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Senza movente

Nizza,Costa azzurra
Tre misteriosi omicidi,opera di un inafferrabile killer munito di fucile di precisione sconvolgono l’estate;Tony Forest e Pierre Barroyer,due rispettabili uomini d’affari e Hans Klainberg,un astronomo sono le vittime.I tre si conoscevano fra loro,ma il movente dell’omicidio appare sconosciuto.
E’ il commissario Stephane Carella il detective incaricato delle indagini,ma all’inizio tutto appare assolutamente nebuloso.
Il primo labile indizio è una vecchia conoscenza del commissario,Joceline Rocca,che conosceva bene i tre assassinati,ma ben presto anche lei cade vittima del killer.
Grazie a Sandra Forest,figlia della prima vittima,Carella accerta un legame comune ai quattro morti,tutti assieme avevano fatto parte del cast di un dramma teatrale scritto da un professore di università quando ancora i quattro erano studenti.Fortuitamente,il commissario impedisce che Julien Sabirnou,presentatore tv,venga anche esso assassinato e scopre cosi che la giovane e bella Juliette Vaudreuil,un’altra componente del gruppo teatrale aveva subito violenza carnale,ricavandone un trauma irreversibile.A questo punto per Carella è facile arrivare alle conclusioni e…


Senza movente,distribuito anche con il titolo Senza motivo apparente è un buon giallo poliziesco diretto nel 1971 da Philippe Labrò,regista,scrittore e attore di buon livello che appare nella piccola parte di un giornalista in una pellicola ben diretta,
caratterizzata principalmente da una trama essenziale.Senza grossi colpi di scena,ma avvincente e recitata da professionisti del calibro di Jean Louis Trintignant (il commissario),Dominique Sanda,bella e misteriosa (Sandra Forest),Stéphane Audran oltre alle italianissime e fascinose
Carla Gravina e Laura Antonelli.C’è anche lo chansonnier Sacha Distel,con un buon passato attoriale in un film francese fino al midollo,caratterizzato anche da un ritmo non eccelso ma calibrato.


Da segnalare la bella location della perla della Costa azzurra Nizza e le musiche adeguate del nostro Morricone.
Fino a una decina di anni addietro il film era trasmesso con regolarità,oggi è praticamente scomparso dagli schermi ed è di difficile reperibilità.

Senza movente
Un film di Philippe Labro. Con Jean-Louis Trintignant, Dominique Sanda, Sacha Distel, Carla Gravina, Paul Crauchet, Laura Antonelli, Jean-Pierre Marielle, Stéphane Audran, Gilles Ségal, Pierre Dominique Titolo originale Sans mobile apparent. Giallo, durata 97 min. – Francia 1971.

Jean-Louis Trintignant: Ispettore Stéphan Carella
Dominique Sanda: Sandra Forest
Carla Gravina: Jocelyn Rocca
Stéphane Audran: Hélène Vallée
Paul Crauchet: Francis Palombo
Erich Segal: Hans Kleinberg
Sacha Distel: Julien Sabirnou
Laura Antonelli: Juliette Vaundreuil
Jean-Pierre Marielle: Perry Rupert-Foote
Michel Bardinet: Tony Forest
Esmeralda Ruspoli: signora Forest
Alexis Sellan: Pierre Barroyer
Jean-Jacques Delbo: Commissario Capo
André Falcon: Prefetto

Regia Philippe Labro
Soggetto Ed McBain
Sceneggiatura Vincenzo Labella, Philippe Labro, Jacques Lanzmann
Produttore Jacques-Eric Strauss
Fotografia Jean Penzer
Musiche Ennio Morricone

luglio 10, 2019 Posted by | Senza Categoria | , , , , , , | Lascia un commento

Le regine dei sogni anni 70 oggi parte seconda

Le regine dei sogni banner

Uno degli articoli più seguiti su Filmscoop riguarda certamente la gallery di foto delle attrici più belle e famose degli anni 60 e 70 ai giorni odierni https://filmscoop.wordpress.com/2010/11/05/le-regine-dei-sogni-anni-70-oggi/

Ecco una nuova galleria di altre attrici. Sono donne bellissime,sensuali alle prese con il passare degli anni; oggi sono tutte delle mature signore,ancora belle e affascinanti.Alcune di loro hanno proseguito regolarmente l’attività cinematografica,altre sono diventate manager,lavorano nel cinema ma non più come attrici, altre non hanno più avuto a che fare con il grande schermo.Questi sono i loro volti,oggi.

 Cinzia MonrealeSempre bellissima e affascinante,comprimaria in molte commedie sexy: Cinzia Monreale

Carole AndrÞ

La celebre Marianna del Sandokan televisivo,attrice di talento: Carole Andrè

Carla Gravina

Sempre affascinante: Carla Gravina

Barbara Magnolfi

Barbara Magnolfi

Barbara De Rossi

Reginetta dei fotoromanzi,buona attrice di film e fictionBarbara De Rossi

Ania Pieroni

L’indimenticabile volto di Inferno: Ania Pieroni

Claudine Auger

L’ex Bond girl Claudine Auger

Stella carnacina

Sempre bellissima,l’attrice e cantante Stella Carnacina

 Olga Karlatos

E’ stata una delle protagoniste del cinema 70, Olga Karlatos

Nadia Cassini

Il posteriore più ammirato del cinema sexy, Nadia Cassini

Monica Zanchi

Protagonista dei film della serie Emanuelle, Monica Zanchi

Maria Grazia Buccella

Reginetta di bellezza nella commedia anni 70, Maria Grazia Buccella

Lisa Gastoni

Bellissima e sensuale, Lisa Gastoni

Lilli Carati

Una storia personale travagliata, Lilli Carati

Ines Pellegrini

L’attrice preferita da Pasolini, Ines Pellegrini

Haydee Politoff

Inconfondibile il sorriso di Haydee Politoff

Francoise Fabian

Splendida: Francoise Fabian

Florinda Bolkan

Un autentico mito: Florinda Bolkan 

Florence Guerin

Sempre affascinante la reginetta dei soft core anni 80, Florence Guerin

Elke Sommer

La protagonista dei film di Bava, Elke Sommer

Dominique Sanda

L’indimenticabile Dominique Sanda

Daria Nicolodi

La regina del thriller, Daria Nicolodi

Daniela Giordano

Sempre bella, l’ex reginetta Daniela Giordano

Seguite il link aggiornamenti per vedere le gallerie ricaricate!

https://filmscoop.wordpress.com/2014/09/01/aggiornamenti/

settembre 18, 2014 Posted by | Miscellanea | , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

La monaca di Monza

La monaca di Monza locandina 1

Versione romanzata (un po troppo) dello scandalo che coinvolse Suor Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva y Marino e il suo amante,il conte Gian Paolo Osio e che Alessandro Manzoni avrebbe immortalato nel suo immortale I promessi sposi.
Diretto nel 1969 da Eriprando Visconti, nipote del celebre Luchino, La monaca di Monza racconta in modo sommario e storicamente poco attendibile la vicenda che coinvolse Suor Virginia e Osio, suo amante e nel film suo stupratore prima e innamorato poi.
Una relazione proibita che nei fatti storici durò almeno 10 anni e che vide il conte Osio mantenere la sua relazione peccaminosa con Virginia dapprima e poi con altre tre sorelle poi, relazione dalla quale nacquero due figli, il primo dei quali morto dopo il parto.
Da questi fatti storici Visconti romanza la realtà, immaginando che a madre superiora di un convento di Monza dia rifugio al conte Osio, braccato dalle autorità.
Qui il violento e seduttore Osio stupra la superiora, che però si lega a lui diventando l’amante del conte e mettendo alla luce un figlio con la complicità tacita delle suore.

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Visconti riprende quindi lo scandalo scoppiato agli inizi XVII secolo per girare un’opera senza infamia e senza lode, nella quale latitano oltre alla credibilità storica il ritmo e la dinamica.
Tutto il film si riduce infatti ai rapporti controversi tra i due amanti impossibili, mostrandoci un conte Osio stupratore dapprima e convinto innamorato poi e basandosi principalmente sugli aspetti morbosi della vicenda.
Stretto tra la logica commerciale e la necessità di dover creare un prodotto che riuscisse a superare gli scogli della censura, Visconti si barcamena e accontenta i suoi produttori dando un senso morboso all’operazione che compie senza però spingere tantissimo sulle scene erotiche proprio per evitare le forbici censorie.
Siamo nel 1969 e il moralismo dell’ente censorio è pronto ad abbattersi sulle pellicole più scabrose; l’argomento poi è di quelli tosti per cui dal punto di vista dei produttori la paura è ben comprensibile.
Tuttavia Visconti esagera con la travisazione storica:le figure di Virginia e Osio escono completamente differenti dalla realtà storica, così come inventata di sana pianta è il racconto dello stupro.
A questo proposito apro una parantesi.

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Dai resoconti storici sappiamo, dagli atti del processo che si tenne contro Marianna de Leyva che la donna, dopo un inizio burrascoso dei suoi rapporti con lo scapestrato conte Osio, allacciò con esso una relazione peccaminosa, che vide coinvolte a vario modo in una torbida partouze due consorelle del convento, Suor Ottavia e Suor Benedetta.
Per ben 11 anni il gruppo si macchiò di crimini orrendi, che probabilmente però vennero perpetrati dal conte Osio; la prima vittima fu suor Caterina, una religiosa che, scoperta la tresca, aveva deciso di parlarne ed in seguito altre persone, coinvolte in vario modo vennero eliminate fisicamente.
Tuttavia alla fine lo scandalo scoppiò con la conseguenza che Virginia venne condannata ad essere murata viva in una cella di un metro per te, con un’unica presa d’aria, nella quale l’ex religiosa visse per 13 anni, fino al perdono che le venne concesso e che le permise di vivere fino alla sua morte da religiosa.

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Il conte Osio pagò duramente i suoi misfatti.
Condannato a morte, riuscì a rifugiarsi presso una famiglia, che però lo uccise e lo decapitò.
Tornando alla pellicola,non potendola giudicare in modo troppo severo perchè comunque Visconti mostra doti più che sufficienti, guidando con equilibrio le varie componenti che permettono la realizzazione di un film , quindi fotografia, montaggio ecc. possiamo elogiare senza riserve il cast,composto da ottimi attori che svolgono in modo impeccabile le parti loro assegnate.
Molto brava e sopratutto raffinata Anne Heywood, dai lineamenti aristocratici e dai movimenti altrettanto nobili,bene anche Tino Carraro,Carla Gravina e Antonio sabato e tutti gli atri caratteristi inclusa una giovanissima Rita Calderoni.
Musiche discrete di Ennio Morricone.
La monaca di Monza è un film reperibile, in ottima qualità, sui p2p.

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La monaca di Monza – Una storia lombarda
Un film di Eriprando Visconti. Con Luigi Pistilli, Antonio Sabato, Anne Heywood, Hardy Krüger, Caterina Boratto, Giovanna Galletti, Giulio Donnini, Maria Michi, Carla Gravina, Renzo Giovampietro, Tino Carraro, Laura Belli, Michel Bardinet, Rita Calderoni, Francesco Carnelutti Drammatico, durata 102′ min. – Italia 1969.

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La monaca di Monza banner protagonisti

Anne Heywood … Virginia de Leyva
Hardy Krüger … Padre Paolo Arrigone
Antonio Sabato …Il conte Giampaolo Osio
Anna Maria Alegiani … Suor Ottavia Ricci
Margarita Lozano … Suor Benedetta Homati
Giovanna Galletti …Suor Angela Sacchi
Caterina Boratto … Suor Francesca Imbersaga
Renzo Giovampietro … Vicario Saraceno
Laura Belli … Suor Candida Colomba
Maria Michi … Suor Bianca Homati
Michel Bardinet … Giovanni degli Hortensi
Pier Paolo Capponi … Conte Taverna
Francesco Carnelutti …Cantastorie
Tino Carraro … Monsignor Barrea
Giulio Donnini … Molteno
Carla Gravina … Caterina da Meda
Luigi Pistilli … Conte Fuentes

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Regia Eriprando Visconti
Soggetto Eriprando Visconti, Giampiero Bona
Sceneggiatura Eriprando Visconti, Giampiero Bona
Produttore Silvio Clementelli
Casa di produzione Clesi Cinematografica
Fotografia Luigi Kuveiller
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Flavio Mogherini

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La monaca di Monza banner recensioni

L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it

Curiosa l’idea di mettere in scena le vicende della monaca di Monza ricostruite attraverso gli atti del processo che vide protagonista la donna, che ricorda l’idea di Dreyer per La passione di Giovanna d’Arco; partendo da quanto riportato nel libro di Mario Mazzucchelli Una storia lombarda e con una sceneggiatura del regista e di Gian Piero Bona, ecco che per l’ennesima volta nel cinema italiano torna sul grande schermo la controversa figura protagonista anche de I promessi sposi manzoniani (ci avevano già pensato in passato Gallone, Pacini e altri ancora). Il problema principale è che il ritmo latita, i dialoghi sono un pochetto artificiosi e – anche per i due motivi appena riportati – la fredda impostazione della narrazione pare più adatta a uno sceneggiato televisivo o a un fotoromanzo che a un film vero e proprio; non sono comunque male le scelte del cast, che vedono impiegata nel ruolo centrale Anne Heywood e, al suo fianco, Hardy Kruger, Antonio Sabato, Margherita Lozano e Caterina Boratto (e in una particina c’è anche la futura diva di Z-movies Rita Calderoni). Non essendo ancora nell’era dello sdoganamento del sesso al cinema, l’erotismo piuttosto forte che la storia sottende è comunque castigato; le scene di Flavio Mogherini funzionano così come la colonna sonora di Ennio Morricone e a completare un cast tecnico di prima qualità troviamo i costumi di Danilo Donati, la fotografia di Luigi Kuveiller e il montaggio di Sergio Montanari.

L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com

Torbido conventuale diretto dal duca di Modrone nipote di Luchino conte di Lonate Pozzolo, lontanissimo dal Manzoni (qui la sventurata risponde sempre e volentieri) ma aderente alla verità storica dell’amour fou fra suor Virginia de Leyva e lo scopereccio Giampaolo Osio. Malgrado le aspirazioni alte e la notevole caratura della compagine tecnica l’insieme, fra pulsioni erotiche e secentesche cupezze ecclesiastiche, è più in zona fotoromanzo nero che affresco in costume. Non è necessariamente un difetto.

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Anche in questa ricostruzione delle sventure di Marianna de Levya e Giampaolo Osio il cinema di Visconti jr. pencola tra logica commerciale e libera autorialità; ovvero, resta incerto tra distendersi sull’epidermide sensazionalistica e morbosa della vicenda (lussurie, intrighi, scandali e supplizi da romanzo d’appendice) o inciderla con il ricorso a fonti storiche dirette e le raffinatezze estetiche ereditate da zio Luchino. Interpretazioni nella media, con balzi di Carraro e della Gravina. Al cantastorie Carnelutti il regista affida il proprio amore per la natia terra lombarda.

L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com

La storia la conosciamo: le debolezze della carne, che si fanno ancora più eclatanti quando si indossa un abito religioso. La pellicola è lenta e lontana dalla perfezione stilistica dello zio Visconti. Non basta mettere in scena torture corporali per placare il desiderio di possedere l’aitante playboy, così come ispirarsi al capolavoro I diavoli di Ken Russell per realizzare un’opera degna di restare nella memoria dello spettatore. Fallisce perfino Morricone con la sua patetica melodia, mentre resta l’erotismo libidinoso. Anticlericale e morboso.

 

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La monaca di Monza foto1
Bibliografia:
Roberto Gervaso, La monaca di Monza. Venere in convento, Bergamo, Bompiani, 1984
Mario Mazzucchelli, La monaca di Monza, Dall’Oglio editore, 1962
G. Farinelli ed E. Paccagnini, Vita e processo di suor Virginia Maria de Leyva, Monaca di Monza, Milano, Garzanti, 1989

La monaca di Monza foto Virginia de Leyva

Suor Virginia in un dipinto d’epoca

La monaca di Monza foto Gian Paolo Osio

Gian Paolo Osio

La monaca di Monza foto convento Madonna delle Grazie a Monza

Foto d’epoca del Convento delle Grazie a Monza

La monaca di Monza foto arcivescovo Federico Borromeo

L’arcivescovo Borromeo,che istituì il processo a Suor Virginia

aprile 22, 2014 Posted by | Drammatico | , , , | 1 commento

Il segno del comando

Il segno del comando -locandina 1

E’ una domenica, il 16 maggio 1971. La sera 15.000.000 di spettatori sono seduti davanti alla tv; la Rai, nelle settimane precedenti, ha pubblicizzato uno sceneggiato televisivo che promette una storia piena di mistero con risvolti parapsicologici e sovrannaturali. Così, subito dopo il tradizionale Telegiornale della sera e l’ancor più tradizionale Carosello, parte la sigla iniziale sulle note di Cento campane di uno dei fenomeni televisivi più seguiti della storia della Tv italiana, quel Il segno del comando che per 5 domeniche, sino alla puntata finale del 13 giugno 1971, catalizzerà l’attenzione del pubblico italiano che seguirà con il fiato sospeso lo sceneggiato televisivo più bello mai trasmesso dall’ente tv italiano. “Nun me lo dì stanotte a chi hai stregato er core la verità fa male lasciame ’sta visione pe’ sperà din don din don amore cento campane stanno a dì de no...” canta Nico Tirone, e il pubblico è già ammaliato da quella voce suadente che introduce le immagini di un uomo che insegue una bellissima figura femminile tra le strade deserte di Roma.

Il segno del comando 1

Silvia Monelli (la Signora Giannelli) e Ugo Pagliai (Edward Foster)

Inizia in questo modo ammaliante, accattivante, lo sceneggiato diretto da Daniele D’Anza, regista e sceneggiatore quarantanovenne nato a Milano che il pubblico televisivo conosceva per il grande successo riscosso l’anno precedente con lo sceneggiato Coralba e sopratutto per Giocando a golf una mattina, diretto nel 1969. Uno sceneggiato che oggi sarebbe assolutamente improponibile sia come costruzione nei tempi di realizzazione dell’epoca sia nella struttura stessa; un’opera dilatata nei tempi, nei dialoghi e nelle situazioni, che sono lungamente descrittive e quasi sempre statiche. Una storia, però, che aveva tutte le carte in regola per catturare l’attenzione degli spettatori, perchè mescolava elementi da sempre catalizzatori dell’attenzione del pubblico, attraverso una sapiente miscela di storie intrecciate che coinvolgono il mondo della parapsicologia, dell’occulto e della magia, attraverso un lungo percorso che si snoda sulle tracce del misterioso segno del comando.

Il segno del comando 2

Carla Gravina (Lucia)

Il segno del comando 4

A sinistra Rossella Falk (Olivia)

Lo sceneggiato inizia mostrando l’arrivo a Roma del professor Lancelot Edward Forster, uno studioso di letteratura inglese che ha scritto una serie di articoli su Lord George Gordon Byron, poeta suo conterraneo; Edward Foster ha ricevuto dal pittore Marco Tagliaferri un invito che è una sfida, trovare una piazza citata da Byron nel suo diario che Edward ritiene immaginaria e che Tagliaferri dice di essere reale. Nello stesso tempo Foster riceve l’invito a tenere una conferenza su Byron all’interno del British Council di Roma, invito che arriva dal consulente inglese George Powell. Foster si reca a casa di Tagliaferri dove incontra la misteriosa Lucia, modella del pittore, che lo invita a incontrare Tagliaferri in una locanda di Trastevere. Lo studioso, in cerca di alloggio, si reca presso l’hotel Galba, su suggerimento di Lucia; qui conosce la direttrice dell’hotel, la bellissima signora Giannelli, che però nega di conoscere Lucia.

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Angiola Baggi (Giuliana)

Nell’albergo Foster incontra anche una sua vecchia amica (forse una vecchia fiamma), Olivia, che alloggia nell’hotel con un tipo equivoco, Lester Sullivan, che scopriremo essere un trafficante di antichità e altre attività poco chiare. Dopo aver appreso che Tagliaferri in realtà è morto, Foster si reca al British Council dove incontra Powell e la sua segretaria Barbara;la sera poi si reca all’appuntamento con Lucia, che lo porta in un posto che sembra uscito da un quadro dell’ottocento,la Taverna dell’angelo, nella quale i due attendono inutilmente l’arrivo di Tagliaferri. Edward, forse drogato, inizia ad avere delle visioni prima di svenire. Al risveglio si ritrova all’interno della sua auto dalla quale è sparita la borsa con gli appunti e le micro fiches contenenti gli studi dello studioso;dopo un’inutile tappa al commissariato, Foster trova all’interno dell’auto il bellissimo e inquietante medaglione che Lucia indossava, raffigurante una civetta. Inutilmente Foster cerca di ritrovare la taverna dell’Angelo, e il giorno dopo fa un’altra incredibile scoperta:Marco Tagliaferri è morto esattamente cento anni prima.

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La medium

L’uomo che Edward incontra nell’appartamento adiacente allo studio del pittore è infatti un suo discendente, il colonnello Tagliaferri, che racconta a Foster particolari sulla vita dell’antenato, morto giovane e in circostanze mai chiarite e del suicidio della sua modella Lucia. Naturalmente Foster è assolutamente certo di aver incontrato una donna vera, non un fantasma, tuttavia il dubbio inizia a serpeggiare nella sua mente.Un’altra sorpresa lo attende al caffè Greco, dove si reca su suggerimento del colonnello Tagliaferri; il ritratto li esposto del pittore Marco assomiglia tantissimo al volto di Foster. Recatosi in seguito ad una telefonata anonima al cimitero degli Inglesi, Foster trova anche la tomba del pittore, guidato anche in questo caso da una figura oscura che lo guida fino alla tomba. Che porta incisa la data della morte del pittore, il 28 marzo 1835, la stessa data, giorno e mese, della nascita del professore, avvenuta esattamente 100 anni dopo; Tagliaferri è morto 28 marzo del 1871 e cent’anni dopo quella data ecco che Foster dovrà tenere la sua conferenza su Byron. Intanto Foster riesce a far valutare il medaglione che Lucia gli a lasciato in auto.

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Alla ricerca dello spartito di Vitali

Prospero Barengo, un esperto d’arte,conferma che si tratta di un’opera di altissimo valore, creata da un orafo del settecento, Ilario Brandani, morto in odore di negromanzia; la sempre più spaventata Olivia cerca di convincere, inutilmente, Edward sulla necessità di andar via da Roma, mentre sarà proprio Sullivan a squarciare un altro velo di mistero raccontando a Foster che Ilario Brandani è nato il 29 marzo 1735 e morto il 28 marzo 1771, quindi cento anni prima di Tagliaferri e 200 anni prima di Edward Foster. A questo punto le sinistre coincidenze iniziano ad essere davvero tante e arriva un altro colpo di scena: Barbara, la segretaria di Powell ha scoperto che la piazza descritta da Byron e raffigurata nel quadro visto da Foster in realtà è una foto ritoccata.Il quadro vero è di proprietà del principe Anchisi, che Foster ha conosciuto da poco e che si è presentato come un esperto della vita di Byron, del quale possiede tutte le opere. Recatosi di notte nel palazzo del nobile, Foster incontra nuovamente Lucia, con la quale tuttavia non riesce a parlare. Nonostante gli avvertimenti di Barbara che gli racconta una leggenda secondo la quale il palazzo Anchisi è un luogo sfortunato, Foster si reca dal principe, nel palazzo del quale incontra anche una sua vecchia conoscenza, Sullivan, impegnato inutilmente nel tentativo di far vendere la collezione di quadri che Anchisi possiede.Il principe caccia in malo modo il trafficante e subito dopo informa Foster che il quadro andrà all’asta quel giorno stesso. Subito dopo aver avuto la notizia della morte del colonnello Tagliaferri, Edward si reca all’asta con l’intenzione di acquistare il quadro che però viene ceduto ad un anonimo acquirente.L’ennesima telefonata anonima avvisa Foster che il quadro sta per essere nuovamente venduto e il professore si reca nel posto dove dovrebbe essere effettuata la vendita.Qui però trova l’enigmatica proprietaria dell’hotel Galba, la signora Giannelli, seduta ad un tavolo per una seduta spiritica. Foster viene accolto nel cerchio e durante l’evocazione ecco che la medium parla con voce roca del quadro che si trova in una “barca a remi”. Foster scopre che la medium altri non è che la sfuggente Lucia;Foster è preda delle allucinazioni, vaga in quella che è una sartoria e si accorge che è rimasto solo.

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Lucia, donna reale o fantasma?

Recatosi nella casa di Tagliaferri, accolto dalla affranta Giuliana, nipote di Tagliaferri, Foster scopre che il colonnello è morto nell’ora esatta in cui si è fermato un orologio di gran valore in possesso del colonnello, opera ancora una volta dell’oscuro Brandani. Poichè nella cassa dell’orologio c’è un’incisione recante un effigie e il nome Sant’Onorio, Foster si reca nella chiesa romana del santo per scoprire che in realtà il sacerdote della chiesa stessa non ha mai sentito parlare di Brandani o Tagliaferri. Ma sembra esserci una svolta; in albergo Foster riceve una telefonata di Sullivan che promette importanti rivelazioni. La telefonata però è interrotta da due spri; Foster corre da Powell per raccontare l’accaduto quando all’improvviso ricorda che nella hall dell’hotel Galba, quando ha incontrato Olivia la tv stava trasmettendo un’opera di Baldassarre Vitali. E’ uno dei pezzi mancanti del puzzle, perchè proprio nella chiesa di sant’Onorio sono conservate composizione di questo artista. Recatosi nuovamente nella chiesa, Foster scopre che nella collezione di spartiti manca il salmo numero XVII, che un direttore d’orchestra li presente considera importantissimo, in quanto contenente secondo la leggenda un codice cifrato. Le rivelazioni continuano, perchè Anchisi parla a Foster di un misterioso Segno del comando,un potentissimo amuleto custodito da un messaggero di pietra che può essere trovato solo da un eletto, un talismano in grado di poter allontanare anche la morte. Foster si immerge in uno strano dormiveglia, nel quale vede funesti presagi, fra i quali la propria morte e quella dell’amica Olivia.Che in realtà è accaduta, cosa che sconvolge ancor più l’ormai confuso professore; ma la voglia, il desiderio di conoscere il bandolo di quella storia cosi complicata portano Foster a seguire l’indizio principale ancora in suo possesso, quello contenuto nel diario di Byron che rimanda ancora una volta alla piazza descritta dal poeta inglese, che contiene anche la frase oscura “Che io sia dannato se accetto ancora un invito di O.

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Grazie a Barbara, viene individuata l’abitazione in cui Byron aveva soggiornato a Roma, in Via delle Tre Spade 119 e il suo misterioso proprietario nonchè amico di Byron,Sir Percy O. Delaney; sarà un signore anziano e non vedente a dipanare ancor più il mistero, raccontando a Foster che quella casa si affacciava tempo addietro su una piazza del tutto simile a quella descritta da Byron e che il famoso salmo XVI di Baldassarre Vitali è custodito nella casa stessa. Finalmente Foster puà leggere il salmo, ma ecco il colpo di scena:passa Lucia per strada e il professore si precipita al suo inseguimento. La ragazza lo porta in un palazzo, sede della sartoria in cui Foster aveva assistito alla seduta spiritica dove c’è Powell e il redivivo Sullivan che si affrontano a pistole spianate. Sullivan nel tentativo di sfuggire a Powell precipita e muore; Powell può finalmente gettare la maschera e raccontare il suo vero ruolo nella storia, quello di un agente dei servizi segreti britannici (sulle tracce del carteggio Von Hassel, un misterioso scambio di documenti della cui esistenza sono al corrente solo 4 capi di stato, ma questo Powell non lo racconta a Foster). E’ arrivata nel frattempo la fatidica data del 28 marzo 1971,quella in cui Edward Foster deve tenere la famosa conferenza su Byron; in una sala colma di persone attentissime, fra le quali spiccano alcuni protagonisti della storia, ovvero Powell,Barbara, Anchisi; Foster rivela tutto quello che ha scoperto, giungendo infine alla parte più importante, ovvero l’assassinio di Ilario Brandani da parte del compositore Baldassarre Vitali, che aveva ucciso l’orafo per impadronirsi del Segno del comando per poi lasciare nel salmo XVII le indicazioni sul posto dove l’aveva nascosto. Ma le sorprese sono appena iniziate…

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Edward Foster nel momento del suo compleanno, un avvenimento molto pericoloso….

Ometto, per ovvi motivi, la descrizione del finale dello sceneggiato, che va gustato per intero perchè porta finalmente alla scoperta di tutti i tasselli mancanti del puzzle; la storia di fantasmi, di maledizioni,l’intrigo storico tra il poeta Byron e l’orafo maledetto Brandani, il pittore Tagliaferri e la sua bellissima modella Lucia, tra il misterioso talismano e persino una serie di documenti scottanti risalenti alla guerra è all’epilogo, un epilogo che ha del sorprendente e anche del sovrannaturale, con quella conclusione che può lasciare delusi ma che in realtà è il degno finale di una storia assolutamente lineare. E’ difficile, per chi non abbia avuto dai 15 anni in su nel 1971 capire il fascino che questo sceneggiato suscitò; per la prima volta in una edizione televisiva si vedeva una storia che mescolava con sapienza tanti elementi generalmente appartenenti al mondo della cinematografia horror o thriller, quella delle spy story o del fantastico. Questi elementi confluiscono tutti in un’unica storia che trasporta lo spettatore attraverso il tempo e una città Roma, che appare magica, fatata. La presenza di un cast assolutamente omogeneo come qualità recitativa, tutti professionisti impeccabili aggiunge valore allo sceneggiato; da Pagliai alla splendida Carla Gravina, da Checchi a Hintermann attraverso le figure degli altri caratteristi dell’opera si arriva ad un’integrazione assolutamente perfetta tra la storia e i suoi interpreti. Sono passati più di quarant’anni dal ciak si gira di Il segno del comando; molti degli attori che parteciparono a quell’esperienza sono ormai scomparsi.

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La conferenza di Foster

Non ci sono più Massimo Girotti, il bravissimo e ambiguo Powell dello sceneggiato e non c’è più Carlo Hintermann, scomparso ormai 25 anni fa, è morto Franco Volpi, grandissimo nel ruolo del principe Anchisi ed è morto Andrea Checci, il bonario commissario Bonsanti. Sono scomparsi personaggi minori del film come Serena Michelotti, la zingara e Augusto Mastrantoni, il colonnello Tagliaferri, Leopoldo Valentini (il custode del cimitero) e Roberto Bruni (Barengo),Amedeo Girardi ( il sarto Paselli) e Franco Angrisano (l’intermediario)….

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Resta lo sceneggiato, un’opera così affascinante da essere ormai diventata, nell’immaginario collettivo, la summa di quello che uno spettatore pò chiedere ad un’opera di finzione, uno sceneggiato che ancora oggi conserva quasi del tutto intatto il fascino che emanava in un tempo ormai tanto distante da noi. Un tempo in cui la tv era in bianco e nero e in cui ci si sedeva davanti alla tv in massa, in attesa spasmodica del proseguimento dell’opera, della famosa “puntata successiva” Vent’anni dopo l’uscita dello sceneggiato,sull’onda del mito che ormai aleggiava attorno al leggendario Segno del comando, il regista D’Anza rielaborò la sceneggiatura dell’opera ricavandone un romanzo che nelle intenzioni doveva chiarire i punti rimasti oscuri dello sceneggiato. Quell’opera, che ebbe un ottimo successo, venne distribuita dalla Newton Compton Editore, specializzata in opere vendute a basso costo.

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A sinistra: Massimo Girotti (Powell)

La prima edizione costava 2000 lire, un euro odierno e si faceva leggere con piacere e scorrevolezza. Il segno del comando è opera di facile visione; esistono i dvd della Elleu multimedia, casa di distribuzione che noi appassionati non dovremmo mai smettere di ringraziare e che ha permesso a tantissime persone di rivedere l’opera così come su Youtube ci sono diverse versioni, tutte complete, dell’opera televisiva. Quella qualitativamente migliore, ricavata proprio dai dvd Elleu è disponibile a questo indirizzo:                          http://youtu.be/6lcFAI4zHp4. All’utente Nino, autore del caricamento online va il mio personale ringraziamento anche per l’opera meritoria di aver messo a disposizione di tutti autentiche perle passate in tv in un’epoca ormai preistorica come la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta, ovvero Donna d’onore e Il dipinto, Philo Vance e Nero Wolfe, Vita di Leonardo Da Vinci e Joe Petrosino, L’enigma delle due sorelle,Ho incontrato un’ombra, La traccia verde. In ultimo, non posso non accennare al remake dello sceneggiato diretto nel 1992 da Giulio Onesti;ambientato a Parigi invece che a Roma, con Powell e Elena Sofia Ricci nei ruoli rispettivi di Foster e Lucia, il remake è assolutamente da dimenticare e non ha nemmeno un briciolo della suspence, dell’ambientazione di tutte quelle componenti insomma che fecero la fortuna della prima edizione.

Il segno del comando banner personaggi

Ugo Pagliai: Edward Forster
Zuma Spinelli: la portinaia
Carla Gravina: Lucia
Gino Maringola: il portiere dell’albergo
Silvia Monelli: la signora Giannelli
Rossella Falk: Olivia
Carlo Hintermann: Lester Sullivan
Giovanni Attanasio: lo sconosciuto
Luciano Luisi: il telecronista
Massimo Girotti: George Powell
Laura Belli: amica di Edwar
Luciana Negrini: amica di Edwar
Paola Tedesco: Barbara
Serena Michelotti: la zingara
Giorgio Onorato: il posteggiatore
Lucia Modugno: una donna
Adriano Micantoni: maresciallo
Augusto Mastrantoni: col. Tagliaferri
Angiola Baggi: Giuliana
Leopoldo Valentini: custode del cimitero
Franco Volpi: Raimondo Anchisi
Luisa Aluigi: una bibliotecaria
Franco Odoardi: banditore
Roberto Bruni: Prospero Barengo
Giancarlo Palermo: cameriere
Amedeo Girardi: il sarto Paselli
Anna Segnini: suora
Franco Angrisano: l’intermediario
Pietro Villani: spiritista
Armando Brancia: portiere di notte
Vittoria Di Silverio: la donna con la spesa
Andrea Checchi: comm. Bonsanti
Giorgio Gusso: il prete
Jolanda Modio: una ragazza
Paola Arduini: la telefonista
Ferruccio Scaglia: il direttore d’orchestra
Evar Maran: il rigattiere
Enrico Lazzareschi: un muratore
Vittorio Duse: primo operaio
Aleardo Ward: secondo operaio
Attilio Fernandez: il maggiordomo
Silvana Buzzo: la cameriera
Armando Anselmo: un cieco
Gualtiero Isnenghi: un bibliotecario
Bianca Manenti: una bibliotecaria

 

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Ideatore Flaminio Bollini e Dante Guardamagna
Regia Daniele D’Anza
Sceneggiatura Giuseppe D’Agata, Flaminio Bollini, Dante Guardamagna e Lucio Mandarà

 

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Nun me lo dì stanotte

a chi hai stregato er core

la verità fa male

lasciame ’sta visione pe’ sperà

din don din don amore

cento campane stanno a dì de no

ma tu ma tu amore mio

se m’hai lasciato ancora nun lo dì

no nun lo di’ nun parlà

sei una donna o una strega chissà?

Me resta ‘na speranza, la speranza di quer sì…

din don, din don amore

cento campane stanno a dì de no

ma tu ma tu amore mio

se m’hai stregato dimmelo de sì

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Il segno del comando 11

Franco Volpi (il principe Anchisi)

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Incipit del romanzo “Una berlina targata Gran Bretagna si arrestò davanti a un austero portone di via Margutta, all’altezza dello stabile contrassegnato dal numero 53/B. L’auto – una Jaguar un po’ vecchiotta – era molto impolverata, come se avesse compiuto un lungo viaggio. Era una tarda mattinata di primavera, una classica giornata del marzo romano, quando l’aria frizzante sa di verde anche se non si scorgono né alberi né giardini. Dalla Jaguar scese un uomo vestito con sobria eleganza, biondo e con gli occhi azzurri, sui trentacinque-quarant’anni; un tipo disinvolto e piuttosto sicuro di sé, dall’aria inconfondibilmente britannica. Pareva compiaciuto di trovarsi nella lunga e stretta strada tradizionalmente abitata dagli artisti, sulla quale si affacciavano numerose le botteghe degli antiquari, dei falegnami e dei corniciai. Prese dall’auto una borsa di pelle e si soffermò ad osservare una targa che spiccava accanto al portone, scritta in caratteri neoclassici: «Studi di pittura e di scultura». Poi, con passo deciso, varcò la soglia del 53/B.” Finale del romanzo Non c’era nessuno, ad eccezione di una donna che era seduta ad un tavolo e volgeva le spalle all’entrata. La capigliatura chiara, lo scialle antico… Edward si portò davanti alla donna. Non era Lucia. Aveva capelli grigi con striature bionde e indossava un costume zingaresco. La faccia, che certamente un tempo era stata bella, era solcata da una infinità di rughe. Appariva molto vecchia, ma non era possibile definirne l’età. La donna sorrise a Edward. “Perchè mi guardi così? Siediti” Edward si calò lentamente su una sedia, dall’altra parte del tavolo. “Cercavo un’altra persona…” “Non cercavi di certo me”, disse ridendo la donna. Come ipnotizzato, Edward non smetteva di fissarla. “Sai chi sono io?” Edward non rispose. Lei continuò a ridere. “Io sono una strega…Vuoi bere?” Protese una brocca di vino nero verso il bicchiere che era davanti a Edward, il quale fece segno di no e coprì il bicchiere con le mani. “E’ genuino. Io bevo solo questo” “Anche…anche lei viene qui tutte le sere?”, riuscì a dire Edward. “Come Lucia?” “Sì. La conosce?” “Tutti qui la conoscono” Con gli occhi sbarrati, Edward deglutì per poter parlare. “La supplico, mi dica qualcosa di Lucia” “Posso raccontarti qualcosa del suo passato. Te l’ho detto che sono una strega” Edward annuì. La donna spostò altrove il suo sguardo. “Lucia era figlia illegittima di uno dei principi Anchisi. Aveva un carattere libero e ribelle. Fece la modella di Marco Tagliaferri e poichè l’amava si unì a lui…” “Continui, la prego” “Tagliaferri sapeva di essere Ilario Brandani reincarnato e passò la sua breve vita a dipingere e a cercare, con ogni pratica magica, ciò che avrebbe potuto salvarlo” “Che cosa lo avrebbe salvato?” L’interesse di Edward si era fatto spasmodico. “Ancora non sai che cos’è il Segno del Comando?”, disse ridendo la donna. “Eppure, da quando sei a Roma lo porti conte…” Edward rimase interdetto, sconvolto. “Il medaglione!” La donna fece segno di sì, poi assunse un’espressione seria. “Brandani lo incise il 31/03/1771, ma non potè goderne il potere perchè proprio quel giorno…” “Quale potere?” “Quello di prolungare la vita se è troppo breve, rispose con semplicità la donna”. Quindi riprese: “Proprio quello stesso giorno Vitali, l’organista, lo uccise e glielo rubò”. I lineamenti della donna si indurirono. “Poi, quando Vitali si sentì vicino a morire, perchè per il delitto che aveva commesso non poteva che morire, lo nascose” “E Tagliaferri lo cercò inutilmente…” “Sapeva che non poteva essere lontano da un certo luogo, la piazza che addirittura dipense, ma non riuscì a trovarlo. Morì prima dell’alba del 31/03. Cento anni fa.” “Come morì Tagliaferri?” “Lo trovarono annegato nel Tevere. Dissero che era stato il vino. Questo vino.” La donna bevve. Edward restò a guardarla. “E…Lucia?” “Si lasciò morire nello studio di via Margutta. Ma le fu concesso di continuare a cercare il medaglione.” “Le fu concesso…? Da chi?” Lo sguardo della donna si fece serio e penetrante. “Tu vivi in un mondo di certezze. Non varcare questo limite, non ti è consentito. Lucia voleva trovare il Segno del Comando per interrompere la catena maledetta delle reincarnazioni…” “Quando lo ha trovato?” “Tu non eri ancora nato, e neppure questo secolo” Le domande che assillavano Edward gli davano un’aria eccitata, febbrile. “Altri lo cercavano…e Lucia era…stava con loro…” La donna sorrise. Aveva un sorriso piacevole, giovanile. “Lucia era rimasta legata al vincolo di sangue con Anchisi. Il principe e i suoi amici se ne servivano per cercare contatti con l’aldilà. Ma Lucia doveva dare a te il medaglione, perchè tu eri il predestinato” Edward si versò un pò di vino. Aveva bisogno di bere qualcosa. “Ma dov’è Lucia? Poichè le devo la vita, vorrei…” “Non verrà”, disse la donna scuotendo il capo. “Non verrà mai più”. Edward si alzò e si portò la mano a una tasca. “Vai. Torna al tuo paese e ai tuoi studi.” “Volevo almeno restituirle il medaglione”, disse Edward mostrandolo alla donna. Lei lo prese, lo rigirò nel palmo della mano e glielo restituì. “Il Segno del Comando…Ora non è che un bel medaglione. Puoi tenerlo. Conservalo come un ricordo di Lucia.” Edward retrocedette lentamente, poi voltò le spalle alla donna e raggiunse le scale. In quel momento stava scendendo un uomo che portava una chitarra. Edward se lo ricordò: sembrava gemello del servitore (o era il padrone?) che si occupava della mescita. Edward incrociò l’uomo dalla chitarra e uscì. Il nuovo venuto si avvicinò alla donna: le parlò con estrema dolcezza. “E’ tardi, Lucia” “Sì, si è fatto tardi” Mentre le luci si facevano ancora più fioche, l’uomo si appoggiò a una parete, e si mise a cantare accompagnandosi con la chitarra. “Nun me lo dì stanotte a chi hai stregato er core. La verità fa male, lasciame ‘sta visione per sperà.” Il segno del comando banner gli oggetti Il segno del comando Gli oggetti 6

L’orologio in possesso del colonnello tagliaferri, opera dell’orafo Brandani

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Il pugnale con la lama che scatta ogni 13 colpi, opera dell’orafo Brandani

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Il messaggero di pietra che custodisce due segreti…

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La tela di Marco Tagliaferri 

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Particolare della piazza con rudere romano

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Il medaglione magico di Lucia

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La tomba di Marco Tagliaferri

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Il segno del comando banner foto locandine

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Ugo Pagliai, Edward Foster

Il segno del comando -Carla Gravina

Carla Gravina, Lucia

Il segno del comando -Andrea Checchi

Andrea Checchi, il commissario Bonsanti

Il segno del comando -Angiola Baggi

Angiola Baggi, Giuliana nipote del colonnello Tagliaferri

Il segno del comando -Augusto Mastrantoni

Augusto Mastrantoni, il colonnello Tagliaferri

Il segno del comando -Carlo Hintermann

Carlo Hintermann,Sullivan

Il segno del comando -Silvia Monelli

Silvia Monelli, la signora Giannelli

Il segno del comando -Paola Tedesco

Paola Tedesco, Barbara

Il segno del comando -Rosella Falck

Rossella Falk, Olivia

Il segno del comando -Massimo Girotti

Massimo Girotti, Powell

Il segno del comando -Franco Volpi

Franco Volpi, il principe Anchisi

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L’edizione Newton Compton del romanzo di D’Anza

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L’ultima scena dello sceneggiato

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Il nascondiglio

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Nel cimitero degli Acattolici

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Uno degli incubi di Edward Foster

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Edward, Lucia e … Il segno del comando

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La bella segretaria di Powell,Barbara

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Via Margutta 33, la casa di Marco Tagliaferri

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Lucia

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Il ritratto di Tagliaferri

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Il giorno fatidico

 

Di seguito il finale del romanzo di D’Anza,differente dallo sceneggiato televisivo;era quello che il regista avrebbe voluto ma che per varie ragioni rimase solo nella stesura del romanzo.

 

Edward camminava lentamente senza guardarsi intorno, come se conoscesse perfettamente la strada. Infatti riuscì a trovare ciò che cercava. O forse ciò che cercava si fece trovare. Ad un certo punto si trovò davanti ad un vecchio e basso edificio sul quale spiccava, bianca su nero, l’antica insegna ottocentesca: «TAVERNA DELL’ANGELO». Il cuore gli batteva forte quando, oltrepassato lo stretto ingresso, discese la breve scala curva e si trovò nel vasto scantinato dal soffitto a botte. Le lampade a petrolio e alcune torce infisse alle pareti illuminavano a malapena l’ambiente, permettendo di distinguere i due servitori che parevano usciti da una stampa del Pinelli. Edward riconobbe quello che stava al banco della mescita: allampanato, coi capelli lunghi, la faccia più che mai spettrale. Non c’era nessuno, ad eccezione di una donna che era seduta ad un tavolo e volgeva le spalle all’entrata. La capigliatura chiara, lo scialle antico… Edward si portò davanti alla donna. Non era Lucia. Aveva capelli grigi con striature bionde e indossava un costume zingaresco. La faccia, che certamente un tempo era stata bella, era solcata da una infinità di rughe. Appariva molto vecchia, ma non era possibile definirne l’età. La donna sorrise a Edward. «Perché mi guardi così? Siediti.» Edward si calò lentamente su una sedia, dall’altra parte del tavolo. «Cercavo un’altra persona…» «Non cercavi di certo me», disse ridendo la donna. Come ipnotizzato, Edward non smetteva di fissarla. «Sai chi sono io?» Edward non rispose. Lei continuò a ridere. «Io sono una strega… Vuoi bere?» Protese una brocca di vino nero verso il bicchiere che era davanti a Edward, il quale fece segno di no e coprì il bicchiere con le mani. «È genuino. Io bevo solo questo.» «Anche… anche lei viene qui tutte le sere?», riuscì a dire Edward. «Come Lucia?» «Sì. La conosce?» «Tutti qui la conoscono.» Con gli occhi sbarrati, Edward deglutì per poter parlare. «La supplico, mi dica qualcosa di Lucia.» «Posso raccontarti qualcosa del suo passato. Te l’ho detto che sono una strega.» Edward annuì. La donna spostò altrove il suo sguardo. «Lucia era figlia illegittima di uno dei principi Anchisi. Aveva un carattere libero e ribelle. Fece la modella di Marco Tagliaferri e poiché l’amava si unì a lui…» «Continui, la prego.» «Tagliaferri sapeva di essere Ilario Brandani reincarnato e passò la sua breve vita a dipingere e a cercare, con ogni pratica magica, ciò che avrebbe potuto salvarlo.» «Che cosa lo avrebbe salvato?»
L’interesse di Edward si era fatto spasmodico. «Ancora non sai che cos’è il Segno del comando?», disse ridendo la donna. «Eppure, da quando sei a Roma lo porti con te.» Edward rimase interdetto, sconvolto. «Il medaglione!» La donna fece segno di sì, poi assunse un’espressione seria. «Brandani lo incise il 31 marzo 1771, ma non poté goderne il potere perché proprio quel giorno…» «Quale potere?» «Quello di prolungare la vita se è troppo breve», rispose con semplicità la donna. Quindi riprese: «Proprio quello stesso giorno Vitali, l’organista, lo uccise e glielo rubò». I lineamenti della donna si indurirono. «Poi, quando Vitali si sentì vicino a morire, perché per il delitto che aveva commesso non poteva che morire, lo nascose.» «E Tagliaferri lo cercò inutilmente…» «Sapeva che non poteva essere lontano da un certo luogo, la piazza che addirittura dipinse, ma non riuscì a trovarlo. Morì prima dell’alba del 31 marzo. Cento anni fa.» «Come morì Tagliaferri?». «Lo trovarono annegato nel Tevere. Dissero che era stato il vino. Questo vino.» La donna bevve. Edward restò a guardarla. «E… Lucia?» «Si lasciò morire nello studio di via Margutta. Ma le fu concesso di continuare a cercare il medaglione.» «Le fu concesso…? Da chi?» Lo sguardo della donna si fece serio e penetrante. «Tu vivi in un mondo di certezze. Non varcare questo limite, non ti è consentito. Lucia voleva trovare il Segno del comando per interrompere la catena maledetta delle reincarnazioni…» «Quando lo ha trovato?» «Tu non eri ancora nato, e neppure questo secolo.» Le domande che assillavano Edward gli davano un’aria eccitata, febbrile. «Altri lo cercavano… e Lucia era… stava con loro…» La donna sorrise. Aveva un sorriso piacevole, giovanile. «Lucia era rimasta legata al vincolo di sangue con Anchisi. Il principe e i suoi amici se ne servivano per cercare di avere contatti con l’aldilà. Ma Lucia doveva dare a te il medaglione, perché eri tu il predestinato.» Edward si versò un po’ di vino. Aveva bisogno di bere qualcosa. «Ma dov’è Lucia? Poiché le devo la vita, vorrei…» «Non verrà», disse la donna scuotendo il capo. «Non verrà mai più.» Edward si alzò e si portò la mano a una tasca. «Vai. Torna al tuo paese e ai tuoi studi.» «Volevo almeno restituirle il medaglione», disse Edward mostrandolo alla donna. Lei lo prese, lo rigirò nel palmo della mano e glielo restituì. «Il Segno del comando… Ora non è che un bel medaglione. Puoi tenerlo. Conservalo come un ricordo di Lucia.» Edward retrocedette lentamente, poi voltò le spalle alla donna e raggiunse le scale. In quel momento stava scendendo un uomo che portava una chitarra. Edward se lo ricordò: sembrava gemello del servitore – o era il padrone? – che si occupava della mescita. Edward incrociò l’uomo dalla chitarra e uscì. Il nuovo venuto si avvicinò alla donna: le parlò con estrema dolcezza. «È tardi, Lucia.» «Sì, si è fatto tardi.» Mentre le luci si facevano ancora più fioche, l’uomo si appoggiò a una parete, e si mise a cantare accompagnandosi con la chitarra.

«Nun me lo di’ stanotte a chi hai stregato er core. La verità fa male, lasciame ‘sta visione per sperà. Din don, din don, amore, cento campane stanno a di’ de no, ma tu, ma tu, amore mio, se m’hai lasciato, ancora nun lo di’. No, nun lo di’, nun parlà, sei una donna o una strega, chi sa. Me resta la speranza, la speranza de quer sì. Din don, din don, amore, pure le streghe m’hanno detto no, ma tu, ma tu, amore mio, se m’hai stregato dimmelo de sì.»

FINE

aprile 15, 2013 Posted by | Serie tv | , , | Lascia un commento

La donna invisibile

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Laura ed Andrea sono una coppia profondamente in crisi; l’uomo, un docente universitario poco amato dai suoi studenti sembra ormai considerare la moglie un oggetto d’arredamento, privo di vita o di anima tanto da vederla come un fantasma. Lei invece è ancora innamorata del marito ma non sa come fare a farlo tornare a se.
A complicare la relazione tra i due c’è la presenza,in casa, della ambigua Delfina, che a differenza di Andrea cerca un dialogo con Laura anche se per motivi poco chiari.
Delfina infatti è ambigua anche dal punto di vista sessuale, tanto da trattare Laura come un oggetto dei propri desideri.Andrea guarda alla cosa con suprema indifferenza, tanto ormai è lontano dalla moglie.
Finirà in tragedia, una tragedia dai contorni surreali…

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Giovanna Ralli

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Carla Gravina

Tratto da un racconto breve di Alberto Moravia, adattato per lo schermo da Dacia Maraini e dal regista Paolo Spinola con la collaborazione dello sceneggiatore Ottavio Jemma, La donna invisibile è un film dai contorni sfumati e inafferrabili, in bilico tra la metafisica, il racconto fantastico, il dramma e la farsa.
Un film labirintico, dai ritmi blandi, teso a mostrare le chiavi di lettura che lo spettatore può ricavare dalla visione di un film che offre varie possibilità di interpretazione allo spettatore; un film che parla al tempo stesso di crisi della coppia e di valori borghesi, di moralismo bigotto in materia sessuale ma anche di liberazione dallo stretto e rigido ambito matrimoniale.
Non sono queste le uniche chiavi di lettura del film, ma fondamentalmente si può partire da qui per interpretare, ed è davvero il verbo giusto, un film molto complesso e sfuggente ad un’analisi univoca.Tra l’altro, nella versione che circola ormai solo in ambito televisivo mancano abbondantemente 7 minuti di girato.

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Il motivo è da ricercarsi nella censura che scattò ad appena 24 ore dalla proiezione della pellicola nel 1969,nel mese di agosto.
Cosa sia stato tagliato dal film è cosa difficile da dirsi, probabilmente scene di nudo o un amplesso tra Andrea e la sua amante Delfina; poichè la casa distributrice non le ha più integrate nella pellicola, occorrerà aspettare una versione digitale del film per sperare in una visione completa dello stesso.
Tornando al film, Spinola indugia moltissimo sul torbido rapporto che viene a stabilirsi tra Andrea e Delfina e tra la stessa Delfina e la sventurata Laura, vera ed autentica vittima in tutti i sensi della fine del suo rapporto amoroso con il marito e poi vittima in senso fisico nel drammatico finale.
Siamo nel 1969, in piena epoca di contestazione e di profonda trasformazione della società; il tema matrimonio, così come il tema famiglia e il tema sessualità sono alcuni dei modelli di riferimento più soggetti ad attacchi e a contestazioni da parte di buona parte della società che conta.

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E, ovviamente, anche da parte dell’ intellighenzia borghese e culturale, le prime ad agitare la fronda contro fondamenti della società considerati ormai vetusti o antiquati.
Quest’aria si respira, a tratti, nel film, anche se come dicevo agli inizi è difficile trovare il bandolo della matassa di un film che appare diverso ad ogni visione, che alterna momenti francamente noiosissimi ad altri di gran fascino.
Colpa anche di una sceneggiatura che ha allungato la storia di Moravia trasformandola in qualcosa di differente dal racconto originale.
Moravia aveva scritto un racconto in cui il tema centrale era la crisi di una coppia originata dal “disinnamoramento” di Andrea verso Laura, che si traduce in una vera e propria esclusione fisica della donna dalla vita dell’uomo, che un giorno si scopre a fissare una macchia sul muro senza rendersi conto della presenza di Laura davanti a lui.

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Nel film viene mantenuto coerentemente il racconto della coppia in crisi e il finale tragico, con una riscrittura profonda di tutto il resto.
La storia quindi viene raccontata attraverso i vani tentativi da parte di Laura di rendere la sua presenza “fisica” agli occhi del marito; la donna arriverà a raccontare un suo occasionale tradimento al marito senza però suscitare alcuna emozione apparente in Andrea.
L’amore non è eterno e quando la passione finisce o si trova qualcosa per riaccenderla o si cambia aria; anche questo può essere un tema di riflessione che il film offre, mentre la musica del solito impareggiabile Morricone sottolinea alcuni passaggi cruciali dello stesso.
A creare il giusto clima, sospeso tra cose dette e sopratutto non dette ci sono due grandi attrici del cinema del passato, Giovanna Ralli e Carla Gravina.

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Giovanna Ralli interpreta il dolente e perdente personaggio di Laura, la donna invisibile, la donna innamorata che non si rassegna alla fine del suo matrimonio, a quell’amore verso un marito che ormai non la distingue dalla tappezzeria o dai mobili di casa.Carla Gravina invece è l’ambigua Delfina, creatura eterea ma al tempo stesso torbida, come quella sua sensualità inesplicata, in bilico tra lesbismo e eterosessualità, un personaggio probabilmente non espresso in maniera compiuta a favore della vera protagonista che in fondo è la sventurata Laura.
Due donne molto diverse, quelle che appaiono nel film; due donne separate da un uomo che non ama più la moglie e che invece è irresistibilmente attratto dal terzo lato del triangolo,Delfina.
Peccato per le scene tagliate, perchè probabilmente avremmo capito di più del vero legame tra il maturo professore universitario e la donna misteriosa, sessualmente promiscua.

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Andrea è interpretato da Silvano Tranquilli, un attore spesso utilizzato in ruoli intellettualmente impegnati; questa volta il suo personaggio non è caratterizzato in maniera profonda, tanto che l’attore appare inamidato in una parte sfuggente, dai contorni poco chiari.
La donna invisibile è un film estremamente raro, passato molto tempo fa in tv nella famosa versione purgata; a meno di miracoli sarà impossibile vedere la versione originale del film, a meno che la casa che detiene i diritti non possegga il master originale nella versione completa. Anche i rete il film è pressochè introvabile.

La donna invisibile
Un film di Paolo Spinola. Con Silvano Tranquilli, Carla Gravina, Giovanna Ralli, Gino Cassani, Anita Sanders, Elena Persiani, Gigi Rizzi, Raul Martinez Drammatico, durata 92′ min. – Italia 1969.

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La donna invisibile Banner personaggi

Giovanna Ralli: Laura
Silvano Tranquilli: Andrea
Carla Gravina: Delfina
Gigi Rizzi: Carlo
Elena Persiani: Tania
Gino Cassani: marito di Tania
Anita Sanders: Anita
Raul Ramirez: Osvaldo
Regia Paolo Spinola

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Soggetto Paolo Spinola, Dacia Maraini
Sceneggiatura Paolo Spinola, Dacia Maraini, Ottavio Jemma
Produttore Silvio Clementelli per Clesi Cinematografica
Distribuzione (Italia) Euro International Film (1969)
Fotografia Silvano Ippoliti
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone

La donna invisibile Banner recensioni

L’opinione dell’utente emmepi8 tratta dal sito http://www.filmtv.it
“Spinola al terzo film, e dopo diversi anni ne ha fatto un altro, e poi ha cessato l’attività. Forse è stato un peccato, infondo era una mente abbastanza insolita per il nostro panorama cinematografico, forse un po’ troppo intellettualizzata, ma sempre diversa. Qui ha scelto un racconto di Moravia, cosceneggiato con Dacia Maraini e Ottavio Jemma, quest’ultimo in particolare tagliato più per commedie, anche grassocce, e non per operazioni come queste. Il film ha un suo valore, anche se la simbologia fantastica non si sposa bene con la realtà della storia e questo mixer stride in maniera particolare. Il tema è figlio un po’ dei tempi: siamo nel 1969 la contestazione sta di casa e la libertà sessuale, con la dovuta decadenza dei costumi borghesi, è di moda, ma tutto dipende dal tocco, e Spinola non è stato molto fortunato con i collaboratori. Ottima la fotografia di Silvano Ippoliti, ricercatissimi gli abiti delle nostre protagoniste. Il cast troneggia con Giovanna Ralli (inusuale interprete!!) e Carla Gravina, il resto è cast di serie B e si vede.

L’opinione dell’utente ilgobbo tratta dal sito http://www.davinotti.com
“Niente male questa variazione sul tema del döppelganger dal racconto moraviano. Un film che traccheggia fra due tipi d’atmosfera, privilegiando, forse involontariamente o per forma mentis del regista il cotè del dramma erotico-borghese, classico del cinema e della letteratura dell’epoca. Protagoniste notevoli, la Ralli è bella ma la Gravina (truccata come la Maraini che sceneggia) è davvero intrigante. Attonito il giusto Tranquilli, inconfondibile colonna sonora di Morricone. E a proposito di icone d’epoca, c’è anche Gigi Rizzi!”

L’opinione dell’utente Lucius tratta dal sito http://www.davinotti.com
Una fotocopia dignitosa ma pur sempre fotocopia dello stile antonioniano che si fa apprezzare principalmente per la Gravina e la Ralli, qui in due interpretazioni particolarmente indovinate. Un Moravia trasformato dagli autori, ma ugualmente fascinoso per un film che presenta un incipit originale e un filo narrativo non del tutto lineare. La difficile convivenza di una coppia borghese con tanto di accenni di lesbismo e una soundtrack eccellente del maestro Morricone, che ha nettamente contribuito ad innalzare il livello della pellicola.

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aprile 8, 2013 Posted by | Drammatico | , , , | 1 commento

Tony Arzenta

Tony Arzenta locandina

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Tony è un killer e nel suo mestiere è il migliore, preciso, silenzioso, implacabile. Ma la sua nuova natura di pater familia, gli impone di smettere. Guardare il piccolo dormire dopo aver tolto la vita a qualcuno, è una doppiezza che non gli attiene più; quella pallottola che prima o poi sarebbe diretta a lui, che non era mai stato un problema prima, adesso avrebbe il peso di una tragedia troppo grande. E allora ha deciso: un ultimo lavoro e poi fuori. Ma l’organizzazione per la quale ha lavorato fin’ora, una sorta d’internazionale del crimine in odore di mafia, non accetta dimissioni: Arzenta sa troppo e non può certo andarsene via così senza pagarne pegno.
Ed il pegno è alto, altissimo: ancora una volta, la propria stessa vita. Il conto che sarà costretto a pagare è, però, se possibile, ancora più salato. Dentro l’auto caricata di tritolo non salirà lui, vittima designata, ma sua moglie e suo figlio, la morte dei quali, contravvenente anche lo stesso codice “etico” della mala, scatenerà la sua contro-vendetta. Una gara venatoria in cui i ruoli di cacciatore e preda si ribalteranno continuamente.

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Alain Delon e Nicoletta Machiavelli

Mai arretrerà dal compito che si è dato: uccidere uno ad uno i vertici dell’organizzazione. Quando si piegherà ad una trattativa, mosso dalle garanzie di una tregua riferite per mezzo dell’amico parroco, è la fine. Una fine sbrigativa e beffarda.

Il plot del film è essenzialmente tutto qui. Come nelle parole dello stesso sceneggiatore, Roberto Gandus, è il canovaccio trito e ritrito del tipo che vuole abbandonare il giro ma glielo impediscono. Ed è vero.

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Ma Tony Arzenta vive d’altro ed è qualcosa che va aldilà e lo pone al di fuori del genere a cui è eletto, grosso modo il poliziottesco di quegli anni. E’ quella nota dolente che attraversa tutto il film, già da prima che il dramma si compia, che segna il volto di Tony sin dalle prime inquadrature. Poiché se Simenon, per tramite di Maigret, ebbe a dire che “Non esistono vittime e carnefici ma solo vittime“, allora Tony è già morto da tempo e quell’ultimo omicidio su commissione, è vissuto da lui come un ultima violenza a se stesso ed ai suoi cari.
Mentre in casa si festeggia il compleanno del figlio, con il fare dell’impiegato consapevole di star perdendo momenti fondamentali della sua vita per un lavoro che non ama, Arzenta si appresta a raggiungere il condannato a morte come se il condannato fosse lui stesso. Sui titoli va L’appuntamento di Ornella Vanoni. Forse è un allusione ai trascorsi della cantante nota anche per le cosiddette “canzoni della mala”;

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Carla Gravina

forse scelta per la profonda milanesità dell’interprete ad aprire un film profondamente meneghino come questo. Oltretutto contribuisce a datare gli eventi, è il 1973, oltre che a commentare per contrasto la tensione statica che prelude all’atto violento che sta per compiersi, dà la misura dell’anomala quotidianità di quella che è una persona qualunque, con “l’autoradio” ed il “mangianastri”, sintetizza il senso della vicenda ed anticipa gli eventi: la vita di Tony, da quel momento sarà segnata da una serie di appuntamenti con un destino che non darà tregua.

Tessari, regista robustissimo, qui, secondo il sottoscritto, al suo apice, rende omaggio al polar francese. Riprende Il clan dei siciliani di Verneuil e lo ibrida a Frank Costello faccia d’angelo.
Di fatto, sembra prendere il samurai di Melville trasponendolo in Italia, qualche anno dopo, con i segni del tempo, inteso più che altro come accumulo di amare esperienze giacchè Delon invecchia come il vino buono, che ne solcano il viso e ne incupiscono lo sguardo. Ridefinisce le coordinate spostandone l’accento sulla componente emotiva, laddove il noir d’oltralpe raffreddava e stilizzava i sentimenti.

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Silvano Tranquilli

Il percorso (de)formativo insito in pellicole come lo stesso Frank Costello, costruito come progressivo mutamento esistenziale del personaggio centrale, viene vissuto qui in modo estremamente doloroso: la perdita; la paura d’immaginarsi una nuova vita così profondamente lontana da quella precedente; l’oblio di se, nel rintanarsi nella solitudine della propria casa a macerare la pena nei ricordi, ad osservare i giocattoli del figlio, nello sfogliare l’ultimo libro letto dalla moglie.
I limiti del film vanno ricercati proprio nell’obiettivo che si è posto (il polar all’italiana); nei riferimenti troppo alti, un po’ pretenziosi, troppo al di sopra delle sue effettive possibilità.
Dove gli snodi drammaturgici avrebbero imposto una maggiore concentrazione, tutto viene risolto in azione, se non in ironia. Il ché smorza nettamente la tensione e la stessa visione viene, per questo, condizionata da aspettative puntualmente tradite. Ma, basta cambiare prospettiva e il film riconquista tutta la sua forza: è un thriller tutto italiano che della grammatica francofona assume soltanto i tratti essenziali e li sintetizza ulteriormente in un soggetto più ruvido ma più sentimentalmente coinvolgente.

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Per Arzenta, così come per Costello alla rottura dello schema rigidissimo entro il quale si muove, non può corrispondere seguito. E questo Delon lo fa presagire fin dai primi momenti, perchè, dall’attore immenso che fu, non interpreta, ma diviene il suo personaggio. Lo trascina, sequenza dopo sequenza, vivendolo fino in fondo, restituendo ogni sua pena in modo che più verosimile non potrebbe essere. Non si abbandona mai alla disperazione ma la introietta, rielaborandola in una vendetta silenziosa ed inarrestabile. Una vendetta che lo porterà sino a Copenaghen dove l’organizzazione è impegnata in un summit. E’ lui motore e fulcro della meccanica narrativa.
Lungo il percorso, affiorano gli stralci della sua vita nella forma di passate conoscenze: come Domenico (Marc Porel) che pagherà cara la sua amicizia; Sandra (Carla Gravina) che lo affiancherà sino alla fine e Dennino (Giancarlo Sbragia) che lo aiuterà, invece, durante la trasferta danese ma del quale traspare da subito la natura ambigua.

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Richard Conte e Umberto Orsini

Presenze che, insieme ai genitori, costruiscono con pochi segni la complessità di una figura che affianca la mietitura di anime a rapporti profondi e legami potenzialmente indissolubili.

Tony Arzenta vive di momenti, d’immagini, di concitate scene d’azione che sono tra le migliori mai realizzate in Italia. Così come più che efficaci sono le veloci sequenze in auto, dalle riprese oblique,
dal veloce montaggio alternato e dai carrelli Kubrickiani che anticipano Tony sotto i portici o tra i corridoi del residence. Vi sono attimi di estrema tensione (Tony, a Copenaghen, che, fuori dalla pensione, accompagna la prostituta nella piazza deserta pur consapevole del rischio d’agguato) e momenti di attesa leoniana (l’introduzione in casa di Cutitta o il matrimonio della figlia di Nick sul finale).

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A sinistra: Corrado Gaipa

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La fotografia dipinge quadri pop di grande profondità e contribuisce fortemente a trasmettere quel senso di amara desolazione che stringe il protagonista, attraverso espedienti di rara forza sintetica; come la zoomata a scatti, sul protagonista seduto in fondo, attraverso le aperture del corridoio di casa. O le riprese dell’accumulo di oggetti, dei resti di cibo e bevande che sottolineano in un attimo lo scorrere del tempo come da insegnamento del maestro Hitch (vedi La finestra sul cortile). Per non dire del campionario di modelli estetici vintage di cui il film diventa, inconsapevolmente, manifesto, rivisto a quarant’anni di distanza. Quando il filmare insistentemente abiti, architetture, interni, dischi, ecc., fu probabilmente un vezzo, anche piuttosto diffuso nel cinema del tempo e non solo italiano, di rendere tributo alla propria contemporaneità. Ed anche in questo il referente diretto restano le immortali geometrie di Frank Costello.

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A reggere il tutto contribuisce un vero e proprio dream team di caratteristi del cinema del tempo: oltre a Richard Conte e Umberto Orsini, Roger Hanin, Carla Calò, Silvano Tranquilli, Rosalba Neri, il grande Lino Troisi, Erika Blanc, Anton Diffring, i succitati Porel, Sbragia e Gravina. Facce note dietro le quali si celava un immenso lavoro d’artigianato che ha reso Tony Arzenta, con le sue mille sbavature, le sue altrettante ingenuità (soprattutto nei dialoghi) ed incoerenze (perchè Sandra dovrebbe farsi il viaggio da Milano alla Sicilia senza mai risistemarsi capelli e trucco dopo essere stata picchiata?) tra i migliori esempi del cinema di genere di quei tempi.
Si, ma a quale genere apparterrà un film come questo?

Tony Arzenta (Big Guns)
Un film di Duccio Tessari. Con Alain Delon, Roger Hanin, Marc Porel, Carla Gravina, Richard Conte, Nicoletta Machiavelli, Guido Alberti, Ettore Manni, Silvano Tranquilli, Carla Calò, Giancarlo Sbragia, Umberto Orsini, Rosalba Neri, Erika Blanc, Corrado Gaipa, Loredana Nusciak, Nazzareno Zamperla, Anton Diffring, Lino Troisi Titolo originale Big Guns. Drammatico, durata 113′ min. – Italia, Francia 1973.

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Alain Delon: Tony Arzenta
Richard Conte: Nick Gusto
Carla Gravina: Sandra
Marc Porel: Domenico Maggio
Roger Hanin: Carrè
Nicoletta Machiavelli: Anna Arzenta
Lino Troisi: Rocco Cutitta
Silvano Tranquilli: Montani
Corrado Gaipa: Padre di Tony
Umberto Orsini: Avvocato Isnello
Giancarlo Sbragia: Luca Dennino
Erika Blanc: Prostituta
Loredana Nusciak: L’amante di Gesmundo

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Regia Duccio Tessari
Sceneggiatura Franco Verucci, Ugo Liberatore e Roberto Gandus
Produttore Luciano Martino
Fotografia Silvano Ippoliti
Montaggio Mario Morra
Musiche Gianni Ferrio
Scenografia Lorenzo Baraldi
Costumi Danda Ortona
Trucco Mario Van Riel

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aprile 2, 2012 Posted by | Drammatico | , , , , , , , , | Lascia un commento

Cuore di mamma

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Provo ad usare una sola definizione per giudicare Cuore di mamma, film di Salvatore Samperi targato 1968, quindi uscito in piena epoca di contestazione: presuntuoso.
Un film che mette a cuocere mille argomenti, che alla fine non ne concretizza nemmeno uno, Storia slegata, paradossale, giocata su troppi livelli, eccessivamente fumosi e intellettualoidi, con una trama scoordinata e paradossale, un film, insomma, che ha pochi pregi e una marea di difetti.

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Storia che racconta la personale vicenda di Lorenza, impiegata di una libreria, pressochè sempre occupata a seguire i suoi tre figlioli, dei quali il più grande è un autentico teppista, vagamente somigliante ad un nazistello, l’enfant terrible, per esempio, fissato con la superiorità della razza italica (un bambino!), che tenta di lanciare con un razzo rudimentale prima il fratellino in orbita, poi, non riuscendoci, prova con il gatto con il bel risultato di fare esplodere il razzo con dentro la povera bestiola.

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Non solo: il ragazzino terribile incide con un punteruolo le natiche di una giovane domestica, rinchiude in un armadio l’anziana governante, costringendola a denudarsi per uscire dallo stesso. Un campionario di assurdità, che trovano il culmine nell’omicidio del piccolo Sebastiano, affogato nella vasca del bagno. Nel frattempo Lorenza, svagata e preda di un mutismo assoluto (non dirà mai una sola parola nel corso del film), segue un gruppo di terroristi, decisa a saperne di più; conosciutili meglio, ne sposerà la causa, accettando  loro attentati contro il potere borghese.

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Nel frattempo il piccolo nazista di casa uccide la sorellina; non pago, grazie ad una serie di registrazioni, monta su un accusa poco credibile nei confronti della madre. che, dal canto suo, accetta passivamente la presenza dell’ex marito, della sua nuova compagna, la corte della ambigua cognata. Quando l’apatica Lorenza si rende conto del potenziale devastante del figlio, ne provoca la morte, facendolo esplodere con uno dei razzi che il giovinastro aveva assemblato. Dopo di che, incurante del dolore che una madre dovrebbe quantomeno provare di fronte alla perdita di tre figli, va a far esplodere la fabbrica dell’ex marito.

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Apologo confuso, cialtrone e furbetto, Cuore di mamma lascia inespresse tutte le sue eventuali potenzialità, attraverso una narrazione spezzettata, tesa più all’esposizione delle teorie di Samperi sui mali della società che alla costruzione di un modello di riferimento di valori, attraverso una denuncia non fumosa dei famosi mali, ma realistica, obiettiva e oggettiva. Tutto ciò nel film rimane clamorosamente inespresso, e a nulla vale la presenza di una grande Carla Gravina che rende al meglio il pur assurdo personaggio di Lorenza,

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guerrigliera radical chic la cui famiglia finisce per autodistruggersi, quasi un olocausto propugnato da un Samperi che mostra, una volta di più, di essere uno dei registi più insopportabilmente sopravalutati della storia dl cinema. Bene anche Beba Loncar, nei panni dell’ambigua, anche sessualmente, cognata di Lorenza, e bene Leroy, anche se un tantino spaesato, nei panni dell’industriale marito della donna. Un cenno al piccolo protagonista della pellicola, il bambino terribile: riesce ad essere così odioso da meritare un oscar. Un oscar per un film così eccessivo, banale e mal costruito, in effetti, mi sembra un pò troppo.

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Cuore di mamma, un film di Salvatore Samperi. Con Philippe Leroy, Beba Loncar, Carla Gravina, Yorgo Voyagis, Rina Franchetti, Roberto Bruni, Paolo Graziosi, Nicoletta Rizzi, Mauro Gravina, Monica Gravina, Massimiliano Ferendeles, Valentino Orfeo, Sara Di Nepi, Massimo Monaci, Rossano Jalenti, Claudio Dani
Drammatico, durata 92 min. – Italia 1968

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Philippe Leroy: Andrea Franti
Beba Loncar: Magda Franti
Carla Gravina: Lorenza Garroni
Yorgo Voyagis: Carlo
Rina Franchetti: Berta
Nicoletta Rizzi: Eleonora
Monica Gravina: Anna
Mauro Gravina: Massimo
Paolo Graziosi: Mariano
Sara Di Nepi: Rosa

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Regia Salvatore Samperi
Soggetto Sergio Bazzini, Salvatore Samperi
Sceneggiatura Salvatore Samperi
Produttore Doria Cinematografica
Distribuzione (Italia) Cineriz
Fotografia Aldo Scavarda
Montaggio Roberto Perpignani
Musiche Ennio Morricone

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giugno 28, 2009 Posted by | Drammatico | , , | 6 commenti

L’Anticristo

Una giovane rampolla della nobiltà romana, Ippolita Oderisi, rimasta parzialmente priva dell’uso delle gambe da bambina, dopo un incidente stradale nel quale è morta la madre, inizia ad essere perseguitata da strani sogni. Un giorno suo padre e suo cugino decidono di farla visitare da uno psicologo, che la sottopone ad una seduta di ipnosi regressiva.

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Carla Gravina

Così Ippolita rivive dapprima il terribile incidente che le è costato l’invalidità, e subito dopo frammenti di una vita precedente di 400 anni. Rivive così la terribile esperienza di Ippolita, l’antenata omonima, che decise di aderire ad una setta satanica, e che perciò, dopo essere stata posseduta dal diavolo, venne condannata al rogo dall’inquisizione, riuscendo a pentirsi però in punto di morte. Dal momento della seduta di ipnosi, la personalità di Ippolita inizia a trasformarsi: la ragazza mostra evidenti segni di insofferenza per il legame che unisce il padre alla nuova compagna, inizia a comportarsi in maniera differente, e alla fine si alza dalla sedia a rotelle.

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Mentre i famigliari gioiscono per l’improvvisa guarigione, Ippolita mostra sempre più i segni della possessione diabolica. Un giorno, durante una visita alle catacombe, seduce e poi uccide un giovane studente. Da quel momento la presenza del maligno diventa sempre più evidente; nonostante tutto la famiglia prova a curarla con i metodi tradizionali, ma senza risultato.

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Nella ricca casa dove la ragazza vive si succedono episodi inquietanti, con oggetti che volano, con Ippolita che parla in lingue sconosciute, mostrando i segni di un’alterazione profonda della personalità.A questo punto, dopo una violenta discussione tra Ippolita e il padre, durante la quale quest’ultimo ricava la certezza che la figlia è posseduta dal diavolo, viene deciso di rivolgersi alle autorità religiose. Sarà Ascanio, zio della ragazza, alto prelato, dapprima scettico, a rendersi conto che il demonio si è impadronito della ragazza. Viene perciò autorizzato l’esorcismo……

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L’anticristo, film del 1974, girato da Alberto De Martino, segue di un anno l’uscita del più famoso L’Esorcista; pur pagando dazio in alcune scene ( il vomito verde, la levitazione, gli oggetti che volano, l’anziano prete che pratica l’esorcismo), mostra comunque una sua linea particolare, e si caratterizza sopratutto per il buon cast e per la strepitosa prova offerta da Carla Gravina, all’epoca attrice molto in auge grazie a nuerose partecipazioni a film di ottima fattura e alla partecipazione indimenticabile al serial tv Il segno del comando. Ancora una volta vale segnalare la miopia dei critici italiani, che lo bollarono come prodotto mediocre. Valga per tutti la solita, ineffabile recensione del Morandini: “Giovane patrizia romana, paralizzata alle gambe dall’età di 12 anni, è affidata alle cure di un medico, ma la scienza è impotente perché, oltre a un complesso edipico e un legame incestuoso col fratello, c’è una possessione diabolica. Interviene un frate tedesco, esorcista autoritario. Goffo e squallido prodotto autarchico di imitazione della moda soprannaturale hollywoodiana (L’esorcista, 1973) con palesi scopi di erotismo pecoreccio.

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Se è vero che c’è qualche scena di nudo, peraltro limitata, il film ha una sua storia molto interessante, oltre a valersi di effetti scenici credibili, tenendo conto del budget sicuramente limitato rispetto a quelli disponibili ad Hollywood. Da segnalare la vigorosa prova degli attori, tutti all’altezza, fra i quali spiccano, oltre alla citata Gravina, la sempre bella Anita Strindberg, nel ruolo dell’amante del padre di Ippolita, di Alida Valli, la anziana tata di Ippolita, di Mel Ferrer nel ruolo del padre, di Arthur Kennedy nei panni dello zio Ascanio, di Umberto Orsini in quelli dello psicologo, di Filippo Oderisi. Piccoli camei per Mario Scaccia e Gloria Guida.

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L’anticristo, un film di Alberto De Martino. Con Mario Scaccia, Umberto Orsini, Carla Gravina, Mel Ferrer, Arthur Kennedy.George Coulouris, Alida Valli, Ernesto Colli, Vittorio Fanfoni, Remo Girone, Anita Strindberg Drammatico, durata 115 min. – Italia 1974

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Carla Gravina: Ippolita Oderisi
Mel Ferrer: Massimo Oderisi
Arthur Kennedy: Ascanio Oderisi
George Coulouris: Padre Mittner
Alida Valli: Irene
Mario Scaccia: Padre Healer
Umberto Orsini: Dr. Marcello Sinibaldi
Anita Strindberg: Greta
Ernesto Colli: il posseduto
Beatrice De Bono
Vittorio Fanfoni
Remo Girone: Filippo Oderisi
Luigi Antonio Guerra
Gloria Guida:
Lea Lander: Mariangela
John Francis Lane
Bruno Tocci: un amico del posseduto

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Regia Alberto De Martino
Sceneggiatura Gianfranco Clerici, Alberto De Martino e Vincenzo Mannino
Produttore Edmondo Amati
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Vincenzo Tomassi
Effetti speciali Giovanni Corridori, Alberto De Martino
Musiche Ennio Morricone e Bruno Nicolai

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marzo 18, 2009 Posted by | Horror | , , , , , , , | 3 commenti