Cagliostro
Studiando presso un erudito monaco naturalista e alchimista,Alessando di Cagliostro apprende molti segreti sulla natura,sulle erbe e in genere
sul corpo umano e sulla sua mente.
Grazie a queste conoscenze,seguito dalla fedele compagna Serafina,Alessandro prende a girare dapprima per città approdando poi presso corti e infine
dal papa,Clemente XIII.
E’ proprio grazie alla protezione e benevolenza di quest’ultimo che Cagliostro accresce la sua fama,aiutato anche dalla guarigione operata a favore del Cardinale che diverrà il futuro papa PioVI.
Nel frattempo però la sua opera di “evangelizzazione” presso le corti a favore del credo massonico gli crea potenti nemici proprio presso la chiesa;la contemporanea morte di Clemente XIII ucciso da sicari gesuiti per aver osato sciogliere la Compagnia del Gesù (in realtà il papa morì per un ictus) e la successiva elezione di Pio VI segnano l’inizio della sua fine.
“Prima di abbattere il Conte di Cagliostro dovremo averlo costruito noi:noi,con le nostre mani“,dice Pio VI.
Ed è quello che avviene.
Una coppia di avventurieri e imbroglioni,Giuseppe Balsamo e sua moglie Lorenza viene spinta ad impersonare il Conte e sua moglie Serafina;spacciandosi per lui Balsamo inizia a girare per le campagne compiendo quelli,che agli occhi dei creduloni popolari appaiono piccoli miracoli,ma anche dequalificando il vero Conte che nel frattempo è intento a creare logge massoniche e a propugnare le sue idee liberali e in parte rivoluzionarie.
Cagliostro infatti viene ricevuto dalla corte francese,dove alla presenza della regina Maria Antonietta predice la prossima caduta della monarchia e la fine sul patibolo dei regnanti.
Per il papa arriva il momento di agire;si libera dei due impostori,Balsamo e Lorenza e fa catturare il Conte e sua moglie Serafina;condotto davanti al tribunale della Santa Inquisizione Cagliostro viene condannato a morte e sua moglie rinchiusa in un convento.
Il papa,per non farne un martire,converte la condanna in prigione a vita;quando Napoleone (che Cagliostro ha conosciuto nella Massoneria) arriva a San Leo per visitare il conte nella sua prigione trova sul suo giaciglio solo una spada….
Cagliostro,diretto da Daniele Pettinari alla sua prima e unica regia esce nelle sale nel 1975 preceduto da roventi polemiche fra lo stesso regista e Pier Carpi,che aveva scritto il romanzo Cagliostro, il taumaturgo e che avrebbe dovuto collaborare alla sceneggiatura.
Polemiche riguardanti l’uso,da parte del regista,di alcune scene di nudo mal sopportate da Pier Carpi e che in verità sono assolutamente funzionali al film non essendo in alcun modo fini a se stesse e non avendo alcuna valenza erotica.Il film è molto aderente al romanzo e tende a mostrare Cagliostro come una vittima del potere della chiesa che,in opposizione alla sua vocazione liberale e repubblicana in odore di eresia per la sua appartenenza alla Massoneria,creò ad arte le figure di Balsamo e Lorenza per screditarlo.
Tesi propugnata dal massone Pier Carpi (il suo nome figura tra le liste della famigerata Loggia P2) che in tal modo intendeva esaltare la figura nobile del Conte,perseguitato solo per le sue idee.
Tesi in aperto contrasto con buona parte della storiografia ufficiale,che identifica Cagliostro con Giuseppe Balsamo,che di guaritore e uomo illuminato aveva ben poco.
Balsamo infatti girovagò per l’Europa truffando la nobità e spacciando per antico sapere trucchetti da imbonitore,aiutato in questo dalle doti della moglie Lorenza,che lo stesso Balsamo fece in pratica prostituire per perseguire i suoi scopi.
Il film,come del resto il romanzo,non ha una valenza storica precisa;troppe le tesi sostenute da Carpi ( e di conseguenza da Pettinari) che non hanno riscontri storici.
A parte la citata morte di Clemente XIII,la visita di Bonaparte a Cagliostro con la scoperta della mancanza del Conte e del rinvenimento di una spada è pura fantasia.
Dal momento della sua condanna,nel 1790 al giorno della sua morte,avvenuta nel 1795,Cagliostro visse in una lugubre e angusta cella alla quale si accedeva solo dall’alto.
Il suo corpo non è mai stato rinvenuto perchè,come tutti gli eretici,non venne sepolto in terra consacrata.
Per quanto riguarda il film in se,si tratta di un’opera abbastanza lineare e di buona fattura se vista come creazione di fantasia.
La trama è abbastanza organica anche se i dialoghi risentono troppo del linguaggio verboso usato nella sceneggiatura;viceversa ottimi gli attori,fra i quali troviamo un ispirato Bekim Fehmiu nel doppi ruolo di Cagliostro/Balsamo,
una splendida Evelyn Stewart in quello di Serafina e il suo doppio,Rosanna Schiaffino (altrettanto splendida) in quello di Lorenza.
Nel cast figurano anche Curd Jürgens,Luigi Pistilli e Mario Girotti.
Un film di discreta fattura,da guardarsi nell’ottica del film fantasy più che in quella della biografia,proprio per i troppi voli pindarici
del regista e del romanziere,poco confortati dalla storicità della vicenda.
Il film è presente su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=foW2K6ONw_M in una versione accettabile.
Cagliostro
Un film di Daniele Pettinari. Con Luigi Pistilli, Rosanna Schiaffino, Evelyn Stewart, Curd Jürgens, Massimo Girotti, Robert Alda, Bekim Fehmiu, Corrado Annicelli, Andrea Scotti, Franco Ressel, Anna Orso, Alessandro Haber, Adolfo Lastretti, Luigi Montini, Renzo Rinaldi Drammatico, durata 105 min. – Italia 1975
Bekim Fehmiu: Cagliostro
Rosanna Schiaffino: Lorenza Balsamo
Curd Jürgens: Il cardinale Braschi
Luigi Pistilli: Il cardinale Louis-René-Édouard de Rohan-Guéménée
Evelyn Stewart: Serafina Cagliostro
Robert Alda: Papa Clemente XIII
Massimo Girotti: Giacomo Casanova
Adolfo Lastretti: Il camerlengo
Anna Orso: La regina
Regia Daniele Pettinari
Soggetto Pier Carpi
Sceneggiatura Pier Carpi, Enrica Bonaccorti, Daniele Pettinari
Produttore Rodolfo Putignani
Fotografia Giuseppe Pinori
Montaggio Daniele Pettinari
Musiche Manuel De Sica
Scenografia Nino Lembo
Costumi Cantini & C.
Testo della condanna del Sant’Uffizio
« Giuseppe Balsamo reo confesso e respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti, eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole de’ Liberi Muratori, quanto nell’Editto di Segreteria di Stato contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun luogo del Dominio Pontificio.
A titolo però di grazia speciale, gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui l’abjura come eretico formale nel luogo della sua attual detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute salutari penitenze.
Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni, dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl’istromenti appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le Costituzioni de’ Pontefici Predecessori, quanto anche l’accennato Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e Conventicole de’ Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione della Setta Egiziana, e dell’altra volgarmente chiamata degli Illuminati, con stabilirsi contro tutte le più gravi pene corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si ascriverà o presterà a favore di tali sette. »
Testo della supplica di Balsamo al Papa
« Beatissimo Padre,
Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi della S. V., reo di essere fondatore di una società massonica (senza però che sapesse che sì fatte società fossero proibite dalla Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e ben si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché, data da leggere la detta costituzione al cardinal di Rohan e all’arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo consigliato a levarvi le due quarantene per la rigenerazione fisica e morale come due inezie, delle quali due pratiche perciò non ne ha mai fatto uso.
Ora, istruito dal P. Contarini che nella costituzione suddetta vi sono cose cattive e contrarie alla S. Fede Cattolica, da lui ritenuta mai sempre fermamente nel cuore, egli le detesta e si protesta disposto ad abiurarle tutte nella maniera che gli sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire quelle pene che merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero cuore ne domanda umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua infinita misericordia, benché se ne riconosca indegno.
Indi, rivolto alla Paterna clemenza della Santità Vostra, implora con calde lagrime pietà solamente per l’anima sua, supplicandola di dar rimedio allo scandalo gravissimo da lui dato al Mondo, ancorché questo si debba fare con lo strazio più crudele e pubblico della sua persona.
Della Santità Vostra indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo peccatore pentito. »
Busto marmoreo di Giuseppe Balsamo
Lorenza Feliciani (in arte Serafina Cagliostro) in un ritratto d’epoca
La cella in cui Balsamo visse gli ultimi anni della sua vita (in realtà l’accesso era dall’alto)
La rocca di San Leo
Il coltello di ghiaccio
Jenny Ascott è una cantante molto famosa, che è in viaggio per recarsi a casa di sua cugina Martha Caldwell.
Costei è muta, dopo lo choc provato nel corso di un incidente ferroviario che ha visto tra le vittime entrambi i genitori.
Le due donne sono felici di incontrarsi e salgono in auto per recarsi nella villa dove abita Martha, ma durante il viaggio sono costrette a fermarsi;complice la nebbia che copre la zona,le due donne sembrano essere seguite da uno sguardo interessato, che si materializza nello specchio retrovisore dell’auto.
Entrambe scosse, le due donne arrivano finalmente a casa Caldwell.
Nella notte una scossa Jenny sente un rumore provenire dal garage della villa; scende e viene uccisa da una mano misteriosa.
Partono le indagini della polizia, che prediligono da subito la traccia del maniaco; l’indiziato è quindi l’uomo misterioso i cui occhi sono apparsi a Jenny e Martha durante il viaggio dalla stazione alla villa.
Ma la mano misteriosa nel frattempo colpisce ancora; a cadere questa volta è la signora Pretòn, governante di casa Caldwell.
Le indagini della polizia proseguono ed ecco che a cadere nelle mani della stessa è un giovane sospettato di omicidio.
La sua fidanzata infatti era stata rinvenuta morta lungo il fiume e così il giovane viene tratto in arresto: sembra la fine di un incubo ma le cose sono destinate ad andare diversamente, in quanto pochi giorni dopo ecco un altro cadavere.
Questa volta a morire è la piccola Christine, una bambina che frequentava la casa di Martha Caldwell e così la polizia è costretta a riaprire le indagini.
L’autopsia fatta sul corpo della ragazza rinvenuta lungo il fiume rivela che la donna non è morta per un atto violento, bensì per un’overdose di eroina:ma allora chi ha ucciso Jenny, la signora Preton e la piccola Christine e sopratutto, perchè?
Il coltello di ghiaccio è un thriller canonico diretto da Umberto Lenzi nel 1972, che segna il ritorno del regista di Massa Marittima al genere thriller classico, dopo la parentesi poco fortunata di un posto ideale per uccidere.
Abbastanza lontano dalla trilogia “thriller dei quartieri alti“, composta da Orgasmo (1969),Così dolce… così perversa (1969) e Paranoia (1970), Il coltello di ghiaccio presenta comunque qualche analogia con il famoso trittico, non fosse altro per la presenza dell’attrice preferita dal regista, la bionda americana Carrol Baker, che in questo film lavora con Lenzi per l’ultima volta.
In realtà, a parte l’ambientazione da giallo e la presenza della Baker potremmo dire che le analogie finiscono qui, in quanto questo film si distanzia dai precedenti per l’assoluta mancanza della componente sensuale e quindi a sfondo erotico a tutto vantaggio della scelta di operare nel campo dell’atmosfera pura, portando lo spettatore attraverso una serie di indizi a cercare di individuare il misterioso assassino che sembra perseguitare la povera Martha Caldwell, già di per se provata dalla tragica morte dei genitori.
Il percorso è abbastanza lineare e con la scomparsa del principale indiziato, il giovane fidanzato della ragazza morta lungo il fiume, lo spettatore più smaliziato capisce che l’assassino è meno imprevedibile di quanto si possa pensare.
Il finale infatti ,se presenta sorprese per le motivazioni che hanno spinto l’assassino a compiere i misfatti di cui si è reso protagonista, non ne presenta per l’identità dello stesso.
Prodotto dignitoso, privo dell’atmosfera morbosa della trilogia dei quartieri alti, Il coltello di ghiaccio ebbe un’accoglienza controversa da parte dei fan del regista, oltre che dalla critica specializzata.
Alcuni considerarono questo film il miglior thriller lenziano prodotto fino ad allora, la maggior parte ne restò deluso, non trovando al suo interno le caratteristiche peculiari che avevano fatto la fortuna dei fil fino ad allora diretti dal regista toscano.
Il coltello di ghiaccio è sostanzialmente un thriller abbastanza classico, con tutti gli stereotipi del genere; l’assassino misterioso dall’altrettanto movente misterioso, l’ambientazione quasi padana o gotica della storia, con la nebbia, la villa misteriosa e la polizia che brancola nel buio.
Il tutto risolto alla fine, con il tradizionale colpo di scena.
Prodotto abbastanza elegante, recitato con discreta professionalità, Il coltello di ghiaccio vale una visione.
Nel cast figura come già detto Carroll Baker, qui costretta a recitare solo con la mimica facciale in quanto il suo personaggio è muto; l’attrice americana sopperisce con le sue doti espressive, spesso sottovalutate così come altrettanto degna di menzione è la presenza di Evelyn Stewart, algida ed elegante nel ruolo della sfortunata Jenny, (da segnalare che il duo Baker-Stewart si ricostituisce quattro anni dopo Il tuo dolce corpo da uccidere, film diretto da Romolo Guerrieri, un giallo di discreta fattura targato 1968)
Segnalazione anche per Silvia Monelli,che l’anno precedente aveva interpretato la signora Giannelli nel leggendario sceneggiato tv Il segno del comando.
Discrete le musiche di Marcello Giombini.
Purtroppo questo film è di difficile reperibilità in rete anche se è passato, con una certa frequenza, sulle reti commerciali televisive.
Il coltello di ghiaccio
Un film di Umberto Lenzi. Con Silvia Monelli, Evelyn Stewart, Carroll Baker, Alan Scott, Franco Fantasia, Dada Gallotti, Georges Rigaud, Eduardo Fajardo, Luca Sportelli, Carla Mancini, Consalvo Dell’arti Giallo, durata 92′ min. – Italia 1972.
Carroll Baker: Martha Caldwell
Alan Scott: Dr. Laurent
Ida Galli: Jenny Ascot (come Evelyn Stewart)
Eduardo Fajardo: Marcos
Franco Fantasia: ispettore Duran
Georges Rigaud: zio Ralph
Silvia Monelli: signora Pretòn
Rosa Marìa Rodriguez: Christine
Regia Umberto Lenzi
Soggetto Umberto Lenzi
Sceneggiatura Umberto Lenzi, Antonio Troisio
Casa di produzione Tritone Film Industria (Roma); Mundial Film (Madrid)
Fotografia José F. Aguayo
Montaggio Enzo Alabiso
Musiche Marcello Giombini
Scenografia Piero Filippone
Costumi Silvio Laurenzi
L’opinione di Nicola81 dal sito http://www.filmtv.it
Ennesima coproduzione italo – spagnola per un giallo non eccelso, ma sicuramente migliore della fama che lo accompagna. Rinunciando, coraggiosamente, ai tradizionali stereotipi del genere (sesso e violenza), Lenzi riesce comunque a creare un’atmosfera interessante e un intreccio dignitoso. Purtroppo il ritmo è davvero molto blando, e allora bisogna accontentarsi dell’inevitabile colpo di scena conclusivo, sorprendente ma un po’ truffaldino. Abbandonati i panni dell’icona – sexy, Carroll Baker fornisce un’ottima prova in un ruolo decisamente ostico. Accanto a lei alcuni discreti caratteristi quali George Rigaud (lo zio), Franco Fantasia (l’ispettore) e Silvia Monelli (la governante).
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.wordpress.com
(…) Nonostante il ritmo sia lento e gli omicidi non particolarmente spettacolari (spesso non vengono mostrati allo spettatore al quale si fa vedere solo il cadavere al momento del ritrovamento) Il coltello di ghiaccio regge piuttosto bene la canonica ora e mezza di durata, seppur mostrando qua e là momenti un po’ di secca e mancanze; lo stesso movente che spinge l’assassino ad uccidere è tanto improbabile quanto esile. Interessante l’idea della filastrocca – tratta da Alice nel paese delle meraviglie di Carroll – recitata da Martha da bambina durante una recita scolastica e regalata alla stessa, ormai diventata adulta, dalla sorella Jenny (curiosamente la filastrocca tratta di un topo che viene processato da un gatto); in molte scene il mangianastri viene azionato e questa filastrocca riecheggia come un mantra, così pure viene usata anche nell’ultima riuscitissima scena. Originale anche l’intuizione con la quale il vero assassino viene incastrato. Fotografia forse un po’ troppo scura, ma funzionale agli scopi del regista. Colonna sonora di Marcello Giombini senza né infamia né lode.(…)
L’opinione di Joker1926 dal sito http://www.filmscoop.it
Dopo un anno dalla realizzazione dell’ottimo thriller “Sette orchidee macchiate di rosso” l’esperto e convincente Lenzi alla regia di un altro compatto e gradevole film di genere, anno di produzione 1972, ecco “Il coltello di ghiaccio”.
“Il coltello di ghiaccio” prevede una soddisfacente trama, forse in alcuni passaggi troppo statica e semplice, ma nonostante questa premessa il tutto gira a dovere, il ritmo è alto.
I personaggi sono ben scanditi, c’è anche un filo di tensione, da parte dello spettatore l’interesse e la curiosità saranno vive dal primo momento fino allo splendido ed inatteso finale.
Infatti a render grande questo film è proprio il finale altamente non pronosticabile; risulta dunque improbabile, da parte dello spettatore, captare l’identità del killer durante la proiezione, nel determinato frangente applausi alla regia.
“Il coltello di ghiaccio” vede inoltre delle buonissime interpretazioni dei vari attori, la fotografia è di buona qualità, insomma anche sul lato tecnico davvero poco da rimproverare.
L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Un Lenzi suggestivo, che invece di ricorrere alle (spesso facili) sequenze d’effetto, imposta la vicenda sul piano psicologico (come poi farà con Spasmo) utilizzando l’ottima performance di Carroll Baker, attrice feticcio del regista sin dalla fase dei sexy-thriller (Orgasmo, Paranoia, Così dolce… così perversa). Buona la sceneggiatura, avvalorata da raffinati dialoghi. Il giallo è un meccanismo contorto, come suggerisce un finale davvero inatteso e che sembra collegare questo film alla Lucertola con la pelle di donna. Intrigante.
L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com
Simpatico. Non è certamente il miglior Lenzi, ma è sicuramente un buon giallo. La Baker icona lenziana è splendida e bravissima come al solito in un ruolo non proprio facile (una ragazza muta in seguito a un trauma). Cast di caratteristi, da Fajardo autista sospetto alla Galli radiosa più che mai e Riguad zio della Baker. Fantasia come al solito è ispettore. Omicidi non mostrati ma d’atmosfera (quello della Galli nel garage), discreto colpo di scena, buone musiche. I fan apprezzeranno senza dubbio.
L’opinione di Herrkinskj dal sito http://www.davinotti.com
Giallo lenziano di livello più che discreto, che pur non raggiungendo gli apici di altri suoi lavori (né come qualità, né come tasso di splatter e cattiveria) si lascia guardare abbastanza piacevolmente. Certo, la trama non è originalissima e la risoluzione del giallo è piuttosto prevedibile; ma la Baker è molto brava, il resto del cast fa il suo mestiere, la regia di Lenzi è corretta, le atmosfere sono abbastanza suggestive.. In definitiva, non imprescindibile, ma resta comunque un lavoro dignitoso che potrebbe piacere agli appassionati.
Il dolce corpo di Deborah
Progenitore dei thriller che avrebbero invaso le sale cinematografiche nel decennio successivo,Il dolce corpo di Deborah (The sweet body of Deborah) esce nelle sale nel 1968 e codifica in un certo modo i lavori che verranno; Romolo Guerrieri,regista del film, costruisce lo stesso su un impianto robusto che vede una giovane sposa attirata in una trappola mortale dal marito, in combutta con l’ex fidanzata e un amico.
Una spruzzatina di velato erotismo, un’atmosfera sensuale, qualche colpo di scena e un intreccio più psicologico che d’azione caratterizzano la pellicola di Guerrieri che prima di questo film aveva diretto una commedia balneare e tre western,genere in auge sul finire degli anni sessanta.
Il regista romano, autore negli anni successivi di altre due pellicole del genere thriller come La controfigura e Un detective costruisce una storia forse ai limiti del credibile ma scorrevole e che si lascia seguire con interesse.
Tutto ruota attorno al matrimonio tra lo svizzero Marcel e la bella e biondissima ereditiera americana Deborah, coppia che durante il viaggio di nozze si imbatte in un vecchio amico di Marcel,Philipp, fratello di una ex dello svizzero.
L’uomo accusa di aver spinto al suicidio Susan,spinta al gesto estremo dall’abbandono di Marcel;quest’ultimo, turbato dalla notizia decide di vederci chiaro e si reca a casa dei genitori di Susan, che trova vuota e abbandonata.
Proprio nella casa della ex Deborah, rispondendo al telefono, riceve un ammonimento e una minaccia di morte.
E’ l’inizio di un lungo incubo per la bella americana, che per sfuggire alla tensione nervosa che si viene a creare in seguito a questo e altri episodi inizia ad abusare di farmaci.
Casualmente ad una festa Deborah incontra il pittore Robert, che da quel momento inizierà a vegliare su di lei in maniera discreta; l’amicizia tra i due irrita Marcel,alle prese con l’intrigo della morte di Susan, che inizia a credere provocata dall’amico Phlipp
Nel frattempo le minacce e le persecuzioni messe in atto da Philipp raggiungono il culmine;Deborah che si sente perseguitata dall’uomo, dalle telefonate minatorie e dall’atmosfera angosciante in cui è costretta a vivere crolla psicologicamente e una sera per dormire inghiotte una forte dose di barbiturici.
Philipp entra nella villa e tenta di uccidere la donna, ma il provvidenziale intervento di Marcel salva Deborah dalla morte.
Marcel infatti uccide Philipp e subito dopo, caricatosi addosso il corpo esanime dell’uomo va a sappellirlo in giardino.
Ma il giorno dopo Deborah crede di impazzire quando vede Philipp vivo in compagnia della rediviva Susan;in realtà la donna non è mai morta ma la scoperta per Deborah è davvero troppo grossa.La donna sviene e, caricata da Philipp e Marcel, viene collocata nella vasca da bagno dove i due iniziano a tagliarle le vene, volendo così simulare un suicidio.
Ma il diavolo ci mette lo zampino…
Il finale è lineare e riporta il film ad una conclusione politicamente corretta, con la vittima designata che sfugge alla morte grazie al cavaliere errante e senza paura.
Guerrieri costruisce quindi un film godibile, in linea con quelli che saranno poi gli stilemi di questo genere;l’anno dopo Umberto Lenzi riprenderà sia l’attrice protagonista Carroll Baker, sia il bravo Jean Sorel per costruire il suo personale trittico dei “thriller dei quartieri alti”, come il regista stesso definirà il genere di nicchia che contribui in maniera determinante a rendere famoso, composto dai film Orgasmo (1969), uno dei film più venduti negli Stati Uniti in quel periodo, da Così dolce… così perversa (1969) e da Paranoia (1970).
Guerrieri è quindi un precursore del genere e il film incontrò un buon successo di pubblico.
Meno di critica, va detto.
I perchè sono legati a quella particolare forma di snobismo misto a miopia culturale di parte della critica, che guardava di malocchio tutti i generi che stavano fiorendo nel nostro paese, dallo spaghetti western alla commedia sexy, dal thriller citato al poliziesco all’italiana.
Un errore imperdonabile,alla luce del grande successo che ebbe in Italia e all’estero il cinema italiano di quegli anni, amatissimo anche da platee che fino ad allora avevano apprezzato solo i prodotti dei grandi del nostro cinema.
A contribuire al successo del film contribui sicuramente l’ottima prova del cast, nei quali vanno segnalati la bellissima Carroll baker, vera star del genere negli anni successivi, il citato Jean Sorel, la bella e affascinante Evelyn Stewart (qui protagonista con il suo vero nome, Ida Galli),Luigi Pistilli e Robert Hilton.
Il film ha anche una colonna sonora adeguata composta da Nora Orlandi e si avvale di una fotografia tenebrosa e impeccabile opera di Marcello Masciocchi.
Un film in definitiva di indubbia qualità, pur tra qualche pecca e qualche sbavatura di troppo, che resta un esempio di come si riuscisse ad assemblare in maniera esemplare le varie componenti di un film per creare un prodotto di fascino.
La pellicola è disponibile in una buona riduzione divx su You tube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=lL5tJI0Uj-M e merita sicuramente una visione.
Il dolce corpo di Deborah
Un film di Romolo Guerrieri. Con Luigi Pistilli, Evelyn Stewart, Carroll Baker, Jean Sorel, Valentino Macchi, George Hilton, Michel Bardinet, Renato Montalbano Drammatico, durata 90 min. – Italia 1968.
Carroll Baker: Deborah
Jean Sorel: Marcel
Ida Galli: Suzanne Boileau (con il nome Evelyn Stewart)
Luigi Pistilli: Philip
Michel Bardinet: commissario di polizia
Valentino Macchi: Garagista
Mirella Pamphili: Centralinista
Domenico Ravenna: Dottore
Giuseppe Ravenna: Maitre d’Hotel
Renato Montalbano: Telefonista
George Hilton: Robert
Sisto Brunetti: Agente
Regia Romolo Guerrieri
Soggetto Ernesto Gastaldi, Luciano Martino
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi
Produttore Tony Garnett, Mino Loy, Luciano Martino
Casa di produzione Compagnie Cinématographique de France, Flora Film, Zenith Cinematografica
Fotografia Marcello Masciocchi
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Nora Orlandi
Scenografia Amedeo Fago
Costumi Gaia Romanini
Trucco Mario Van Riel
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
(…)Gli affezionati del genere sapranno ritrovare diversi elementi ricorrenti nel thriller anni ’60, come le motivazioni che muovono i protagonisti a delinquere in maniera complessissima, sempre finalizzate all’appropriazione di un’ingente quantità di soldi, un motivo musicale che porta un protagonista all’esaurimento nervoso o, ancora, una scena in cui viene mostrata la danza sensuale di una donna di colore in qualche club di elegantoni (vedi Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?, 1972) cosa che evidentemente riecheggiava il cinema mondo.(…)
(…)un cast che sa come muoversi all’interno di una storia giallo-thriller. Guerrieri risce a reggere il gioco tecnico anche se il thriller non sia esattamente il suo genere d’elezione, la fotografia di Marcello Masciocchi gioca con le luci e le ombre. Nora Orlandi cura le musiche e non fa un cattivo lavoro. Il top de Il dolce corpo di Deborah, comunque rimane la scena nella quale la Baker in tutina glamour gioca a Twister con Sorel (…)
L’opinione del sito http://www.horrormovie.it
C’era una volta il giallo all’italiana, affascinante e piacevolmente complesso, a volte improbabile nelle risoluzioni e spesso risultato da rielaborazioni di successi internazionali. Se possiamo attribuire a Damiano Damiani e Mario Bava l’inizio del filone, rispettivamente con “Il rossetto” (1960) e “La ragazza che sapeva troppo” (1964), è a Romolo Guerrieri che va il merito di aver lanciato il sottofilone dei gialli dalle venature erotiche e dai risvolti familiari che poi faranno la fortuna del genere tra la fine degli anni ’60 e i primissimi ’70. Il dolce corpo di Deborah
Infatti i vari “Paranoia”, “Orgasmo”, “Così dolce…così perversa” di Lenzi o i successivi e già in parte differenti “Lo strano vizio della signora Wardh” e “La coda dello scorpione” di Martino derivano proprio da “Il dolce corpo di Deborah” e dalle atmosfere un pò lascive che il film di Guerrieri tenta di costruire attorno al desiderabile corpo del titolo, che poi sarebbe quello della sempre bellissima Caroll Baker.
Su un soggetto scritto insieme al produttore Luciano Martino, Ernesto Gastaldi – che poi si specializzerà proprio in gialli – costruisce una sceneggiatura che ha chiari rimandi a “I Diabolici” di Clouzot. Infatti il punto di partenza per questo filone del giallo all’italiana è proprio il cinema francese “nero”, le atmosfere torbide che ammantavano quei film e gli intricati moventi che muovevano le storie, che spesso e volentieri avevano come scopo l’impossessarsi di ingenti somme di denaro. Dal momento che con “Il dolce corpo di Deborah” siamo alla soglia degli anni ’70, anzi, nel fatidico ’68, gli elementi scabrosi solo Il dolce corpo di Deborahsuggeriti altrove trovano qui un ben preciso esplicitamento.
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Vederlo conoscendo l’opera lenziana rovina completamente ogni colpo di scena. Restano sia l’importanza (la tematica è nuova) sia una certa lentezza per tutta la prima parte, quella che precede l’arrivo alla villa della Costa Azzurra (che è, in realtà, vicina al Golf dell’Olgiata). Il cast funziona più che accettabilmente, con la Baker bellissima (ma con Lenzi sarà ancora più smagliante), Sorel efficace, Pistilli e la Stewart in ruolo. Per esigenze criptopubblicitarie la Baker qui deve fastidiosamente (per noi) fumare il doppio a confronto di quanto fa in tutti i Lenzi messi insieme…
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.wordpress.com
Il dolce corpo di Deborah merita una valutazione discreta nonostante non sia da giudicare, con il senno di poi, come uno dei film più riusciti del genere. Sicuramente interessante più per l’atmosfera (la fotografia piena di ombre e luci e la bella colonna sonora di Nora Orlandi fanno la loro parte) che per la sostanza, il film è comunque da vedere per gli amanti del genere, dato che senza questa produzione il corso che il giallo ha preso in Italia avrebbe potuto essere molto differente.
Grazie signore P.
Nella magnifica isola di Pantelleria arrivano, per trascorrere un breve periodo di vacanza, due donne affascinanti; Anna ed Eva sono nell’isola motivo di turbamento per il giovane Marco, che vive con sua madre dopo essere rimasto orfano del padre morto qualche giorno dopo le nozze.
Le due donne, disinibite e cacciatrici, decidono di sedurre il ragazzo che però misteriosamente sfugge alle loro attenzioni.
Marco sembra addirittura infastidito dalla loro intraprendenza e così Anna ed Eva decidono di scoprire il motivo di tanta misoginia.
Ben presto appurano che Marco è traumatizzato dal comportamento libertino della madre che, subito dopo l’inattesa morte del marito e dopo la nascita del figlio si è trasformata in una specie di ninfomane insaziabile pronta a concedersi a qualsiasi maschio dell’isola.
Antonia Santilli
Evelyn Stewart
Sarà un rito pagano, consumato da Anna ed Eva in una grotta dell’isola a sbloccare Marco, che, dopo l’ingestione di un potente afrodisiaco, nello sfuggire per gioco alle due donne finisce per imbattersi nella madre; il giovane per la sorpresa cade e batte la testa restando esanime.
Lo choc subito nel vedere il figlio sanguinante crea nella madre di Marco un insopprimibile desiderio di cambiare vita.
Da quel momento in poi la donna abbandonerà gli atteggiamenti tenuti sino a quel momento e quando arriverà il giorno della partenza di Anna ed Eva a Marco non resterà altro da fare che ringraziare le due donne per averlo iniziato all’amore fisico, per aver contribuito involontariamente alla conversione della madre e in fondo ad averlo liberato dal suo complesso…
Grazie signore P. è un film diretto nel 1972 dal regista di origini turche Renato Savino, qui alla sua prima opera dietro la macchina da presa; Savino, nel corso della sua breve carriera da regista dirigerà solo 4 film, nessuno dei quali memorabile ma accomunati da una certa abilità registica e da una buona capacità di assemblare storie non prive di interesse.
Decameron ‘300,Mamma… li turchi! e I ragazzi della Roma violenta sono film diretti con mano agile e il regista inspiegabilmente, nel 1976 abbandona la macchina da presa in concomitanza con l’uscita di I ragazzi della Roma violenta, che è anche l’ultimo film che sceneggerà.
Una prova di buon livello, questa offerta con Grazie signore P.
Il tema a sfumatura edipica, la relazione tra il giovane Marco e le due disinibite amiche lombarde, il trauma subito dalla madre del protagonista non sono certo novità, ma Savino sfugge dalla palude dell’ovvio e del risaputo con una storia raccontata sobriamente e senza indulgenze al morboso che la storia stessa può scatenare.
L’elemento erotico è più di facciata che di sostanza e non è mai volgare.
Le due protagoniste principali della storia, Antonia Santilli e Evelyn Stewart lavorano con professionalità e certo stride un po il loro affiatamento con quanto dichiarato ai giorni nostri dalla Santilli in una intervista rilasciata a Nocturno:
“Se io non ero nessuno, lei era una signora che aveva fatto anche film importanti Evelyn Stewart, Ndr) Con lei ho avuto un pessimo rapporto, era una persona parecchio odiosa, mi umiliava abbastanza. Mi trattava molto male: «Avrai fatto anche l’Università, ma sei proprio ignorante», mi diceva. Pensa te… Con le donne, comunque, a quel che ricordo, sui set non sono mai andata d’accordo. Non certo per colpa mia. Perché forse mi vedevano come una rivale…”
Buona la prova offerta da Hiram Keller, il protagonista maschile del film, il giovane che scoprirà il fascino sottile femminile grazie alle due amiche;l’attore americano, che ritroveremo nello stesso anno nel film Il sorriso della iena è misurato e sobrio ed è un vero peccato che dieci anni dopo abbia abbandonato le scene.
La storia è ambientata a Pantelleria, magnifica isola in provincia di Trapani che ha un territorio molto simile ad una località africana, vista anche la vicinanza con il continente nero dal quale dista meno di 70 Km.
Una location naturale selvaggia e affascinante, che dona alla pellicola un sapore esotico e intrigante.
Un film quindi di buona fattura e scorrevole, che però è di difficilissima reperibilità, se non in una riduzione da passaggi televisivi ormai datati.
In rete infatti è disponibile una versione probabilmente purgata del film molto rovinata che non rende giustizia alla magnifica location e al film stesso.
Purtroppo, in assenza di un’edizione digitale, bisogna accontentarsi…
Grazie signore P…
Un film di Mauro Stefani (Renato Savino) Con Evelyn Stewart, Hiram Keller, Irina Ross, Umberto Di Grazia Commedia, durata 94 min. – Italia 1972.
Hiram Keller: Marco
Ida Galli: (con il nome Evelyn Stewart)
Antonia Santilli: (con il nome Irina Ross)
Regia Renato Savino
Sceneggiatura Renato Savino
Fotografia Silvio Fraschetti
Montaggio Roberto Colangeli
La recensione del sito cinerepublic.filmtv.it
Un ragazzo ha problemi con il sesso, evidentemente causati da attacchi di ninfomania della madre, sorti nella signora dopo la morte del marito, che spingono la donna tra le braccia di molti uomini (che lei durante l’amplesso chiama con il nome del coniuge defunto), situazione del quale il giovane prova vergogna. L’incontro con due splendide turiste al quale si offre di fare da guida turistica forse potrà guarirlo. Alternando sprazzi di commedia sexy del periodo con seri passaggi drammatici un film molto interessante e ben girato. Suggestive le riprese della ricostruzione del rito dionisiaco nella grotta (per il quale il regista disse di essersi ispirato a leggende del luogo) e da (s)culto la spiegazione fornita da una delle due ragazze del rapporto tra le donne e il sesso (“Se una lo fa per soldi è una prostituta! Se invece lo fa per piacere è una puttana! I due termini sono diversi.”). Inutile quindi che vi spieghi il significato del titolo… Le due belle attrici sono Ida Galli e Antonia Santilli (che si firma con lo pseudonimo Irina Ross). Se la prima è più conosciuta (con il nome d’arte di Evelyn Stewart), la seconda è una delle interpreti del cinema italiano più splendide del periodo (nulla da invidiare alle più famose Fenech, Guida, etc…). Dopo aver saltato il ruolo che inizialmente avrebbe dovuto avere di moglie di Al Pacino in SERPICO, la bellissima Antonia si ritirò dalle scene sposando un dirigente di una compagnia aerea. Questo rimane uno dei film più importanti da lei interpretati (insieme a IL BOSS di Fernando Di Leo) e uno dei principali film scandalosi degli anni ’70. Da (ri)scoprire!!!
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Trasuda solarità e ottimismo questa vicenda esotico-erotico-edipica sullo sfondo del mare e delle grotte di Pantelleria: non solo per il paesaggio in sé, ma anche per la naturalezza e l’espansività della Galli e della Santilli che, epigone della cosmopolita e libertina Emanuelle, si adoperano con il cuore e con il corpo per guarire i traumi dell’introverso Keller. Purissima arte i ripetuti nudi integrali della Santilli, offerti con la spontaneità tipica del cinema anni Settanta. Aiuto regista, il csc Di Grazia ha il consistente ruolo del bighellone Mimì. Piacevole.
L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Credo che per tanti ventenni valga ancora la pena di vederlo, visto che tutte le generazioni son piene di teenager maschili che hanno questa bellezza quasi dannata, perché rovinata da un’infelicità abissale di fondo, il più delle volte causata da un rapporto squilibrato con la madre… Sottolineo che le location siciliane sono magnifiche, ma Savino è un regista crudo, legato all’immediato, a quello che è, e in tal modo se con I ragazzi della Roma violenta riesce a fare un capolavoro assoluto, qui invece manca quella poesia che sarebbe importante…
Musiche Giancarlo Chiaramello
Una delle splendide spiagge di Pantelleria,location del film
Le grotte comunicanti di Pantelleria
Veduta di Pantelleria
Il delitto del diavolo- Le regine
Un giovane su una moto Suzuki viaggia tranquillo con le chiome al vento; è un giramondo di nome David, che, come apprenderemo in seguito, professa ideali di libertà tipici dei figli dei fiori ovvero gli hippy.
All’imbrunire, imboccata una strada che attraversa la campagna, si imbatte in un distinto signore fermo sul ciglio della strada accanto alla sua Rolls Royce con una ruota a terra.
David lo aiuta a cambiare la ruota, ma per tutto ringraziamento scopre che il misterioso ed elegante individuo ha bucato la gomma della sua moto.
Il signore, che ha ripreso il viaggio, sentendosi inseguito da David perde il controllo dell’auto che finisce contro un albero;quando David lo raggiunge lo trova riverso al volante, morto.
Il giovane decide di riprendere il viaggio, ma essendo calata la sera è costretto a passare la notte in un capanno che ha incontrato lungo il cammino.
All’alba ha la sorpresa di essere svegliato da una bella ragazza, Lily, che lo invita ad andare via.
Ma è destino che il giovane non sfugga più a quel posto che appare arcano e misterioso; la ragazza tra l’altro ha due sorelle anch’esse bellissime, più grandi di lei.
Sono Samantha e Bibiana che lo invitano a restare.
L’enigmatico signore che David soccorre
Sedotto dall’atmosfera del posto e sopratutto avvinto da un’atmosfera sottilmente erotica e dal trattamento che le tre donne gli riservano, David resta loro ospite riverito come un pascià.
Lily, Samantha e Bibiana infatti non solo solleticano il suo palato con pranzi succulenti e abbondanti, ma lo irretiscono in un sottile gioco di seduzione nel quale, a turno, fanno l’amore con David.
Ma ben presto il giovane inizia a sospettare che le tre donne non siano quello che sembrano, ovvero delle solitarie in cerca di affetto o semplice svago sessuale.
Una notte, seguendole nel bosco le scopre intente a praticare un rito sconosciuto.
David tenta la fuga ma Bibiana riesce a trovarlo e a convincerlo che il rito misterioso era solo propiziatorio per invocare la fortuna di non restare nubili.
Il giovane viene invitato ad una festa in onore di Lily che si tiene all’interno di un castello che sorge nei dintorni; qui David viene quasi processato dagli ospiti, tutta gente di estrazione sociale differente da quella del giovane hippy.
David si allontana, per essere successivamente raggiunto dalle tre maliarde.
Durante un colloquio con le donne, David si dice pronto ad abdicare a tutti i principi a cui fino a poco tempo apprima si atteneva; niente più libertà di scorazzare senza vincoli, quindi, niente più indipendenza.
Lily, Samantha e Bibiana si presentano a David
Le tre donne sono in grado di dargli quello che lui cerca adesso, ovvero l’appagamento dei sensi tramite la lussuria e la gola.
Quasi la confessione fosse stato un segnale di tradimento verso quelli che erano gli alti ideali del giovane, Lily, Samantha e Bibiana subiscono una violenta metamorfosi trasformandosi in tre lugubri megere che lo assalgono e ne provocano la morte con fendenti sferrati con un coltello, un uncino e una mannaia.
Il corpo del giovane David viene quindi gettato in una fossa, alla presenza della gente che aveva partecipato alla festa nel castello.
Buon ultimo ecco arrivare il misterioso individuo che sembrava morto nell’incidente con la Rolls; è nientemeno che il diavolo che invita i presenti a fare di più per traviare i giovani idealisti come David, che suo modo di vedere hanno raggiunto un pericoloso grado di libertà.
Brutto film.
Pretenzioso, supponente e mortalmente noioso.
Il delitto del diavolo- Le regine diretto da Tonino Cervi nel 1970 è un velleitario tentativo di criticare la società borghese, il suo sistema in grado di fagocitare tutto a partire dagli ideali fino a corrompere l’individuo con i suoi falsi miti tramite un linguaggio visivo ingenuo e anche francamente spocchioso.
L’inizio del film, con David che percorre in moto strade solitarie mentre imperversa una colonna sonora interpretata dall’attore Ray Lovelock dovrebbe già mettere in guardia il malcapitato spettatore; una canzone strimpellata alla meno peggio e cantata invece in modo dilettantesco e sopratutto con stonature da festival della parrocchietta.
Ma siamo solo all’inizio, ahimè.
Quando David/Lovelock incontra il trio delle maliarde, le cose peggiorano e ci si infila in un incubo visivo che troverà sollievo solo con il tradizionale The end; l’attore, assolutamente inadeguato e sopratutto con stampata sul volto un’espressione sempre uguale, monocorde come il ritmo della pellicola, finisce per mettere a disagio anche le tre attrici che interpretano le moderne streghe/maliarde.
La prima a comparire in scena, Haydee Politoff reduce dal successo ottenuto con l’esotico e sottilmente pruriginoso Bora Bora, finisce per dar vita a sipari quasi imbarazzanti con il bel tenebroso (ma anche tanto inespressivo) Lovelock, che avrà la fortuna a livello personale (off course) di baciare anche le atre due splendide protagoniste del film, Silvia Monti (Samantha ) e Evelyn Stewart (Bibiana) che in questo film recita con l suo vero cognome, Galli.
A ben vedere l’unico punto di forza del film sono proprio le tre attrici protagoniste, visto che il resto del film non ha atmosfera, è lentissimo e sopratutto si imbarca in discorsetti a sfondo pseudo-sociale e di denuncia che un regista amatoriale avrebbe affrontato con meno presunzione e più sincerità.
Questo manca al film di Cervi, l’onestà intellettuale: tutto sembra artificiosamente pre costruito per sparare qua e la tesi preconfezionate e post sessantottine; ma il 68 è ormai finito con il suo carico di illusioni realizzate solo in minima parte e il film di Cervi appare fuori tempo massimo e sopratutto molto,troppo velleitario.
La trama finisce per avvilupparsi attorno ai tentativi delle tre donne per strappare David alle sue convinzioni personali; solo che il regista, con molta malizia, insiste nel mostrare carezze e languidi baci mentre fa latitare un’introspezione psicologica del personaggio David, che così appare come un pezzo di granito nemmeno sbozzato da un ipotetico scultore.
Tutto finisce per ruotare attorno alle tre donne e al sogno notturno di David, ai tentativi delle tre di confondere le acque, di convincere il giovane che tutto quello che vede è solo irreale.
Poichè David è un hippy non convinto, ma solamente innamorato di un’idea di libertà come un bambino è attratto da una caramella, ecco che il film inizia a imbarcare acqua e continuerà a farlo fino al finale, con l’insopportabile pistolotto del diavolo fattosi uomo che invita i suoi adepti a intensificare la lotta a coloro che professano idee di libertà.
Il che si traduce in un infantile monologo che conclude indegnamente una pessima pellicola.
Che ha numerosi estimatori, inaspettatamente.
Ovviamente i motivi per cui film come questo siano diventati con lo scorrere degli anni dei cult restano assolutamente misteriosi; all’epoca della sua uscita nelle sale Il delitto del diavolo non se lo filò nessuno.
Il mio consiglio personale è di non vederlo, a meno che non siate innamorati di Evelyn Stewart e Silvia Monti; il resto del film è prosopopea allo stato puro e noia insopprimibile.
Il delitto del diavolo – Le regine
Un film di Tonino Cervi. Con Evelyn Stewart, Silvia Monti, Ray Lovelock, Haydée Politoff,Gianni Santuccio, Guido Alberti
Drammatico, durata 92 min. – Italia 1971.
Gianni Santuccio: il Diavolo
Haydée Politoff: Liv
Ida Galli: Bibiana
Ray Lovelock David
Silvia Monti Samantha
Regia Tonino Cervi
Soggetto Tonino Cervi, Antonio Troisio, Antonio Benedetti
Sceneggiatura Antonio Benedetti, Antonio Troisio, Tonino Cervi
Produttore Raoul Katz
Casa di produzione Flavia Cinematografica, Carlton Film Export Labrador Film
Distribuzione (Italia) Magnum 3b
Fotografia Sergio D’Offizi
Montaggio Mario Morra
Musiche Angelo Francesco Lavagnino
” Sono coì felice, felice, felice da morire”
“Non posso più fare a meno di voi”
“Sono pronto a qualsiasi cosa pur di non perdervi”
“Siete certe di averlo ucciso al momento giusto?-Ne siamo certi, Eminenza: aveva rinnegato se stesso e tutte le sue convinzioni”
“Questa gente, con le sue nuove idee,sta influenzando tutto il mondo;bisogna far presto, bisogna eliminarli tutti prima che sia troppo tardi”
Foto di scena con protagonista Ray Lovelock
Foto di scena con Haydee Politoff, Silvia Monti e Evelyn Stewart (Ida Galli)
Le prove di scena per il sotterramento di David
Le tre bellissime protagoniste del film in una pausa di lavorazione
Un giornale in lingua inglese intervista Haydee Politoff
Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Meteorite post-sessantottardo tanto schematico e puerile nell’assunto quanto curioso nello svolgimento fra onirico, erotico e pop. L’espressione non proprio sveglia di Lovelock è adattissima per il suo spaesato personaggio, in balia delle tre misteriose passerone con trucchi e parrucche incredibili. Scenografie spettacolari e una discreta atmosfera, rovinano il tutto le terribili canzoni di Lovelock stesso, e il didascalismo del finale. Psichedelico.
Scampolo post-sessantottino in cui la tesi del satanismo come metafora di un potere borghese reazionario che lusinga e annienta le forze giovani e libertarie è sostenuta attraverso una simbologia di incredibile banalità e troppo immediata evidenza – il frutto proibito, i peccati di gola e di sesso – convergente in un immaginario fiabesco à la fratelli Grimm talora suggestivo (il bosco) e in un improvviso finale splatter. Moscio Lovelock; uniche effigi del film rimangono il notevole Lucifero di Santuccio e la bellezza bronzea e scultorea dell’ammaliante Monti. Fievole e caduco.
Favola dalle venature thriller che svela le intenzioni dei suoi personaggi ed il suo messaggio solo nella parte finale senza però riuscire a convincere. Il ritmo non è irresistibile ma non annoia e le atmosfere sono buone così come le scenografie. Il discorsetto finale risulta oggi, a mio avviso, abbastanza patetico. Bellissime le tre tentatrici. Bizzarria d’altri tempi che ha un suo fascino ma che non è passata indenne allo scorrere del tempo.
Noioso. Molto confuso durante il suo svolgimento, in compenso ha un discreto cast (sul versante femminile davvero ottimo: Galli, Monti, Politoff), poco convincente Ray Lovelock… L’atmosfera va a farsi benedire dopo poco e a un certo punto la noia regna sovrana… Nulla di che.
Per comprendere le dinamiche dalle quali scaturiva l’estetica “free”, dovremmo essere ancora imbevuti della cultura degli anni 70. Anni in cui a teatro si sperimentava col Living theater, che concepiva lo spettacolo come emancipazione dalla codifica dei generi ed il cinema, da par suo, era in preda ad empiriche derive lisergiche. Certo, ad osservarla oggi quell’attitudine, in parte fa tenerezza. Un film come questo, ad esempio, pur coinvolgendo per certe scelte inusuali (il finale politico, le venature horror), presenta delle sequenze che annoiano non poco.
Di questo film si apprezza per lo più la sceneggiatura e la connotazione thriller anni 70, per chi è amante del genere e del decennio anni 70. Lo svolgimento è lento ma interessante, il dipanarsi degli eventi sussurrato. Ci sono molti silenzi apprezzabili per lo script ma che possono anche annoiare taluni spettatori. Nel complesso un buon prodotto.
L’intreccio tra apologo politico e racconto horror riuscirà sicuramente meglio a Lado, ma la disarmante estetica pop-naif di questo film mi spinge a preferirlo. L’utopia sessantottesca appesa all’Albero della Cuccagna, annegata in panna e fragole, soffocata in cuscini di seta, invischiata nel miele del diavolo spalmato denso sul pane da tre fiabesche Qui Quo Qua! Notevoli la scena della notte di pioggia e di nebbia nel bosco, e l’immagine folgorante (poco poco trash…) della mano con la pistola che esce dalle cosce divaricate della Politoff. Dolce e crudele!
Singolare “favola macabra” intrisa di sensualità, che gli stilemi, la metafora chiaramente politicizzata e il look sessantottino, NON riescono per fortuna a rovinare o a rendere irrimediabilmente fuori-moda. Le tre “streghe” del film sono davvero intriganti e affascinanti, per quanto, ovviamente, letali. Curioso il fatto di far doppiare Gianni Santuccio (che evidentemente non poté doppiarsi da sé) da Gabriele Ferzetti, che forse era sembrata all’epoca la voce più somigliante (?) a quella di Santuccio. Un misconosciuto gioiellino.
Piccolo gioiello di un regista di un certo potenziale, mai veramente esploso. Alcuni curiosi punti in comune con In compagnia dei lupi, soprattutto nella figura del diavolo in auto, che incontra Lovelock in moto a inizio film. L’atmosfera da fiaba nera che si respira è straordinaria: la casetta in mezzo al bosco, le tre streghe (su tutte la Politoff), il finale… C’è un po’ di monotonia a metà film e gli incubi stile Ken Russell de noaltri fanno sorridere (la bocca dipinta sul collo, la pistola che esce dalla pussy della Politoff). Cultone.
Il massimo dei massimi. Silvia Monti irraggiungibile come bellezza sconvolgente varrebbe da sola il film. Per il resto, lasciamo stare che venga presentata come favola thrilling… Quanti concetti rivelatori e quante verità in più potrebbe ulteriormente esprimere? E quali altre trovate decorative potrebbe mai aggiungere un regista o un artista di qualsivoglia livello? Cosa si può volere di più? Cosa si può fare se non goderselo dalla prima all’ultima scena? Più bello di così…
Bizzaro ma vuoto film di Cerv. La storia è noiosissima e la promettente atmosfera iniziale svanisce subito. La regia di Cervi è mediocre e ripetitiva. Difficile non annoiarsi dopo 20 minuti. Se si vuole guardare qualcosa di abbastanza simile ma notevolmente superiore non perdete …Hanno cambiato faccia di Corrado Farina.
Operetta a sfondo metaforico tra vecchia borghesia e il rampantismo hippie che faceva proseliti più o meno dappertutto, all’epoca. Figlio dei tempi che furono, il film è un gran bel vedere a livello estetico/formale: si parte dall’abbigliamento delle tre bellissime, le loro acconciature, l’arredamento, tutto molto pop e coloratissimo. Non da meno gli stupendi scenari agresti e qualche timida sequenza onirica-psichedelica. Lo svolgersi? Noioso e lento, si risolleva nel finale con nel mezzo poca sostanza e tanta forma.
Dolcemente crudele e affascinante, questo piccolo filmetto è visivamente spettacolare e ammaliatore come le 3 protagoniste che seducono il giovane hippie Lovelock. Costumi sgargianti e scenografie anni ’70 che sono il trionfo del kitsch (notevolissimi gli ambienti ultramoderni in contrasto con il bosco desolato che circonda la casa del peccato) fanno da sfondo alla metafora politica sull’abbandono degli ideali e il disfacimento morale della società voluto dal diavolo in persona. Peccato solo per la lunghissima parte centrale un po’ noiosa.
Un bianco vestito per Marialè
Una giovane donna è appartata ,con il suo amante completamente nudo, in un prato; un uomo che imbraccia un fucile (presumibilmente suo marito) spara ai due sotto gli occhi terrorizzati di una bambina.
Evelyn Stewart è Marialè
Diversi anni più tardi Massimo arriva ad una villa, convocato da una sua vecchia amica, Marialè, che vive praticamente segregata dal mondo con suo marito e con un maggiordomo.
Proprio quest’ultimo comunica a Massimo che nella villa non c’è nessuno, ma è falso; infatti poco dopo arriva un gruppo di persone, tutte convocate da Marialè.La donna, che ha delle turbe psichiche originate dalla visione della scena raccontata all’inizio, è in pratica prigioniera nella villa sotto custodia di suo marito che le somministra sedativi e narcotici. La donna, per poter chiamare il gruppo di amici, è riuscita ad eludere la stretta sorveglianza del marito e del maggiordomo, a rompere il lucchetto e a telefonare a diversi amici del suo passato.
L’arrivo della variegata comitiva sembra scuotere la donna, ma ben presto si inizia a capire che qualcosa non funziona; tra i vari componenti del gruppo ci sono gelosie, risentimenti e ben presto accade qualcosa di grave.
Ci scappa il primo morto, poi il secondo e in un crescendo di morte ben presto si arriva alla soluzione finale con la scoperta dell’assassino e delle sue motivazioni.
Thriller con evidenti colorazioni di gotico, Un bianco vestito per Marialè è un film del 1972 diretto da Romano Scavolini; un prodotto non privo di un certo fascino, anche se abbastanza confuso e penalizzato da un finale telefonato.
Elegante la confezione, con una fotografia vivace e ben curata, abbastanza claustrofobica la location, bene le prestazioni di Evelyn Stewart (Ida Galli), Luigi Pistilli e Ivan Rassimov.
Quà si fermano le buone notizie.
Il plot del film è molto prevedibile, anche se il primo quarto d’ora, quello introduttivo che ci mostra le cause scatenanti del trauma subito da Marialè sembrerebbe orientare il film verso un’atmosfera tipicamente “gialla”.
Lo svolgimento del film invece mostra la corda, perchè Scavolini resta abbastanza indeciso su quale genere di film proporre; il giallo lascia il posto al gotico classico, con atmosfera tipica dei Dieci piccoli indiani della Christie, per poi fare un’escursione nella denuncia sociale.
Infatti è il momento (abbastanza lungo, per la verità), dei tempestosi rapporti che si scoprono esserci tra i vari ospiti della villa, con inclusa cena delle beffe finale e colpi di sciabola del regista alle convenzioni sociali e alla morale borghese.
Dopo queste tre fasi, che occupano tre quarti del film, si arriva al momento topico, con la strage di tutti i presenti peraltro mostrata senza grossi elementi slasher o gore.
Il percorso del film quindi non è lineare, anzi; ma tutto sommato si riesce ad appassionarsi alla storia raccontata; Scavolini getta la con nonchalance anche una scena saffica e permette un paio di sbirciatine ai seni della splendida Pilar Velasquez.
Tutto sommato un film senza grossi picchi ma anche senza evidenti pecche, che però in rete gode di una fama abbastanza negativa per una serie di motivi legati alla sceneggiatura, da molti considerata farraginosa.
La cosa è in parte vera, però va ascritto a indubbio merito del regista l’aver evitato la trappola mortale dell’uso abnorme del sangue o il facile richiamo dell’erotismo tout court.
In ultimo la mia solita, devota ammirazione per Evelyn Stewart, che ricopre il doppio ruolo di Marialè e di sua mamma, con la solita grazia ed eleganza.
Il film è disponibile su You tube, in un’ottima versione all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=BLKQ4y9l5ro
Un bianco vestito per Marialé,un film di Romano Scavolini. Con Luigi Pistilli, Evelyn Stewart, Edilio Kim, Ivan Rassimov,Pilar Velasquez, Gianni Dei, Bruno Boschetti, Ezio Marano, Carla Mancini, Gengher Gatti
Horror, durata 89 min. – Italia 1972
Evelyn Stewart ( Ida Galli): Marialè
Ivan Rassimov: Massimo
Luigi Pistilli: Paolo
Pilar Velázquez: Mercedes
Ezio Marano: Sebastiano
Giancarlo Bonuglia: Jo
Gianni Dei: amante della madre di Marialè
Franco Calogero: padre di Marialè
Gengher Gatti: Osvaldo,il maggiordomo
Edilio Kim: Gustavo
Carla Mancini: donna che legge il libro
Shawn Robinson: Semy
Regia Romano Scavolini
Sceneggiatura Remigio Del Grosso, Giuseppe Mangione
Casa di produzione KMG Cinema
Fotografia Romano Scavolini
Montaggio Francesco Bertuccioli
Musiche Fiorenzo Carpi, Bruno Nicolai
Costumi Herta Swartz Scavolini
Trucco Carlo Sindici
La coda dello scorpione
Kurt Baumer, un uomo d’affari, muore in un incidente aereo; il velivolo su cui viaggia esplode mentre è in volo.
Sua moglie Lisa, mentre tutto ciò accade, è a letto con con il suo amante Philip; riceve una telefonata che la informa della triste notizia, così, qualche giorno dopo, viene convocata dalla compagnia di assicurazioni con la quale Kurt Baumer ha stipulato un’assicurazione sulla vita, con un premio di 1.000.000 di dollari.
La donna quindi si reca ad Atene, presso l’agenzia della capitale greca, nella quale è disponibile la somma che le spetta, tallonata da Peter Lync, un agente della compagnia incaricato di verificare l’estraneità della donna nella morte del marito.
Ad Atene, Lisa viene contattata da Lara Florakis, un’amante di suo marito, che le chiede di dividere la somma che la donna ha riscosso, ricevendone in cambio un fermo diniego.
Inspiegabilmente, Lisa chiede di riscuotere l’intera cifra in contanti, ma la cosa le diventerà fatale, perchè mentre è in albergo, viene barbaramente uccisa, mentre il denaro scompare.
Anita Strindberg
Janine Reynaud
Da quel momento gli avvenimenti prendono un ritmo incalzante: Peter viene avvicinato da Cleo Dupont, una bella e affascinante giornalista alla ricerca di scoop, e ben presto i due diventano amanti.
Nel frattempo muore assassinata Lara Florakis, mentre la polizia insegue il fantomatico assassino, che sembra un’ombra inafferrabile.
Anche l’Interpool si muove, e mette sulle tracce di Peter e più in generale, su quelle dell’assassino di Lisa un suo agente, che ben presto si convince che in realtà Baumer non è morto, ma ha simulato l’incidente per riscuotere l’assicurazione.
George Hilton
L’agente Interpool e il commissario greco Stavros, però, seguono anche Peter, che a loro giudizio è coinvolto in qualche modo nei vari omicidi; così tra vari colpi di scena si arriva alla soluzione finale.
La coda dello scorpione, diretto da Sergio Martino nel 1971, è un buon thriller, caratterizzato da una trama ben congegnata e arricchita da colpi di scena, sopratutto nel finale quando la matassa si dipana.
Se la storia non è propriamente originale, Martino supplisce a questa mancanza con tanto mestiere, avvalendosi anche di un buon cast, nel quale figurano George Hilton, l’investigatore della compagnia di assicurazioni ambiguo e dongiovanni, Evelyn Stewart, che interpreta Lisa Baumer con sufficiente bravura, la bella e affascinante Anita Strindberg,
che interpreta Cleo, che alla fine sarà l’unica a salvarsi giustamente la pelle; bene anche gli attori di contorno, con la solita sicurezza di Luigi Pistilli, il commissario Stavros e di Janine Reynaud nella parte di Lara Florakis.
Ottimo anche Alberto de Mendoza nel ruolo di John Stanley.
Film scorrevole, nel quale Martino sceglie non a caso di puntare più sulla trama e sul suo sviluppo piuttosto che sui soliti elementi di contorno, come gli effetti splatter o le solite scene gratuite di sesso.
Difatti nel film mancano sia i primi che le seconde; di sangue non se ne vede, se non nei vari omicidi, e di sesso non c’è nemmeno l’ombra, fatti salvi due momenti in cui la Stewart e la Strindberg sono in intimità con i rispettivi compagni.
Ma sono davvero scene da educande.
Segnalo la bella sequenza in cui Janine Reynaud viene inseguita in casa e uccisa davanti alla finestra,carica di tensione; ricorda moltissimo quella successiva girata da Dario Argento nel suo Profondo rosso, in cui la sensitiva viene uccisa dal suo assassino e muore con la gola tagliata dai vetri della finestra.
Qui manca l’elemento dei vetri in frantumi, ma in pratica la scena è presso che uguale.
Impeccabile il commento sonoro di Bruno Nicolai, impeccabile la fotografia, impreziosita dalla location greca.
Il finale, a sorpresa ma non più di tanto, è forse l’unica nota stonata del film; l’inseguimento tra le rocce appare poco coinvolgente, così come la soluzione dell’enigma.
Ma davvero era pretendere troppo da un prodotto senza ambizioni particolari e che invece si traduce in una lieta sorpresa.
Il film è disponibile in una splendida riduzione divx all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=wkT8WIEZnBw
La coda dello scorpione, un film di Sergio Martino. Con Luigi Pistilli, George Hilton, Evelyn Stewart, Anita Strindberg Giallo, durata 92 min. – Italia 1971.
George Hilton … Peter Lynch
Anita Strindberg … Cléo Dupont
Alberto de Mendoza … John Stanley
Ida Galli … Lisa Baumer (come Evelyn Stewart)
Janine Reynaud … Lara Florakis
Luigi Pistilli … Commissario Stavros
Tom Felleghy … Mr. Brenton
Luis Barboo … Sharif
Lisa Leonardi … Hostess (come Annalisa Nardi)
Tomás Picó … George Barnet
Piccolo gioiello del “giallo” italiano, girato con eleganza e stile, caratteristiche -queste- riscontrabili nel Martino “touch”. Il film, pur subendo l’influenza del giallo (come titolo allude) alla “Dario Argento”, si distingue per una narrazione ibrida: c’è il noir, c’è l’erotismo tipico del Lenzi “paranoico” e ci sono interpreti che offrono, con rara intensità, performance indimenticabili (Hilton, Strindberg, Pistilli e la Stewart). Né mancano una buona dose di cinema estremo (l’omicidio con bottiglia) e una bella soundtrack.
Altro buonissimo lavoro di Sergio Martino, che compensa l’incolmabile lacuna della defezione di Edwige (ma le signore presenti sono di gran classe) con la consueta accuratezza della messa in scena. L’ambientazione greca fa scattare nei veterani sceneggiatori (in anticipo sul Davinotti) il gioco delle associazioni, in particolare con i nostri thriller spionistici degli anni ’60 spesso ivi ambientati (tout se tient). La trama si incasina un po’, ma poco male. Ottimo Hilton. Eccellente riuscita
Discreto cast, discreta sceneggiatura, risultato, un discreto giallo, senza particolari pretese, con un considerevole numero di ammazzamenti (praticamente, una strage per un malloppo, giustificata solo in parte con la classica frase della vittima “Sei pazzo!”). Le uccisioni sono piuttosto cruente e anche realistiche (taglio della gola, coltellata nello stomaco, coccio di bottiglia nell’occhio…) e la colonna sonora è decente (la cosa più interessante e riuscita è la credo corda di violino pizzicata prima dell’uccisione). Un’occhiata la merita, ma non va al di là del prodotto ben presentato.
L’intricato plot gastaldiano si dispiega su una struttura narrativa simile a Psyco, nella quale l’abile mano registica di Martino inscena feroci omicidi di derivazione argentiana non estranei pure all’estetica di Bava; ad Argento si allude, quasi ironicamente, anche con il riferimento al famoso “particolare rivelatore”. Il cast è buono e Hilton, specie nel finale, riserva una delle sue prove migliori; Pistilli è un commissario amante dei puzzle e la Strindberg occupa degnamente il trono lasciato vacante della Fenech.
Martino dirige un ottimo giallo di stampo argentiano, con bravura innata. La confezione è ottima (basta citare solo la musica di Bruno Nicolai) e il regista può contare su un cast di eccelenti attori specialisti del genere (Strindberg, Hilton, De Mendoza, Pistilli, ma anche i bravi Janine Reynaud, Ida Galli e Luis Barboo). Una volta tanto la soluzione finale funziona alla perfezione con un movente solido (i soldi). Una vera e propria prova di regia l’omicidio della Reynaud. Tom Felleghy è un notaio.
Martino è forse colui che ha sfornato i gialli migliori negli Anni Settanta: storie semplici, comprensibili, girate divinamente, con un estremo gusto per l’inquadratura e sottili omaggi-citazioni. Prova ne è questo giallo esotico a metà strada tra Bava e Argento, ma che passa anche attraverso snodi narrativi colti, come l’ingrandimento fotografico preso da Blow Up di Antonioni. È un giallo quasi spionistico (con echi di 007!) che pare un’avventura di Diabolik, iconicamente evocato nella figura dell’assassino.
Buonissimo giallo che parte leggermente in sordina per poi salire sempre più di ritmo, con una notevole mezz’ora finale. Interpretato piuttosto bene, vede la presenza di un cast di tutto riguardo, con un George Hilton veramente strepitoso. Locations suggestive.
Concerto per pistola solista
La morte dell’anziano Conte Carter vede riunita, nella villa di famiglia, o meglio, in quella che è la faraonica residenza del defunto conte, i parenti prossimi allo stesso, per la lettura del testamento. A loro, un gruppo di consanguinei molto simili ai serpenti, si unisce quello che sembra un anonimo e un tantino imbranato sergente di polizia del vicino paese, Thorpe.
Evelyn Stewart è Isabel, la figlia di Lord Carter
La lettura del testamento riserva a tutti una sorpresa: l’erede di tutte le cospicue sostanze del conte è la nipote Barbara, l’unica che sia rimasta vicina all’anziano conte. Sono spogliati così dell’eredità la sorella Gladys e suo figlio Georgie, un complessato e tremendo giovinastro, suo fratello Anthony, la figlia Isabelle e un nipote debosciato, Ted, che ha sposato una giovane di colore, Pauline.
Orchidea De Santis è la cameriera di casa Carter
Prima che i delusi eredi possano abbandonare la villa, ecco che viene misteriosamente ucciso il maggiordomo della casa. A indagare è il serafico Thorpe, ma non ci sono tracce; nel frattempo nella villa arriva l’ispettore di Scotland Yard Grey, che inizia ad interrogare tutti i parenti, proprio mentre Ted, il nipote del Conte viene trovato morto per un colpo di pistola alla testa. Sembra un suicidio, ma Thorpe, che ad onta del suo aspetto ha un cervello lucidissimo, scopre che si è trattato di un omicidio.
Nella foto, a destra, Anna Moffo nel ruolo di Barbara
Il bravissimo Gastone Moschin nel ruolo dell’ineffabile sergente Thorpe
Viene successivamente trovata morta anche la sua giovane moglie di colore, Pauline, in seguito è Isabelle a cadere vittima di un colpo di fucile. L’assassino sembra inafferrabile, ma ci penserà l’ineffabile Thorpe, attraverso le sue indagini, a scoprire l’insospettabile colpevole.
“ In questo caso sappiamo con certezza che il colpevole non è il maggiordomo”, commenta ironico Anthony, il fratello del Conte davanti al corpo del maggiordomo, ucciso da una pugnalata. E’ uno degli esempi dello humour di stampo britannico che il film presenta.
Orchidea De Santis
Un film che è un piccolo gioiello, sia per l’ambientazione, prettamente british, sia per la trama e lo svolgimento, sicuramente convenzionali ma assolutamente gradevoli a vedersi. Il film ha uno svolgimento in tutto simile ai film gialli inglesi, tipo quelli di Agatha Christie, per intenderci, con la mossa geniale del regista, Lupo, di parafrasare l’humour britannico ridicolizzandolo con garbo. Gli attori, molto ben assortiti, danno il loro contributo; bene Evelyn Stewart, che regge il ruolo di Isabelle, molto bravo Gastone Moschin, che tratteggia da par suo la figura di Thorpe, sergente goffo ma dalla mente lucidissima, davvero brava e anche bella Anna Moffo, che interpreta il ruolo di Barbara. In ruoli non di primo piano troviamo Giacomo Rossi Stuart, una giovanissima e molto bella Orchidea De Santis, nel ruolo di una cameriera e l’attrice di colore Beryl Cunnigham.
Il ruolo dello stranito ispettore Grey è assolto con sufficienza da Lance Percival mentre Marisa Fabbri interpreta alla perfezione il ruolo della megera di casa, Lady Gladys.
Un film davvero ben fatto, ironico al punto giusto, a tratti anche divertente, che si fa seguire fino al colpo di scena finale, ben organizzato e ben congegnato.
Da riscoprire.
Concerto per pistola solista, un film di Michele Lupo. Con Evelyn Stewart, Gastone Moschin, Peter Baldwin,Anna Moffo,Marisa Fabbri, Beryl Cunningham, Quinto Parmeggiani, Lance Percival, Orchidea De Santis, Christopher Chittell,Giacomo Rossi Stuart Poliziesco, durata 101 min. – Italia 1970
Anna Moffo: Barbara Worth
Gastone Moschin: sergente Aloisius Thorpe
Eveline Stewart: Isabelle
Lance Percival: isp. Grey
Peter Baldwin: Anthony Carter
Christopher Chittell: Georgie Kemple
Quinto Parmeggiani: Lawrence Carter
Giacomo Rossi Stuart: Ted Collins
Beryl Cunningham: Pauline Collins
Marisa Fabbri: Gladys Kemple
Orchidea De Santis: la cameriera
Robert Hundar: il cameriere
Franco Borelli: l’ospite
Ballard Berkeley: maggiordomo Peter
Richard Caldicot: avvocato Caldicot
Harry Hutchinson: giardiniere Harry
Regia Michele Lupo
Soggetto Sergio Donati
Sceneggiatura Sergio Donati, Massimo Felisatti, Fabio Pittorru
Casa di produzione Jupiter Generale Cinematografica
Fotografia Guglielmo Mancori
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Francesco De Masi
Tema musicale Pyotr Ilyich Tchaikovsky (Concerto n.1)
Scenografia Ugo Sterpini
Costumi Walter Patriarca
Evelyn Stewart
Sono oltre sessanta i film interpretati dalla italianissima Ida Galli, che nel corso della sua trentennale carriera, iniziata nel 1960 all’età di 18 anni ( è nata a Sestola nell’aprile del 1942) ha più volte cambiato il suo nome, passando dall’italianissimo nome di battesimo di Ida a Arianna Galli, passando in seguito all’iberico Isli Oberon, all’anglo sassone Priscilla Steele per giungere infine a Evelyn Stewart, che è lo pseudonimo, il nome d’arte che ha in effetti usato maggiormente, con tutte le varianti del nome, Eveline, Evelin,Ewelyn, Evelyne e via dicendo.
Evelyn Stewart in una scena di Il Gattopardo
60 film sono un bel patrimonio, in effetti, per una donna bella ma lontana dai canoni estetici della vamp tutta curve e sorrisi, dalla pin up o dalla fatalona. Ida, o Evlyn, ha basato il successo della sua carriera sulle spiccate doti interpretative, che l’hanno portata a passare attraverso vari generi cinematografici, come il peplum, il thriller all’italiana, la commedia e anche svariati western, oltre a piccole partecipazioni in film importanti, quali La dolce vita di Fellini, con la particina della debuttante dell’anno o Il gattopardo di Visconti, nel quale era Carolina.
Due fotogrammi da Il medaglione insanguinato
Quel maledetto giorno di fuoco
Evelyn esordisce nel 1960 nel film Messalina venere imperatrice, di Cottafavi, con lo pseudonimo Arianna Galli, girando successivamente nel breve arco di 5 anni, 10 film, alcuni dei quali molto noti, come Fantasmi a Roma di Pietrangeli, film molto bello costruito attorno ad un cast fantastico, che comprendeva Mastroianni, Eduardo de Filippo, Gassman, Sandra Milo e Tino Buazzelli, o come il citato Gattopardo.
Nel film Il dolce corpo di Deborah
Di questo periodo sono Une fille pour l’etè, Le italiane e l’amore di Baldi, i due peplum Ercole al centro della terra, per la regia di Mario Bava, nel quale Evelyn è la dea Persefone e Il crollo di Roma, di Margheriti, accanto ad un’altra stellina nascente, Maria Grazia Buccella. Nel 1963 la troviamo sul set di La frusta e il corpo, di Mario Bava, con lo pseudonimo Isli Oberon; nel 1964 è nel cast del peplum Roma contro Roma, prima di interpretare alcuni western di buona fattura, come Un dollaro bucato, nel ruolo di Judy, moglie di Giuliano Gemma, girato per la prima volta con quello che sarà il suo nome d’arte più conosciuto, Stewart, seguito da Gli eroi di fort Worth, questa volta con lo pseudonimo Priscilla Steele.
Evelyn è Lisa Baumer in La coda dello scorpione
Altri western di questo periodo sono Adios gringo e Sette magnifiche pistole, che propongono una Stewart in possesso di un’ottima padronanza della mimica facciale, che la rende adatta, duttile a qualsiasi interpretazione. Non ha quasi mai un ruolo da protagonista, è vero, forse perchè non è una bellezza selvaggia, vistosa. Ma è una buona caratterista, impiegabile in qualsiasi ruolo, e lo dimostra nel film Le piacevoli notti, di Armando Crispino, nel ruolo di Angelica e al fianco di un ottimo cast: Gassman,Tognazzi, la Lollobrigida, Proietti, sono solo alcuni degli attori di questo piacevole lavoro.
Evelyn Stewart con Jennifer O’Neil nello splendido Sette note in nero
L’estrema duttilità di Evelyn si concretizza in una serie di comparsate in film di diversa fattura e tematica: arrivano così le partecipazioni a Missione speciale Lady Chaplin, il western Django spara per primo, Rififi ad Amsterdam, Il giardino delle delizie, Assasination, Il suo nome gridava vendetta. Nel 1969, quindi alle soglie dei fatidici anni settanta, epoca d’oro per il cinema italiano, la Stewart allarga ancora di più le sue partecipazioni a film di generi diversi, entrando nel cast di Il medico della mutua, grande successo di cassetta realizzato da Zampa grazie ad un grandissimo Alberto Sordi, mentre interpreta il ruolo di Suzanne nel film Il dolce corpo di Deborah, nel quale per la prima volta lavora accanto a Carroll Baker, di Romolo Guerrieri.
Nel film Un bianco vestito per Marialè
Una farfalla con le ali insanguinate
In un solo anno entra nei cast di film diversi tra loro: i western Tre croci per non morire, Quel maledetto giorno di fuoco, il drammatico Strada senza uscita, i film di guerra La battaglia d’Inghilterra, La battaglia del deserto e Il prof. Dott. Guido Tersilli, primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, altro grande successo personale di Alberto Sordi. Gli anni settanta vedono Evelyn impegnata in molte produzioni, legate sopratutto al genere western e a quello che diverrà il genere portante di tutto il decennio, il thriller all’italiana. Oltre a Ciakmull, Concerto per pistola solista, Le regine, I quattro pistoleri di Santa Trinità, Evelyn recita in alcuni tra i più importanti thriller del decennio. Guardiamoli in dettaglio:
– Una farfalla dalle ali insanguinate, di Diccio Tessari, costruito attorno alla figura di un misterioso killer che alla fine sarà il solito insospettabile, in cui Evelyn è Maria, l’affascinante moglie di un giornalista accusato degli omicidi.
– La coda dello scorpione, di Sergio Martino, ottimo thriller in cui è la signora Baumer, la presunta vedova di un uomo d’affari che intasca una grossa somma dall’assicurazione sulla vita del marito, morto in un incidente aereo, e che verrà uccisa proprio per quei soldi. Nel film è nuovamente accanto a Anita Strindberg;
– Quando Marta urlò dalla tomba, di Francisco Lara Polop, produzione italo-spagnola nel quale interpreta Martha, nipote di una donna morta in un incidente automobilistico e che sarà la chiave di una storia abbastanza confusa, che terminerà con il solito bagno di sangue finale;
– Il coltello di ghiaccio, di Umberto Lenzi, nel ruolo di Jenny, una giovane e bella cantante lirica uccisa in circostanze misteriose
Evelyn nel film Il coltello di ghiaccio
– Un bianco vestito per Marialè, di Romano Scavolini, nel ruolo di Marialè, una donna prigioniera di suo marito, in un film gotico/giallo in cui l’unica cosa davvero buona è la sua superba interpretazione;
Ancora da Una farfalla con le ali insanguinate
– Il medaglione insanguinato, di Massimo Dallamano, buon giallo in cui è Jill, tata di una bambina traumatizzata dalla morte in un incendio della madre, segretamente innamorata del padre della bambina, e che, ancora una volta, finirà uccisa.
–Sette note in nero, di Lucio Fulci, splendido noir, uno dei migliori del decennio, nel ruolo di contorno di Gloria, sorella del marito della protagonista, Jennifer O’Neil
Tutti lavori in cui la professionalità di Evelyn emerge a dispetto della qualità delle pellicole, e che la portano a girare un mucchio di film, come Il giustiziere sfida la città e Napoli spara, del filone poliziottesco, lo storico La badessa di Castro, il western Lo chiamavano tressette, l’insipido Povero Cristo, il futurista e misconosciuto Le orme, di Luigi Bazzoni, una delle opere più visionarie e interessanti del cinema italiano, penalizzato da una distribuzione assurda. Un caleidoscopio cinematografico, in cui l’attrice mostra sempre più le sue sorprendenti doti da camaleonte della recitazione.
Tuttavia siamo anche nel periodo in cui la crisi del cinema inizia a farsi sentire,e in cui le produzioni italiane sono sempre più orientate al nuovo genere che va imponendosi nelle sale, la commedia sexy. Evelyn, poco incline a mostrarsi nuda, sceglie di stare lontana da queste produzioni, con il risultato di veder diradare le chiamate dei registi. Dal 1976 in poi, infatti, lavorerà ancora in Le due orfanelle, Il grande attacco, con una lunga pausa che durerà fino al 1982, con il ritorno sul set nel film Una di troppo, di Pino Tosini, al fianco di Dalila Di Lazzaro.
E’ in pratica la fine della carriera cinematografica di Evelyn, che ricomparirà sugli schermi nel pessimo Fratelli d’Italia, nel 1989, film diretto dall’ineffabile duo fratelli Vanzina, in Arabella l’angelo nero, di Stelvio Massi e negli anni novanta in Con i piedi per aria e nel suo ultimo film ufficiale, Baby on board del 1991, che chiude di fatto la sua lunga ed esemplare carriera.
Evelyn Stewart in Il delitto del diavolo-Le regine
Se dovessi definire con una sola parola la carriera di Evelyn Stewart userei il termine professionale; lungi dal puntare sulle comunque indubbie doti fisiche, l’attrice ha privilegiato sempre la recitazione, la personalità, la preparazione, cosa che le ha permesso di resistere alle varie mode cinematografiche e sopratutto a lasciare davvero un bel ricordo di se; lontana dai riflettori, dagli scandali, dalle copertine con le foto nude ammiccanti, dai paginoni centrali di Playmen o Playboy, Evelyn ha puntato, vincendo, sulla professionalità e la discrezione.
Un non personaggio, quindi, che ha lasciato cinematograficamente davvero molti rimpianti.
Sette magnifiche pistole
Quel maledetto giorno di fuoco
Povero Cristo
Napoli spara
La frusta e il corpo
Il suo nome gridava vendetta
Il grande attacco
Il giustiziere sfida la città
Roma contro Roma
Ercole al centro della terra
Il giardino delle delizie
Fantasmi a Roma
Assassination
Le orme
Il medico della mutua
Sette magnifiche pistole
Missione speciale Lady Chaplin
I quattro pistoleri di Santa Trinità
Rififi ad Amsterdam
Le due orfanelle
La badessa di Castro
Gli eroi di Fort Worth
Roma contro Roma
Il crollo di Roma
Grazie Signore p.
Quando Marta urlò dalla tomba
Perchè uccidi ancora
La battaglia del deserto
Il professor Guido Tersilli
Arabella l’angelo nero
Messalina venere imperatrice
La dolce vita
Nel blu dipinto di blu
Baby on Board (1991)
Arabella l’angelo nero (1989)
Fratelli d’Italia (1989)
Una di troppo (1982)
Il grande attacco (1978)
Sette note in nero (1977)
Napoli spara (1977)
Le due orfanelle (1976)
Per amore (1976) (uncredited)
Il giustiziere sfida la città (1975)
Il medaglione insanguinato (1975)
Le orme (1975)
Povero Cristo (1975)
Cagliostro (1974)
La badessa di Castro (1974)
Lo chiamavano Tresette… giocava sempre col morto (1973)
Küçük kovboy (1973)
Un bianco vestito per Marialé (1972)
Il coltello di ghiaccio (1972)
Quando Marta urlò dalla tomba (1972)
Grazie signore p… (1972)
La coda dello scorpione (1971)
I quattro pistoleri di Santa Trinità (1971)
Una farfalla con le ali insanguinate (1971)
Le regine (1970)
Concerto per pistola solista (1970)
Ciakmull – L’uomo della vendetta (1970)
La battaglia del deserto (1969)
Il prof. Dott. Guido Tersilli, primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue (1969)
La battaglia d’Inghilterra (1969)
Strada senza uscità (1969)
Quel caldo maledetto giorno di fuoco (1968)
Tre croci per non morire (1968)
Il dolce corpo di Deborah (1968)
Il medico della mutua (1968)
Il suo nome gridava vendetta (1968)
Assassination (1967)
Moresque: obiettivo allucinante (1967)
Il giardino delle delizie (1967)
Rififí ad Amsterdam (1967)
Django spara per primo (1966)
Missione speciale Lady Chaplin (1966)
Le piacevoli notti (1966)
Sette magnifiche pistole (1966)
Adiós gringo (1965)
Gli eroi di Fort Worth (1965) (come Priscila Steele)
Perché uccidi ancora (1965)
Un dollaro bucato (1965)
Roma contro Roma (1964)
La frusta e il corpo (1963) (come Isli Oberon)
Il gattopardo (1963)
Madame Sans-Gêne (1962)
Il crollo di Roma (1962)
Ercole al centro della terra (1961)
Legge di guerra (1961)
Fantasmi a Roma (1961)
Le italiane e l’amore (1961)
Une fille pour l’été (1960) (come Arianna Galli)
La dolce vita (1960)
Messalina Venere imperatrice (1960) (come Arianna Galli) )