Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don
A parte il titolo,malizioso ma anche volgarotto, Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don si segnala solo per due caratteristiche:la splendida location e il nutrito cast nel quale figurano nomi importanti del cinema di genere che però avrebbero meritato ben altro palcoscenico che questa commedia becera e triviale nata sull’onda del successo per larga parte imprevisto di Quando le donne avevano la coda di Pasquale Festa Campanile.
Nadia Cassini
Film che inaugurò la brevissima stagione del cinema cavernicolo e che ebbe poi un seguito molto più fiacco ( e di minore successo), quel Quando le donne persero la coda uscito nelle sale nel 1972.
Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don, diretto dal pur bravo Bruno Corbucci, che solo un anno prima aveva girato il divertente Il furto è l’anima del commercio?!… è una pellicola praticamente inguardabile, priva del benchè minimo spunto comico che possa strappare un sorriso allo spettatore, infarcita in compenso di trivialità da caserma e di inutili volgarità.
Giocata più sulla avvenenza del pur bravo cast femminile, che dispensa parti anatomiche con generosità (in particolare la Cassini e Lucretia Love) che su un minimo di sceneggiatura che dia corpo alla storia, il film naufraga ben presto trascinandosi stancamente fino all’epilogo, che recita il de profundis con un eloquente “e vissero tutti felici e scontenti”
Molto grave è il riferimento costante del film al Lisistrata di Aristofane, autore glorioso della tradizione greca,qui saccheggiato in un’operazione commerciale senza un minimo di credibilità o di verve comica.
La trama:
le tribu dei cavernicoli e degli acquamanni sono perennemente in conflitto.La prima tribù occupa la terraferma, la seconda abita su palafitte e non passa giorno che non ci siano screzi e battaglie fra loro.
In una delle rare pause del perenne conflitto, il capo dei cavernicoli, il prestante Ari vince dopo una gara la bella Listra, della tribù degli acquamanni.
Alla donna la situazione poi non dispiace molto, essendo Ari un bell’uomo molto versato anche nel talamo.
Ma non c’è tempo per la pace perchè ecco scoppiare un altro conflitto; a questo punto Listra, stanca del continuo guerreggiare delle due tribù che toglie spazio alle faccende di sesso,decide di indire uno sciopero del sesso che trova entusiastiche adesioni presso tutte le donne delle due tribù, anch’esse stanche del dover rinunciare ai piaceri del letto per la vocazione guerrafondaia degli uomini.
Così i due gruppi di donne appartenenti alle due tribù si rifugiano rispettivamente su un monte e su una piccola isola.
La trovata riscuote un successo incredibile;pur di non perdere i piaceri del sesso cavernicoli e acquamanni promettono di mantenere rapporti non più ostili.
Ma l’uomo è nato per la guerra e non per la pace.
Così ben presto le liti riprendono e Ari e Listra, sconsolati, decidono di andare in giro per il mondo alla ricerca di un posto dove vivere in pace e dedicarsi all’amore…
Su una trama così esile era difficile costruire qualcosa di interessante, pure c’era spazio, come nel citato Quando le donne avevano la coda, per battute comiche di ben altro spessore di quelle proposte da Corbucci che spreca letteralmente caratteristi come Caprioli, Giuffrè e Pandolfi umiliandoli con il pronunciare battute sconce e triviali degne della peggior tradizione della commediaccia all’italiana, superate solo come volgarità dalla triste serie dei Pierino.
Listra-Lisistrata è interpretata da Nadia Cassini, che aveva solo due caratteristiche di rilievo:un fisico pressochè perfetto e un posteriore passato agli annali del cinema come uno dei più apprezzati da pubblico maschile. Per il resto,mancando completamente di qualsiasi dote recitativa, la Cassini fa la sua figura nel film visto che la sua presenza è essenzialmente corporea mentre il resto del cast, che include anche Pia Giancaro e Valeria Fabrizi, Antonio Sabato e Gisela Hahn,Elio Crovetto e anche una quasi invisibile Annabella Incontrera si muove a disagio nel guazzabuglio di battutacce e doppi sensi che costellano la pellicola.
Che alla fine risulta irritante oltre che noiosissima.
Nonostante la grancassa pubblicitaria che martellava proponendo il film stesso come il più divertente di sempre,la pellicola fu un mezzo flop, pur in un periodo di vacche grasse del cinema, con una platea sterminata che affollava i cinema sorbendosi ogni tipo di prodotto.
Corbucci tornerà al successo l’anno successivo con il ben più riuscito Boccaccio, progenitore dei decamerotici dalla buona fattura e decisamente più divertente di questa farsaccia di bassa lega.
Il film è disponibile in una versione sufficiente qualitativamente ma in lingua inglese all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=cBe1Zbwxli4
Quando gli uomini armarono la clava… e con le donne fecero din-don
Un film di Bruno Corbucci. Con Antonio Sabato, Elio Pandolfi, Aldo Giuffré, Vittorio Caprioli, Maria Pia Giancaro, Valeria Fabrizi, Gisela Hahn, Nadia Cassini, Lucretia Love, Vittorio Congia Erotico, durata 103′ min. – Italia 1971.
Antonio Sabato e Nadia Cassini
Valeria Fabrizi
Valeria Fabrizi e Gisela Hahn
Pia Giancaro
Lucretia Love
Antonio Sabato
Vittorio Caprioli
Carlo Giuffrè
Antonio Sabàto: Ari
Aldo Giuffré: Gott
Vittorio Caprioli: Gran Profe
Nadia Cassini: Lisistrata
Elio Pandolfi: Lonno
Lucretia Love: Lella
Pia Giancaro: Bea
Renato Rossini: Maci
Valeria Fabrizi: donna dell’arbitro
Gisela Hahn: Sissi
Elio Crovetto: arbitro al torneo iniziale
Regia Bruno Corbucci
Soggetto Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, liberamente tratto dalle commedie Lisistrata e Le donne alla festa di Demetra di Aristofane
Sceneggiatura Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, Bruno Corbucci
Casa di produzione Empire Films
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Fausto Zuccoli
Montaggio Vincenzo Tomassi
Effetti speciali Eugenio Ascani
Musiche Giancarlo Chiaramello
Scenografia Nedo Azzini
Costumi Luciana Marinucci
L’opinione di mm40 tratta dal sito http://www.filmtv.it
(…) All’interno della parabola discendente che investì la commedia italiana nel corso degi anni ’70 e ’80 (nei ’90 oramai si era arrivati già sottoterra) ci fu spazio anche per un breve filone ‘cavernicolo’; aperto qualche mese prima da Pasquale Festa Campanile con Quando le donne avevano la coda, trovò seguito anche in questa squallida farsuccia a tinte erotiche, che non risparmia reiterate ostentazioni di posteriori e mammelle femminili ed approfitta di un linguaggio simil-cavernicolo per disseminare oscenità verbali a piene mani. Ma i dialoghi dell’Armata Brancaleone – per rifarsi ad un esempio ben più nobile – erano ben altra cosa, qui siamo nel triviale linguaggio della bettola e le tematiche non vanno praticamente mai oltre a quelle relative alla fornicazione (anche l’anacronistico entusiasmo per la scoperta del petrolio è davvero trovatina sempliciotta e piuttosto magra); sceneggiano il regista, Felisatti e Pittorru, autori di lavori di serie B, con il coraggio addirittura di dichiarare un’improbabile ispirazione derivante dalle commedie Lisistrata e Le donne alla festa di Demetra di Aristofane. La fortuna dei tre sta nel fatto che ormai, nel 1971, gli eredi del commediografo greco sono irreperibili. Vittorio Caprioli, attore di buona caratura, si svende (e talvolta purtroppo lo faceva) in questo prodottaccio insignificante; accanto a lui ci sono Antonio Sabàto, Aldo Giuffrè, Nadia Cassini e Valeria Fabrizi. All’interno della parabola discendente che investì la commedia italiana nel corso degi anni ’70 e ’80 (nei ’90 oramai si era arrivati già sottoterra) ci fu spazio anche per un breve filone ‘cavernicolo’; aperto qualche mese prima da Pasquale Festa Campanile con Quando le donne avevano la coda, trovò seguito anche in questa squallida farsuccia a tinte erotiche, che non risparmia reiterate ostentazioni di posteriori e mammelle femminili ed approfitta di un linguaggio simil-cavernicolo per disseminare oscenità verbali a piene mani. Ma i dialoghi dell’Armata Brancaleone – per rifarsi ad un esempio ben più nobile – erano ben altra cosa, qui siamo nel triviale linguaggio della bettola e le tematiche non vanno praticamente mai oltre a quelle relative alla fornicazione (anche l’anacronistico entusiasmo per la scoperta del petrolio è davvero trovatina sempliciotta e piuttosto magra); sceneggiano il regista, Felisatti e Pittorru, autori di lavori di serie B, con il coraggio addirittura di dichiarare un’improbabile ispirazione derivante dalle commedie Lisistrata e Le donne alla festa di Demetra di Aristofane. La fortuna dei tre sta nel fatto che ormai, nel 1971, gli eredi del commediografo greco sono irreperibili. Vittorio Caprioli, attore di buona caratura, si svende (e talvolta purtroppo lo faceva) in questo prodottaccio insignificante; accanto a lui ci sono Antonio Sabàto, Aldo Giuffrè, Nadia Cassini e Valeria Fabrizi.(…)
L’opinione di marcopolo30 tratta dal sito http://www.filmtv.it
Cosaccia idiota e insulsa, persino per gli standard della commedia Italiana anni ’70. Comunque con un titolo così non è che ci si potesse aspettare chissà cosa. Grande curiosità desta l’aver voluto dare ai cavernicoli un accento simil-ciociaro con tutti i verbi all’infinito, mah! V’è poi un handycap aggiunto chiamato Antonio Sabato, affiancato per l’occasione da nientepocodimenoche Nadia Cassini. Inoltre, non contento di aver prodotto una zozzeria d’infima fattura, Corbucci decide di chiosare il tutto con un bel paio di frasi retorica su guerra, pace e amore. Trash totale.
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Pressoché tremendo cavernicolo sull’onda di Quando le donne avevano la coda e sequel . Si resta allibiti nel leggere il cast e nel vederne i desolanti risultati. Primo tempo già brutto, ma guardabile, con crollo nel secondo, ricco di volgarità che neppure fanno ridere. Anche le citazioni da 2001 Odissea nello spazio sono talmente sciatte e mal sfruttate da non riuscire a risollevare un film che vive solo delle forme della Cassini e del volto della Giancaro. Da evitare con massima cura.
L’opinione di Caesars dal sito http://www.davinotti.com
Tremendo. Basta dire che a suo confronto il pur pessimo Quando le donne persero la coda sembra quasi un film da Oscar, per capire il valore artistico di questa pellicola firmata da un mestierante, Bruno Corbucci, che altrove ha fornito risultati ben migliori. Spiace vedere immischiati in simile operazione gente come Caprioli, Pandolfi e Giuffrè. Il povero spettatore che decide di sottoporsi alla visione di questo film potrà comunque almeno rifarsi gli occhi con le forme della Cassini. Un pallino basta e avanza.
L’opinione di Fabbiu dal sito http://www.davinotti.com
È un peccato che un buon cast e valide location siano state sprecate in questo modo. Perché un comico che annoia è proprio grave; credo che volessero inaugurare un nuovo filone, la commedia sexy cavernicola, finito (per fortuna) in tre capitoli. Per forza, non c’è mai un attimo in cui si sorride e il linguaggio pseudo latino risulta stancante (mica come il linguaggio barbaro di Attila con Diego!); la stessa trama semplicissima (libera interpretazione di alcuni classici greci) è un po’ come la seccessione dei plebei sull’Aventino: stancante.
Prostituzione
Un quartiere periferico immerso nell’oscurità.
Una sera come tante, nei vialetti che circondano una strada di periferia, sotto i cui lampioni come ogni sera si consuma il triste rito dell’amore a pagamento.
Una ragazza, Giselle, adesca un giovane e consuma un frettoloso rapporto sotto un albero, mentre un maturo guardone assiste soddisfatto tra i cespugli.
Ritroviamo Giselle stesa nuda su un tavolo operatorio:la ragazza è morta, uccisa da un misterioso assassino.
E’ il commissario Macaluso ad essere incaricato delle indagini.
L’uomo deve muoversi nello squallido sottobosco in cui si muovono le esistenze delle prostitute, che si chiamano Benedetta,Primavera,Immacolata:nomi in netto contrasto con le loro esistenze di professioniste dell’amore.
Giselle era una di loro, ma marginalmente:la ragazza infatti era fuori dal giro delle prostitute da strada,lei era una studentessa universitaria, che si prostituiva con uomini facoltosi.
Mentre Macaluso inizia a muoversi in quel mondo sordido, brancolando alla cieca anche per il muro di omertà che sembra circondare la vicenda, si intrecciano le storie delle varie protagoniste, come quella di Benedetta, che una sera viene brutalizzata da un gruppo di giovani e che viene selvaggiamente vendicata dall’organizzazione a cui lei appartiene, o come quella di Primavera, una prostituta avanti negli anni che ha una relazione con il giovane pappone Antonio.
Proprio quest’ultimo la tradisce incapricciandosi della di lei figlia Daniela, con la quale scappa.
Nel frattempo Macaluso porta avanti le sue indagini e sarà il guardone che spiava Giselle a mettere il funzionario di polizia sulla strada giusta…
Prostituzione è un thriller-poliziesco girato nel 1974 da Rino Di Silvestro, regista romano scomparso cinque anni addietro all’età di 77 anni;Di Silvestro, che nel corso della sua carriera ha diretto solo 8 pellicole,fra le quali La lupa mannara e Hanna D.la ragazza del Vondel park aveva diretto l’anno precedente un discreto Wip, quel Diario segreto da un carcere femminile accolto da un lusinghiero successo di pubblico.
dalla vita delle recluse di un carcere, fra soprusi e violenze morali, Di Silvestro passa all’ esterno, raccontando a modo suo una storia squallida di prostituzione, mostrando le vite di un gruppetto di belle di notte alle prese con il loro degradante lavoro.
Il film è essenzialmente un poliziesco con venature thriller, alle quali il regista romano aggiunge un’ambientazione sordida ben ricostruita e qualche piccola denuncia del mondo degradato moralmente in cui le vittime del mestiere più antico del mondo vivono.
Lo fa senza forzare eccessivamente l’aspetto morale della cosa, limitandosi a intrecciare storie che potrebbero essere quelle di qualsiasi donna che viva l’esperienza della prostituzione con un cannovaccio strettamente giallistico, con tanto di omicidio e sorpresa finale sull’identità del misterioso assassino.
Il film è caratterizzato da una buona scorrevolezza e da un andamento dark, visto anche il mondo in cui si muove; qualche scena erotica, parecchi nudi ma se vogliamo funzionali a quanto raccontato.
Grazie ad un cast di comprimari e a qualche attore di primo livello De Silvestro filma un’opera non dozzinale, che in qualche modo emerge dalla montagna di film erotici prodotti tra il 1971 e il 1976; questo Prostituzione, ripreso all’estero con i titoli di Red city lights,Love Angels,Street Angels e Sex slayer è opera dignitosa e di discreta fattura.
Grazie anche a Aldo Giuffrè, che interpreta il misurato commissario Macaluso, alla bravissima Maria Fiore, che riveste i panni della matura Primavera e a Orchidea De Santis, splendida come sempre nelle vesti della prostituta Benedetta, la ragazza violentata e vendicata dall’organizzazione a cui appartiene.
Accanto a loro ci sono anche altri ottimi comprimari, che segnalo sopratutto per l’alto grado di professionalità mostrata:Lucretia Love,Umberto Raho, Magda Konopka,Krista Nell,Andrea Scotti e Gabriella Lepori, Luciano Rossi e Liana Trouche oltre a Elio Zamuto, conferiscono un’aria di professionalità ad un film che rischiava di passare come l’ennesimo prodotto di serie B del sotto cinema italiano.
Così non è per fortuna.
Il film purtroppo è molto raro e non esiste almeno a quanto ne so in edizione digitale italiana, anche se qualche anno addietro è stato trasmesso dalla scomparsa Odeon tv; su You tube c’è un mediocre riversaggio da VHS in lingua inglese, chiunque voglia cimentarsi con l’ardua comprensione dei dialoghi potrà farlo seguendo questo link: http://www.youtube.com/watch?v=otNojdFxkg8
Prostituzione
Un film di Rino De Silvestro, con Orchidea De Santis,Aldo Giuffrè,Maria Fiore,Lucretia Love,Umberto Raho, Magda Konopka,Krista Nell,Andrea Scotti,Gabriella Lepori, Luciano Rossi Liana Trouche,Elio Zamuto Italia 1974 Drammatico Durata 105 minuti
Aldo Giuffrè: Ispettore Macaluso
Maria Fiore: Primavera
Elio Zamuto: Michele Esposito
Krista Nell: Immacolata Mussomecci
Orchidea de Santis: Benedetta
Magda Konopka: Signora North
Andrea Scotti: Il poliziotto Variale
Paolo Giusti: Antonio
Gabriella Lepori: Giselle Rossi
Luciano Rossi: Faustino
Genere drammatico, commedia
Regia Rino Di Silvestro
Sceneggiatura Rino Di Silvestro
Produttore Giuliano Anellucci
Casa di produzione Angry Film
Fotografia Salvatore Caruso
Montaggio Angelo Curi
L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com
Si parla ovviamente dell’argomento del titolo, tra un’ovvia citazione di Mamma Roma e qualche scena comica davvero evitabile. Finché il film resta sul registro giallo/drammatico non dispiace, comunque: ci sono delle belle musiche, la buona prova di Maria Fiore ed un ottimo finale, quello davvero riuscito. Insomma una pellicola che va un po’ troppo a corrente alternata, ma curiosa ed in definitiva che vale la pena di vedere.
L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Che lo si voglia o meno è un bel film in quanto, omicidio a parte, per una volta ci si cala nel mondo della prostituzione senza sfregi, vetriolo, lupara bianca o dentature spaccate a pugni. In particolare la figura di Primavera, magnificamente interpretata da Maria Fiore, dà una connotazione più umana ad una figura spesso ingiustamente vilipesa. D’altronde se c’è una persona che da quando esiste il mondo è sempre stata in prima linea e ha sempre pagato sulla propria pelle e senza sconti tutto il peggio, quella è la meretrice… Bravo pure Giuffrè.
Oh Serafina
Un piccolo industriale lombardo, Augusto Valle, ha ereditato dai suoi una fabbrica di bottoni.
L’uomo è però molto più interessato alla natura e in particolare all’ornitologia che al suo lavoro; la fabbrica che possiede realizza i suoi prodotti in maniera tradizionale, essendo Augusto assolutamente nemico della tecnologia.
Accanto alla piccola fabbrica possiede un parco che vale una fortuna e sul quale hanno già puntato gli occhi alcuni speculatori; ma Augusto non ha alcuna intenzione di cedere il piccolo paradiso naturale che il parco rappresenta, anche perchè non è attratto dai soldi.
Ma Augusto un giorno cede alle tentazioni della carne, quando una sua operaia, Palmira Radice, gli si offre con poco pudore.
Renato Pozzetto
La seduzione di Palmira
La conseguenza è un matrimonio, dal quale nasce anche un figlio; tuttavia Palmina non sembra affatto realizzata dall’aver accalappiato il padrone della fabbrica e intenderebbe cedere il parco in modo da diventare finalmente ricca.
Visto che Augusto da quell’orecchio non sente, la donna inizia un’opera di seduzione nei confronti del sindaco del paese e dell’assessore all’urbanistica, colpendoli nelle loro debolezze.
Il primo infatti ha un debole per il bondage, mentre il secondo ha un debole per lei.
Seducendoli entrambi Palmina riesce ad avere un’ordinanza restrittiva per Augusto, che viene dichiarato incapace di intendere e di volere e internato in un manicomio.
Qui l’uomo, che mantiene nonostante tutto un candore invidiabile, riesce a ritagliarsi un suo spazio prima di conoscere Serafina Vitali, la ricca figlia di un mercante d’armi che a sua volta è stata internata per aver osato sfidare il padre,per aver avuto una relazione incestuosa con il fratello, per aver dato scandalo durante una festa e successivamente per aver preso a fucilate gli ospiti della stessa al rientro da una battuta di caccia.
I due si innamorano e ben presto sognano una vita insieme fuori dalle mura del manicomio.
La scoperta di un nuovo amore…
Cosa che accadrà nel momento in cui rinunceranno ai loro rispettivi diritti sulle proprietà; Augusto e Serafina andranno via dal manicomio accompagnati dal figlioletto dell’uomo e da una fedele dipendente dell’ex azienda di Augusto.
Favola moderna in chiave proto ecologista diretta da Carlo Lizzani su un soggetto originale dello scrittore Giuseppe Berto, Oh Serafina è un film a corrente alternata, che mescola un coraggioso tentativo di creare una storia esemplare sul tema della coscienza ecologica con le vicende personali di due persone assolutamente anticonformiste come Augusto e Serafina, viste anche come novelle vittime sacrificali del denaro e dell’arroganza, in un sistema sociale assolutamente impermeabile alla coscienza ecologista e più in generale alla coscienza vera e propria e alla morale.
E’ netto infatti il distacco tra i personaggi positivi del film facilmente individuabili nei due protagonisti e nell’anziana operaia rimasta fedele ad Augusto e i due politici a cui va aggiunta la famiglia di Serafina.
Dalila Di Lazzaro
Angelica Ippolito
Un contrasto nettissimo fra idealismo e concretezza spietata, fra la coscienza di Augusto e Serafina che rispettivamente non vogliono la modernità ad ogni costo e che ripudiano il denaro fatto a spese della vita di tanta povera gente (come nel caso di Serafina) e che invece ambirebbero ad una vita più semplice e più coerente con i valori in cui credono.
La favola imbastita da Lizzani si concluderà con un happy end in perfetta armonia con la storia narrata, con i due protagonisti che rinunceranno senza alcun rimpianto al totem del denaro e del successo in cambio di una vita libera da condizionamenti e da falsi obiettivi.
Se il soggetto di Oh Serafina può sembrare abbastanza abbastanza coraggioso per la tematica che intende perseguire, va detto che Lizzani sceglie la strada più tortuosa per esplicarlo.
Il film infatti va a corrente alternata, cadendo spesso nel patetico e indugiando un pò troppo sul sentimentalismo con conseguenze nefaste per lo spettatore; il film a tratti è davvero soporifero, manca di ritmo e sopratutto ha i due protagonisti principali, Augusto e Serafina, interpretati in maniera discontinua rispettivamente da Renato Pozzetto e Dalila Di Lazzaro.
Ci sono cose buone, molte altre meno buone, in quest’opera che comunque si segnala per alcune scene affascinanti, principalmente quella girata nel parco del manicomio che vede un uccellino mangiare direttamente dalla bocca della Di Lazzaro mentre Pozzetto è circondato da uccellini che non sembrano affatto intimoriti dalla sua presenza.
Un’atmosfera poetica e affascinante che però dura davvero poco e che vede come contro altare cadute di stile come la scena bondage con protagonista Gino Bramieri, il Sindaco, in giarrettiere e calze a rete frustrato sul sedere dalla furba Palmina.
Ombre e luci, quindi, originate più che altro dall’incertezza del soggetto originale, in bilico tra la denuncia sociale e la ricostruzione fiabesca del mondo a se stante nel quale vivono i due protagonisti, troppo puri per pretendere di vivere in un mondo che ha come supremo valore il denaro.
Renato Pozzetto è un Augusto tutto sommato credibile, a cui l’attore milanese presta il suo volto perennemente imbambolato e che restituisce in maniera convincente il candore stesso del personaggio.
Passato al cinema dopo il grande successo televisivo ottenuto in coppia con l’amico Cochi Ponzoni, Pozzetto passa ad una storia “seria”, lontana da quelle commedie che saranno il suo marchio di fabbrica nel corso della carriera.
Dopo l’esordio in Per amare Ofelia e i lusinghieri successi ottenuti con Due cuori, una cappella,Paolo Barca, maestro elementare, praticamente nudista e sopratutto dopo il ruolo simpatico di un altro personaggio candido come il Gianni di Babysitter – Un maledetto pasticcio ecco finalmente un ruolo che mostra come Pozzetto abbia nel suo repertorio anche possibilità più estese rispetto a quelle del classico imbranato che interpreterà troppe volte negli anni a seguire.
Discreta anche la prova della Di Lazzaro, mentre va segnalata, purtroppo in senso negativo, la citata sequenza con protagonista un altro milanese doc,Gino Bramieri, umiliato in una parte ristretta e meschina.
Il pranzo dello scandalo
Completano il cast Angelica Ippolito, la moglie di Augusto, cinica ed arrivista al punto giusto, i caratteristi Marisa Merlini e Lilla Brignone e alcuni sparring partner d’eccezione, come Franco Nebbia,Daniele Vargas,Aldo Giuffrè e Maria Monti, tutti in ruoli di contorno.
Bella la fotografia e l’ambientazione naturale,musiche impalpabili di Fred Bongusto.
Oh Serafina è un film rieditato in digitale, tuttavia di difficile reperibilità; in tv passa con rarissima frequenza ed in rete non sembra essere disponibile se non in riduzione dalle vecchie VHS.
Finalmente liberi!
Oh! Serafina
Un film di Alberto Lattuada. Con Renato Pozzetto, Marisa Merlini, Aldo Giuffré, Gino Bramieri, Dalila Di Lazzaro, Lilla Brignone, Angelica Ippolito, Alberto Lattuada, Ettore Manni, Fausto Tozzi, Daniele Vargas, Renato Pinciroli, Maria Monti, Brizio Montinaro, Gianni Magni, Jean-Claude Verné, Enrico Beruschi, Franco Nebbia, Guerrino Crivello Drammatico, durata 102′ min. – Italia 1976.
Carlo Giuffrè, il direttore del manicomio
Nel parco del manicomio
“Ma tu non porti le mutandine?”
Gino Bramieri
Renato Pozzetto: Augusto Valle
Dalila Di Lazzaro: Serafina
Angelica Ippolito: Palmira Radice, moglie di Augusto
Marisa Merlini: mamma di Augusto
Gino Bramieri: Il sindaco
Aldo Giuffrè: Professor Caroniti
Fausto Tozzi: Carlo Vigeva
Enrico Beruschi: Impiegato anagrafe
Lilla Brignone: Segretaria della ditta Valle
Sofia Lusy: Cameriera
Howard Ross: Romeo Radice
Brizio Montinaro: Rag.Cusetti
Gianni Magni: Tommaso
Ettore Manni: padre di Serafina
Alberto Lattuada: Medico del manicomio
Renato Pinciroli: padre di Augusto
Franco Nebbia: Colbiati
Maria Monti:
Daniele Vargas: Assessore Buglio
Guerrino Crivello: prete di Assisi
Guido Spadea: prete che celebra il matrimonio
Massimo Buscemi: operaio che porta il quadro in ditta
Regia Alberto Lattuada
Soggetto Giuseppe Berto
Sceneggiatura Enrico Vanzina, Alberto Lattuada, Giuseppe Berto
Produttore Rizzoli Film
Distribuzione (Italia) Cineriz
Fotografia Lamberto Caimi
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Fred Bongusto, José Mascolo
Opinione dell’utente Sasso 67 tratta dal sito http://www.filmtv.it
“Commedia ecologista e basagliana, condita con gli umori surreali di Pozzetto e la sensualità fatta cinema di Lattuada. Qualcosa funzione e qualcosa no, forse perché la sceneggiatura deve piegare il romanzo di Giuseppe Berto alla verve del protagonista. Tutto sommato, comunque, questa parabola francescana ed anticapitalista risulta apprezzabile e gradevole.”
Opinione dell’utente WillKane tratta dal sito http://www.filmtv.it
“In piena esplosione del fenomeno-Pozzetto, attore che, al di là del giudizio sui suoi film, ha garantito per una decina e passa di anni incassi remunerativi per produttori ed esercenti, un autore particolare ,per certi versi audace, per altri ambiguo, come Alberto Lattuada, scelse il robusto comico lombardo per essere il protagonista di questa di “Oh,Serafina!”: nelle intenzioni, questa tragicommedia sostiene la necessità di una ricerca dell’armonia, una capacità di slanci poetici in rivalsa alla grettezza imperante di provincia e non, e di una sessualità selvaggia e gentile possibile, invece dell’utilizzo della stessa per giungere a obbiettivi di comodo. Renato Pozzetto ci mette molta volontà, in un ruolo forse più consono a certe divagazioni celentanesche, Dalila DiLazzaro e Angelica Ippolito lasciano apprezzare il loro fascino, ma sono alle prese con personaggi troppo unidimensionali, e sulla riuscita del film pesano troppi cedimenti alla farsa sboccata, per convincere.”
Opinione del Morandini:
“Ereditato dal padre suicida un cotonificio in Lombardia, Augusto rifiuta di vendere ai lottizzatori un parco dove parla con gli uccelli. L’avida moglie lo fa ricoverare in manicomio dove incontra Serafina, pacifista e figlia dei fiori in urto con la famiglia alto-borghese. Fuggono insieme verso una vita nuova senza più averi o regole morali da rispettare. Da un romanzo (1973) di Giuseppe Berto, anche sceneggiatore con Enrico Vanzina, Lattuada ha cavato un film discontinuo (ma non soltanto in senso negativo) e inclassificabile: fiaba ecologica? Favola erotica? Commedia cabarettistica o sentimental-didattica? Grottesco-caricaturale? Qua e là si eccede nel mostruoso cui si contrappone l’infantile.”
Opinione dell’utente Renato tratta dal sito http://www.davinotti.com
“Un film irrisolto, con Pozzetto nei panni di un novello San Francesco (con tanto di esterni ad Assisi) che parla agli uccelli ma dirige anche un bottonificio. Per ridere non fa ridere, le sequenze erotiche sono parecchie (il film si beccò il divieto ai minori di 18 anni) ma poco significative nel contesto di un film del genere, e qualche scena (vedi quella con Bramieri) è semplicemente imbarazzante. Anche il finale è moscio, a conferma che questo di Lattuada è stato senz’altro uno scivolone.”
“E da quando hai un avvocato?” (Palmina)-“Dalla nascita.E tu non lo puoi scopare, perchè ha passato i novanta” (Augusto)
“Sono felice, vuoi fare l’amore con me?”(Serafina)-“Non ho capito la domanda” (Augusto)
Alla sua età gioca ancora con gli uccellini
L’umanità è cieca, sorda e stupida. Fabbricano missili atomici quando invece bisognerebbe coltivare l’insalata, purificare i fiumi e i mari che sono pieni di merda e di petrolio.
Il libro di Berto
Filmscoop è su Facebook
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Quando le donne avevano la coda
Un gruppo di cavernicoli che vive in una zona selvaggia incappa un giorno in uno strano animale, con tanto di coda, caduto in una trappola; Filli, la preda, non è un animale ma una donna molto astuta, che però finirebbe arrosto non fosse per la “cotta” che il selvaggio Ulli prende per lei.
I cavernicoli, non abituati alla presenza di una donna, da quel momento scoprono rivalità e sopratutto iniziano a litigare fra loro, mentre Filli rivendica, con il passare del tempo, il diritto a gestire il proprio corpo.
Su una sceneggiatura esilissima, tesa a privilegiare l’aspetto grottesco e ridanciano della storia raccontata, Pasquale Festa Campanile crea nel 1970 un film che farà da capostipite ad un genere, quello sexy/cavernicolo che avrà altri epigoni, come il mediocre sequel Quando le donne persero la coda e il brutto Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don.
Se il Brancaleone di Monicelli aveva creato un genere cinematografico nuovo, con un linguaggio irresistibile a metà strada tra l’italiano moderno e quello medioevale, Quando le donne avevano la coda fa un’operazione apparentemente simile, anche se i due film ( e i loro sequel) sono completamente diversi fra loro e non solo come ambientazione.
Il film del regista lucano infatti si snoda sui binari di una comicità forse un tantino grezza e triviale, ma di sicuro effetto, tanto da risultare uno dei film più visti della stagione 70, proprio alle spalle di Brancaleone alle crociate di Monicelli.
Un film che mescola un colorito linguaggio preistorico con gag forse volgarotte ma dall’effetto comico garantito;
nei limiti ovvi di un film che non ha alcuna velleità di impegno, Quando le donne avevano la coda è godibile e divertente, grazie anche alla presenza di un cast di attori comici di alto livello, con l’aggiunta di Giuliano Gemma al suo primo vero ruolo comico.
Anche Pasquale Festa Campanile si mostra a suo agio con il genere comico; dopo Adulterio all’italiana e Dove vai tutta nuda, arriva il terzo successo consecutivo nel genere commedia prima del grandissimo successo di Il merlo maschio.
Nel film alcune gag sono esilaranti, a cominciare dalla sequenza in cui Ulli incontra Filli e viene da quest’ultima catechizzato sul ruolo che una donna può rivestire per l’uomo in luogo di fungere da cibo; divertenti anche le sequenze con protagonista Renzo Montagnani, unico gay tra la combriccola di cavernicoli che ovviamente vedrà come fumo negli occhi l’arrivo di Filli.
Oltre a Mulè, Giuffrè e Frank Wolff, nel cast figura il bravissimo Lino Toffolo, che in precedenza era stato anche nel cast del Brancaleone, oltre al solito Lando Buzzanca.
Accolto molto bene dal pubblico il film di Campanile ebbe invece un’accoglienza freddissima dai critici che evidentemente non perdonarono al regista lucano il successo ottenuto; destino che si ripeterà più volte nel corso della sua lunga carriera come con i film Jus primae noctis, La calandria, Conviene far bene l’amore,Come perdere una moglie e trovare un’amante, tutti snobbati dalla maggioranza dei critici mentre in realtà erano tutti film di pregevole fattura.
Qualche parola va spesa necessariamente per la bellissima protagonista femminile del film, l’attrice austriaca Senta Berger, che divenne un’autentica star proprio grazie a questo film.
La Berger è di una bellezza esagerata ed è sexy pur non comparendo mai nuda nel film, ma solo con un ridottissimo slip che accentua le sue splendide forme. Anche lei è una rivelazione in un ruolo comico e da quel momento infatti girerà diversi film della commedia sexy, con buoni risultati.
Cameo anche per Paola Borboni e segnalazione sia per la allegra colonna sonora di Ennio Morricone sia per il soggetto steso nientemeno che da Umberto Eco; sceneggiatura a più mani tra Festa Campanile e la coppia Ottavio Jemma-Lina Wertmüller.
Se è vero che siamo di fronte ad un film pesantemente datato, non dobbiamo dimenticare che questo film segnò davvero un’epoca; per un anno intero rimase sugli schermi sia in prima che in seconda visione, in un periodo in cui di certo non mancava l’offerta. E va ricordato ai saputelli che stroncarono il film che almeno metà delle commedie italiane dell’intero decennio settanta erano di livello ben più grossolano di questo film.
In ultimo ricordo come il film sia di difficile reperibilità in digitale e che quindi le immagini che compaiono a corredo di questo film provengono da riversaggi in VHS.
Quando le donne avevano la coda
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Francesco Mulè, Giuliano Gemma, Aldo Giuffré, Frank Wolff, Paola Borboni, Lando Buzzanca, Senta Berger, Renzo Montagnani, Lino Toffolo, Gabriella Giorgelli Commedia, durata 110′ min. – Italia 1970.
Senta Berger … Filli
Giuliano Gemma … Ulli
Frank Wolff … Grr
Renzo Montagnani … Maluc
Lino Toffolo … Put
Francesco Mulé … Uto
Aldo Giuffrè … Zog
Paola Borboni … Capo della tribu delle donne preistoriche
Lando Buzzanca … Kao
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Umberto Eco
Sceneggiatura Marcello Coscia,
Pasquale Festa Campanile,Ottavio Jemma,Lina Wertmüller
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone
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Tre sotto il lenzuolo
Film in tre episodi, diretti dai due registi Michele Massimo Tarantini, autore di Sabato mattina e di L’omaggio e dal regista Domenico Paolella (con lo pseudonimo Paolo Dominici) autore Non, non è per gelosia.
Episodi riguardanti tematiche sessuali e coniugali, in puro stile commedia all’italiana.
Primo episodio, Sabato mattina; Andrea, in cirsi di astinenza sessuale, è felice di passare finalmente il sabato mattina con la bella moglie Giulia. Per poter restare tranquillo, spedisce via da casa la domestica Rosita.
Ma Giulia inizia a ricevere telefonate dalla madre e da altra gente, con la conseguenza che l’entusiasmo iniziale di Andrea man mano scema.
Mentre attende la conclusione di una delle tante telefonate della moglie, spia la bellissima vicina Anita mentre prende il sole in topless.
La aggancia e inizia con lei un tour de force erotico che lo lascia esausto; inaspettatamente Giulia smette le telefonate, ma Andrea ovviamente non può più soddisfarla.
Nei due fotogrammi: Lorraine De Selle
Secondo episodio No, non è per gelosia: in casa di Irene si installa Vittorio, suo ex marito mentre in casa della donna si trova il suo nuovo compagno Giorgio.
L’uomo, dapprima geloso, stabilisce un buon rapporto con l’ex marito e i due in combutta decidono di far ingelosire la donna, che alla fine sceglierà un terzo incomodo, il dipendente di un negozio vicino.
Terzo episodio,L’omaggio: per un equivoco Mario Sgarbozzi trova nella sua camera d’albergo, dove ha incontrato un cardinale con cui ha concluso un’affare e che gli ha promesso un regalo, una donna che in realtà non è affatto quello che lui crede.
Sidny, la donna, ha litigato con il marito e ha riparato proprio nella camera di Mario; l’arrivo della moglie dell’uomo provocherà un putiferio.
La donna credendo che il marito l’abbia tradita, si concederà al segretario del cardinale.
Nei due fotogrammi: Sonia Viviani
Tre sotto il lenzuolo è la classica commedia sexy di fine decennio settanta, per intenderci quella ormai in chiaro debito d’ossigeno, ovvero priva di spunti originali e con tematiche logore e stantie.
In primis il vecchio e buon sesso, off course.
Tarantini e Dominici confezionano un prodotto senza infamia e senza lode, non particolarmente volgare ma neanche molto divertente.
Le classiche trovate della moglie che scopre la presunta amante del marito in una camera d’albergo, il marito che anela ad una giornata d’amore con la moglie e poi finisce a letto con la bella e disponibile vicina sono espedienti troppo sfruttati per riuscire in qualche modo ad essere coinvolgenti.
A questo va aggiunto il penalizzante cast femminile, dove ad eccezione della splendida Orchidea De Santis, vengono utilizzate starlet poco espressive dal punto di vista recitativo come Sonia Viviani, Patricia Webley e Lorraine De Selle.
Un tantino meglio Daniela Poggi, quantomeno simpatica, così come nulla da eccepire c’è sulla splendida forma fisica delle protagoniste.
Orchidea De Santis
Meglio il cast maschile, con il solito Maccione a farla da padrone e un imbarazzato Walter Chari in forte disagio; impalpabile Giuffrè.
Questi film seriali di fine decennio venivano realizzati spesso puntando più sul nome dei protagonisti che sulle sceneggiature; Tre sotto il lenzuolo è un evidente esempio di povertà di mezzi.
Difatti la produzione assolda un buon cast, almeno per metà dei protagonisti, ma alla fine ambienta il tutto fra mura domestiche con un enorme risparmio di investimenti nelle scene di esterni.
E ancora una volta risulta penalizzante per lo spettatore sorbirsi scenette trite e ritrite in cui l’unico elemento di novità è rappresentato dalle starlette più o meno disposte a concedere qualche centimetro di epidermide.
Probabilmente il film venne girato in pochissimi giorni; un esempio banalissimo è dato dall’episodio con Lorraine De Selle e Maccione.
La De Selle indossa per tutto il periodo dello stesso l’identico paio di mutandine, mentre il regista inquadra per lunghi minuti Sonia Viviani mentre si bagna in cortile.
Espedienti che mostrano sia povertà d’idee sia povertà di mezzi.
Tre sotto il lenzuolo, un film di Michele Massimo Tarantini, Paolo Dominici. Con Orchidea De Santis, Walter Chiari, Sonia Viviani, Aldo Maccione, Daniela Poggi, Carlo Giuffrè, Mario Valdemarin, Aldo Giuffré, Venantino Venantini, Liana Trouché, Cindy Leadbetter,
Film a episodi, durata 91 min. – Italia 1979.
Walter Chiari … Giorgio Mori – il marito di Irene / episodio ‘No, non è per gelosia’
Orchidea de Santis … Rosita – la domestica / episodio ‘Sabato mattina’
Lorraine De Selle … Giulia – la moglie di Andrea / episodio ‘Sabato mattina’
Aldo Giuffrè … Il cardinale / episodio ‘L’omaggio’
Carlo Giuffrè … Il Signor Sgarbozzi/ episodio ‘L’omaggio’
Patricia Webley … Sidny – una bella ragazza americana / / episodio ‘L’omaggio’ ‘L’omaggio’
Aldo Maccione … Andrea – il marito di Giulia / / episodio ‘L’omaggio’ ‘Sabato mattina’
Daniela Poggi … Irene Mori / / episodio ‘L’omaggio’ ‘No, non è per gelosia’
Liana Trouche … Olga Scarbozzi – le moglie di Scarbozzi / / episodio ‘L’omaggio’
Mario Valdemarin … Vittorio- il primo marito di Irene / / episodio ‘No, non è per gelosia’
Sonia Viviani … Anita/ episodio ‘Sabato mattina’
Regia di Paolo Dominici (Domenico Paolella) (episodio “No, non è per gelosia”) (con il nome Paolo Dominici)
Michele Massimo Tarantini (episodi “Sabato mattina”, “L’omaggio”)
Sceneggiatura Teodoro Corrà storia (con il nome Teodoro Agrimi)
Massimo Fiore storia
Giorgio Mariuzzo storia e sceneggiatura
Michele Massimo Tarantini
Musiche originali di Franco Campanino
Fotografia di Sergio Rubini e Pier Luigi Santi
L’adolescente (di Alfonso Brescia)
Vito e Grazia, due siciliani, hanno in comune un obiettivo, sposarsi.
L’uomo perchè mira a trovare una donna possibilmente facoltosa, la donna perchè costretta dal padre a lavorare nella farmacia di famiglia senza possibilità di vivere la propria vita.
Così fatalmente Vito rivolge le sue attenzioni proprio sulla donna, che naturalmente accetta la corte dell’uomo, anche perchè legata ad un uomo sposato; Grazia spera così di essere libera di poter frequentare il suo amante.
Una splendida Daniela Giordano è Grazia
Dopo un incontro compromettente in un albergo,organizzato furbescamente dalla donna e conclusosi con uno scandalo (la donna esce completamente nuda per i corridoi dell’albergo) Vito è “costretto” a sposare Grazia , dopo che Don Salvatore,il padre, muore per un attacco cardiaco quando la donna racconta la sua avventura.
I novelli sposi così prendono a vivere insieme, ma lo sventurato Vito scopre ben presto che la moglie non ha alcuna intenzione di consumare il matrimonio, adducendo la scusa del trauma subito alla morte del padre.
Tuttavia i due riescono a trovare un modus vivendi accettabile; mentre Vito si consola con la bella segretaria del suocero, Grazia riprende la sua relazione con l’amante.
Un giorno,a casa dei due coniugi, arriva la nipote di Grazia, la bella Serenella.
Vito si ritrova così in casa un’autentica lolita che con molta malizia lo provoca in continuazione; la ragazza ha però un obiettivo ben preciso, ovvero scatenare uno scandalo in cui vengano coinvolti i due coniugi, in modo da poter ereditare i beni del defunto Don Salvatore.
Con delle manovre furbissime, la ragazza riesce a coinvolgere in uno scandalo i due coniugi, in un finale in cui tutti i protagonisti si ritrovano faccia a faccia, per la resa dei conti.
Al povero Vito non resta altro da fare che lasciare con le pive nel sacco la moglie e la casa in cui viveva.
L’adolescente, per la regia di Alfonso Brescia, è una commedia sexy del 1976, inquadrabile nel filone “parentale”, quello per intenderci a cui appartengono film come Peccati in famiglia, La nipote, Grazie nonna ecc.Un film senza nessuna dote particolare eccezion fatta per il cast di buon livello che vi partecipa; si va dalla splendida Daniela Giordano, che interpreta Grazia alla nipotina Sonia Viviani, volto d’angelo su corpo da peccatrice, che dà corpo al personaggio di Serenella, l’adolescente furba come una volpe; ancora, in un ruolo marginale, Dagmar Lassander, la segretaria del vecchio farmacista, Tuccio Musumeci, che interpreta lo scalognato Vito e infine Aldo Giuffrè, il maresciallo dei carabinieri del paese “dove non succede mai niente”e infine Malisa Longo, quasi irriconoscibile, nel ruolo della dottoressa femminista e lesbica Frau Marlene.
Basato su una trama scontatissima,L’adolescente gioca tutte le sue carte sulla presenza scenica delle belle protagoniste, nude quanto basta per dare un tocco di erotismo ad una vicenda senza alcun mordente o interesse.
Brescia, nelle cui corde sicuramente non c’era la commedia brillante, fatica non poco a dare interesse al film, che scivola malinconicamente tra battute scontate e situazioni già viste molte volte.
In sostanza, una commedia quasi indistinguibile dalla marea di altri prodotti che popolarono gli schermi negli anni settanta.
L’adolescente, un film di Alfonso Brescia. Con Tuccio Musumeci, Daniela Giordano , Sonia Viviani, Dagmar Lassander,Aldo Giuffré, Giacomo Furia, Malisa Longo, Maria Bosco
Commedia, durata 92 min. – Italia 1976.
Tuccio Musumeci -Vito Gnaula
Daniela Giordano- Grazia Serritella
Sonia Viviani-Serenella
Marcello Martana -Appuntato Bragadin
Giacomo Furia-Il notaio
Raffaele Sparanero -Antonio
Franca Scagnetti -Carmeluzza
Malisa Longo-Frau Marlene
Dagmar Lassander-Katia Solvj
Aldo Giuffrè-Maresciallo dei carabinieri
Regia: Alfonso Brescia
Sceneggiatura:Alfonso Brescia, Aldo Crudo,Aldo Crudo,Piero Regnoli
Musiche:Alessandro Alessandroni
Fotografia:Silvio Fraschetti
Montaggio:Liliana Serra
Art Direction:Mimmo Scavia
Curiosa commediaccia Anni Settanta, che alterna cose basse a cose non disprezzabili. Notevoli Musumeci e la stupenda Daniela Giordano (mai vista così brava), leziosa la Viviani, diabolicamente angelica. Ruolo cospicuo per la Scagnetti e apparizione per Giacomo Furia! Finché il film ha una sua originalità (i primi 30’) pare pure fresco, poi cala molto, perdendosi in ampie parentesi che paiono destinate solo al metraggio (nel duetto Giuffrè-Musumeci si notano la bravura dei due e la sostanziale inutilità del siparietto) e in deus ex machina assai improbabili. Guardabile.
È inutile girarci intorno: il soggetto viene dal celebre libro di Nabokov (forse più che dal film diretto da Kubrick), ma la sceneggiatura è firmata da Piero Regnoli e la regia da Alfonso Brescia con conseguenze non trascurabili sul piano dei contenuti, privati di ogni stimolo riflessivo. Per fortuna c’è Sonia Viviani (all’epoca appena maggiorenne), Serenella di nome e di fatto, attorniata da caratteristi di classe e da altre due notevoli bellezze (Malisa Longo e Dagmar Lassander). A patto di scollegare il cervello, ci si diverte parecchio.
Film curioso che punta tutto sulla bellissima Sonia Viviani (sfruttata poco dal nostro cinema a mio parere), allora diciottenne. Trama particolare, non è certamente un capolavoro ma non mi sento di stroncarlo. Contando poi la qualità delle commedie sexy di quegli anni… diciamo che una sufficienza piena ci sta.
Maschio latino cercasi
Maschio latino cercasi, diretto da Giovanni Narzisi su un suo soggetto, è un film del 1977 (distribuito anche con il titolo di L’affare s’ingrossa) composto da 5 episodi con tematica a sfondo sessuale.
Il primo episodio, ambientato a Napoli, vede un turista danaroso alla ricerca di piaceri proibiti (Gianfranco D’Angelo) raggirato da uno scaltro imbroglione Carmine (Vttorio Caprioli);
Gianfranco D’Angelo e Vittorio Caprioli
l’uomo si reca in una camera d’albergo con una ragazza che crede minorenne (Brigitte Petronio), che durante l’intimità mostra un contegno pudico, rifiutando per esempio di spogliarsi con la luce accesa.
Chiaramente è un espediente, e il gonzo turista finirà male.
Il secondo episodio racconta la storia di un altro ricco babbeo, il Bislecchi (Gino Bramieri) , che ha una relazione con la giovane e affascinante Gigia (Gloria Guida), la quale è ormai stanca della relazione con l’uomo, che la molesta e la controlla con un binocolo, impedendole di fatto una vita autonoma. Così, con la scusa dell’età, lo molla.
Il ricco bauscia decide, per riconquistare la giovane amante, di sottoporsi ad una cura ringiovanente presso uno strambo professore tedesco.
La cura sarà solo un palliativo, e il bauscia ne pagherà le conseguenze.
Il terzo episodio vede protagonista Amilcare,(Aldo Maccione) tipico furbacchione che riesce a godere delle grazie di una affascinante avvocato (Dayle Haddon) sotto gli occhi del marito, un pezzo grosso dell’esercito (Luciano Salce), fidando in una prossima e annunciata amnistia.
Nel quarto episodio protagonista è Gennarino, (Orazio Orlando) che vive con la moglie Anna (Stefania Casini) in Germania, dove sopravvive interpretando squallidi film porno.
Luciano Salce,Dayle Haddon e Aldo Maccione
Ma la sua virilità sembra cedere, e riacquisterà vigore solo quando anche la moglie diverrà sua compagna di lavoro.
Nell’ultimo episodio una coppia di baroni, Nicola e Sisina (Aldo Giuffrè e Adriana Asti) ravviva il proprio rapporto di coppia con lo scambio dei partner in un club tedesco per scambisti. Mentre lui sembra a suo agio, Sisina appare titubante e inibita. Ma durerà poco e la donna diverrà ben presto una instancabile sostenitrice dello scambismo.
Film sciatto e di grana grossa, Maschio latino cercasi, lanciato anche con il titolo pesantemente allusivo di L’affare s’ingrossa (sic) ha un solo grosso merito, quello cioè di annoverare un cast di assoluto livello, che comprende attori della comicità come Caprioli, Salce, Maccione, Giuffrè, Bramieri e D’Angelo e attrici quanto meno dignitose a livello fisico, come la Guida, la Petronio e la Haddon, a cui si aggiungono due attrici di ben altro livello come la Asti e la Casini.
Eppure il film, inserito nel floridissimo filone della commedia erotica, non si solleva mai dalla mediocrità, anche per colpa di una sceneggiatura scialba, incapace di valorizzare le capacità dei tanti attori in campo.
Vien fuori un pateracchio in cui le risate latitano, mentre abbondano natiche e seni; diventa anche spiacevole vedere attori come Bramieri sprecati in ruoli assolutamente inadatti, oppure attrici come la Asti e la Casini utilizzate in parti ignobili.
E’ il caso proprio di Stefania Casini, che sembra spaesata proprio dalla difficoltà di interpretare un personaggio così grossolanamente tratteggiato come quello di Anna, la moglie che accorre in aiuto del marito alle prese con la defaillance in campo erotico sul set del filmaccio porno che l’uomo interpreta.
Tipica commedia di quart’ordine, Maschio latino cercasi arriva in un periodo, il 1977, in cui la crisi di identità, di incassi e di idee del cinema italiano si fa più evidente; mostrare tette e natiche ormai non basta più.
Siamo quasi al tramonto di un’epoca, la triste stagione dei film sempre più spinti sta per arrivare.
Maschio latino cercasi, un film di Giovanni Narzisi. Con Adriana Asti, Vittorio Caprioli, Gino Bramieri, Gloria Guida, Brigitte Petronio, Gianfranco D’Angelo, Orazio Orlando, Stefania Casini, Carlo Giuffrè, Aldo Maccione, Dayle Haddon, Luciano Salce Commedia erotica, Italia 1977
Brigitte Petronio, Gianfranco D’Angelo
Adriana Asti … Sisina
Gino Bramieri … Bislecchi
Vittorio Caprioli … Carmine
Stefania Casini … Anna
Gianfranco D’Angelo Il turista
Salvatore Funari … Nanninella
Carlo Giuffrè … Il barone Nicolino di Castropizzo
Gloria Guida … Gigia
Dayle Haddon L’avvocato
Aldo Maccione … Amilcare
Orazio Orlando … Gennarino
Brigitte Petronio La minorenne pudica
Luciano Salce Il colonnello
Regia Giovanni Narzisi
Soggetto Giovanni Narzisi
Sceneggiatura Giovanni Narzisi
Produttore Giulio Scanni
Casa di produzione Staff Professionisti Associati, Pelican Film, Capitol
Distribuzione (Italia) Capitol
Fotografia Angelo Lotti
Montaggio Raimondo Crociani
Marcello Malvestito
Musiche Lelio Luttazzi
Costumi Orietta Nasalli Rocca
Colpo in canna
Da un aereo che atterra in Italia, sbarca Nora Green; ha la divisa da hostess, e sembra una tranquilla, ingenua e un tantino sprovveduta ragazza americana.
La ragazza in realtà deve consegnare una lettera ad un boss della mala napoletana.
Nella lettera, scritta da un fantomatico personaggio che si firma l’Americano, ci sono minacce per Silvera, il boss.
La ragazza viene quindi pestata, perchè il boss la ritiene complice dell’Americano; la ragazza, abbandonata fuori da un circo, viene raccolta ed ospitata da Manuel, un trapezista che lavorava proprio con Silvera. Tra i due nasce una storia, ma la sua presenza crea scompiglio in città.
Ursula Andress
La banda rivale di Silvera, capitanata dal boss Calò, inizia a seguirla, così come fanno gli uomini del commissario del commissario Calogero.
Tra colpi di scena, inseguimenti, scazzottate si arriva al finale, quando si scopre che Nora in effetti è tutt’altro che una sprovveduta hostess, ma fa parte di una banda bene organizzata che da scacco matto alle bande rivali e alla polizia.
Colpo in canna, film del 1975 di Fernando Di Leo è un fiacco tentativo di coniugare il film giallo con connotazioni poliziesche con quello comico; il primo ad accorgersene fu proprio il regista pugliese, che difatti non lo annoverò mai tra i prodotti da ricordare.
Il film, che mescola molte scene d’azione con la fisicità sexy ed estrema della protagonista, la biondissima Ursula Andress risente proprio dell’equivoco di partenza. Il film non è un giallo, ma semplicemente sfrutta alcune situazioni tipiche del giallo, non è un noir e alla fine si trasforma in uno strano prodotto che non ha nemmeno del comico, perchè di battute divertenti ce ne sono poche, e la parte comica, pur affidata a gente che on la comicità ci viveva, come Banfi e Giuffrè, risulta penalizzata proprio dall’intreccio improbabile tra le avventure della pseudo hostess e la lotta tra bande.
Basti pensare all’inserimento, nel film, del personaggio assolutamente fuori contesto del piccolo gangster interpretato da Jimmy il fenomeno, oppure alla legnosità di Marc Porel, che nelle parti semi serie non è mai andato a nozze.
Intendiamoci, il film non è inguardabile, quanto piuttosto slegato e privo di mordente; la presenza della citata Andress, che si spoglia in alcune scene, vale quanto meno il prezzo del biglietto, così come, parlando di cose più serie, le scene finali dell’inseguimento tra l’auto del commissario Calogero e l’auto di Nora Green sono ben girate e coinvolgenti.
Peccato per Di Leo, che avrebbe voluto dare un taglio ben diverso alla pellicola, ma che alla fine tira fuori un prodotto davvero modesto.
Si salvano, come già detto, la Andress, ma solo ed esclusivamente per la parte “fisica”, visto che anche lei non emerge dal grigiore generale del film, il solito Lino Banfi e la piccola parte di Maurizio Arena, il vero capo della banda.
Colpo in canna, un film di Fernando Di Leo. Con Aldo Giuffré, Ursula Andress, Marc Porel, Maurizio Arena,Woody Strode, Loris Bazzocchi, Nello Pazzafini, Renato Baldini, Rosario Borelli, Isabella Biagini, Lino Banfi, Salvatore Billa, Ettore Geri, Lorenzo Piani, Pietro Ceccarelli, Carla Brait, Carla Mancini, Gino Milli, Omero Capanna, Brunello Chiodetti, Sergio Ammirata, Enzo Spitaleri
Drammatico, durata 100 min. – Italia 1974.
Ursula Andress … Nora Green
Woody Strode … Silvera
Marc Porel … Manuel
Isabella Biagini … Rosy
Lino Banfi … Commissario Calogero
Aldo Giuffrè … Don Calò
Maurizio Arena … Padre Best
Rosario Borelli … Umo di Silvera
Carla Brait … Carmen
Renato Baldini … Ali
Raul Lovecchio … Il cieco
Sergio Ammirata … Commissario Ammirata
Loris Bazzocchi … Nora Henchman
Jimmy il Fenomeno … Tano
Roberto Dell’Acqua … Zanzara
Regia Fernando Di Leo
Soggetto Fernando Di Leo
Sceneggiatura Fernando Di Leo
Casa di produzione Cineproduzioni Daunia 70
Distribuzione (Italia) Alpherat
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Amedeo Giomini
Musiche Luis Enriquez Bacalov
Scenografia Francesco Cuppini
Costumi Gaia Romanini