quadri e scappare in America con la sua amante. Grazia, così, con l’aiuto dell’assistente di larussa, sventa il piano. Non diventerà una cantante famosa, in compenso troverà l’amore.
Mariano Laurenti, autore di questo L’infermiera nella corsia dei militari, ha diretto, nel corso della sua carriera, una cinquantina di film, quasi tutti appartenenti alla commedia sexy:
Nelle due foto: Nadia Cassini è Grazia
sono suoi alcuni titoli di culto, come Quel gran pezzo dell’Ubalda, La vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono e Il vizio di famiglia. Lasciata la Fenech, Laurenti punta sulla Cassini, sicuramente molto meno dotata di capacità artistiche, ma fisicamente splosiva, grazie al corpo perfetto. Inserisce nel cast l’onnipresente e bravo Banfi, lo mescola a Alvaro Vitali, Susan Scott, Karin Schubert e Carmen Russo e tira fuori una gradevole commediola, assolutamente insolita nel desolante panorama di fine anni settanta.
Siamo infatti nel 1979, e la crisi del cinema è ormai esplosa a livello quasi mondiale; la stessa commedia sexy ha ormai pochi proseliti, tuttavia Laurenti gira un film in cui qualche risata la si fa, anche se ovviamente siamo al livello tipico di questi film. Tuttavia non è un prodotto da bocciare in toto, non fosse, come già detto, per le discrete battute, una trama una volta tanto non basata solo sulle gag, e per il best cast al femminile che il film propone. Certo, chiedere alla Cassini o a Carmen Russo di recitare è davvero troppo, tuttavia in una pellicola di questo tipo si può sorvolare, accontentandosi di ammirare le perfette forme delle due attrici, di ridacchiare con Banfi e Vitali, il che, con i tempi che correvano nel 1979, non era cosa da poco.
Susan Scott (Nieves Navarro) è Veronica Larussa
L’infermiera nella corsia dei militari , un film di Mariano Laurenti, con Lino Banfi, Nadia Cassini, Paolo Giusti, Enzo Andronico,Elio Zamuto, Karin Schubert,Susan Scott, Gino Pagnani, Alvaro Vitali, Carmen Russo
Commedia, durata 88 min. – Italia 1979.
Nadia Cassini … Grazia Mancini
Lino Banfi … Prof. Amedeo La Russa
Paolo Giusti … Prof. Santarelli
Karin Schubert … Eva
Elio Zamuto … John
Renato Cortesi … Ugolini
Marcello Martana Moretti
Gino Pagnani … Ottavio
Ermelinda De Felice … Suor Fulgenzia
Enzo Andronico … Cav. Galeazzo Gedeone
Carmen Russo … Modella
Alvaro Vitali …. Peppino, Il pittore pazzo
Jimmy il Fenomeno … Il guardiano
Luigi Uzzo … Gustavo – male Nurse
Vittoria Di Silverio L’amante di Johnny
Susan Scott (Nieves Navarro) Veronica Larussa
Regia: Mariano Laurenti
Soggetto: Mariano Laurenti, Francesco Milizia
Sceneggiatura: Mariano Laurenti, Francesco Milizia
Fotografia: Federico Zanni
Montaggio: Alberto Moriani
Musiche: Gianni Ferrio
Le foto proibite di una signora per bene
Pierre e Minou sono una coppia all’apparenza perfetta; un equilibrio che però sembra andare in pezzi il giorno in cui un misterioso maniaco inizia a perseguitare la donna minacciando di rivelare che Pierre è un assassino. L’uomo, un industriale, è sull’orlo del fallimento,e Minou, suo malgrado, è costretta ad accettare un incontro con il ricattatore. Della cosa parla con la sua amica Dominique, una affascinante collezionista di immagini erotiche, delle quali è anche il soggetto principale.
Accettato suo malgrado l’incontro, Minou è costretta a cedere e avere rapporti con il misterioso ricattatore, che le consegna la cassetta contenente le presunte prove dell’omicidio commesso dal marito. Sembrerebbe tutto finito, invece è l’inizio di un incubo; l’uomo ha scattato delle foto intime e inizia un nuovo ricatto. A questo punto Minou rivela tutto a suo marito, nella speranza di risolvere, una volta per tutte, il suo problema. Ma Pierre non le crede, e ben presto Minou ne comprende il perchè.
E’ proprio suo marito ad aver organizzato tutto, per fare impazzire la moglie, costringerla al suicidio e intascare così la polizza d’assicurazione che lo stesso ha stipulato sulla vita della moglie. In un drammatico confronto, Pierre svela il meccanismo perverso della trappola a Minou, che finirebbe male, non fosse per l’intervento della polizia, chiamata da Dominique, che aveva intuito la verità sulla storia. Un poliziotto spara a Pierre e lo uccide pochi attimi prima che l’uomo porti a compimento le sue intenzioni; Minou è libera e si concede un viaggio con la sua amica Dominique.
Le foto proibite di una signora per bene, film del 1971 diretto da Luciano Ercoli è un giallo/thriller convenzionale, con una spruzzatina, davvero timida, di erotismo, rappresentato dalle foto scattate dal ricattatore a Minou e quelle che la giovane Dominique colleziona, da qualche fugace nudo, molto castigato, della bella protagonista, Dagmar Lassander, che nei primi anni settanta era specializzata in ruoli torbidi in film come Femina ridens, L’iguana dalla lingua di fuoco, Il rosso segno della follia. Film con una discreta tensione, ma limitato anche dalla presenza di pochi personaggi, per cui le vere motivazioni delle azioni del maniaco diventano ben presto lampanti per lo spettatore, che si trova solo nel dubbio tra la scelta dei due colpevoli, ovvero la bella Dominique, interpretata dalla affascinante Susan Scott e del marito.
Dagmar Lassander
Il resto è svolto come un compitino diligente, senza grosse sbavature ne lampi di genio. L’interpretazione di Pierre è affidata a Pier Luigi Capponi, che recita sobriamente il ruolo del diabolico marito di Minou, ma con tale freddezza da risultare, sino dalle prime inquadrature, il possibile sospetto di essere il deus ex machina della storia.
Una breve disgressione : chiunque sia alla ricerca di altre informazioni su questo film potrebbe imbattersi nella recensione di esso fatta da qualcuno per il più grosso sito di cinema della rete. Non nomino il sito, per ovvi motivi, ma vi lascio la descrizione della trama proposta dallo stesso, ennesima dimostrazione che le recensioni, i sunti dei film si dovrebbero fare vedendoli, e non sulla base dei sunti presentati dai soliti dizionarietti sul cinema:
“Una donna e il suo amico, durante una gita, precipitano in mare con l’auto. Si salva solo lei, che però viene sospettata dal fratello del defunto di averlo ucciso. Non è vero. Infatti il morto ricompare, litiga con la ragazza e stavolta ci lascia le penne davvero, proprio quando il fratello finalmente, convinto dell’innocenza di lei, le stava per dichiarare il suo amore.”
Le foto proibite di una signora per bene, un film di Luciano Ercoli, con Pier Paolo Capponi, Susan Scott, Dagmar Lassander, Simon Andreu, Italia 1971
Dagmar Lassander: Minou
Pier Paolo Capponi: Peter
Simón Andreu: Il ricattatore
Osvaldo Genazzani: Frank
Salvador Huguet: George
Nieves Navarro: Dominique
Regia Luciano Ercoli
Soggetto Ernesto Gastaldi, Mahnahén Velasco
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Mahnahén Velasco
Produttore Luciano Ercoli, José Frade, Alberto Pugliese
Casa di produzione Produzioni Cinematografiche Mediterranee, Trébol Films C.C.
Fotografia Alejandro Ulloa
Montaggio Luciano Ercoli
Musiche Ennio Morricone
Costumi Gloria Cardi
Il giudice e la minorenne
Mentre sta per recarsi in tribunale dove svolge il suo quotidiano lavoro di giudice, il dottor Serra si trova coinvolto in una rapina con conseguente incidente dei ladri in fuga; è quasi un segno del destino, visto cosa gli succederà nel finale del film. Al giudice viene affibbiato un caso scottante, anche se all’apparenza semplice: una ragazza ha subito quella che sembra una violenza carnale da parte di un idraulico di mezza età.
Susan Scott, la moglie del giudice
Durante gli interrogatori il giudice si trova di fronte alle testimonianze sia dell’uomo, che accusa la ragazza di averlo adescato, sia a quella della ragazza che invece conferma l’accusa di violenza. L’idraulico, durante gli interrogatori, ricorda al giudice che le ragazze,anche le più giovani, hanno ormai assunto le vesti di moderne Circe, abdicando anche in tenera età alle abitudini tipiche delle adolescenti e passando subito al mondo delle adulte.
Il giudice vede confermate le teorie dell’uomo proprio da una delle giovanissime amiche della figlia, che lo seduce. Cosa che fa anche la presunta vittima dello stupro. A colmare la misura, arriva la scoperta che la giovane figlia, Mirella, appartiene ad un’organizzazione terroristica. Nonostante una sua ex sottoposta, ora giudice anche lei si offra di insabbiare la faccenda, il giudice decide di andare avanti. Ma è destino che le sorprese non debbano mai finire: l’uomo scopre che la moglie ha una relazione adulterina con un pilota civile, e dopo averli seguiti, decide di togliersi la vita lanciandosi con la sua auto contro quella in cui i due amanti si stanno intrattenendo.
Film con qualche scoperta ambizione moralistica, Il giudice e la minorenne potrebbe anche raggiungere la sufficienza, non fosse per alcune cose francamente inspiegabili del film, come la decisione del magistrato donna amica del giudice che si propone per insabbiare l’inchiesta sulla figlia del giudice. Tuttavia, il tentativo di denuncia della corruzione dilagante del costume funziona, anche se solo a tratti,
Un po troppo smaccata infatti, è l’atmosfera erotica in cui si immerge volutamente il film. Le attrici, a parte la solita splendida Susan Scott o Nieves Navarro, se preferite, sono delle sconosciute, a cominciare da Antiniska Nemour, ex centralinista del programma televisivo di Tortora, Portobello. Ci sono anche Flora Saggese e Ketty Berbero. Curioso il ruolo affidato a Teo Teocoli,quello del pilota amante della bella signora Serra. Le musiche del film sono di Mino Reitano.
Il giudice e la minorenne
un film di Franco Nucci. Con Susan Scott, Chris Avram, Romy Schell, Flora Saggese, Giuliana Rivera, Piero Mazzarella, Romy Shell
Drammatico, durata 91 min. – Italia 1974.
Chris Avram: Marco Serra, il giudice
Nieves Navarro: Laura, moglie di Serra
Antiniska Nemour: Mirella, figlia di Serra
Piero Mazzarella: Mariani, l’idraulico
Flora Saggese: Cinzia, compagna scolastica di Mirella
Caterina Barbero: Annetta Rossi, la vittima di Mariani
Giuliana Rivera: la madre di Annetta
Annibale Papetti: il padre di Mariani
Romy Schell: la donna al cimitero
Regia Franco Nucci
Soggetto Franco Nucci
Sceneggiatura Franco Nucci, Gianni Martucci
Produttore Oscar
Distribuzione (Italia) Alpherat
Fotografia Enzo Oddone
Montaggio Enzo Monachesi
Musiche Mino Reitano, Franco Reitano
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.com
La trama appare in realtà molto poco verosimile per non dire letteralmente esagerata, e così pure il finale catartico che il regista propone. La duplicità del contenuto del film poi potrebbe spiazzare più di uno spettatore (come detto Nucci infarcisce la pellicola di discorsi e ragionamenti moralisti, ma poi basa le scene clou del suo prodotto su spogliarelli e maliziose allusioni messe in bocca a ragazzine minorenni). Sembra quasi che Nucci sia addirittura maschilista nello sviluppo dell’idea cardine che c’è alla base del film (che si potrebbe riassumere in qualcosa del tipo “le femmine sono tutte puttane”).
Tra gli attori, il protagonista Chris Avram appare un po’ monoespressivo, ma tutto sommato regge con decenza il ruolo. Susan Scott/Nieves Navarro, nei panni della moglie, non è al top della sua carriera. Meglio le giovani e sconosciute attrici che interpretano le tre maliziose ragazzine del film (Flora Saggese, Caterina Barbero, Antiniska Nemour), che con i loro ammiccamenti rendono interessanti le scene su cui Nucci punta maggiormente per dare un senso al suo prodotto. Forse il migliore del cast è però Piero Mazzarella nella parte dell’idraulico accusato di stupro. Da sottolineare la colonna sonora dei fratelli Reitano, che si fa più martellante nelle scene più drammatiche, e soprattutto quando le certezze del protagonista sembrano frantumarsi da un momento all’altro. In totale: non un brutto film, ma sicuramente più particolare per la commistione di generi così diversi che ben realizzato.
L’opinione del sito http://www.robydickfilms.blogspot.it
Il film non è brutto solo non completamente riuscito, ma è apprezzabile soprattutto per la curiosa singolarità con cui commistiona i vari generi e filoni, una certa amarezza e disincanto di fondo, assieme all’azione (come nell’abbastanza bello e ben girato inseguimento iniziale) e all’intento di denuncia moralistica del malaffare, la quale però funziona a corrente alternata, anche perchè sono troppo scoperte certe assurdità della trama quali la magistrato donna collega ed innamorata del giudice, che vorrebbe nascondere l’inchiesta sul gruppo eversivo perchè coinvolge sua figlia, e la forte componente cochòn del film.
In fondo, alla fine l’unica cosa che rimane del film a cui appigliarsi, peraltro irrisolto in molte altre cose, è che semplicisticamente le donne di oggi sarebbero tutte propositive ed offerenti sé stesse, fin dall’età nella quale dovrebbero essere ancora e soltanto delle bambine, come dirà difendendosi nell’interrogatorio, l’idraulico di mezza età, paccianesco-meneghino, Mariani/Piero Mazzarella.
E soprattutto dietro la promessa di soldi come le 100’000£ a lui chieste, che queste adolescenti solo di età e per bene solo di nomea, donne adulte di fatto, perlopiù di buona famiglia, non fanno altro che provocare gli uomini per delle sane trombate no-stop. Ma dove? Nella Milano anni ’70 in cui è ambientato -anche bene- il film. Ma che appunto, è solo un film, per di più infarcito di approssimativi luoghi comuni maschilisti, da sempre molto in voga, in Italia.
Magari ‘ste lolite fossero tutte “maiale”, ma purtroppo non è mai stato proprio così. O forse si profetizzava senza saperlo le ben più spregiudicate Papi-girl delle “notti di Arcore”,in cerca addirittura di un posto in Parlamento, o ne L’Isola dei famosi?
Emanuelle e gli ultimi cannibali
Ennesima variazione delle avventure dell’affascinante Emanuelle, la reporter di colore con l’hobby della fotografia; questa volta l’eroina interpretata da Laura Gemser si reca in un istituto per malattie mentali,per scoprire in che modo i pazienti vengano trattati da dottori e infermiere.
Durante il suo soggiorno nella clinica, Emanuelle assiste ad una scena agghiacciante: una paziente strappa a morsi il seno ad una infermiera. Emanuelle indaga sui perchè dello strano comportamento della donna,e grazie ad un tatuaggio sul corpo della ragazza, risale fino al
professor Lester, che dapprima la erudisce sul fenomeno del cannibalismo, e poi, divenuto l’ennesimo amante della donna, decide di accompagnarla alla ricerca della verità sul conto della ragazza.
La coppia giunge in Amazzonia, e incontra alcuni personaggi ambigui:Donald e Maggie McKenzie,che fanno credere di essere una coppia di cacciatori, Suor Angela e Isabelle .
Tra i vari personaggi si stabiliranno relazioni equivoche, puramente erotiche.In realtà i Mc Kenzie sono sulle tracce di un tesoro; ma quella caccia sarà loro fatale, perchè saranno i primi a cadere preda dei cannibali che vivono nella regione.
Donald viene fatto a pezzi, la moglie, dopo essere stata stuprata a turno,finisce per fare da pranzo alla tribù. Isabelle, catturata, viene stuprata a sua volta dagli indigeni, viene salvata provvidenzialmente da Emanuelle con uno stratagemma: la donna sorge dalle acque, nuda come Venere, mentre alle sue spalle esplodono alcuni fuochi artificiali.
Mentre i superstiziosi indigeni restano ammutoliti, la donna prende per mano l’amica e si allontana nell’acqua.
Aristide Massaccesi, firmandosi Joe D’Amato, dirige Emanuelle e gli ultimi cannibali nel 1977, nello stesso anno in cui esce il controverso Ultimo mondo cannibale;ma, a differenza del film di Deodato, Massaccesi spinge l’acceleratore sull’erotismo,
riempiendo il film di scene ad alta tensione erotica: a parte i coniugi Tinti, Gabriele e Laura Gemser, il regista romano chiama nel cast la bella Susan Scott,facendole interpretare il ruolo di
Maggie, e rendendola protagonista di una delle scene più calde del film, l’atto auto erotico in cui la bellissima attrice spagnola sembra girare senza l’ausilio di controfigure; chiama nel film la svizzera Monica Zanchi, nel ruolo di Isabelle,
e infine seleziona due attrici decisamente belle, Dirce Funari e Annamaria Clementi, affidando loro rispettivamente i ruoli della ragazza della clinica e di suor Angela.
Il film tutto sommato non è nemmeno malaccio, anche se D’Amato gioca, come al solito, tutte le sue carte sull’erotismo.
Ma un minimo di trama c’è, così come l’indubbio mestiere del regista romano.
Emanuelle e gli ultimi cannibali, un film di Joe D’Amato, con Laura Gemser, Gabriele Tinti, Susan Scott, Donald O’Brien, Monica Zanchi, Percy Hogan, Dirce Funari, Annamaria Clementi 1977
Laura Gemser: Emanuelle
Gabriele Tinti: professor Mark Lester
Monica Zanchi: Isabelle Wilkes
Nieves Navarro: Maggie McKenzie
Donald O’Brien: Donald McKenzie
Percy Hogan: Salvatore
Annamaria Clementi: Suor Angela
Dirce Funari: ragazza all’istituto mentale
Geoffrey Copleston: Wilkes
Germana Dominici: Emanuelle
Michele Gammino: professor Mark Lester
Serena Verdirosi: Isabelle Wilkes
Paila Pavese: Maggie McKenzie
Sergio Fiorentini: Donald McKenzie
Antonio Guidi: Wilkes
Regia Joe D’Amato
Soggetto Joe D’Amato
Sceneggiatura Aristide Massaccesi, Romano Scandariato
Produttore Fabrizio De Angelis
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Amedeo Moriani
Musiche Nico Fidenco
Scenografia Carlo Ferri
Costumi Carlo Ferri
Susan Scott
Susan Scott, il cui vero nome è Nieves Navarro è nata il 10 novembre 1938 nel comune di Almería, nella regione dell’Andalucía, in Spagna. Inizia la carriera frequentando il mondo dello spettacolo a Barcellona, come modella, ma fu grazie ad una serie di spot pubblicitari che si fece notare, sia per la sua non comune bellezza, sia per quel tocco ineffabile di fascino che ne ha sempre caratterizzato la personalità.
Il suo primo film lo gira nel 1964, Totò d’Arabia, per la regia di José Antonio de la Loma, e si trasferisce in Italia, dove girerà la maggior parte dei film che interpreterà nella sua carriera.Nel 1965 gira due film western, Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo, mentre l’anno successivo è sul set di Kiss kiss bang bang, poi di Che notte, ragazzi e infine di La resa dei conti,un film di Sollima nel quale recita accanto a Lee van Cleef e a Thomas Milian.
Con Toto in Toto d’Arabia
Nel 1967 interpreta il ruolo di Dolly nel film di Florestano Vancini I lunghi giorni della vendetta, accanto a Giuliano Gemma.Nel 1969 compare con lo pseudonimo Susan Scott, che non abbandonerà più, in I ragazzi del massacro, di Fernando Di Leo, accanto a Pier Paolo Capponi.Non diventa mai una stella di prima grandezza, tuttavia è ricercata dai registi non solo per la bellezza, ma per la capacità di catturare la scena; sempre nel 1969 compare nel film Amarsi male, sempre diretto da Di Leo, questa volta accanto a Gianni Macchia.
Una pistola per Ringo
Nel film Orgasmo nero
Due fotogrammi tratti da Emanuelle e gli ultimi cannibali
Nel 1970 è sul set di Le foto proibite di una signora per bene, un giallo di Luciano ercoli, accanto ad un’altra emergente, Dagmar Lassander.Nel 1971 gira ancora tre film, tutti e tre western; sono Indio Black,Una nuvola di polvere… Un grido di morte… arriva Sartana, diretto da Giuliano Carnimeo al fianco di Gianni Garko e infine Sette minuti per morire.
Susan in Sartana
L’anno successivo una svolta; dal western la Scott passa al thriller all’italiana, un genere che stava conoscendo una felicissima stagione.Interpreta la parte di Nicole nel film La morte cammina con i tacchi alti, di Luciano Ercoli, mentre successivamente è sul set del buon thriller diretto da Sergio Martino Tutti i colori del buio, con una giovane e sempre più bella Edwige Fenech. Sono parti di rilievo, ma mai di assoluta protagonista; la Scott entra nel set di Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile , diretto da Roberto Bianchi Montero, nel cast del quale figurano la Koscina,Annabella Incontrera,Silvano Tranquilli, Femi Benussi e Krista Nell.
Velluto nero
Con lo stesso regista torna al western, genere ormai agonizzante, con Hai sbagliato… dovevi uccidermi subito, per ritornare, sempre nel 1972 a interpretare un thriller, e questa volta da protagonista nella parte di Valentina; il film è La Morte accarezza a mezzanotte,su soggetto di Bruno Corbucci e la direzione di Luciano Ercoli.Un passo falso è Troppo rischio per un uomo solo , sempre diretto da Ercoli, un giallo girato al fianco di Giuliano Gemma, un film molto brutto che passa pressoche inosservato.
El fascista, doña Pura y el follón de la escultura
Nel 1973 gira Passi di danza su una lama di rasoio, un buon thriller; nei film ormai i registi le chiedono di mostrare il suo splendido corpo. E lei, con grazia, acconsente. Non ricopre mai ruoli eccessivamente scollacciati, limitandosi a nudi che per la morale dell’epoca sono anche fin troppo castigati. Dopo Chi ha rubato il tesoro dello scia?, film passato inosservato al fianco di Kinskj, gira Il giudice e la minorenne, e successivamente Il vizio di famiglia, al fianco della conturbante Fenech; siamo in pieno periodo della commedia erotica all’italiana, ma, paradossalmente, a poco alla volta Susan diminuisce le sue partecipazioni sullo schermo.
Arrivano Noi siam come le lucciole, al fianco di Silvia Dionisio, Il medico e la studentessa, con Gloria Guida e Velluto nero,film non accreditato come sequel di Emmanuelle, al fianco di Laura Gemser.Da questo momento in poi le pellicole che interpreta sono solo ed esclusivamente a soggetto erotico: i film si chiamano Emanuelle e gli ultimi cannibali ,Emanuelle e Lolita,Cugine mie ,L’Infermiera nella corsia dei militari,Orgasmo nero, La Moglie in bianco… l’amante al pepe.
Rivelazioni di un maniaco sessuale
Nel 1981 una delle sue ultime apparizioni, nel film Miele di donna, diretto da Angelucci con la Spaak, la Goldmisth,Fernando Rey e Luc Merenda.La sua carriera declina progressivamente, e fino al 1989 non gira più nulla.Interpreta Fiori di zucca al fianco di Marina Suma, fino all’ultimo film ufficiale, Casa di piacere, che chiude di fatto la sua carriera. da quel momento si ritira dagli schermi, intervenendo solo a serate celebrative sul cinema.Susan Scott poteva avere una carriera sicuramente con ruoli più importanti, ma è rimasta prigioniera di un clichè che francamente le hanno cucito addosso: quello della bellona tutta forme. Un vero peccato, perchè aveva i mezzi per diventare un’autentica protagonista.
Casa di piacere (1989)
Fiori di zucca (1989)
El fascista, doña Pura y el follón de la escultura (1983)
Miele di donna (1981)
Dulce piel de mujer
La moglie in bianco… l’amante al pepe (1980)
Orgasmo nero (1980)
L’infermiera nella corsia dei militari (1979)
Candide Lolita (1979)
Cugine mie (1978)
Emanuelle e Lolita (1978)
Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977)
La bidonata (1977)
Mauricio, mon amour (1976) (uncredited)
Velluto nero (1976)
C’è una spia nel mio letto (1976)
Il medico… la studentessa (1976)
Noi siam come le lucciole (1976)
Il vizio di famiglia (1975)
Los hijos de Scaramouche (1975)
Il giudice e la minorenne (1974
Chi ha rubato il tesoro dello scia? (1974)
Passi di danza su una lama di rasoio (1973)
Troppo rischio per un uomo solo (1973)
La morte accarezza a mezzanotte (1972)
Hai sbagliato… dovevi uccidermi subito! (1972)
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile (1972)
Tutti i colori del buio (1972)
La morte cammina con i tacchi alti (1971)
Siete minutos para morir (1971) )
Una nuvola di polvere… un grido di morte… arriva Sartana (1971)
Indio Black, sai che ti dico: Sei un gran figlio di… (1971)
Le foto proibite di una signora per bene (1970)
Amor a todo gas (1969)
Amarsi male (1969)
Le paria (1969)
I ragazzi del massacro (1969)
El rojo (1967)
I lunghi giorni della vendetta (1967)
La resa dei conti (1966)
Che notte, ragazzi! (1966)
Kiss Kiss… Bang Bang (1966)
Il ritorno di Ringo (1965)
Una pistola per Ringo (1965)
Totò d’Arabia (1964)
La resa dei conti
La bidonata
Due sequenze da L’infermiera nella corsia dei militari
La morte accarezza a mezzanotte
Le foto proibite di una signora per bene
La morte cammina con i tacchi alti
Passi di danza su una lama di rasoio
Orgasmo nero
La moglie in bianco… l’amante al pepe
Kiss kiss bang bang
Indio Black
I Ragazzi del massacro
I lunghi giorni della vendetta
Emanuelle a Lolita
Casa di piacere
Una spia nel mio letto
Hai sbagliato dovevi uccidermi subito
La bidonata
Totò d’Arabia
Miele di donna
Le paria
Il vizio di famiglia
Colorado
Amor a todo gas
Una pistola per Ringo
Casa di piacere
Una nuvola di polvere,un grido di morte…arriva Sartana
L’ultimo colpo
El Rojo
Tutti i colori del buio
La vita di Jane,una bellissima donna inglese,è stata condizionata da un evento terribile avvenuto quando era piccola. Ha infatti assistito all’omicidio della madre. Questo evento le ha provocato sempre degli incubi, in cui una misteriosa mano armata di pugnale si avvicina nell’ombra per ucciderla. Ad aggravare la situazione arriva un altro evento traumatico:Jane viene coinvolta in un incidente stradale e perde il bambino che aspettava.
Sia il marito che la sorella Barbara assistono preoccupati alla evoluzione della psiche della giovane donna; così Barbara la indirizza dal professor Burton, uno psicologo che inizia con lei una serie di sedute terapeutiche, con le quali cerca di andare alle radici del problema, in primis ovviamente l’omicidio della madre di Jane.
Marina Malfatti
Nel frattempo Jane apprende che nel palazzo dove vive abita una misteriosa donna, Mary, che sembra dotata di strani poteri; la incontra e quest’ultima le parla di una strana setta di cui fa parte, una setta dedita a misteriosi riti esoterici, con forti connotazioni demoniache. Jane, pur titubante, accetta di partecipare ad una di queste messe nere. Lungi dal trarre un giovamento,la mente di Jane si perde ancor più, rischiando la follia.
Ad aggravare le cose arrivano tre misteriosi omicidi; muoiono, in successione, il dottor Burton, che aveva in cura la donna,e due persone anziane che avevano in cura Jane.
Ma la storia, che si è complicata enormemente, arriva ad una svolta per merito di Richard,il marito di Jane, che mette sulla strada giusta la polizia;tutti i misteriosi appartenenti alla setta vengono arrestati e si arriva alla drammatica e inaspettata conclusione:tutta la vicenda era stata organizzata dalla subdola Barbara,che,avendo ricevuto una grossa somma di denaro dall’assassino della loro madre,aveva organizzato una congiura, lavorando sugli incubi della sorella per portarla alla follia.
Tutti i colori del buio, girato da Sergio Martino nel 1972 è un ottimo thriller della scuola italiana di genere,che mescola con intelligenza sottili immagini erotiche (niente di particolare,alla luce di ciò che si è visto in seguito sullo schermo) e una buona trama,con il classico colpo di scena finale.
Un film che mescola il thriller al sovrannaturale,che in questo caso centra poco, come si scoprirà alla fine, ma è solo un pretesto per una squallida storia di denaro.
Ottima la Fenech,in un ruolo che potremmo definire drammatico,e buono il cast dei protagonisti, con Hilton che interpreta Richard, il marito di Jane, la bella Susan Scott nel ruolo della perfida Barbara e Marina Malfatti nel ruolo della misteriosa Mary.
Tutti i colori del buio, un film di Sergio Martino. Con George Hilton, Edwige Fenech, Marina Malfatti, Ivan Rassimov, Renato Chiantoni, Georges Rigaud, Dominique Boschero, Carla Mancini. Genere Thriller, colore 94 minuti. – Produzione Italia 1972.
George Hilton … Richard Steele
Edwige Fenech … Jane Harrison
Ivan Rassimov … Mark Cogan
Julián Ugarte … J.P. McBrian
George Rigaud … Dr. Burton
Maria Cumani Quasimodo Anziana vicina di casa
Nieves Navarro … Barbara Harrison
Marina Malfatti … Mary Weil
Luciano Pigozzi … Avv. Franciscus Clay
Dominique Boschero Donna Uccisa Nel Sogno
Lisa Leonardi … Ragazza con il cane
Renato Chiantoni Sig. Main – guardiano della villa in campagna
Tom Felleghy … Ispettore Smith
Vera Drudi … Vecchia Donna Nel Sogno
Regia Sergio Martino
Soggetto Santiago Moncada
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Sauro Scavolini
Produttore Mino Loy, Luciano Martino
Casa di produzione Lea Film, National Cinematografica, C.C. Astro
Fotografia Giancarlo Ferrando, Miguel Fernandez Mila
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Jaime Pérez Cubero, José Luis Galicia
Costumi Giulia Mafai
Trucco Giuseppe Ferrante
Edwige Fenech in una foto promozionale del film
Marina Malfatti
Lobby card internazionali
Soundtrack del film