La prima notte di quiete
Valerio Zurlini è stato uno dei registi più delicati e poetici della cinematografia italiana.
La morte lo ha colto nel 1982 a soli 56 anni, quando era nel pieno della maturità artistica e stranamente era assente dal cinema da diverso tempo.
La prima notte di quiete, da lui diretto nel 1972, è un film di straordinaria intensità e drammaticità, girato come un noir esistenzialista che sembra andare oltre gli schemi rigidi di un genere abbracciandone diversi e trasformatosi nel corso degli anni a venire in un vero e proprio cult indicativo di un’epoca in cui registi coraggiosi non avevano alcuna paura a mettere in scena temi scomodi o pericolosi dal punto di vista commerciale.
Questo film è un viaggio introspettivo e attento alla ricerca di un uomo che sembra scampato suo malgrado all’affondamento di una nave nella quale era imbarcato come passeggero solitario e assente, quasi un’ombra scampata già in precedenza a qualcosa di indefinito e misterioso che lo ha segnato per sempre.
Alain Delon e Lea Massari
Un viaggio fatto con perizia, attraverso immagini delicate e malinconiche, avvolte in una sottile nebbiolina che sembra simboleggiare un passato sconosciuto e un divenire che seguiamo con interesse mentre osserviamo il professor Daniele Dominici lasciarsi vivere in una Rimini tetra e uggiosa, popolata da un’umanità a tratti insopportabile nei suoi difetti e nelle sue alienazioni.
Chi è Daniele?
E’ un post sessantottino, a giudicare dal look trasandato.
Oppure è un seguace di Beaudelaire e di Rimbaud, visto che gira sempre infagottato in un cappotto, ha la sigaretta tra le labbra dalla quale sembra non aspirare, ha la barba lunga di qualche giorno e l’aspetto triste e malinconico.
Insegna letteratura, e tra i suoi alunni l’unica ad incuriosirlo perchè un po gli assomiglia è l’enigmatica e sfuggente Vanina.
Alida Valli
L’approccio di Daniele con la società riminese è quanto di più superficiale possa esistere: si limita a frequentare un gruppo che divide le sue nottate tra gioco d’azzardo e droga, tra alcool e interminabili sedute al tavolo verde in fumose stanze.
Del gruppo fanno parte l’amante di Vanina, Gerardo Pavani, un piccolo gangster e Giorgio, uomo sensibile e colto che maschera i suoi pregi dietro una patina di superficialità.
Tra Daniele e Vanina poco alla volta sembra nascere qualcosa; i due condividono la passione per l’arte e sentono fortissima l’attrazione reciproca.
Una sera, a casa di Giorgio, per rompere la noia viene proiettato un filmino amatoriale nel quale la protagonista è Vanina.
La ragazza è ripresa nei momenti di una sua vacanza a Venezia; ad un certo punto, nel filmino, compare la ragazza completamente nuda e a questo punto Vanina interrompe la proiezione e scappa via.
Invano Daniele la cerca in classe e fuori. La ragazza sembra svanita nel nulla.
La cerca a casa sua dove incontra la madre, una donna dura come l’acciaio che l’invita perentoriamente a scordarsi sua figlia e contemporaneamente mette in crisi il rapporto che lo lega a Monica, la donna che per dieci anni lo ha seguito ed amato arrivando ad abbandonare la famiglia per lui.
Lea Massari
Daniele è anche un mistero per Giorgio, l’unico che sembra legato a lui da un rapporto d’amicizia;quando Giorgio rinviene casualmente una raccolta di poesie di Daniele dedicate ad una ragazza morta suicida, chiede all’amico il perchè del titolo della raccolta stessa, La prima notte di quiete.
Evasivamente, Daniele risponde che La prima notte di quiete è quella in cui finalmente si dorme sereni, senza sogni.
Alla fine è Vanina a mettersi in contatto con lui.
I due trascorrono una notte d’amore in una casa in riva al mare, dove però giunge Gerardo.
L’uomo per vendicarsi racconta il sordido passato di Vanina: la ragazza veniva venduta da sua madre a clienti facoltosi e fra i suoi amanti c’erano anche le donne del gruppo frequentato da Gerardo e Giorgio.
Daniele scopre di amare quella ragazza sfortunata e progetta la fuga con lei.
Ma è destino che le cose debbano andare in maniera molto differente.
Il finale è ovviamente drammatico, così come drammatico è lo svolgimento della storia e drammatica è la vicenda umana di Vanina, una ragazza dal passato terribile.
Vittima di una madre degenerata e di un gruppo di depravati, Vanina a perso molte delle illusioni e la sua ingenuità in età giovanile, in quell’età in cui si coltivano sogni che purtroppo l’alba dissolverà impietosamente.
La scoperta del passato della ragazza è una delle chiavi di volta del film, anche se non la più importante.
Il personaggio centrale è comunque Daniele, l’uomo dal passato oscuro che serba sorprese all’amico Giorgio in un finale in cui finalmente la sua figura emerge dalla nebbia per restituirci la sua autentica dimensione.
Non voglio parlare proprio del finale, lasciando allo spettatore il compito di seguire fino alla fine il percorso umano di Daniele, che alla fine si staglia su tutto nella sua esatta dimensione umana.
Se la figura di Vanina poco a poco scompare, lasciando spazio proprio alla vicenda umana di Daniele, vediamo apparire sullo sfondo il ritratto di una società provinciale sordida e amorale.
Così la vicenda umana di Daniele incrocia fatalmente la Rimini dei vitelloni nullafacenti, impegnati in serate vuote e vacue come i loro discorsi.
E’ una Rimini viziosa e oziosa, quella della buona società.
Una società in cui valori fondamentali come amicizia e rispetto sono cose senza pregio alcuno, in cui dominano i personali egoismi e le meschinerie, l’appagamento del proprio ego e delle proprie depravazioni.
Daniele attraversa come un fantasma la vita delle due principali istituzioni sociali, ovvero la scuola e le relazioni pubbliche.
Agli studenti insegna senza entusiasmo, quasi disilluso sia dal suo ruolo sia dalla responsabilità di dover trasmettere il sapere a dei giovani che sembrano interessati ad altro mentre nella vita mondana è attorniato da persone che non stima, fatta eccezione per Giorgio.
Ma anche Daniele ha da farsi perdonare e lo scopriamo man mano che la storia segue i binari paralleli del suo quotidiano; il rapporto con Monica, la sua donna, finisce per lacerarsi senza un vero perchè. Forse è monotonia, forse è il nuovo amore per Vanina, fatto sta che anche lui non si esime dall’atto moralmente riprovevole di tradire la sua donna.
La vita di Daniele, quella di Vanina, quella di Giorgio e degli altri: vite vissute all’ombra di una cittadina, Rimini, malinconicamente immersa in un’atmosfera addormentata e molle.
Una Rimini uggiosa e plumbea in perfetta linea con i caratteri dei personaggi.
In perfetta sintonia con la storia raccontata.
Su questo film di Zurlini ci sarebbe da dire ancora tantissimo, tante sono le riflessioni che pone la storia e il percorso umano di Daniele.
Il regista bolognese crea un film indimenticabile costruito abilmente anche nel cast, che vede una maiuscola prestazione attoriale da parte di Alain Delon.
L’attore francese è nel periodo migliore della sua carriera; ha appena interpretato il personaggio di Jean nello splendido noir francese L’evaso e di li a poco avrebbe interpretato film di ottimo livello come L’assassinio di Trotzky, Due contro la città e Toni Arzenta.
Delon dimostra ancora una volta di essere un grande attore, particolarmente a suo agio nei ruoli drammatici, dando vita alla caratterizzazione tutt’altro che semplice di Daniele.
Al suo fianco, la quasi esordiente Sonia Petrova che interpreta Vanina.
L’attrice francese è una piacevole sorpresa, anche se la sua carriera successiva non la valorizzerà quanto avrebbe meritato.
Nel cast troviamo un ottimo Giancarlo Giannini nel ruolo dell’amico Giorgio, una intensa e sempre affascinante Lea Massari nel ruolo di Monica, la solita sicurezza rappresentata da Adalberto Maria Merli nei panni di Gerardo e ancora due grandissimi come Salvo Randone e Alida Valli.
Piccole parti per alcune attrici che avranno una discreta visibilità nel corso degli anni successivi, ovvero Olga Bisera, Patrizia Adiutori, Krista Nell e la brava Nicoletta Rizzi.
Il tema portante del film è la splendida Domani è un altro giorno di Ornella Vanoni, mentre sicuramente affascinanti sono le musiche di Nascimbeni.
La prima notte di quiete è un grandissimo film che trasmette emozioni; in una personalissima classifica tra i primi venti film italiani di sempre lo inserirei senza dubbio alcuno.
La prima notte di quiete
Un film di Valerio Zurlini. Con Giancarlo Giannini, Alain Delon, Lea Massari, Alida Valli, Renato Salvatori, Adalberto Maria Merli, Sonia Petrova, Salvo Randone, Sandro Moretti, Krista Nell, Fabrizio Moroni, Nicoletta Rizzi, Roberto Lande, Patrizia Adiutori, Carla Mancini Drammatico, durata 132 min. – Italia 1972.
Alain Delon: Daniele Dominici
Sonia Petrova: Vanina Abati
Giancarlo Giannini: Dott. Giorgio Mosca, detto “Spider”
Lea Massari: Monica, compagna di Dominici
Adalberto Maria Merli: Gerardo Pavani
Salvo Randone: il preside
Alida Valli: Marcella Abati
Renato Salvatori: Marcello
Nicoletta Rizzi: Elvira
Regia Valerio Zurlini
Soggetto Valerio Zurlini
Sceneggiatura Enrico Medioli, Valerio Zurlini
Produttore esecutivo Averroè Stefani
Casa di produzione Mondial TE.FI., Roma – Adel Films (Alain Delon), Parigi
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Dario Di Palma
Montaggio Mario Morra
Musiche Mario Nascimbene
Scenografia Enrico Tovaglieri
Costumi Luca Sabatelli
Trucco Amato Garbini
Il flano del film
La bellissima copertina della soundtrack del film
La locandina della versione spagnola del film
Il sorriso del grande tentatore
Allo scrittore italiano Roberto Solina arriva una richiesta di aiuto abbastanza inusuale; si tratta dell’invito del prelato polacco Monsignor Badenski che gli chiede di scrivere una memoria difensiva che gli permetta di spiegare le sue attività e il suo pensiero alle autorità ecclesiastiche che lo stanno giudicando.
Monsignor Badenski è ospite di un istituto religioso retto con dura disciplina da Suor Geraldine, alle prese da un lato con altri ospiti dell’istituto (tutti da prendere con le molle), dall’altro con dure esigenze di bilancio e di obbedienza ai suoi superiori.
Solina conosce così i vari ospiti, tutti molto differenti tra loro ma accomunati dalla necessità da parte delle autorità religiose di tenere separati gli stessi dalla comunità civile.
Conosciamo così Marcos, anziano prelato confinato nell’istituto per aver sposato la causa dei patrioti cubani e di Fidel Castro, il leader comunista e ateo; il professor Villa considerato un eretico per le sue idee ortodosse, Ottavio Ranieri di Aragona nobile e principe messo da parte e nascosto alla vita sociale per essersi innamorato di sua sorella, Emilia Contreras (che amministra l’istituto stesso) accusata di aver fatto uccidere suo marito da un guerrigliero del suo paese del quale si era innamorata.
E ancora Monsignor Badenski stesso, accusato di aver collaborato con il partito nazista.
Gabriele Lavia è Ottavio, Adolfo Celi padre Morelli
Il gruppo si ritrova sotto la guida spirituale della rigida suor Geraldine, che li tratta come peccatori da ravvedere usando gli strumenti più rigidi della religione, come il digiuno e la mortificazione del corpo in aggiunta ad una sorta di terapia di gruppo nella quale è aiutata da un altro prelato, Monsignor Morelli.
L’universo dei rinchiusi, come potremmo definirli, visto che non sono arbitri delle proprie vite nonostante suor Geraldine si affanni a dichiarare la loro assoluta libertà allo scrittore Solina, vive quindi un’esistenza monotona scandita dalle regole dell’istituto stesso.
Ma gli ospiti convivono con i loro sensi di colpa, che sono presenti in essi in maniera più o meno evidente: la presenza di Solina altera l’equilibrio precario degli stessi, perchè l’uomo ha una coscienza critica sviluppatissima, da laico che guarda con fredda oggettività alla situazione del gruppo eterogeneo con cui è venuto a contatto.
Le contraddizioni delle varie personalità esplodono in maniera differente; il principe Ottavio, consumato dal senso del peccato che non gli appartiene, perchè lui sente amore vero per sua sorella, l’amore terreno e carnale, romantico e passionale ma condannato dalle leggi della morale alla fine sceglie di risolvere i suoi problemi con l’unica via di fuga che gli resta, il suicidio.
Poco alla volta i vari “pensionanti” scelgono di allontanarsi da quel luogo, quasi siano riusciti a prendere coscienza del loro stato.
Va via Marcos, l’uomo che credeva davvero nella rivoluzione dei barbudos e va via anche Badenski che in realtà non è colpevole ma che ha cercato in ogni modo di salvare delle vite.
Emilia si lega morbosamente a Solina, ma alla fine lo abbandona.
E quando Solina torna nell’istituto per chiedere spiegazioni alla donna, ha l’amara sorpresa di ritrovare tutti i vecchi ospiti ritornati all’ovile.
L’istituto è per loro ormai l’unica casa rimasta e fuori da esso si sentono persi.
La società civile sembra a loro aliena e senza le ali protettrici della chiesa, delle sue regole, di suor Geraldine non sanno ormai più vivere, quasi fossero degli uccelli in gabbia rinchiusi da tanto di quel tempo da non saper più volare all’esterno.
Il condizionamento morale e psicologico delle regole ecclesiali ha quindi vinto anche sul senso di libertà, sul libero arbitrio di ognuno di loro.
Così Roberto Solina capisce che i suoi tentativi di risvegliare un minimo di coscienza individuale in loro è perfettamente inutile e dopo aver rifiutato ovviamente di entrare a far parte del gruppo, lascia quel posto angoscioso e appena all’aperto si reca ad una fontana per dissetarsi lungamente, quasi a simboleggiare il bisogno di pulizia che si è impadronito di lui.
Glenda Jackson
Il sorriso del grande tentatore, opera di Damiano Damiani datata 1973 è un coraggioso anche se imperfetto tentativo di denunciare l’abbraccio mortale della chiesa e della sua morale verso chi tenta solamente di provare a vivere e ragionare con la propria testa.
Coraggioso perchè denuncia con forza, attraverso i dialoghi e le immagini dei poveri reclusi dell’istituto usando un linguaggio espressivo ben dosato e calibrato, imperfetto perchè realizzato attraverso l’introduzione di troppi personaggi che finiscono per appesantire il tutto e renderli meno concreti e più indistinti. Le varie psicologie sono per forza di cose affrontate con troppa superficialità, essendo i vari protagonisti portatori di storie dolorose e meritevoli di maggior approfondimento.
Ma se questo è un limite, non inficia di certo il risultato finale, che è robusto e interessante, di grande vigoria e ben calibrato.
Ely Galleani
Damiano Damiani, uno dei registi più coraggiosi e impegnati del cinema italiano, affronta dopo lo scottante tema della mafia (Il giorno della civetta, Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica), quello della giustizia imperfetta (L’istruttoria è chiusa: dimentichi), quello della giustizia fascista ipocrita e perbenista che condanna l’innocente Girolimoni solo perchè il regime non può mostrarsi fallace, affronta dicevo un tema scomodo come quello della libertà di coscienza di fronte alle leggi ferree della dottrina religiosa.
Lo fa attraverso un linguaggio non velleitario, che lascia il segno pur nei limiti sopra evidenziati.
Lo fa con un film robusto e ben congegnato nel quale si mette in mostra un sorprendente Claudio Cassinelli che riveste i panni dello scrittore Roberto Solina laico e illuminista contrapposto alla logica spietata, tutta di parte di suor Geraldine interpretata splendidamente da Glenda Jackson. E Damiani deve ringraziare anche gli attori co protagonisti del film, come l’ottimo Gabriele Lavia che tratteggia splendidamente la dolente e drammatica figura del principe Ottavio Ranieri d’Aragona che sceglierà coscientemente di porre termine alla sua vita consumato dai sensi di colpa per l’amore provato nei confronti della sorella Alessandra, la brava Sara Sperati.
Ancora, da citare le ottime prove di Arnoldo Foa (il dolente monsignor Badensky), di Adolfo Celi nei panni dell’aiutante di suor Geraldine padre Borelli, e infine la presenza garbata di Ely Galleani nel ruolo della fidanzata di Roberto.
Citazione e menzione per Lisa Harrow, la dolente Emilia Contreras, donna incapace di sfuggire al suo passato e che più di tutti sembra aver bisogno dell’abbraccio mortale di Santa Madre Chiesa.
Glenda Jackson è Suor Geraldine, Lisa Harrow è Emilia Contreras
Il sorriso del grande tentatore è un film presso che invisibile sui circuiti televisivi per cui se riuscite a trovarne copia sul web godrete della visione di una pellicola che sicuramente non vi deluderà.
In ultimo cito l’imbarazzante recensione dell’ineffabile Morandini : il giudizio che riporto la dice tutta sul modo in cui l’enciclopedia cinematografica ahimè più diffusa vede (in maniera parziale e preoccupante) molte opere degne di ben altro rilievo da parte dei suo recensori.
Recita il Morandini: “Scontro simbolico – con finale alla pari – tra la superiora di un convento e il diavolo nei panni di un giovane scrittore. Rapporti tra Chiesa e nazismo, psicanalisi di gruppo, incesto, affarismo ecclesiastico e chi più ne ha più ne metta. Film ambizioso pieno di motivi non sempre approfonditi. Curiosa incursione di D. Damiani nella tematica spiritualista: un tentativo di volo con molto piombo nelle ali.”
A voi la sentenza, come giusto sia.
Il sorriso del grande tentatore, un film di Damiano Damiani. Con Adolfo Celi, Glenda Jackson, Claudio Cassinelli, Lisa Harrow, Arnoldo Foà, Francisco Rabal, Rolf Tasna, Eduardo Ciannelli, Eleonora Morana, Fabrizio Jovine, Gabriele Lavia, Nazzareno Natale, Carla Mancini,Ely Galleani
Drammatico, durata 120 min. – Italia 1974.
Claudio Cassinelli: Roberto Solina
Glenda Jackson: suor Geraldine
Lisa Harrow: Emilia Contreras
Arnoldo Foà: monsignor Badensky
Adolfo Celi: padre Borelli
Gabriele Lavia: principe Ottavio Ranieri d’Aragona
Francisco Rabal: vescovo Marquez
Duilio Del Prete: monsignor Salvi
Ely Galleani: fidanzata di Roberto
Rolf Tasna: monsignor Meitner
Sara Sperati: Principessa Alessandra Ranieri d’Aragona
Margherita Horowitz: Madre del principe Ottavio
Regia Damiano Damiani
Soggetto Damiano Damiani
Sceneggiatura Damiano Damiani, Audrey Nohra, Fabrizio Onofri
Produttore Anis Nohra
Casa di produzione Euro International Film
Fotografia Mario Vulpiani
Montaggio Peter Taylor
Musiche Ennio Morricone
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Notevole, con grandi presenze (Jackson, Harrow, Foà e Celi fanno sparire un Rabal di maniera), al punto che forse lo fanno sembrare ancor meglio di quello che è, con grande, originale colonna di Morricone. Regia sicura (ricca di pietà verso tutti) nel narrare il conflitto fra una non funzionante e moderna tolleranza ed una fideistica, ortogonale religiosità, che si rivela vincente (con tanto di “Inno alla gioia”) in un modo che lascia stupefatto Cassinelli, che qua e là sia atteggia a belloccio. Lisa Harrow, opima e lattea, è di raro fascino.
Lo scrittore Rodolfo Solina (Claudio Cassinelli) viene -quasi a forza- ingaggiato da Monsignor Badensky (Arnoldo Foà) per redigere un memoriale contro il comunismo a vantaggio della posizione cattolica pro-fascista. Ospitato in un istituto liturgico, l’uomo viene in contatto con personalità dissociate, sovente al limite tra solennità e peccato. L’espiazione, la sofferenza, la privazione: sono elementi radicati e imposti dalla severa rettrice del sacro luogo. Doloroso viaggio, tra chiaro-scuri (le scenografie con predilizione di grigio non sono casuali) lungo binari di umana povertà spirituale.
Conventuale e tortuoso, dominato da un incombente senso di peccato e di colpa e dalla ricerca di una falsa redezione all’interno delle mura ecclesiastiche. Scenografie claustrofobiche (solo nel finale c’è uno spiraglio d’aria fresca, conferito anche dal volto radioso della Galleani), eccellente score sincopato di Morricone e validissime prove di tutti gli attori: dalla severa Jackson al “Grande tentatore” Cassinelli, dall’ortodossia di Celi e Ribulsi alle eresie di Foà e Rabal, passando per il teatrale Lavia.
Insolito, curioso, magnetico, imperfetto ma interessantissimo film di Damiani, che mette sul tavolo tantissimo temi (forse troppi) e che, pur non essendo perfettamente riuscito, ha il pregio di catturare non poco l’attenzione dello spettatore, grazie ad un alone di mistero che si mantiene costante per tutta la pellicola, fino ad arrivare al ribaltamento finale che è degno di nota. “Ricco” il cast che fornisce una bella prova. Strepitosa la colonna sonora di Morricone. Immeritatamente sconosciuto, è una tappa intrigante di un bravo regista nostrano.
Molto interessante. Una storia sicuramente non banale che affronta, anche se non sempre in maniera adeguata, molti temi senza dubbio intriganti. Alcuni passaggi potrebbero lasciare insoddisfatti, ma il film è coraggioso e originale. Ottima la confezione, con una buona fotografia, un’ottima regia e una notevole colonna sonora di Morricone, che ancora una volta utilizza il coro in maniera geniale. Cast eccellente
Ambiguo ma (o forse proprio per questo) molto interessante, anzi direi perfino sconvolgente, assolutamente inusuale. La presenza di uno scrittore in un convitto religioso porta a galla e fa esplodere le contraddizioni e i tormenti dei vari personaggi, tutte persone dalla religiosità sofferta e con un passato pesantissimo. Anticlericale? Forse solo ad una lettura superficiale. Grande cast, ottima, al solito, la regia di Damiani. Da riscoprire e analizzare a fondo.
Decameron proibitissimo-Boccaccio mio statte zitto
Mentre a Firenze infuria la peste, un gruppo di persone, giovani e ragazze, si rifugia in una villa, dove il solito cantastorie, per rallegrare l’ambiente, racconta alcune novelle con protagonisti mariti cornuti, frati gaudenti e mogli furbe.
Nella prima novella raccontata, donna Piccarda, una splendida contadina (con spiccato accento napoletano), decide di beffare frate Pasquale, il solito frate puttaniere che la insidia da tempo.
La donna, aiutata dai fratelli, riesce a farsi sostituire da una sua sguattera brutta come un debito; Piccarda, mandato a chiamare il vescovo, fà sorprendere l’ignaro Pasquale fra le braccia della cameriera, con ovvie risate sotto i baffi degli autori della beffa.
La seconda novella racconta di come Guidobaldo venga beffato da uno spasimante della moglie; l’uomo manda una zingara a vaticinare a Guidobaldo la morte se solo si avvicina carnalmente alla moglie.
Guidobaldo così fa giacere lo spasimante con la moglie; l’uomo finge di essere morto, e viene quindi trasportato nel bosco.
Li viene raggiunto dalla zingara che incassa il premio pattuito.
Nella successiva, un povero fraticello conosce una bella campagnola e per poter giacere con lei, la introduce nel convento vestita da frate.
Ma il priore scopre il tutto, e fingendo di indignarsi, costringe il fraticello alla penitenza mentre lui si gode le grazie della ragazza.
La quarta novella vede protagonista madonna Brunetta.
La donna è afflitta dalla gelosia del marito, ma trova il modo di farlo cornuto; scoperta una parete di mattoni che divide la sua camera da quella di un pittore, finge di volersi confessare e racconta al marito, che si spaccia per un frate, di essere visitata ogni notte proprio da un altro frate.
Il marito monta la guardia davanti casa, mentre si scatena il diluvio: madonna Brunetta invece si gode la sua notte d’amore con il pittore.
La penultima novella vede un giovane nobile rapinato di tutto, incluso i vestiti, dai briganti; l’uomo viene accolto dalla bella moglie di un contadino e naturalmente se la gode.
Il marito, scoperto l’inganno, viene denudato dalla moglie e arrestato dai soldati.
L’ultima novella racconta della beffa ordita da un servitore ai danni del barone Agilulfo, che ovviamente ha una bellissima moglie.
Il servitore riesce a introdursi nel letto della moglie del barone, ma quest’ultimo per identificare colui che gli ha insidiato la moglie, gli taglia un ciuffo di capelli.
Il giorno dopo tutto è pronto per l’esecuzione del furbo servitore, il quale però, nella notte, ha fatto tagliare i capelli ai suoi colleghi.
Decameron proibitissimo-Boccaccio mio statti zitto appartiene alla florida serie dei decamerotici, ai quali non aggiunge nulla; siamo di fronte alle solite beffe che con Boccaccio nulla hanno a che vedere.
Il pretesto è il solito, ovvero mostrare quanta più epidermide possibile delle attricette che costellano il film.
Il regista,Franco Martinelli, porta sullo schermo un soggetto di Bruno Corbucci, creando una serie di novelle che quanto meno sono sgangherate in maniera inferiore rispetto a tanti titoli similari.
Nel cast figurano Malisa Longo, la moglie di Agilulfo, Riccardo Garrone, il conte Guidobaldo, Letizia Lehir, la moglie di quest’ultimo, Franco Agostini, che interpreta Rufolo, il racconta storie, Gianni Musy, che interpreta Agilulfo. Piccola parte per la immancabile Carla Mancini, in una delle sue innumerevoli interpretazioni di una cameriera.
Donna Piccarda, la protagonista della prima novella, ciuramente la più riuscita è la bella Krista Nell; piccolo cameo per Maurizio Merli, Pupo De Luca è Fra Pasquale, che passerà un’ora di passione con Adriana Facchetti, imbruttita più del solito.
Null’altro da aggiungere su un film senza infamia e senza lode.
Decamerone proibitissimo – Boccaccio mio statte zitto, un film di Franco Martinelli. Con Franco Agostini, Enzo Andronico, Alberto Atenari, Bruna Beani, Adriana Facchetti, Riccardo Garrone, Krista Nell, Sergio Serafini, Galliano Sbarra, Maurizio Merli, Malisa Longo, Carla Mancini, Leonora Vivaldi
Erotico, durata 92 min. – Italia 1972.
Franco Agostini … Rufolo da Chioggia
Enzo Andronico … Gervasio
Bruna Beani … Brunetta
Antonio Cantafora … Fra’ Domenico
Fortunato Cecilia … Giannozzo
Marzia Damon … Martina
Adriana Facchetti … Ciuda la serva
Riccardo Garrone … Guidobaldo
Ennio Girolami … Rinaldo
Letizia Lehir … Contessa Floriana
Carla Mancini … La cameriera della Baroness Elena
Maurizio Merli … Cecco amico di Rinaldo
Gianni Musy … Barone Agilulfo
Krista Nell … Donna Piccarda
Memè Perlini … Guido
Sergio Serafini … Rainero
Mauro Vestri … Amico di Rainero
Eleonora Vivaldi … Marcolfa
Malisa Longo … Baronessa Elena
Salvatore Baccaro … Brigante
Pupo De Luca … Fra’ Pasquale
Jess Hahn … Priore
Regia Franco Martinelli
Soggetto Mario Amendola dalle novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio
Sceneggiatura Bruno Corbucci
Casa di produzione Claudia Cinematografica
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Remo Grisanti
Montaggio Carlo Reali
Musiche Roberto Pregadio
Scenografia Antonio Visone
Incontro d’amore-Bali
Strano destino quello di questo film: girato da Ugo Liberatore nel 1970 con il titolo emblematico di Bali, nel 1972 uscì nei cinema con il titolo di Incontro d’amore e ancora successivamente come Incontro d’amore a Bali.
Della stesura originale del 1971 restava l’impianto generale, ma al film vennero aggiunte sequenze iniziali dirette da Paolo Heusch, che in teoria dovevano servire per completare la trama, ma in realtà aggiunsero ben poco al film, se non l’elemento torbido rappresentato dalla presenza di alcune scene di nudo girate da Ilona Staller, con lo pseudonimo di Elena Mercury.
Scena presente solo nella seconda versione; Ilona Staller
La Staller in pratica prese il posto della Antonelli, che nella prima versione era la protagonista principale del film.
Il montaggio definitivo pur non snaturando il film, non aggiunse gran che al senso generale del film, limitandosi a proporre delle sequenze in cui viene in qualche modo esplicato il rapporto tra i due coniugi protagonisti del film.
La vicenda parte, nella versione definitiva, con l’omicidio da parte di Carlo di sua moglie Daria e il successivo arrivo della polizia; al commissario che chiede il perchè dell’assassinio, Carlo racconta la sua storia.
Lui e Glenn, scrittori, partono per l’isola di Bali dove Carlo si diletta in fotografia e con l’amico partecipa alla stesura di un libro.
Glenn, in profonda crisi spirituale, trova in un bramino conforto per la sua anima, nonostante le benevole prese in giro dell’amico.
Sull’isola arriva Daria, la splendida moglie di Carlo, che ben presto inizia a provare simpatia e qualcos’altro per il giovane tormentato. arrivando alla fine ad offrirsi fisicamente pur di distoglierlo dagli strani pensieri che il giovane ha.
Tutto inutile, perchè alla fine, con la morte del bramino, anche Glenn subirà la stessa sorte.
Ritornato a casa,Carlo ucciderà la moglie, sopraffatto dalla gelosia e si ucciderà davanti agli occhi esterrefatti del commissario tagliandosi la gola con un frammento di vetro.
John Steiner è Glenn
Incontro d’amore è un film che ha nell’ambientazione la sua parte migliore; lo splendido scenario dell’isola di Bali supplisce in qualche modo alla storia, francamente scontata e alla banalità dei dialoghi; il film è monotono, a tratti davvero noioso, non fosse per gli scenari intriganti che accompagnano la vicenda.
Così tra templi indù, lunghe pause e scenari esotici, si dipana la vicenda, fino al finale che ovviamente conosciamo tranne che per la parte che riguarda il suicidio di Carlo;
chi ha avuto modo di vedere la prima stesura del film, non resta ovviamente disorientato dal passaggio del personaggio di Daria dall’interpretazione della Staller a quella della Antonelli. Viceversa immagino cosa abbia provato lo spettatore non al corrente dello stratagemma.
Gli attori svolgono diligentemente il loro ruolo; assolutamente ingiudicabile la Staller, che resta in scena pochi minuti, ripresa in volto per pochi fotogrammi, bene la Antonelli, assolutamente splendida, mentre Steiner che interpreta Glenn cerca di dare una profondità spirituale al suo personaggio con alterne fortune. Viceversa Umberto Orsini se la cava dignitosamente.Il commissario è interpretato da un sobrio Ettore Manni, mentre le musiche sono ben costruite da Giorgio Gaslini.
Un film non memorabile di Ugo Liberatore, che veniva dal grande successo dell’altrettanto esotico Bora Bora; in questo caso, il fiasco al botteghino, si trasformò in una battuta d’arresto che vedrà la sua carriera in declino, con la parziale eccezione di Nero veneziano.
La pellicola è disponibile in un’ottima versione digitale di circa 700 mega,in italiano, ai seguenti link:
https://ultramegabit.com/file/details/lfDMOpDWeuI/Incont.part1.rar
https://ultramegabit.com/file/details/X6z591Nj0Y0/Incont.part2.rar
https://ultramegabit.com/file/details/vnDnYGBEe2U/Incont.part3.rar
Incontro d’amore – Bali un film di Ugo Liberatore, Paolo Heusch. Con Ettore Manni, Umberto Orsini, John Steiner, Laura Antonelli, Ilona Staller, Carla Mancini, Petra Pauly
Drammatico, durata 95 min. – Italia 1970.
John Steiner … Glenn
Laura Antonelli … Daria
Umberto Orsini … Carlo
Petra Pauly … Brigitte
Johannes Schaaf … Bradford
Ettore Manni … Commissario di polizia
Lydiawati … Tillem
Regia:Paolo Heusch, Ugo Liberatore
Sceneggiatura:Fulvio Gicca Palli,Pier Giuseppe Murgia,Ottavio Alessi,Ugo Liberatore
Produzione:Eliseo Boschi,Luggi Waldleitner
Musiche:Giorgio Gaslini
Montaggio:Giancarlo Cappelli,Lisbeth Neumann
Fotografia:Roberto D’Ettorre Piazzoli,Angelo Lotti
Production Design :Marilù Carteny,Andrea Crisanti,Gianni Scolari
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Dopo aver girato lavori come Bora Bora (ambientato nell’oceano Pacifico) o Il sesso degli angeli (trama: tre belle ragazze su una barca nel mare – fine), non esattamente grandi successi di pubblico nè di critica, Ugo Liberatore insiste con i suoi scenari prediletti in questo Bali, noto anche come Incontro d’amore: bastava il primo titolo. Il secondo è melenso e fuorviante, perchè la parte romantica della trama è blanda e neppure troppo importante ai fini della storia, che di partenza vorrebbe essere un dramma, ma ben presto finisce per divenire una cartolina esotica abbastanza patinata con accenni di erotismo a base di personaggi dalle vaghissime velleità intellettuali. Il fatto che in pratica si stia parlando di due film, comunque, cambia poco la materia del discorso; due film, sì: uno è quello effettivamente diretto da Liberatore, l’altro è costituito dagli inserti posizionati qua e là da Paolo Heusch e girati in Italia, su richiesta della produzione pesantemente insoddisfatta dalla pellicola licenziata dal primo. Heusch conferisce così alla trama un tocco di poliziesco che a ben guardare non guasta; il problema è però che la sceneggiatura di Ottavio Alessi (unico accreditato sui titoli di testa) fa in ogni caso acqua da tutte le parti. Anche gli interpreti, pur non disprezzabili in sè, non convincono granchè, forse non convinti della bontà del prodotto loro per primi; si parla di John Steiner, Umberto Orsini, Laura Antonelli (strasplendida, poco da aggiungere) ed Ettore Manni; la cosa senza dubbio migliore nel complesso è l’ariosa colonna sonora firmata da Giorgio Gaslini. Liberatore girerà un altro paio di pellicole prima di desistere e tornare a ciò che sapeva meglio fare, cioè le sceneggiature
L’opinione del sito http://www.cinetecadicaino.blogspot.com
Incontro d’amore (Bali) si ricorda per un’ambientazione perfetta e una suggestiva fotografia, non certo per una sceneggiatura sfilacciata e zeppa di buchi, per una storia che presenta molte incongruenze, giustificate con grande fatica da Ottavio Alessi. La stupenda scenografia balinese supplisce alla pochezza del soggetto, monotono, montato con compassata lentezza, tra lunghi silenzi, scenari esotici, templi indù, riti magici, inutili passeggiate tra giungla e oceano. Tecnica di regia indonesiana molto suggestiva, a metà strada tra il reportage naturalistico e la fiction, grande uso dello zoom con particolari degli occhi in primissimo piano, come se fossimo in un western di Sergio Leone. Parte romana più anonima, a parte una bella panoramica della città eterna che scorre sui titoli di testa e le sequenze truci dopo le brevi parti erotiche. Il genere passa dal mondo movie all’esotico – erotico, senza soluzione di continuità, ma grazie alla parte romana contamina persino il thriller con elementi di horror metropolitano e suggestioni magiche.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Undying
Titolo ripescato dal dimenticatoio verso il 2000, sottoforma di VHS, dalla infaticabile Shendene & Moizzi (della quale i cultori del cinema italiano sentono la mancanza). In effetti, pur essendo fascinosa l’ambientazione esotica e piacevole la presenza di attori scafati (nonché aggraziati), si fa fatica a sopportare – per intero – lo sviluppo di un plot drammatico che sfiora, in più contesti, la noia generata dalla banalità di situazioni (e dialoghi) e da una trama confusa e poco chiara. Solo per appassionati del cinema “segreto” italiano.
Il Gobbo
Liberatore, dopo Bora Bora tenta il bis esotico-erotico, ma poco erotico e più mistico-intellettuale: fiasco. Allora il produttore Bini fa girare a Paolo Heusch un prologo e un epilogo, con Cicciolina a “controfigurare” (le virgolette hanno un perché non svelabile) la Antonelli, e rimonta il film di Liberatore. Insomma, caos totale, fra locations notevoli, pretenziosità, ma poco pelo: questa è la versione che circola, il director’s cut appare verosimilmente palloso, ma forse più intrigante… Citato in Io sono un autarchico!
Homesick
Esotico, mistico e piuttosto fiacco. Spiccano comunque la bellezza ancora pudica della Antonelli e quella più selvaggia della Pauly, oltre ad una bellissima Elena Mercury-Ilona Staller nelle scene aggiunte da Paolo Heusch. Orsini è sempre molto professionale e Steiner incarna con convinzione la figura dell’occidentale in crisi mistico-esistenziale. Sensualmente avvolgenti le musiche di Gaslini; suggestiva la cornice balinese.
Daidae
Stupenda ambientazione esotica e ottime scene erotiche (anche se è palese l’uso della controfigura nelle scene più spinte). Film non eccezionale ma che si può digerire benissimo (non aspettatevi però chissà cosa). Ripescato dopo anni di oblio e passato anche in tv regionale.
Roma bene
Lo squallido mondo che ruota attorno ai salotti della Roma che conta, la Roma bene, visto da Lizzani in questo film del 1971. Uno sguardo cattivo, crudele, sopratutto impietoso.
I vizi e le debolezze, le brutture dei Vip sono l’altra faccia della Roma bene, tratteggiata attraverso una galleria di personaggi assolutamente deprimente, radunata attorno al salotto di Silvia Santi, di origini aristocratiche, moglie di giorgio industriale con le mani in molteplici attività; i due coniugi sono la parte terminale di un iceberg composto, secondo Lizzani, da uomini e donne senza scrupoli o valori morali.
Nino Manfredi e Enzo Cannavale
Irene Papas
Come il titolato De Vittis, barone senza denaro che scrocca feste e inviti, e che durante una delle tante festicciole organizzate dalla Santi, la invita a ballare e riesce a rubarle un orecchino, che ingoia, e che sarà costretto poi a “depositare” dopo aver ingurgitato un purgante.
O anche come Nino Rappi, che cerca finanziamenti per una sua impresa e che perciò non esita a servirsi di sua moglie, una donna cinica e furba; Wilma, questo è il suo nome, arrotonda le sue entrate con il lavoro più antico del mondo, ha un’amante donna e anche lei non si fa nessuno scrupolo pur di mantenere il proprio status.
Franco Fabrizi, Michele Mercier, Gigi Ballista
Non c’è un personaggio che abbia un benchè minimo senso morale, oppure che possa definirsi retto o onesto, in questo serraglio indecoroso.
La stessa Silvia Santi non esita a fingere un rapimento pur di estorcere denaro a suo marito, rapimento organizzato con la complicità dei suoi due figli,Vivi e Lando.
C’è poi Dedè Marescalchi,nobiltà pura, che va a letto con chiunque pur di agevolare gli interessi del marito, che ovviamente è consapevole della cosa e ne trae profitto, c’è Elena Teopulos, che uccide il marito simulando un incidente….
Agnello sacrificale in mezzo al branco dei lupi, ecco Il commissario Quintilio Tartamella, chiamato dapprima a indagare sullo strano furto dell’orecchino, poi sul finto rapimento e infine sull’assassinio simulato; il cmmissari, cinico e disincantato, verrà a capo di tutti e tre gli enigmi e involontariamente riceverà una promozione; il suo capo infatti, per timore che le vicende suscitino scandalo nel dorato mondo dell’aristocrazia e del mondo degli affari romano, dopo averlo promosso lo trasferirà.
Quasi tutti i personaggi della storia, con l’eccezione di Giorgio e del Monsignore, eminenza grigia dall’animo nero, esempio di quel clero affarista e spregiudicato presente purtroppo anch’esso nella melma della Roma bene, periranno in un bagno purificatore, simboleggiato da un avvenimento che porterà i loro destini a confluire nella stessa tragica sorte.
Mentre Rappi morirà d’infarto in seguito a un cocktail di donne, alcool e stress da troppo sport, Silvia, Dedè, Elena e De Vittis e altri moriranno affogati mentre navigano con il loro yacht al largo; infatti tutti si caleranno in acqua, lasciando lo yacht senza nessuno a bordo, scordandosi anche di calare la scaletta prima di tuffarsi.
Pia Giancaro
Un rogo simbolico, con cui Lizzani fa perire tutti gli osceni personaggi della storia; saranno loro le vittime di un possibile progrom che sia di buon auspicio per una classe sociale migliore.
Ma il fatto che si salvino i due uomini più importanti, il Monsignore e l’industriale, mostra che non c’è speranza; come un serpente a più teste, la buona borghesia ha sempre la possibilità di mordere da un’altra parte.
Lizzani usa le maniere forti, gettando acido solforico ovunque, usando l’accetta per tagliare i profili dei protagonisti;ne viene fuori un ritratto a tinte cupissime, senza speranza di una classe sociale allo sbando morale.
Alle volte l’accanimento è tale da rendere i personaggi troppo caratterizzati; tuttavia è indubbio il valore dell’operazione del film, teso a mostrare l’altro lato della medaglia, ovvero le paludi che si nascondono dietro il dorato mondo della noiltà, dei ricchi parvenue e di coloro che fanno dell’interesse, del denaro e del successo la fonte primaria di interesse.
Un film da rivedere, a distanza di quasi quarant’anni, anche per la presenza di un cast sontuoso, che spazia da Virna Lisi a Philippe Leroy, passando per Manfredi, le bellissime Mercier e Senta Berger, tra Gastone Moschin e Irene Papas, Vittorio Caprioli e Ely Galleani, film arricchito anche da una galleria di caratteristi, come Cannavale, Ballista, Tarascio…..
Per una volta sono in disaccordo con il grande Kezich, che scrisse del film:
“Molto abile nella ricostruzione naturalistica della cronaca, Lizzani appare meno a suo agio nell’affresco di costume: questo Roma bene sta alla realtà odierna della capitale come La Celestina P.R. stava alla Milano del miracolo economico. Nessuno dei numerosi attori di un cast affollato si conquista una menzione al merito: neppure Nino Manfredi nella parte di un commissario disgustato e ostinato, che dovrebbe rappresentare nel quadro una specie di personaggio positivo”
Gastone Moschin
Roma bene, un film di Carlo Lizzani. Con Nino Manfredi, Irene Papas, Umberto Orsini, Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, Virna Lisi, Michèlle Mercier, Mario Feliciani, Senta Berger, Gastone Moschin, Evi Maltagliati, Vittorio Sanipoli, Carlo Hintermann, Franco Fabrizi, Nora Ricci, Enzo Tarascio, Annabella Incontrera, Enzo Cannavale, Peter Baldwin, George Wang, Gigi Ballista, Giancarlo Badessi, Gigi Rizzi, Carla Mancini, Minnie Minoprio, Dado Crostarosa, Luigi Leoni, Pupo De Luca
Drammatico, durata 113 min. – Italia 1971.
Senta Berger … Dede Marescalli
Vittorio Caprioli … Il barone Maurizio Di Vittis
Franco Fabrizi … Nino Rappi
Mario Feliciani … Teo Teopoulos
Philippe Leroy … Giorgio Santi
Virna Lisi … Silvia Santi
Nino Manfredi … Il Commissario Quintilio Tartamella
Michèle Mercier … Wilma Rappi
Gastone Moschin … Il monsignore
Umberto Orsini … Prince Rubio Marescalli
Irene Papas … Elena Teopoulos
Gigi Ballista … Vitozzi
Dado Crostarosa … Lando Santi
Ely Galleani … Vivi Santi
Annabella Incontrera … La Lesbica
Evi Maltagliati … La madre di Elena
Minnie Minoprio … Minnie
Nora Ricci … donna Serena
Gigi Rizzi … Un playboy
Vittorio Sanipoli … Il Questore
Giancarlo Badessi … Rossi
Peter Baldwin … Michele Vismara
Enzo Cannavale … Tognon
Pia Giancaro … L’invitata in nude-look
Margaret Rose Keil … Suzy
Pupo De Luca … Amante di Dede Marescalli
Enzo Tarascio … L’avvocato di Elena
Carlo Hinterman … Secondo avvocato di Elena
Luigi Leoni … Altro amante di Dede Marescalli
Regia: Carlo Lizzani
Soggetto: Luigi Bruno Di Belmonte
Sceneggiatura: Luciano Vincenzoni,Nicola Badalucco,Carlo Lizzani
Fotografia: Giuseppe Ruzzolini,Alfonso Avincola
Montaggio: Franco Fraticelli,Sergio Fraticelli,Alessandro Gabriele
Effetti speciali: Italo Cameracanna
Musiche: Luis Enriquez Bacalov
Scenografia: Flavio Mogherini,Francesco Pietropolli
Costumi: Adriana Berselli,Marina De Laurentiis,Rosalba Menichelli
Colpo in canna
Da un aereo che atterra in Italia, sbarca Nora Green; ha la divisa da hostess, e sembra una tranquilla, ingenua e un tantino sprovveduta ragazza americana.
La ragazza in realtà deve consegnare una lettera ad un boss della mala napoletana.
Nella lettera, scritta da un fantomatico personaggio che si firma l’Americano, ci sono minacce per Silvera, il boss.
La ragazza viene quindi pestata, perchè il boss la ritiene complice dell’Americano; la ragazza, abbandonata fuori da un circo, viene raccolta ed ospitata da Manuel, un trapezista che lavorava proprio con Silvera. Tra i due nasce una storia, ma la sua presenza crea scompiglio in città.
Ursula Andress
La banda rivale di Silvera, capitanata dal boss Calò, inizia a seguirla, così come fanno gli uomini del commissario del commissario Calogero.
Tra colpi di scena, inseguimenti, scazzottate si arriva al finale, quando si scopre che Nora in effetti è tutt’altro che una sprovveduta hostess, ma fa parte di una banda bene organizzata che da scacco matto alle bande rivali e alla polizia.
Colpo in canna, film del 1975 di Fernando Di Leo è un fiacco tentativo di coniugare il film giallo con connotazioni poliziesche con quello comico; il primo ad accorgersene fu proprio il regista pugliese, che difatti non lo annoverò mai tra i prodotti da ricordare.
Il film, che mescola molte scene d’azione con la fisicità sexy ed estrema della protagonista, la biondissima Ursula Andress risente proprio dell’equivoco di partenza. Il film non è un giallo, ma semplicemente sfrutta alcune situazioni tipiche del giallo, non è un noir e alla fine si trasforma in uno strano prodotto che non ha nemmeno del comico, perchè di battute divertenti ce ne sono poche, e la parte comica, pur affidata a gente che on la comicità ci viveva, come Banfi e Giuffrè, risulta penalizzata proprio dall’intreccio improbabile tra le avventure della pseudo hostess e la lotta tra bande.
Basti pensare all’inserimento, nel film, del personaggio assolutamente fuori contesto del piccolo gangster interpretato da Jimmy il fenomeno, oppure alla legnosità di Marc Porel, che nelle parti semi serie non è mai andato a nozze.
Intendiamoci, il film non è inguardabile, quanto piuttosto slegato e privo di mordente; la presenza della citata Andress, che si spoglia in alcune scene, vale quanto meno il prezzo del biglietto, così come, parlando di cose più serie, le scene finali dell’inseguimento tra l’auto del commissario Calogero e l’auto di Nora Green sono ben girate e coinvolgenti.
Peccato per Di Leo, che avrebbe voluto dare un taglio ben diverso alla pellicola, ma che alla fine tira fuori un prodotto davvero modesto.
Si salvano, come già detto, la Andress, ma solo ed esclusivamente per la parte “fisica”, visto che anche lei non emerge dal grigiore generale del film, il solito Lino Banfi e la piccola parte di Maurizio Arena, il vero capo della banda.
Colpo in canna, un film di Fernando Di Leo. Con Aldo Giuffré, Ursula Andress, Marc Porel, Maurizio Arena,Woody Strode, Loris Bazzocchi, Nello Pazzafini, Renato Baldini, Rosario Borelli, Isabella Biagini, Lino Banfi, Salvatore Billa, Ettore Geri, Lorenzo Piani, Pietro Ceccarelli, Carla Brait, Carla Mancini, Gino Milli, Omero Capanna, Brunello Chiodetti, Sergio Ammirata, Enzo Spitaleri
Drammatico, durata 100 min. – Italia 1974.
Ursula Andress … Nora Green
Woody Strode … Silvera
Marc Porel … Manuel
Isabella Biagini … Rosy
Lino Banfi … Commissario Calogero
Aldo Giuffrè … Don Calò
Maurizio Arena … Padre Best
Rosario Borelli … Umo di Silvera
Carla Brait … Carmen
Renato Baldini … Ali
Raul Lovecchio … Il cieco
Sergio Ammirata … Commissario Ammirata
Loris Bazzocchi … Nora Henchman
Jimmy il Fenomeno … Tano
Roberto Dell’Acqua … Zanzara
Regia Fernando Di Leo
Soggetto Fernando Di Leo
Sceneggiatura Fernando Di Leo
Casa di produzione Cineproduzioni Daunia 70
Distribuzione (Italia) Alpherat
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Amedeo Giomini
Musiche Luis Enriquez Bacalov
Scenografia Francesco Cuppini
Costumi Gaia Romanini
Filmscoop è su Facebook:per richiedere l’amicizia:
La signora gioca bene a scopa?
Michele è un commerciante di scarpe, napoletano trapiantato in Emilia, con due debolezze: il gioco e le donne. Il primo dei due vizi, il poker, è responsabile del suo temporaneo tracollo economico. Il suo socio, Peppino, non manca di fargli notare la ormai drammatica situazione economica in cui versa; a questo punto Michele è costretto a ricorrere alle armi della seduzione, riallacciando la precedente relazione con la pittrice Giulia. Grazie alla donna, Michele riesce a sedurre la ricca sorella Monica, un’allevatrice di polli; ma la situazione si ingarbuglia quando a casa di Monica e Giulia, dove ormai Michele si è trsaferito come amministratore delle due donne, arriva uno scrittore di libri erotici, Alberto, con la moglie Eva.
Quest’ultima, una tedesca che riesce a far l’amore solo sotto l’acqua, dapprima tratta con disprezzo Michele, per poi diventare un’insaziabile amante. Stretto nel giro a tre, Michele ben presto mostra la corda e decide di correre ai ripari. Riesce con uno stratagemma a insinuare nei letti delle due il suo commesso Peppino, un giovane timido ma molto dotato (sessualmente) L’espediente ha successo, e Tonino diventa immediatamente l’amante delle due donne. Ma la cosa si rivela un’arma a doppio taglio per Michele: il giovane, infatti, lo soppianta ben presto, ma non solo. Eva, di cui ormai Michele è quasi innamorato, dopo avergli soffiato i soldi frutto di un’epica notte d’amore con le due sorelle, fugge piantando sia lui che il marito Alberto.
Edwige Fenech
Michele è alla disperazione, ma accade un imprevisto; Tonino non regge al super lavoro con le due sorelle e muore d’infarto. Michele può così riprendere il suo posto tra le due donne. Film diretto da Giuliano Carnimeo nel 1974, La signora gioca bene a scopa? è la classica commedia sexy di metà anni settanta, con qualche nudo (qui affidato a Edwige Fenech), qualche lazzo volgarotto e qualche battuta anche simpatica. Se il film non si distacca dal filone delle commedie per palati grossolani, quantomeno ci si rifà gli occhi con qualche scena di nudo, peraltro molto castigata, della sempre splendida Fenech, che questa volta parla con un buffo accento inglese. Il cast è fatto da ottimi caratteristi e vede la presenza anche di Carlo delle Piane, che interpreta il commesso Tonino, che pagherà la sua avidità con un infarto, di Carlo Giuffrè, nei panni del playboy Michele, di Didi Perego e Franca Valeri,
rispettivamente le due sorelle Monica e Giulia, di Enzo Cannavale, al solito a suo agio nei panni di spalla, questa volta di Giuffrè, infine di Gigi Ballista, Gervasio, colui che spenna sistematicamente Michele e di Oreste Lionello, simpatico nel ruolo del marito di Eva. Film senza grossi meriti, ma nemmeno con grossi demeriti, qualche battuta la risata la strappa anche se, come già detto, siamo nell’ambito della commedia sexy più disimpegnata.
La signora gioca bene a scopa? un film di Giuliano Carnimeo. Con Edwige Fenech, Didi Perego, Franca Valeri, Carlo Giuffrè, Adriana Facchetti, Oreste Lionello, Enzo Cannavale, Enzo Andronico, Vittorio Fanfoni, Gigi Ballista, Enzo Robutti, Carla Mancini, Lia Tanzi, Commedia, durata 90 min. – Italia 1974
Carlo Giuffrè … Michele Cammagliulo
Edwige Fenech … Eva
Didi Perego … Monica
Franca Valeri … Giulia Nascimbeni
Carlo Delle Piane … Tonino
Lia Tanzi … Marisa
Gigi Ballista … Gervasio Caminata
Oreste Lionello … Alberto
Enzo Cannavale … Peppino
Adriana Facchetti … Giuditta
Enzo Andronico … Dottore
Enzo Robutti … Primo Guendalini
Regia: Giuliano Carnimeo
Sceneggiatura: Tito Carpi, Carlo Giuffrè
Prodotto da : Gianfranco Couyoumdjian, Luciano Martino
Editing: Eugenio Alabiso
Costumi: Rosalba Menichelli
Direzione musicale: Alessandro Alessandroni
Art department: Antonio Visione
Il belpaese
Guido, stanco del lavoro su una piattaforma per l’estrazione del greggio nel golfo Persico, decide di rientrare in Italia con i soldi che è riuscito a risparmiare.
Ma già nel momento stesso in cui scende dall’aereo che è atterrato a Milano, l’uomo si rende conto che il belpaese non è più assolutamente quello che ha lasciato nel 1970.
Siamo infatti nel 1977, e il primo approccio con il belpaese è tra il tragico e il surreale; una banda di palestinesi stermina tutti i passeggeri del volo, e Guido si salva solo perchè si è chinato per baciare il suolo.
E’ l’inizio di un incubo per Guido, che dovrà fare i conti con delinquenti di ogni risma, terroristi e indiani metropolitani, femministe e volgari banditi.
Paolo Villaggio
Nonostante tutto Guido apre un’orologeria, che ben presto viene assalita da banditi e da giovani estremisti che “espropriano” la merce. Durante una delle tante disavventure, Guido si imbatte in “Mia”, una femminista che in realtà non ha nome, ma che Guido chiamerà Mia perchè durante la manifestazione lei ha scandito il famoso “Io sono Mia”.
Le cose non vanno bene per Guido, che passa di disgrazia in disgrazia, fino a subire un devastante attacco al negozio; Mia, della quale è innamorato, decide di avere un figlio con lui, ma poi lo abbandona.
Silvia Dionisio
Dopo l’ennesimo colpo subito, Guido su consiglio dei parenti, decide di tornare nel golfo Persico.
Ma durante il tragitto verso l’aeroporto, in lui scatta qualcosa: torna sui suoi passi, e decide di non arrendersi, coinvolgendo i vicini del negozio e altra gente, che sembra in attesa solo di qualcuno che faccia il primo passo.
Poi l’happy end, con Mia che lo bacia.
Luciano Salce, a due anni dalla presentazione del campione d’incassi Fantozzi gioca la carta della satira estrema, usando come suo solito le gag già proposte nel mitico Fantozzi e ripresentando anche parte del cast, come la Mazzamauro e Gigi Reder.
Ma il risultato è quantomai deludente; a parte le gag a getto continuo, che vedono il solito Paolo Villaggio interpretare da par suo l’imbranato anche se fondamentalmente onesto Guido, non si va oltre qualche risata, peraltro nemmeno amara vista l’estrema goliardia delle situazioni proposte.
Tutto è esagerato nel film; più che l’Italia degli anni di piombo, sembra di vedere un regime del SudAmerica in preda alla più totale anarchia.
Il risultato è un film debole sin dalle prime battute, che mostra abbondantemente limiti di sceneggiatura a tutto vantaggio di situazioni farsesche o estreme.
Tutto, nel film, è volutamente esagerato, come del resto accade nei film con protagonista Villaggio/Fantozzi, ovvero il personaggio sfigato sul quale si abbattono situazioni paradossali ad ogni secondo; e questo alla fine diventa un grande limite del flm stesso, perchè la satira viene accantonata e si assiste ad una serie di situazioni volutamente oltre il limite, con il risulato destabilizzante di privilegiare la farsa in luogo della denuncia.
Qualche sprazzo felice c’è, comunque: belli i dialoghi tra il maturo Guido e Mia, in cui fa capolino l’affetto e l’amore da una parte, dall’altra la contestazione al sistema e la voglia di riappropriarsi di un’identità femminile che non sia solo uno stereotipo o un luogo comune.
Ma è davvero troppo poco.
Non giova nemmeno la presenza di personaggi surreali e stravaganti, come Carletto, interpretato da un giovane Massimo Boldi, commesso dell’orologeria occupato a spararsi canne mostruose o a bucarsi con eroina, così come appaiono deboli i personaggi di Alfredo/Gigi Reder e l’imprenditrice Gruber, una mal sfruttata Anna Mazzamauro.
L’unico personaggio ben delineato, con una psicologia ben definita resta Mia, interpretata dalla bellissima Silvia Dionisio; Villaggio è bravo, ma troppo simile a Fantozzi, anche se la sua figura è meno macchiettistica e più dolente.
Qualche nota sulla location: a farla da padrone è Milano, con scene girate in strade riconoscibilissime per i milanesi doc come via XX settembre, la Darsena; ma c’è anche buona parte del film ambientata a Roma, con la famosa Villa Giovanelli, abitata dalla Gruber/Mazzamauro e l’Eur, con le sue grandi strade.
Il belpaese, un film di Luciano Salce, con Paolo Villaggio, Silvia Dionisio, Gigi Reder, Anna Mazzamauro, Ugo Bologna, Massimo Boldi, Pino Caruso Italia 1977 Commedia
Paolo Villaggio … Guido Belardinelli
Silvia Dionisio … Mia
Anna Mazzamauro … Signora Gruber
Pino Caruso … Ovidio Camorrà
Gigi Reder … Alfredo
Massimo Boldi … Carletto
Giuliana Calandra … Elena
Raffaele Curi … Spadozza
Ugo Bologna … Direttore della banca
Leo Gavero … Il venditore di orologi
Carla Mancini … Lisetta
Saviana Scalfi … La moglie del venditore di orologi
Bruno Alias … Ospite all’apertura del negozio (uncredited)
Ennio Antonelli … Scagnozzo di Spadozza (uncredited)
Fortunato Arena … Restauratore (uncredited)
Renato Bassobondini … Uomo in sciopero della fame (uncredited)
Nestore Cavaricci … Poliziotto (uncredited)
Tom Felleghy … Andrea – l’uomo che viene rapito mentre dà indicazioni (uncredited)
Lina Franchi … Ospite all’apertura del negozio (uncredited)
Enrico Marciani … Signore che inveisce contro le femministe (uncredited)
Giuseppe Marrocco … Uomo in fila in banca (uncredited)
Ettore Martini … Uomo in banca (uncredited)
Simone Santo … Parcheggiatore (uncredited)
Antonio Spinnato … Mario (uncredited)
Maria Tedeschi … Donna al funerale (uncredited)
Pietro Zardini … Impiegato della banca (uncredited)
Regia: Luciano Salce
Soggetto: Castellano e Pipolo
Sceneggiatura: Castellano e Pipolo, Luciano Salce, Paolo Villaggio
Produttore: Fulvio Lucisano
Scritto da : Franco Castellano, Giuseppe Moccia, Luciano Salce, Paolo Villaggio
Musiche: Gianni Boncompagni, Piergiorgio Farina , Paolo Ormi
Fotografia :Ennio Guarnieri
Montaggio: Antonio Siciliano
Trucco: Ennio Cascioli, Gianfranco Mecacci,Mario Michisanti
Direttore di produzione: Raimondo Castelli, general organization
Eros Lanfranconi …. direttore di produzione
Lamberto Palmieri …. direttore di produzione
Egidio Valentini …. direttore di produzione
Curiosa pellicola, che affianca trovate “basse” (il quiz d’ingresso, alla Mike Bongiorno) a una denuncia condotta in modo che può apparire qualunquista, ma che fotografa una certa Italia sul finire degli Anni Settanta. Il meccanismo iperbolico, purtroppo, viene presto a noia, per cui il motivo di culto resta, per me, la clamorosa e vistosa presenza di Carla Mancini nel ruolo di Lisetta.
Troppa carne al fuoco (terrorismo, varia criminalità, movimenti studenteschi, femministe, droga, figli dei fiori…). E quando, al fuoco filmico, la carne è troppa, si rischia di rovinarla. Qui Villaggio, una sorta di Fracchiozzi (Fracchia-Fantozzi), si barcamena tra un’esagerazione e l’altra, facendo quel che può, negli evidenti limiti del suo personaggio. Inoltre, la pellicola è penalizzata da un’eccessiva lunghezza, che finisce per appesantirla. Boldi così così. Pur non sollevandosi quasi mai da una generale mediocrità, si può anche vedere, ma perderlo non costituisce reato.
Eccessivo ed estenuante. La sfiga all’ennesima potenza concentrata nel repertorio fantozziano più deprimente, abusato e tedioso (la bomba nel vestito, la masticazione di nascosto, etc.). Una delle peggiori prove di Salce-Villaggio. Finale con pretese sociologiche, invitante all’amicizia e all’ottimismo. La Mazzamauro replica il ruolo della Silvani; la Mancini appare in uno dei suoi ruoli più consistenti.
Pessimo film di Salce, che scade fin da subito in un tremendo qualunquismo e non strappa mai una risata che sia una. Passi per il soggetto, anche se mi è sembrato più un film da Pingitore che non da Salce, ma la sceneggiatura è più un collage di episodi accumulati che altro, con personaggi che entrano ed escono in modo piuttosto casuale (Pino Caruso, ad esempio). Un film invecchiato decisamente male, purtroppo.
Tipico prodotto del cinema di quegli anni, il film (è del mitico ’77 nientemeno) propone un confronto facilone tra le pigre tradizioni degli Anni Sessanta idealizzate da uno spaesato Villaggio, che rientra in Italia dopo anni passati all’estero e la situazione di bailamme paraterroristico, con le violenze di piazza e il crimine diffuso. Se c’erano ambizioni di satira sociale, sono andate a vuoto. Ovviamente non c’è analisi, ma allora sarebbe stato meglio buttarla in farsa. Parlare di ambiguità morale vorrebbe dire sopravvalutare il film. Sbagliato.
Sette orchidee macchiate di rosso
Due delitti misteriosi in apparenza slegati fra di loro; la prima, Ines, è una prostituta siciliana misteriosamente chiamata la toscana. L’altra, Kathy è una pittrice che vive in una bella casa circondata da gatti. Sembra non esserci un trait d’union, ma l’ispettore Vismara è convinto del contrario. Anche perchè l’assassino ha lasciato una traccia inconfondibile, un misterioso ciondolo a forma di mezzaluna, in argento.
Gabriella Giorgelli è Ines, la “Toscana”
Quando poi a rischiare di morire è Giulia, la fresca sposa di uno stilista, Mario, il sospetto diviene certezza. Giulia si salva miracolosamente, e la polizia fa credere che sia invece morta. Mario inizia ad indagare sui misteriosi delitti, e scopre che tutti hanno in comune la frequentazione di un albergo in una località di villeggiatura. Tutto sembra ruotare attorno alla figura di un americano, che Mario riuscirà, dopo lunghe e laboriose indagini, ad identificare in un certo Fred.
Nel frattempo il misterioso killer ha seguitato la sua missione di morte, uccidendo ad una ad una tutte le donne che erano presenti il 29 settembre del 1969 nell’albergo. Tutto ciò nonostante la polizia abbia ormai identificato le possibili vittime e le abbia sottoposte a stretta vigilanza. Sarà Mario a dipanare l’intricata matassa, rischiando a sua volta la vita e giungendo alla scoperta dell’insospettabile colpevole.
Thriller di stampo classico, girato da Umberto Lenzi nel 1972, Sette orchidee macchiate di rosso ( sette sono le vittime dell’assassino, le orchidee sono i fiori che lo stesso omicida lascerà sulla tomba del misterioso perno della vicenda, Frank), si distingue per il buon impianto e per la sobrietà della storia, con l’unico omicidio veramente efferato effettuato con un trapano elettrico, concessione allo splatter di un film altrimenti abbastanza avaro di sangue e scene scabrose. Lenzi non è Dario Argento e si vede; la tensione latita alquanto, ma la sceneggiatura regge, e il film scorre via tutto sommato abbastanza bene e senza grosse contraddizioni.
Rossella Falk è Elena Marchi, la nuova vittima
Il cast, di primo livello, include Marina Malfatti nel ruolo di Kathy, la belloccia Uschi Glass in quello di Giulia, la grande Rossella Falk nel ruolo della pazza signora Marchi, di Claudio gora, un ambiguo Raffaele Ferri, di Gabriella Giorgelli, la prima vittima, la prostituta Ines e infine dei due protagonisti maschili, ovvero Antonio Sabato, che è Mario, il vero artefice della scoperta dell’assassino e di Pier Paolo Capponi, un tantino incolore nei panni dell’ispettore Vismara. Spazio a caratteristi di ottima fama come Carla Mancini (la cameriere di Anna Sartori), di Renato Romano (il prete), di Bruno Corrazzari (l’amante di Fred) e infine della bella Marisa Mell, nel doppio ruolo delle gemelle Sartori.
Marisa Mell, una delle gemelle Sartori
Film di buona fattura, quindi, che ha anche il pregio di essere stato girato nelle località più belle di Roma, da Piazza di Spagna a Piazza Navona, il tutto sorretto dalla sobria colonna sonora di Stelvio Cipriani. Buon thriller, quindi, dall’esito tutt’altro che scontato, anche se il finale poteva essere un tantino più lungo e meno frettoloso.
Sette orchidee macchiate di sangue, un film di Umberto Lenzi,Antonio Sabato, Uschi Glas, Pier Paolo Capponi, Marisa Mell, Claudio Gora, Marina Malfatti, 1972. Con Renato Romano, Nello Pazzafini, Linda Sini, Carla Mancini, Franco Fantasia, Bruno Corazzari, Fulvio Mingozzi, Tom Felleghy, Luca Sportelli, Lucretia Love, Enzo Tarascio
Antonio Sabato … Mario
Uschi Glas … Giulia
Pier Paolo Capponi L’ispettore Vismara
Rossella Falk … Elena Marchi
Marina Malfatti … Kathy Adams
Renato Romano … The Priest
Claudio Gora … Raffaele Ferri
Gabriella Giorgelli Inez Tamborini
Aldo Barberito … Lt. Palumbo
Bruno Corazzari … Barrett
Franco Fantasia … Lt. Renzi
Petra Schürmann … Concetta di Rosa
Linda Sini … Juanda
Nello Pazzafini … Raoul
Carla Mancini … Cameriera di Anna
Enzo Andronico … Portiere dell’hotel
Fulvio Mingozzi … Agente
Marisa Mell … Anna Sartori & Maria Sartori
Regia Umberto Lenzi
Soggetto Umberto Lenzi
Sceneggiatura Umberto Lenzi, Roberto Gianviti
Fotografia Angelo Lotti
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Riz Ortolani
Costumi Giulia Mafai
Beffe licenze et amori del Decamerone segreto
Il grande poeta Cecco Angiolieri, autore del “Sì fossi foco arderei lo mondo” è trasformato in questo film del filone decamerotico, datato 1973, in un omologo poeta senza alcuna credibilità storica o riferimento accettabile alla sua vita. Nel film il poeta, diventato parte integrante della compagnia itinerante di Camillo, un ingenuo teatrante, gira in lungo e in largo la penisola, come cantastorie e clown. Naturalmente Cecco è un impenitente seduttore di leggiadre fanciulle, e alle sue mire non sfugge nemmeno la moglie di Camillo, la bella Dinda.
Inventando un sacco di storie, Cecco riesce a prendere il posto del capo comitiva Camillo nel suo talamo nuziale, godendosi le fresche grazie di Dinda fino a quando la donna non resta incinta. Giunto in una cittadina di provincia in cui l’autorità è rappresentata da uno scadente poeta, Gianni , Cecco, dopo aver ottenuto la possibilità di impiantare la compagnia e tenervi delle rappresentazioni, seduce la giovane Tessa, moglie di Gianni.
Ma il poeta è anche un furbo matricolato, con la vocazione alle beffe, anche le più atroci: riesce a far prostituire persino la madre superiora del monastero della cittadina, madre Lucrezia, costringendo la povera donna a sostituirsi alla tenutaria dello stesso. Alla fine il perfido Cecco, di beffa in beffa, convincerà Lucrezia, divenuta sua amante, ad ospitare il figlio nato dall’unione con Dinda, in attesa che il solito scemo, Camillo, non lo accolga come figlio legittimo.
Orchidea De Santis
Filmetto senza qualità particolari, infarcito dai soliti doppi e tripli sensi, con immancabile stuolo di donnine seminude e discinte raccattate per mettere in scena una pellicola incolore e insapore. Anche le due protagoniste più conosciute, Orchidea de Santis e Malisa Longo, alla fine naufragano, non per demerito loro, nella pochezza di questa stanca ripetizione del già visto sequel delle novelle boccaccesche, ancora una volta prese in pretesto per esibizioni, peraltro gradite, di ettari di tette e natiche.
Beffe licenze et amori del Decamerone segreto, un film di Walter Pisani. Con Orchidea De Santis,Malisa Longo, Patrizia Viotti, Antonella Patti, Giacomo Rizzo, Carla Mancini, Claudia Bianchi, Renzo Rinaldi
Commedia, durata 85 min. – Italia 1973.
Dado Crostarosa: Cecco
Malisa Longo: Suor Lucrezia
Giacomo Rizzo: Camillo
Orchidea De Santis: Dinda
Patrizia Viotti: Tessa
Claudia Bianchi: Fiammetta
Renzo Rinaldi: Gianni Lotteringhi
Carla Mancini: Suora
Josiane Tanzilli: Suora
Regia Giuseppe Vari
Soggetto Giovanni Boccaccio, Antonio Racioppi, Gastone Ramazzotti
Sceneggiatura Antonio Racioppi, Gastone Ramazzotti
Casa di produzione Corinzia
Fotografia Carlo Cerchio
Montaggio Manlio Camastro
Musiche Mario Bertolazzi
Scenografia Osanna Guardini