Per grazia ricevuta
Per grazia ricevuta è il secondo film diretto da Nino Manfredi,che nel corso della sua carriera cinematografica di regista girò 3 film, L’amore difficile, episodio L’avventura di un soldato ne1962,Per grazia ricevuta nel 1971 e infine il poco compreso ma affascinante Nudo di donna nel 1981.Un film bello e denso di significati,probabilmente autobiografico (anche se Manfredi non ha mai confermato la cosa) che sbancò i botteghini, divenendo nella stagione 1971 il film più visto in Italia davanti a kolossal americani come Piccolo grande uomo,Borsalino e Soldato blu e sopratutto davanti a film di enorme successo girati in Italia come Lo chiamavano Trinità e Anonimo veneziano.
Una prova da regista autorevole e di prim’ordine, che dimostra come Manfredi fosse a suo agio dietro la macchina da presa,molto più dei suoi colleghi “moschettieri” Sordi e Tognazzi,che tentarono anch’essi la via della regia,con esiti decisamente inferiori come qualità.E’ un Manfredi ispirato e a tratti lirico quello che propone questo film tutto incentrato sulla religiosità,in un periodo storico in cui l’influenza della chiesa sulla società era fortissimo e condizionante;la cosa più importante è l’equilibrio che l’attore ciociaro riesce a mantenere nel percorso del film, evitando l’anticlericalismo di facciata e sopratutto evitando di cadere nella polemica sterile e fine a se stessa.
La storia di Benedetto Parisi anzi diventa un’iperbole sui danni che una educazione religiosa troppo soffocante e punitiva possono avere sull’individuo,arrivando alla fine a condizionarne pesantemente la vita e cambiandone in modo determinante il percorso della stessa.Con la collaborazione di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni con il quale Nino Manfredi girerà altri tre film a soggetto legato alla religiosità (memorabile In nome del Papa Re),Manfredi da corpo ad un soggetto elaborato eppure schematicamente semplice.L’idea di fondo è mostrare nella sua interezza,senza però prendere una posizione aperta,quello che un’educazione religiosa troppo opprimente e punitrice può combinare sia nella psiche di un individuo sia nel suo percorso di vita. A ben vedere Benedetto,il protagonista del film,è un’immagine riflessa dello stesso Manfredi,che da piccolo ebbe la tubercolosi e che guarì in modo sorprendente,lasciando nello stesso Manfredi il dubbio che lo accompagnerà tutta la vita su un effettivo miracolo intervenuto nella sua guarigione.
Un uomo è ricoverato in condizioni disperate in un piccolo ospedale di provincia. Ha tentato di uccidersi e un chirurgo accorre affannosamente per operarlo. In sala d’attesa,in preda a opposti stati d’animo c’è la sua compagna Giovanna,incinta e comprensibilmente tesa e la mamma di quest’ultima,che poco cristianamente vorrebbe che l’uomo morisse in modo da dare la figlia in sposa ad un avvocato.
Un salto indietro nel racconto,Benedetto è un orfano allevato dalla zia, in attesa di ricevere la prima comunione. E’ un ragazzo spigliato,come i suoi coetanei,che però vive una condizione particolare, ospite di sua zia che vorrebbe liberarsene e che gli condiziona pesantemente la vita con la sua religiosità confusa e contraddittoria.Un giorno il ragazzo,nascosto in un armadio, assiste ad un convegno amoroso della zia,che,scoperta,spaccia l’amante per Sant’Eusebio.
Dopo aver visto sua zia farsi il bagno nuda ed essere scoperto dalla stessa,Benedetto,preso dai sensi di colpa rifiuta di confessarsi e il giorno dopo, durante la prima comunione, il ragazzo fugge dalla chiesa e nel farlo precipita da una rupe.Si salva miracolosamente e da quel momento la sua vita è segnata.Portato in processione dalla folla festante, Benedetto viene affidato dalla scaltra zia che non desidera altro che di liberarsi di lui a dei francescani,dai quali Benedetto viene preso in custodia ed educato.
Diventa il beniamino dei fraticelli, da questi trattato con simpatia e affetto,sopratutto dal priore,che capisce come Benedetto non sia pronto alla vita religiosa.Sarà l’incontro con una maestrina,alla quale succhia dalla caviglia il veleno di una vipera, a scatenare nel giovane i primi irresistibili impulsi sessuali.Si allontana dal convento, dietro l’affettuoso consiglio del priore e da quel momento diventa un venditore ambulante di biancheria intima.Adesso è libero e potrebbe sperimentare le prime esperienze sessuali, ma ancora una volta i condizionamenti religiosi lo frenano,impedendogli così di vivere la sua naturale sessualità.Sarà l’incontro con un farmacista ateo e libertino a liberare Benedetto dal suo passato e dai suoi scrupoli;infatti il giovane si innamorerà della figlia del farmacista stesso,Giovanna,con la quale vivrà il primo rapporto d’amore.Ma i condizionamenti continueranno a farsi sentire subdolamente e….
Con senso della misura,usando una garbata ironia che mai supera la soglia della presa in giro benevola, Manfredi affronta lo spinoso argomento della religiosità senza mostrare di propendere per nessuna tesi. I miracoli del film,così come il finale aperto sono lasciati all’interpretazione dello spettatore, che può scegliere da che parte schierarsi.Ovviamente il grande attore ciociaro in qualche punto fa affiorare il suo garbato sarcasmo; il Benedetto che canta a squarciagola “Me pizzica me mozzicà” all’interno del convento non è propriamente politicamente corretto così come qua e la indizi sul suo modo di pensare e di vivere la religiosità fanno capolino (le scene con Benedetto piccolo che spia la zia,il presunto Sant’Eusebio ecc) ma restano garbatamente sullo sfondo.
E’ un Manfredi molto lontano dallo spirito popolare e popolano che ne avevano decretato il successo fino ad allora;l’attore un po’ caciarone e di stile romanesco lascia spazio ad un attore che mostra di avere il talento drammatico e “serio” nelle sue corde,come del resto dimostrerà nella sua lunghissima e felice stagione attoriale,con prove maiuscole come quelle fornite in In nome del Papa Re,Pane e cioccolata,Brutti sporchi e cattivi,film che esalteranno il suo talento spontaneo,la sua capacità di passare indifferentemente dai ruoli di attore comico a quello drammatico,dalle prove teatrali a quelle del musical (Rugantino) passando per la canzone popolare nel modo più autentico, come la sua personalissima interpretazione del grande successo di Petrolini Tanto pè cantà.
Un vero peccato che Manfredi in seguito abbia girato come regista il solo notevole Nudo di donna;il suo talento come regista era naturale,mostrava una predisposizione innata alla macchina da presa,ai tempi e ai ritmi del film,una capacità assolutamente straordinaria del dono della sintesi.
E’ la Ciociaria la protagonista secondaria del film;terra generosa,ubertosa e ricca di colore;Manfredi,ciociaro doc,inserisce Fontana Liri e le cascate di monte Gelato a Mazzano Romano tra i suggestivi luoghi nei quali gira il film;bella la fotografia e sopratutto ben assortito il cast nel quale figurano la bella e fresca Delia Boccardo (Giovanna) e Mariangela Melato,la maestrina che provocherà i primi turbamenti,Lionel Stander, ovvero Oreste il farmacista,che tanta importanza avrà per l’evolversi del personaggio benedetto e Mario Scaccia,il priore affettuosamente legato al giovane che capirà come la sua fede sia affatto ferma,portandolo fuori dagli angusti confini del convento.Bravi anche Paola Borbone e Tano Cimarosa,Veronique Vendell e Fiammetta Baralla,comprimari tutti ben oltre la soglia della sufficienza.Davvero un film di ottima fattura,nel quale superstizione ed elementi folkloristici della religione ben si sposano con la religiosità più intima,quella più autenticamente spirituale alla quale tutti aspirano alla ricerca di risposte spesso disattese proprio dalla natura stessa della religione,di fatto qualcosa di assolutamente intangibile e strettamente personale.
Il film ha avuto nel corso degli anni numerosi passaggi televisivi;è disponibile su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=DBjm4n_iR_g in una versione purtroppo non ben visibile. In streaming (versione decisamente migliore) è disponibile all’indirizzo http://www.nowvideo.li/video/27426b066492b
Per grazia ricevuta
Un film di Nino Manfredi. Con Nino Manfredi, Mario Scaccia, Lionel Stander, Mariangela Melato, Paola Borboni, Delia Boccardo, Véronique Vendell, Gianni Rizzo, Fausto Tozzi, Fiammetta Baralla, Enzo Cannavale, Tano Cimarosa, Gastone Pescucci, Ugo Adinolfi, Antonella Patti Commedia, durata 122 min. – Italia 1971
Nino Manfredi: Benedetto Parisi
Lionel Stander: Oreste Micheli
Delia Boccardo: Giovanna Visciani
Paola Borboni: Immacolata
Mario Scaccia: il priore
Fausto Tozzi: il professore
Mariangela Melato: la maestrina
Tano Cimarosa: zi’ Checco
Gastone Pescucci: l’avvocato
Alfredo Bianchini: il cappellano della clinica
Enrico Concutelli: un frate del convento
Paolo Armeni: Benedetto da bambino
Véronique Vendell: la ragazza “chiacchierata”
Gianni Rizzo: il prete del paese dove Benedetto vende la biancheria
Pino Patti: Don Quirino
Rosita Torosh: la giovane maestra della colonia
Antonella Patti: la zia di Benedetto
Enzo Cannavale: il paziente “sano” della clinica
Fiammetta Baralla: la suora della clinica
Luigi Uzzo: un infermiere della clinica
Mister O.K.: Fra Gesuino
Corrado Gaipa: Oreste Micheli
Laura Carli: Immacolata
Giorgio Piazza: il priore
Sergio Rossi: il professore
Emanuela Rossi: Benedetto da bambino
Nella Gambini: bambino amico di Benedetto
Pino Caruso: zì Checco
Mirella Pace: la zia di Benedetto/la ragazza “chiacchierata”
Mario Bardella: il prete del paese dove Benedetto vende la biancheria
Max Turilli: Don Quirino
Angiola Baggi: la giovane maestra della colonia
Isa Bellini: la suora della clinica
Enzo Liberti: un frate
Regia Nino Manfredi
Soggetto Nino Manfredi
Sceneggiatura Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni, Nino Manfredi
Produttore Angelo Rizzoli jr.
Fotografia Armando Nannuzzi
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Guido De Angelis
Scenografia Giorgio Giovannini
Costumi Danilo Donati
Trucco Giancarlo De Leonardis
L’Abbazia benedettina di San Cassiano
L’acquedotto di Nepi
Speco di san Francesco,Sant’ Urbano di Narni
Cascate di Monte Gelato e Mezzano Romano
Interno della chiesa di San Fortunato di Todi
Piazza Vittorio Emanuele a Todi in una vecchia foto
Piazza Vittorio Emanuele a Todi oggi
Villa Volpi a Sabaudia
“Nun te preoccupà, tanto non è morto, all’ultimo momento ha deciso di annà all’artro mondo!”
La vita, invece di viverla io me la dormo.
L’opinione di Jonas dal sito http://www.filmtv.it
Storia in tre tempi: un’infanzia da scavezzacollo sotto la fida protezione di sant’Eusebio; una giovinezza passata in convento ad aspettare un segno divino per nascondere la paura di affrontare la vita; la scoperta del mondo, il discepolato sotto un vecchio mangiapreti, l’amore con la soave Delia Boccardo. Il tutto viene rievocato in flashback, dopo un ricovero in ospedale per tentato suicidio. Il primo film diretto da un’icona nazional popolare come Nino Manfredi (se si eccettua un episodio di L’amore difficile) è un gesto di sorprendente coraggio, qualcosa di veramente raro nell’Italia democristiana. Ma sarebbe riduttivo considerarlo solo un pamphlet anticlericale, nonostante gli obiettivi polemici siano ben individuati (l’educazione sessuofoba, il miracolismo, l’esaltazione pseudoreligiosa, l’ipocrisia dei baciapile): è soprattutto la vicenda di un uomo pieno di dubbi e in cerca di risposte, prima respinto dagli esponenti della Chiesa (“Dio è pace, serenità, non è tormento”) e poi deluso dall’incoerenza di quello che si era scelto come maestro di vita (“non è morto, all’ultimo momento ha preferito andare all’altro mondo anche lui”). A ben vedere è un film che esplora le tracce quasi impercettibili, a volte paradossali, della presenza di Dio (cominciando dal nome del protagonista, Benedetto, e finendo con l’ultima battuta, “è stato proprio un miracolo”). Un film di fede, nonostante tutto: forse l’opera più bergmaniana che il cinema italiano abbia mai prodotto.
L’opinione di Mansueto dal sito http://www.mymovies.it
Chi dell’ “auto-morte” se ne intendeva, qualche tempo fa ci testimoniò che “Il suicida è come un carcerato che, nel cortile della prigione, vede una forca, pensa erroneamente che sia destinata a lui, evade nottetempo dalla sua cella, scende giù e s’impicca da sé”.Un lontano 1971, quando crebbi, un tal Benedetto di Castro de’ Volsci ci raccontò in 122 minuti la magnificazione “dell’intera storia umana”. Quell”elogia attraverò come un qualunque raggio cosmico ogni cellula del corpo di chi ne fu attratto; la riempì senza saperlo di luce e di spazio; di coscienza e di emozioni; di contenuto e contenente. Quel racconto fu la glorificazione sintetica di ogni dottrina; teologica e filosofica; psicologica e sociologica; medica ed estetica; commerciale e culturale. Tutto in un istante.Sincretismo gnoseologico. Come dire. Irenismo ed ecumenismo di ogni dottrina:quando la sensibilità umana (terza riga del libro del mondo) diventa poesia armonizzante di ogni distinzione e di ogni diversità della conoscenza!Qui c’è tutto. L’uomo e la donna. Il Tanathos e l’Eros. La colpa, la paura, il dubbio, la leggerezza più svanita, l’elegia del “chi sono”.Alle volte gli uomini compiono miracoli senza saperlo. Alle volte nessuno sa di quelli.Eppure questo superbo capolavoro della filmografia italiana (che pecca solo di vizi tecnici) diventa un mastodontico modello di studio per chi insegna, consolazione umana per chi soffe, costruzione critica per chi giuggioneggia, dissenso al senso per chi non crede.L’avventura umana sta tutta là. In un convento “totale” della Ciociaria. Nell’ambulante ardimentoso di lingerie. Nell’alieno e diafano amore verso Delia. Nella bestemmia redenta di una canaglia di farmacista. Nella fantasia dell’ingenuità più lieve. Nel matrimonio celebrato di un senza no. In una caduta e in un tuffo. In un’apetta col vecchietto. In un bicchiere fresco… ma d’acqua calda!Se volete chiedere a qualcuno chi mai voi siate, domandatevelo imberbi a voi stessi.Inoculatevi rilassati questo film.E se non v’è risposta….Beh; allora finalmente avrete capito tutto!Ma non ditelo a nessuno…”
L’opinione di Thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Bello questo film con e di Nino Manfredi che affronta in maniera tuttaltro che banale i tanti lacci che non permettono di vivere a pieno la propria esistenza. La pellicola di Manfredi non vuole essere un’invettiva anticlericale, ma una riflessione sul vivere male la religione, in cui fede e superstizione hanno confini talmente sottili da confondersi e costellata fin dall’infanzia da una marcata repressione sessuale. L’ottimo film di Manfredi non solo è dotato di una sceneggiatura di qualità, ma offre una buona caratterizzazione dei personaggi, soprattutto nel bigottismo della Borboni e nella vitalità di Stander.
Nino Manfredi
Delia Boccardo
Mariangela Melato
Mario Scaccia
Flano del film
La colonna sonora,la celebre Me pizzica…me mozzica
Conviene far bene l’amore
Il primo decennio degli anni ottanta vede il nostro paese ( e tutti quelli del pianeta) alle prese con una crisi energetica senza soluzione. Sull’intero pianeta, infatti, le risorse sono definitivamente esaurite.Il mondo quindi è ripiombato indietro di secoli.Ferme le attività produttive, le auto, non si vola più, non ci sono più i treni e tutti gli orpelli della civiltà; le auto sono utilizzate come carrozze, trainate dai cavalli, e la gente deve inventarsi e industriarsi su come illuminare le case, sul come riscaldarsi ecc.
L’esperimento sulla cavia volontaria, l’infermiera Piera, Eleonora Giorgi
Gigi Proietti è il Professor Enrico Nobili
Ma c’è un giovane testardo, il professor Enrico Nobili, che è convinto che si possa ancora fare qualcosa. Studiando le teorie del professor Reich, Enrico decide di sfruttarle per ottenere energia elettrica.
Il professor Reich era convinto che l’attività sessuale producesse energia, così il furbo Enrico decide di dimostrare la tesi del predecessore; convince alcuni suoi collaboratori a partecipare all’esperimento, in primis una sin troppo disponibile infermiera, alla quale applica degli elettrodi.
La ragazza quindi ha un amplesso con un assistente, ma l’energia prodotta è davvero minima.Enrico decide di trovare due che abbiano più resistenza, e li trova in una coppia molto eterogenea; lui, Daniele Venturoli, direttore d’albergo, è un’insaziabile erotomane, sempre pronto a soddisfare le voglie di clienti e amiche, mentre lei, Francesca De Renzi, è un’insaziabile moglie con una caterva di figli.Con uno stratagemma Enrico li fa ricoverare in clinica e tra i due scoppia la passione.L’esperimento funziona alla perfezione,e Enrico riesce a far funzionare luci e anche ascensori della clinica.Enrico riesce a ottenere l’interessamento dei potenti, e dopo aver vinto anche la resistenza della chiesa, finisce per imporre la nuova fonte energetica.
Ma da quel momento in poi l’atto sessuale diverrà consono solo alla produzione di energia e verrà bandito dai rapporti ogni genere di affettuosità e di complicità amorosa, svuotando così di fatto il rapporto sessuale.
Conviene far bene l’amore, film del 1975 diretto da Pasquale Festa Campanile, che adattò per lo schermo un suo romanzo, uscì nel periodo più critico per il pianeta, alle prese con una crisi energetica senza precedenti, che vide in poco tempo aumentare a dismisura il costo del petrolio, con conseguenza catastrofiche per le economie mondiali.
Festa Campanile la gettò sul ridere, ottenendo un film quanto meno non usuale, pieno di nudi femminili ma mai volgare e assolutamente lontano dalla commedia erotica.
Agostina Belli è Francesca, Christian De Sica interpreta Daniele
Grazie alle superbe bellezze di Eleonora Giorgi e di Agostina Belli, la moglie ninfomane, grazie anche al buon esordio di un irriconoscibile Christian De Sica, non ancora caratterizzato dal pesante accento romanesco, Festa Campanile ottiene un buon prodotto, che si regge bene grazie anche alla superba prova di Gigi Proietti, uno stralunato, stravagante professor Enrico Nobili, e al cast di buoni attori che compaiono in parti esilaranti, come Adriana Asti, moglie del professor Enrico, Mario Scaccia nella parte di un cardinale, Mario Pisu in quella di un onorevole ecc.
Un film privo di volgarità, come del resto nelle corde del regista, che usa il suo linguaggio visivo fatto di sottile ironia accompagnandosi con una sceneggiatura di buon livello.
Il film resta in bilico tra la commedia leggera e quella impegnata, propendendo però decisamente per la prima; se le battute non sono esilaranti, si ride amaro davanti alla descrizione di una città ridotta a vivere di ricordi.
Bella la scena del rigattiere che vende un lampadario e delle lampadine, alcune fulminate e altre no all’incredibile prof. Nobili, assolutamente certo delle teorie di Reich, tanto da giocarsi il residuo prestigio di cui gode.
Da segnalare la bellissima Agostina Belli, a suo agio anche senza vestiti, nel ruolo più “nudo” che abbia interpretato sullo schermo; la sua innocente malizia è tra le cose migliori del film.
Un film da riscoprire, alla luce della crisi energetica attuale, per riflettere su come 35 anni addietro avessero dovuto fare i conti con gli stessi problemi attuali, risolti da Campanile con una risata ironica e leggera.
Il film è disponibile su Youtube,in una buona versione all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=0MpAIC9jZEw
Conviene far bene l’amore,un film di Pasquale Festa Campanile. Con Mario Scaccia, Christian De Sica, Adriana Asti, Mario Pisu, Agostina Belli, Eleonora Giorgi, Luigi Proietti, Franco Agostini, Quinto Parmeggiani, Pietro Tordi, Oreste Lionello, Gino Pernice, John Karlsen, Armando Bandini, Monica Strebel, Mario Maranzana, Roberto Antonelli, Enzo Robutti, Loredana Martinez, Franco Angrisano, Aldo Reggiani, Franco Mazzieri, Salvatore Puntillo, Pupo De Luca, Leo Frasso, Ettore Carloni, Vincenzo Maggio, Tom Felleghy
Commedia, durata 106 min. – Italia 1975.
Gigi Proietti … Prof. Enrico Nobili
Agostina Belli … Francesca De Renzi
Eleonora Giorgi … Piera
Christian De Sica … Daniele Venturoli
Mario Scaccia … Mons. Alberoni
Adriana Asti … Irene Nobili
Franco Agostini … Dr. Spina
Quinto Parmeggiani … De Renzi
Gino Pernice … Assistente
Mario Pisu … Ministro
Monica Strebel … Angela
Franco Angrisano … Landlord
Regia: Pasquale Festa Campanile
Soggetto: Pasquale Festa Campanile (dal romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Pasquale Festa Campanile, Ottavio Jemma
Fotografia: Franco Di Giacomo
Montaggio: Sergio Montanari
Musiche: Fred Bongusto
Si ride e s’irride, nel film di Festa Campanile (autore anche dell’omonimo romanzo), con giovanile inventiva e ironico moralismo. La fantascienza erotica ha sempre una piega goliardica, e infatti anche qui molti spassi hanno radice in recite studentesche e numeri da avanspettacolo, benché l’idea risalga alle zampette della rana di Galvani; ma le argute e accorate riflessioni che Festa Campanile ne trae partecipano più della polemica con gli scienziati, i tecnologi e i sociologi del progresso che non dell’elogio dei sessuomaniaci. Il nostro autore furbetto, avvertendo con prensile fiuto che cresce la domanda di sentimento e il cipiglio ecologico, si allinea con prontezza, tuttavia senza perdere il suo gusto del piccante.
Il film, così, marcia allegramente in una ghirlanda di gag che coinvolgono satira della scienza e dei potenti, pochade e paradosso, cinema avveniristico e amabili spogliarelli. Vi sono squilibri e ovvietà, e la materia poteva offrire scavi più crudeli, ma l’ambizione non era poi altissima. Giustamente convinto che far ridere non costituisca una colpa, Festa Campanile è un autore per grandi platee. Se talvolta, diciamo anche spesso, è andato troppo sul facile, qui taglia per primo il traguardo, con armi scherzose ma oneste, d’un cinema per liete brigate, infastidite dalle porcheriole e dalle melensaggini. Il film, nonostante l’abbondanza di copule, è una novella pulita, che senza dirvi sul sesso più di quanto sappiate, vi persuade a non sciuparlo col farne un obbligo sociale.
Gli attori s’amano e si divertono. Christian De Sica è ben avviato sul cammino brillante apertogli da papà (colpisce ritrovarvi gesti e inflessioni, emersi dal cinema degli anni Quaranta). Agostina Belli ormai va tranquilla, dolce e graziosa, Eleonora Giorgi si spoglia con vezzi spiritosi, Adriana Asti fa macchia con gran classe, e Mario Scaccia è un esilarante monsignore, scandalizzato ma non troppo. Il peso maggiore è sulle spalle di Gigi Proietti, bravo e svelto nel dare colori assurdi e giocondi al premio Nobel dell’orgasmo. Musiche di Fred, di buon gusto.
Giovanni Grazzini,da Il Corriere della Sera, 13 aprile 1975
Il profumo della signora in nero
Un regista pittore, una trama complessa, dark ma alo stesso tempo affascinante e misteriosa, un’attrice tra le più brave nel genere thriller, una colonna sonora sinuosa, lenta, affascinante e avvolgente, una fotografia che sembra presa di petto da tele espressioniste; mescoliamo tutto e avremo un risultato cinematografico di eccellenza, un’opera tra le più affascinanti e complesse del cinema degli anni settata.
La storia di Silvia, una giovane dottoressa in chimica, sospesa tra normalità e follia, in un complesso gioco di luci e ombre, dove è difficile capire cosa sia la realtà, se poi di realtà si può parlare, è un pretesto; il pretesto per affrontare, visivamente, un gioco di luci, di ombre, di penombre.
Barilli ha una concezione del cinema raffinata come una tela metafisica; ogni singolo fotogramma del film va analizzato e metabolizzato, inserito in un contesto globale che alla fine va rismontato, perchè porta a infinite vie, non a una soluzione univoca. Così, la trama portante, ovvero il trauma subito da Silvia, che ha assistito da piccola ad una torbida scena di sesso tra la mamma e il compagno, finisce per mescolarsi al complotto che sembra stringere come un laccio la ragazza, con quei volti che si sovrappongono; gli africani, la medium cieca, il vicino di casa che da ai suoi gatti da mangiare cibo con dentro un sito umano.
La causa scatenante del trauma di Silvia
Un complotto che però immaginiamo, ma del quale non abbiamo certezza; perchè la mente di Silvia vacilla, ondeggia, come quel volto di donna che ogni tanto appare, come un profumo che lo spettatore non può immaginare, perchè il cinema non ha una memoria olfattiva, ma che sembra aleggiare nei fotogrammi, quasi a rendersi tangibile.
Mimsy Farmer è Silvia, Lara Wendel è la bambina misteriosa
Cosa è reale e cosa no, in questo film? Forse è reale l’africano, che con tono serio dapprima e scherzoso alla fine, dice “Laggiù nel nostro paese esistono ancora alcune sette che ogni anno scelgono delle vittime a loro insaputa. Con fatture terribili e pratiche demoniache li portano alla follia…e alla morte. E’ una sfida alla morte, all’occulto, alle tenebre e la vittima morirà con un antico sacrificio. Occorre tempo… e pazienza… per entrare in un cervello. E’ una prova di forza mentale dell’uomo contro la sua debolezza. Ah ah ah ah! Le ho fatto paura? Stavo solo scherzando, signorina Silvia….”
Così come reale (forse) è il vecchio amante della mamma, che la segue fino alla vecchia casa dove abitava da bambina, che cerca di stuprarla, e che Silvia uccide con un colpo di sasso alla testa. Di reale ad un certo punto sembra esserci solo la follia che possiede come un demone, minuto dopo minuto, la fragile mente di Silvia, catapultandola attraverso esperienze, visioni, incontri, che sembrano frutto del sogno, o, specularmente della dimensione dell’incubo. Questa è solo una delle chiavi di lettura del film; ognuno può in effetti leggerci quello che crede, guardare ad esso come il semplice racconto della deriva della personalità della protagonista, oppure vederci un thriller un tantino elaborato e forse incomprensibile.
Ma nessuno può dire di restare deluso dall’accavallarsi delle immagini, costruite con arte e perizia, e rese scenograficamente con grande abilità e mestiere. semplicemente perfetta è Mimsy Farmer, grande attrice alle prese con un ruolo complicatissimo e di difficile resa. Compito svolto alla perfezione, perchè è proprio il personaggio di Silvia a creare inquietudine, sorpresa, sgomento. Un personaggio inafferrabile, perso in un mondo inaccessibile, siderale.
Un film bello, straordinariamente bello; i pochi ad averlo stroncato sono i soliti scribacchini che al cinema andavano a sorbirsi film cecoslovacchi con sottotitoli in coreano. Quelli, cioè, che dal cinema ricavano l’unica cosa che per loro conta davvero: uno stipendio. Un cenno agli attori, tutti in stato di grazia; l’enigmatico Mario Scaccia, il perfido e laido Orazio Orlando, la bella Carla Mancini, sempre ad alto livello nelle sue interpretazioni. E poi lei, la citata Farmer; non bella, ma magnetica e felina come poche altre.
Il profumo della signora in nero, un film di Francesco Barilli. Con Mario Scaccia, Mimsy Farmer, Maurizio Bonuglia, Orazio Orlando,Carla Mancini, Renata Zamengo, Nike Arrighi
Drammatico, durata 101 min. – Italia 1974.
Mimsy Farmer: Silvia
Renata Zamengo: sua madre
Maurizio Bonuglia: Roberto
Mario Scaccia: Rossetti
Orazio Orlando: Nicola
Carla Mancini: Elisabetta
Luigi Antonio Guerra: suo collega
Donna Jordan: Francesca
Lara Wendel (accreditata come Daniela Barnes: bimba
Margherita Horowitz (non accreditata): Signora Lovati
Regia Francesco Barilli
Sceneggiatura Francesco Barilli, Massimo D’Avack
Produttore Euro International Film
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Mario Masini
Musiche Nicola Piovani
Scenografia Franco Velchi
Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Notevole opera prima, pittoricamente impeccabile e capace di momenti finissimi (la Farmer che scrive con grafìa infantile fa venire i brividi): imperdibile. Bellissima la colonna sonora di Piovani. Il favoloso palazzo in cui abita la Farmer è a Roma, in Piazza Mincio. Questo di Barilli è uno dei film in cui il ruolo di Carla Mancini è visibilissimo.
Leggenda vuole che il soggetto di questo “gioiello” del brivido italiano nasca da una reale esperienza (sei mesi vissuti in Congo) del regista: esperienza maturata perché inizialmente Barilli fu scritturato per la sceneggiatura de Il paese del sesso selvaggio (poi diretto da Umberto Lenzi). Su commissione l’autore modificò l’idea iniziale basata su un soggetto “impegnato” a favore di un “dramma” ispirato a Rosemary’s Baby. Da segnalare la presenza del bravo caratterista Mario Scaccia. Ottimo.
Non solo è ossessionata da cupi ricordi dell’infanzia che si materializzano attorno a lei, ma c’è un qualche strano complotto che la circonda. Film inquietante, calato in un’atmosfera di mistero che la rivelazione finale genialmente accresce anziché sciogliere. Un mistero che avvolge ogni persona, ogni luogo e ogni oggetto, grazie a una notevole sensibilità registica che sa ben miscelare visioni, suoni, presenze (con un’efficace Mimsy Farmer ben spalleggiata dal resto del cast) in un malsano ritmo avvolgente. Un’ottima opera prima.
Elegante, raffinato thriller psicologico-cannibalico, debitore di Polanski (l’edifico e i condomini à la Rosemary’s Baby), ma anche creditore (il pre-finale, che precorre L’inquilino del terzo piano). La Farmer è protagonista nel ruolo che le riesce meglio, grazie al suo volto angelico-demoniaco e l’ottimo Scaccia è inquietante nella sua affabilità. La Farmer da piccola è interpretata da una biancovestita e “baviana” Lara Wendel.
Splendido thriller, di chiara matrice polanskiana, con venature horror e finale gustosamente grandguignolesco. Il film ha un ritmo che, sebbene non sia teso e frenetico, avvolge lentamente lo spettatore tessendo attorno a lui una ragnatela vischiosa da cui è impossibile liberarsi. Barilli è anche molto bravo nel creare un clima di crescente mistero attorno alla protagonista che, gradualmente accerchiata, sprofonderà sempre più in un baratro di orrore fino allo sconvolgente ed inaspettato finale. Una piccola perla da non mancare assolutamente.
Buon esordio cinematografico di Francesco Barilli, indubbiamente debitore verso Roman Polanski, che a suo tempo fu massacrato dalla critica ufficiale. Il ritmo lento non impedisce alla pellicola di creare un buon clima di tensione e l’interpretazione di Mimsy Farmer è degna di nota. Da segnalare la bellissima fotografia ad opera di Mario Masini. Purtroppo Barilli dopo questo film firmò solo Pensione paura per poi sparire praticamente dalla circolazione. Merita sicuramente almeno una visione.
Macabro e poetico. Barilli confeziona con cura un bell’horror-thriller molto psicologico, dove realtà e finzione si mescolano, senza rinunciare a momenti splatter (il finale da inserire negli annali tra i finali più inquietanti). Brava la Farmer, notevole anche Scaccia, parti molto più visibili del solito per i due CSC, la Mancini e Guerra. Da citare la scena nella casa abbandonata. Molto bello, buone musiche. Consigliato.
Ottimo film. La regia è straordinaria e riesce a creare un clima onirico e sottilmente angosciante, aiutata della bellissima fotografia. Peccato soltanto per la totale mancanza di ritmo, che spesso porta alla noia. Nell’ultimo quarto d’ora comunque siamo dalle parti del capolavoro. Bravissima Mimsy Farmer e ottima la colonna sonora. Da vedere sicuramente.
Un filo di tensione caratterizza la pellicola ma alla lunga è troppo labile per far veramente presa. Complice una direzione degli attori poco brillante (la stessa Farmer percorre l’intero film con poca convinzione). Barilli ha il merito di non sconfinare nell’effettaccio e tentare piuttosto una strada psicologica, ma lo fa senza graffiare e perdendosi su elementi poco credibili tipo la magia nera. Meritano invece le musiche di Piovani e la scelta degli ambienti. Polanski rimane lontano.
Interessante anche se con un leggerissimo velo di “fuffa” questo horror che di Argento non ha quasi nulla. Siamo, come tutti dicono, dalle parti di Polanski ma nessuno ricorda Repulsion, che c’entra molto con la paranoia della Farmer. Graficamente ad altissimi livelli, malinconico come pochi thriller italiani, grazie alle belle musiche di Piovani, in cui Morricone si fonde al suo stile placido e melanconico che troveremo in Moretti. Sì, la sceneggiatura è improbabile, ma il fascino c’è tutto e i tempi morti sono una marcia in più. Interessante, suggestivo.
Thriller psicologico molto lento quasi cadenzato e soprattutto angosciante, anche se non va mai a culminare nella paura vera e propria. La protagonista è azzeccata nel ruolo della donna fragile e repressa, tutto il cast di contorno invece non ha molta importanza, se non quando i nodi verranno al pettine. Sceneggiatura contorta, probabilmente va interpretata; finale spiazzante assolutamente non prevedibile.
Notevole horror, pesante e malsano, psicologico… anzi di più. La mente è vittima e cerca di difendersi fino alla fine dagli attacchi del male, sempre più ardito e diabolico nella sua azione. Le implicazioni sociali sono irrilevanti, mentre il contrasto tra il moderno vissuto e l’antico tenuto in sordina, ma pronto a manifestarsi a preparazione ultimata, è davvero ben esplicitato. Il finale è molto originale, lascia stupefatti e nega tutte le supposizioni elaborate durante la visione. Menzione speciale per Mimsy Farmer, specialissima per Jho Jhenkins.
Una Roma estiva, semideserta, uno splendido palazzo liberty al Coppedé, la bellezza diafana e ambigua di Mimsy Farmer, una storia di traumi sepolti, paranoia e vampirismo. Un po’ lento all’inizio, poi si rimane piacevolmente avvolti nell’annebbiamento dei confini tra passato e presente, tra realtà e incubo, tra persecutori e vittime… Echi polanskiani evidenti, ma declinati in maniera originale in un ottimo psico-thriller-horror.
Come esordio è senz’altro formidabile. La fotografia e i colori sono bellissimi. Il soggetto è sicuramente originale e distante dalle mode del periodo. Buone anche le interpretazioni. Eppure nell’insieme qualcosa non mi convince: la storia non appassiona, troppo cerebrale e poco credibile. Complessivamente risulta un po’ forzato, anche nella soluzione finale.
Sinistro e visionario (emblematica la citazione di Alice nel paese delle meraviglie), trova in inattese scene d’orrore il corrispettivo della sua morbosità psicologica. Penalizzato dal famoso confronto con Polanski, ma Barilli sembra averne pienamente personalizzato la poetica: tant’è che se i rimandi a Rosemary’s baby sono riconoscibilissimi, qui addirittura si anticipano alcune suggestioni de L’inquilino del terzo piano. Cast azzeccato, musiche stupende, set naturali: un film straordinario.
Protagonista è la meravigliosa Mimsy Farmer nei panni di Silvia Hacherman, una giovane donna fragile ed un poco paranoica ossessionata dal ricordo della madre, morta in circostanze che per buona parte del film appaiono misteriose. La narrazione sembra procedere con una certa lentezza, quasi alla Polanski, ma il finale dà un senso a questa scelta. L’elegantissima regia del poco prolifico Barilli, interpreti di contorno azzeccatissimi e una confezione di buon taglio fanno il resto.
Ottimo esordio alla regia per l’attore Francesco Barilli, che punta troppo in alto sbirciando su Rosemary’s Baby ma dimostrandosi comunque indubbiamente all’altezza. Buona la direzione del cast, con un ottimo e sornione Scaccia e una bravissima Farmer sanguinaria ma infantile al tempo stesso che compie un percorso psicologico interessante. Tanta la suspence, soddisfacenti le scene di sangue e letteralmente sbalorditiva la fotografia; peccato per la scarsa sceneggiatura. Uno dei migliori horror italiani. Voto: ****.
La prima volta che lo vidi ne rimasi scioccato, infino impietrito. Poi, rivedendolo, mi accorsi di come questo capolavoro acquistasse i toni di una terrificante fiaba nera (la Farmer e lei stessa bambina – Lara Vendel – che non a caso leggono Alice nel paese delle meraviglie). La Roma agostiana e disabitata, poi, aumenta l’angoscia. Credo che Barilli avesse in testa l’Images altmaniano arrivando, quasi, ad eguagliarlo. Il finale, poi, è qualcosa di veramente terrificante e scioccante. Uno dei migliori horror degli anni ’70, italiani e non.
Non può non rimandare per molti versi a Polanski questa pellicola eppure, nonostante il suo evidente debito verso tale regista, riesce ad acquistare una dimensione tutta sua grazie a una protagonista in parte (una discreta Mimsy Farmer), uno score musicale appropriato e atmosfere estremamente ambigue e sottilmente angosciose. La storia regge bene nonostante qualche pesantezza qua e là e il finale, per quanto enigmatico, sferra un colpo di frusta allo spettatore.
Opera prima di Barilli e del Maestro Nicola Piovani. Formidabile. Uno degli horror italiani più affascinanti di sempre, ben diretto e con una fotografia che per certi aspetti sembra anticipare le cromìe di Tovoli in Suspiria; in molti frangenti sembra di essere dentro un quadro… Angosciante, claustrofobico, malsano, inquietante. Il ritmo è lento e sinuoso come un serpente e aumenta d’intensità negli ultimi meravigliosi 20 minuti che conducono lo spettatore all’incubo di un finale raggelante e indimenticabile. Un film affascinante.
Affascinante nero gotico che vira presto nell’horror, in cui un racconto non nuovissimo, di complotti e vicini, diventa l’occasione per Barilli di un raffinato esercizio di stile, in cui più che l’orrore e la violenza conta la paura strisciante, l’angoscioso isolamento della protagonista coi suoi fantasmi, l’impossibilità – anche per lo spettatore – di conoscere il reale. E che culmina in 20′ finali d’antologia. Adeguata Mimsy Farmer.
Splendido e angosciante, claustrofobico, opprimente e pure esoterico. Un film che mi ha fatto venire spesso i brividi e che lascia l’amaro in bocca per un finale che, candidamente, ammetto di non capire. L’incubo e la malattia mentale dell’ottima Farmer escono fuori piano piano ma sono niente di fronte ai vicini e conoscenti che si dimostreranno ben più efferati di lei.
L’Anticristo
Una giovane rampolla della nobiltà romana, Ippolita Oderisi, rimasta parzialmente priva dell’uso delle gambe da bambina, dopo un incidente stradale nel quale è morta la madre, inizia ad essere perseguitata da strani sogni. Un giorno suo padre e suo cugino decidono di farla visitare da uno psicologo, che la sottopone ad una seduta di ipnosi regressiva.
Carla Gravina
Così Ippolita rivive dapprima il terribile incidente che le è costato l’invalidità, e subito dopo frammenti di una vita precedente di 400 anni. Rivive così la terribile esperienza di Ippolita, l’antenata omonima, che decise di aderire ad una setta satanica, e che perciò, dopo essere stata posseduta dal diavolo, venne condannata al rogo dall’inquisizione, riuscendo a pentirsi però in punto di morte. Dal momento della seduta di ipnosi, la personalità di Ippolita inizia a trasformarsi: la ragazza mostra evidenti segni di insofferenza per il legame che unisce il padre alla nuova compagna, inizia a comportarsi in maniera differente, e alla fine si alza dalla sedia a rotelle.
Anita Strindberg
Mentre i famigliari gioiscono per l’improvvisa guarigione, Ippolita mostra sempre più i segni della possessione diabolica. Un giorno, durante una visita alle catacombe, seduce e poi uccide un giovane studente. Da quel momento la presenza del maligno diventa sempre più evidente; nonostante tutto la famiglia prova a curarla con i metodi tradizionali, ma senza risultato.
Nella ricca casa dove la ragazza vive si succedono episodi inquietanti, con oggetti che volano, con Ippolita che parla in lingue sconosciute, mostrando i segni di un’alterazione profonda della personalità.A questo punto, dopo una violenta discussione tra Ippolita e il padre, durante la quale quest’ultimo ricava la certezza che la figlia è posseduta dal diavolo, viene deciso di rivolgersi alle autorità religiose. Sarà Ascanio, zio della ragazza, alto prelato, dapprima scettico, a rendersi conto che il demonio si è impadronito della ragazza. Viene perciò autorizzato l’esorcismo……
L’anticristo, film del 1974, girato da Alberto De Martino, segue di un anno l’uscita del più famoso L’Esorcista; pur pagando dazio in alcune scene ( il vomito verde, la levitazione, gli oggetti che volano, l’anziano prete che pratica l’esorcismo), mostra comunque una sua linea particolare, e si caratterizza sopratutto per il buon cast e per la strepitosa prova offerta da Carla Gravina, all’epoca attrice molto in auge grazie a nuerose partecipazioni a film di ottima fattura e alla partecipazione indimenticabile al serial tv Il segno del comando. Ancora una volta vale segnalare la miopia dei critici italiani, che lo bollarono come prodotto mediocre. Valga per tutti la solita, ineffabile recensione del Morandini: “Giovane patrizia romana, paralizzata alle gambe dall’età di 12 anni, è affidata alle cure di un medico, ma la scienza è impotente perché, oltre a un complesso edipico e un legame incestuoso col fratello, c’è una possessione diabolica. Interviene un frate tedesco, esorcista autoritario. Goffo e squallido prodotto autarchico di imitazione della moda soprannaturale hollywoodiana (L’esorcista, 1973) con palesi scopi di erotismo pecoreccio.”
Se è vero che c’è qualche scena di nudo, peraltro limitata, il film ha una sua storia molto interessante, oltre a valersi di effetti scenici credibili, tenendo conto del budget sicuramente limitato rispetto a quelli disponibili ad Hollywood. Da segnalare la vigorosa prova degli attori, tutti all’altezza, fra i quali spiccano, oltre alla citata Gravina, la sempre bella Anita Strindberg, nel ruolo dell’amante del padre di Ippolita, di Alida Valli, la anziana tata di Ippolita, di Mel Ferrer nel ruolo del padre, di Arthur Kennedy nei panni dello zio Ascanio, di Umberto Orsini in quelli dello psicologo, di Filippo Oderisi. Piccoli camei per Mario Scaccia e Gloria Guida.
L’anticristo, un film di Alberto De Martino. Con Mario Scaccia, Umberto Orsini, Carla Gravina, Mel Ferrer, Arthur Kennedy.George Coulouris, Alida Valli, Ernesto Colli, Vittorio Fanfoni, Remo Girone, Anita Strindberg Drammatico, durata 115 min. – Italia 1974
Carla Gravina: Ippolita Oderisi
Mel Ferrer: Massimo Oderisi
Arthur Kennedy: Ascanio Oderisi
George Coulouris: Padre Mittner
Alida Valli: Irene
Mario Scaccia: Padre Healer
Umberto Orsini: Dr. Marcello Sinibaldi
Anita Strindberg: Greta
Ernesto Colli: il posseduto
Beatrice De Bono
Vittorio Fanfoni
Remo Girone: Filippo Oderisi
Luigi Antonio Guerra
Gloria Guida:
Lea Lander: Mariangela
John Francis Lane
Bruno Tocci: un amico del posseduto
Regia Alberto De Martino
Sceneggiatura Gianfranco Clerici, Alberto De Martino e Vincenzo Mannino
Produttore Edmondo Amati
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Vincenzo Tomassi
Effetti speciali Giovanni Corridori, Alberto De Martino
Musiche Ennio Morricone e Bruno Nicolai