La mano spietata della legge
Una storia truce, di quelle sporche in tutti i sensi.
La mano spietata della legge, diretto da Mario Gariazzo con sceneggiatura dello stesso regista, uscito nelle sale nel 1973 è uno dei polizieschi più duri e violenti nel suo genere, costruito attorno ad un canovaccio che vede tutti i topos classici del polizziottesco all’italiana riuniti per creare una pellicola che parla allo stesso tempo di mafia, vendette, poliziotti corrotti, potere politico altresi in collusione con la mafia e un poliziotto dai modi ruvidi e sbrigativi ma fondamentalmente onesto, che pagherà il suo impegno con la perdita della fidanzata e il trasferimento in altra sede quando si avvicinerà troppo agli intoccabili che muovono le file della storia.
Gariazzo dirige con mano ruvida ma sicuramente efficace un film che non presenta le tradizionali fughe in auto e l’altrettanto tradizionale inseguimento in auto; ma la storia ha ugualmente momenti molto forti, fra i quali spicca la famosa sequenza nella quale compare una fiamma ossidrica, manovrata dal glaciale Klaus Kinski che brucia letteralmente con una fiamma ossidrica le parti intime del malcapitato di turno, interpretato dal bravissimo Luciano Rossi
Il sunto della trama: mentre è in ospedale, piantonato dai poliziotti, il mafioso Esposito viene raggiunto ed eliminato da uno spietato killer.Le indagini sono seguite dal commissario Gianni De Carmine, che capisce di trovarsi di fronte al classico regolamento di conti.
Ma nel corso delle indagini stesse, tutti i testimoni e i protagonisti legati alla vicenda vengono eliminati mentre De Carmine, che ha problemi con i suoi superiori per i metodi troppo spicci con i quali opera si rende conto che all’interno della polizia c’è qualcuno che fornisce informazioni alla banda responsabile degli omicidi.
Nonostante venga anche catturato e sottoposto ad un duro pestaggio, De Carmine ostinatamente prosegue nelle sue indagini ma si avvicina troppo al livello più alto degli oscuri personaggi che sono dietro la vicenda.
La conseguenza sarà l’eliminazione della sua sfortunata fidanzata e infine, per fermarlo definitivamente, il suo trasferimento ad un altro commissariato.
Il regista piemontese Mario Gariazzo dirige quello che sarà il suo miglior film a due anni di distanza dal western Aquasanta Joe e prima di dirigere il discreto horror L’ossessa; è il periodo migliore del regista che non sarà mai più, in futuro, così felice nell’assemblaggio di un film sicuramente ruvido ma costruito con discreta abilità.
Se è vero che la pellicola non presenta certo una sceneggiatura innovativa, Gariazzo supplisce a ciò con una storia violenta, ben costruita e sopratutto ottimamente interpretata.
Non a caso tra i protagonisti troviamo attori eclettici come Klaus Kinski e Philippe Leroy, che anticipa in qualche modo il personaggio del poliziotto duro e intransigente che sarà la caratteristica, per esempio, dei personaggi interpretati da Maurizio Merli.
Accanto alla coppia troviamo anche Cyril Cusack, che l’anno successivo lavorerà ancora con Gariazzo nel “lagrima movie” Il venditore di palloncini oltre al bravissimo Sergio Fantoni e a due belle attrici, la futura principessa Ruspoli Pia Giancaro e la futura signora De Benedetti Silvia Monti.
Fausto Tozzi e Luciano Rossi fanno, al solito, parti minori; belle le musiche di Stelvio Cipriani.
Negli angusti limiti del film d’azione, senza grandi pretese di approfondimento dei temi affrontati (collusione potere mafia ecc.),La mano spietata della legge si rivela un discreto prodotto che si lascia guardare con piacere.
Purtroppo non posso segnalare link del film guardabili in streaming; tuttavia il film stesso è reperibile sui p2p in un’ottima qualità audio-video
La mano spietata della legge
Un film di Mario Gariazzo. Con Klaus Kinski, Philippe Leroy, Silvia Monti, Fausto Tozzi, Maria Pia Giancaro, Guido Alberti, Tony Norton, Sergio Fantoni, Rosario Borelli, Valentino Macchi, Marino Masé, Cyril Cusack, Lincoln Tate, Lorenzo Fineschi, Luciano Rossi Poliziesco, durata 100′ min. – Italia 1973.
Philippe Leroy: commissario Gianni De Carmine
Silvia Monti: Silvia
Klaus Kinski: Vito Quattroni
Fausto Tozzi: Nicolò Patrovita
Tony Norton: commissario D’Amico
Guido Alberti: Prof. Palmieri
Pia Giancaro: Lilly Antonelli
Denise O’Hara: Elsa Lutzer
Rosario Borelli: Salvatore Perrone
Marino Masè: Giuseppe Di Leo
Lincoln Tate: Joe Gambino
Cyril Cusack: Giudice
Regia Mario Gariazzo
Soggetto Mario Gariazzo
Sceneggiatura Mario Gariazzo
Casa di produzione Difnei Cinematografica
Distribuzione (Italia) Overseas Film Company
Fotografia Enrico Cortese
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Stelvio Cipriani
Scenografia Antonio Visone
Costumi Lorenzo Baraldi
Trucco Euclide Santoli, Cesare Paciotti
1 La mano spietata della legge
2 Momenti per amare
3 Caccia urbana
4 Con sentimento
5 Amore per lei
6 Attesa drammatica
7 Amore per lei (chitarra)
8 Con sentimento (bossa)
9 Attimi d’amore
10 Relax in the swimming pool
11 Amore per lei (vers. pianoforte)
12 Una giornata triste
13 Relax in the swimming pool (shake)
14 Attimi d’amore (vers. con tastiere)
15 Violenza
16 La mano spietata della legge (finale)
L’opinione di Ezio dal sito http://www.filmtv.it
Secondo la mia opinione uno dei polizieschi migliori degli anni sattanta.Intrighi finanziari e corruzione,non si salva nessuno ,nemmeno la polizia con i suoi vertici.Un Leroy teso e violento che le prende e le da ma alla fine deve alzare bandiera bianca.Anche le attrici sono tutte funzionali e danno alla pellicola una spruzzata di sesso ai punti giusti,funzionali alla pellicola.Vero cinema “bis” realizzato da Gariazzo un regista da rivalutare che ha saputo dare al film tensione dall’inizio alla fine.Piccola gemma
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Esce a breve distanza dagli esempi di Castellari, Martino e Guerrieri, condividendo con essi i meriti di apripista del poliziesco all’italiana nato dopo il la di Vanzina e l’apocalittico quadro di un paese in balìa di poteri occulti che penetrano anche tra le forze dell’ordine. L’attenzione si sposta dal contesto urbano – di fatto irrilevante – alla figura del commissario di ferro, realisticamente ritratto nei suoi travagli interiori da un Philippe Leroy sanguigno e manesco. Cast gremitissimo e svolgimento secco e senza intoppi per una delle migliori regie di Gariazzo.
L’opinione di Bruce dal sito http://www.davinotti.com
Poliziesco duro e puro, con nessuna concessione alla battuta facile né allo spettacolo fine a se stesso. Violento e brutale, sullo stile di Di Leo, non a caso citato spesso nel film. Risulta lento e macchinoso, specie nella prima parte. Alcune sequenze rasentano il sadismo, con Klaus Kinski che non dice una sola parola ma non si dimentica. Grandissima interpretazione di Philippe Leroy nelle parti del commissario-pugile, duro e puro. Di sicuro non divertente, ma è da vedere.
Dal sito http://www.pollanetsquad.it
“Ancora un poliziesco all’italiana che, pur ricalcando gli schemi che contraddistinguono il genere, si fa apprezzare per un’inconsueta incisività di esposizione capace di conferire a fatti e personaggi il più efficace ritratto. […] Un po’ troppo accentuati, forse, gli episodi di violenza il che, tuttavia, è giustificato dalla trama stessa. Buona quindi la regìa di Mario Gariazzo cui va il merito, anche, di aver caratterizzato a dovere i personaggi […].”
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L’occhio del ragno
Paul Valery è un rapinatore di banche, che durante un colpo viene lasciato sul posto dai complici e di conseguenza arrestato.
Grazie all’aiuto del Professor Orson Krüger, che è l’occulto finanziatore della rapina e che a sua volta è stato truffato dai complici che hanno abbandonato Valery, lo stesso Valery evade e decide di dare la caccia ai due complici traditori, i fratelli Hans e Mark Fischer, non prima di essersi sottoposto ad una provvidenziale plastica facciale.
Kruger e Valery hanno come obiettivo la cattura dei due uomini, ma agiscono per logiche e motivazioni differenti; se a Kruger interessa principalmente recuperare il bottino che i Fischer hanno sottratto alla divisione, a Valery ormai interessa solo la vendetta.
Inizia così la caccia, che finirà…
Una trama lineare e semplicissima caratterizza L’occhio del ragno, lavoro del 1971 diretto dal prolifico Roberto Bianchi Montero (padre del regista Mario Bianchi), qui alla direzione di un film che è molto più un poliziesco che un thriller, come il titolo argentiano lascerebbe supporre.
Un film non malvagio arrivato nel periodo migliore di un regista che nel corso della sua carriera ha diretto oltre 60 film,quasi tutti non memorabile ma confezionati artigianalmente, con una certa qualità ed accuratezza pur rientrando nella categoria dei b movie.
Nel caso di L’occhio del ragno Bianchi Montero usa la classica miscela che diverrà uno standard negli anni settanta, ovvero un pizzico d’azione, una trama elastica il tutto condito da qualche scena erotica.
Purtroppo per lui, il regista romano incappa in una censura intransigente che sforbicia quasi completamente le parti sexy del film; il che avviene senza molta logica, perchè come vedrete dalle sequenze incriminate, si trattava di semplici nudi integrali e di castissime scene d’amore.
Avendo visto la versione epurata,posso garantire che le scene tagliate non influiscono in alcun modo all’economia del film, che resta abbastanza fluido anche perchè retto da una sceneggiatura facilmente comprensibile.
Nel cast troviamo un trio attoriale molto eterogeneo, che vede Antonio Sabato interpretare Paul Valery, il rapinatore beffato dai suoi complici, Klaus Kinski in versione fredda, con movimenti quasi d’automa nei panni del rapinatore Hans e infine l’attore hollywoodiano Van Johnson nei panni del professor Krueger.
Presenza femminile di corredo ( e anche di sostanza) per la splendida Lucretia Love, che riveste i panni dell’aiutante di Kruger, Gloria, che finirà per diventare l’amante di Paul.
Letteralmente stroncato da critica e da buona parte del pubblico, il film venne rimesso in circolazione qualche anno più tardi con un nuovo titolo,Caso Scorpio: sterminate quelli della calibro 38, assolutamente fuorviante e messo li per rastrellare qualche altra lira in più.
Bianchi Montero non è una gran regista e su questo non ci piove; ma questo film può essere visto senza timore di addormentarsi sulla poltrona.
Il problema è che non è affatto di facile reperibilità; su Youtube è presente la versione tedesca del film ovviamente censurata.
L’indirizzo è: http://www.youtube.com/watch?v=zrYVqa9asRM
L’occhio del ragno
Un film di Roberto Bianchi Montero. Con Klaus Kinski, Antonio Sabato, Van Johnson, Lucretia Love, Claudio Biava Thriller/Poliziesco, durata 92 min. – Italia 1971.
Klaus Kinski … Hans Fischer
Antonio Sabato … Paul Valéry / Frank Vogel
Van Johnson … Prof. Orson Krüger
Lucretia Love … Gloria
Regia: Roberto Bianchi Montero
Sceneggiatura:Luigi Angelo,Aldo Crudo,Fabio De Agostini
Produzione: Luigi Mondello
Musiche:Carlo Savina
Fotografia:Fausto Rossi
Montaggio:Rolando Salvatori
Uscito in Italia nel novembre del 1971, conosciuto anche con i titoli Das Auge der Spinne,Eye of the Spider,El ojo de la araña,L’oeil de l’araignée
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Pur essendo una delle produzioni di più ampio respiro – a livello di budget – dell’intera carriera di Roberto Bianchi Montero, questo L’occhio del ragno è in realtà ben poca roba: una storia decisamente poco originale, un impianto di violenza e tensione molto stereotipato, un gangster/thriller di scarso impatto con un tris di nomi di richiamo. Ovverosia: Klaus Kinski, che però entra in scena a pellicola inoltrata; Van Johnson, anch’egli impegnato in un ruolo secondario e infine il protagonista Antonio Sabato, che di fronte ai due appena citati appare notevolmente limitato. La dozzinalità che muove il mestiere di Montero è sottolineata inoltre dal fatto che in quello stesso anno il regista licenziò anche lo spaghetti western Arriva Durango, paga o muori – mentre l’anno successivo riuscirà a girare ben tre titoli. Le musiche di Carlo Savina sono qui l’elemento forse meno peggiore di tutto il complesso; la sceneggiatura firmata da Fabio De Agostini, Aldo Crudo e Luigi Angelo non lascia segno ed è presumibilmento un parto alimentare, uno fra i tanti generati a catena in quegli anni di grande attività per il nostro cinema, specie sul versante del ‘genere’.
L’opinione di Bradipo68 dal sito http://www.filmtv.it
Probabilmente in tempi di rivalutazioni acritiche un titolo come questo sara’anche rivalutato ma secondo il mio modestissimo parere non è proprio il caso.E’una storia di vendetta con un protagonista abbastanza mediocre,un paio di divi(uno del passato,Johnson,l’altro non ancora assurto a tale onore,Kinski)in vacanza pagata,alcune sequenze scollacciate giusto per esacerbare certi pruriti e sequenze d’azione girate cosi’ cosi’.L’unica cosa che si salva,secondo me è il finale assolutamente negativo per tutti………
L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Da rivalutare (per quanto come impostazione abbia una vagonata di precedenti), visto che sembra quasi un western ambientato ai giorni nostri. Le eliminazioni dei traditori sono tanto rocambolesche quanto originali, la tensione di fondo non cala mai e pure i cambi di ambientazione, da Vienna a Marsiglia per finire ad Algeri, si fanno rispettare. Sabàto è il classico attore anarchico, la Love fa la sua parte in maniera disinvolta.
L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Vienna: durante una rapina Paul (Antonio Sabato) viene tradito dal gruppo di malfattori e lasciato tra le mani della polizia. Evade, si sottopone a un intervento di chirurgia per cambiare connotati e diventa Frank. Poi si reca in Francia in cerca dei traditori. Inguardabile e tedioso noir confezionato con locandina e (successivo) titolo da giallo, per sfruttare il filone all’epoca in voga e generato dalla triade di prodotti diretti da Argento. Già dall’inizio, con un Sabato biondo, parrucchino e sopracciglia fittizie -che nascondono un naso posticcio- ci si rende conto della qualità. Tremendo.
Le immagini che compaiono sono tratte da un cineromanzo d’epoca, pubblicato dal sito http://www.dbcult.com
Si tratta di immagini non presenti nel film, presumibilmente tagliate dalla commissione censura.
A doppia faccia
In un incidente d’auto, evidentemente doloso,muore la ricca Helen.
La polizia indaga e punta il dito sul marito della defunta,John Alexander, che in qualità di unico erede è chiaramente il maggior sospettato.
Mentre qualcuno costruisce prove false, John crede di riconoscere la defunta moglie in un’attrice che ha girato un film pornografico…
Plot scarno ed essenziale questo, per non rivelare in anticipo la trama di un film, A doppia faccia, che richiede una visione attenta per essere gustato appieno; un film però, lo dico subito, pieno di difetti e di pause, tributario in maniera fin troppo evidente del celebre La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock.
Diretto da Riccardo Freda, che nell’occasione utilizza il suo abituale pseudonimo di Robert Hampton, A doppia faccia è tratto dal romanzo The face in the night di Edgar Wallace, uno degli scrittori di gialli più saccheggiati della storia del cinema.
In questa occasione Freda fa scrivere il soggetto a Lucio Fulci, che nello stesso anno presenterà la sua variazione sul tema della moglie morta-forse viva, quel Una sull’altra che alla resa dei conti si rivelerà essere ben al di sopra dell’opera di Freda.
Il film non è da gettare, in quanto la mano del regista di Alessandria d’Egitto c’è e si vede, ma è anche inficiato dal basso budget utilizzato per girare la pellicola, cosa che si traduce in un paio di sequenze davvero dilettantesche, come la ricostruzione dell’attentato nel quale muore Helen (con modellini di auto utilizzati in modo da gridar vendetta) e nella scena dell’incidente ferroviario nella quale è evidentissimo l’uso di trenini di una nota e rinomata marca.
Reduce dallo spaghetti western La morte non conta i dollari del 1967, Freda si cimenta con il giallo per il suo ultimo film del decennio sessanta.
Su un plot non particolarmente indovinato, a tratti farraginoso e comunque già visto altre volte, Freda costruisce un film a corrente alternata, in cui eccellenti sequenze come quella in cui John Alexander vaga per i bar di una Londra fumosa e compassata cercando di recuperare la sua mente sconvolta dalla visione del film in cui ha creduto di aver rivisto la moglie, si susseguono sequenze davvero improponibili come quelle citate in cui la mancanza di mezzi non è accompagnata da una mano felice.
Forse la cosa migliore del film è davvero il cast, nel quale figurano l’onnipresente Klaus Kinskj, presenza abituale del nostri cinema, Margaret Lee, la bella Christiane Kruger e Annabella Incontrera; Kinskj è John Alexander, il personaggio principale del film, l’uomo sospettato di aver ucciso la moglie per biechi motivi economici e che alla fine si scoprirà essere vittima di una congiura ben architettata, è attore di razza, a dispetto della sua cattiva fama sui set.
Kinskj era uno degli attori che i registi meno amavano, perchè aveva un carattere ombroso e bizzoso e contemporaneamente era uno dei partner più detestato dai rimanenti attori delle varie produzioni.
L’attore di origine polacca in soli 5 anni, nel periodo tra il 1965 e il 1969 girò 30 film, diventando quindi una star dei b movie, prima di passare a opere di ben altro livello negli anni successivi; sui vari set si comportava da prima donna, creando spesso problemi nelle lavorazioni delle pellicole.
L’impianto generale del film è abbastanza debole, per cui Freda, già alle prese con un budget risicatissimo è costretto a barcamenarsi alla men peggio, inserendo nel film elementi pruriginosi che costeranno al regista stesso qualche problema con la censura.
Tuttavia la grande esperienza del regista riesce in qualche modo a tenere a galla un film che girato da altri si sarebbe risolto in un fallimento senza appelli; grazie alla professionalità del cast, alla buona fotografia, alla celebre canzone di Nora Orlandi che è il tema conduttore del film (non dirmi una bugia, non voglio creder più, il gioco è ormai finito, lo vedi hai vinto tu/esco dalla tua vita, così come vuoi tu, finita è la partita, non giocherò mai più/dimmi la veritàà, ormai non m’ami più, lo dicon gli occhi tuoi, lo devi dire tu…) la pellicola, pur tra intoppi di vario genere riesce a mantenere un livello decoroso.
A meritare la piena sufficienza è l’ambientazione londinese, sicuramente elegante nella sua psichedelia raccolta con intelligenza da Freda in una serie di sequenze che restano la cosa migliore del film.
A doppia faccia è un film che in tv è apparso molto di rado mentre è facilmente reperibile in rete in un’ottima qualità digitale; è presente anche su You tube in versione digitale con sottotitoli in francese.
A doppia faccia
Un film di Riccardo Freda (Robert Hampton). Con Klaus Kinski, Annabella Incontrera, Franz Kruger,Margaret Lee, Gastone Pescucci, Barbara Nelli, Ignazio Dolce,Sidney Chaplin, Giallo, durata 84 min. – Italia 1969.
Klaus Kinski: John Alexander
Christiane Krüger: Christine
Margaret Lee: Helen Alexander
Sydney Chaplin: Mr. Brown
Annabella Incontrera: Liz
Günther Stoll: Ispettore Steevens
Luciano Spadoni: Ispettore Gordon
Barbara Nelli: Alice
Regia Riccardo Freda
Soggetto Lucio Fulci, Romano Migliorini, Gianbattista Mussetto (dal romanzo The Face in the Night di Edgar Wallace)
Sceneggiatura Riccardo Freda, Paul Hengge
Fotografia Gábor Pogány
Montaggio Anna Amedei, Jutta Hering
Musiche Nora Orlandi
La mano che nutre la morte
In una tradizionale villa con annessa tradizionale cripta si aggira la figura velata di Tania Nijinski: la donna è rimasta sfigurata in un incidente nel laboratorio della villa di proprietà di suo padre Ivan Rassimov. Suo marito, il professor Nijinski, continua l’opera intrapresa dal suocero con l’intento doppio di portare a termini gli studi di Rassimov e contemporaneamente trovare una cura che rigeneri i tessuti dell’epidermide ottenendo così una soluzione alla devastazione del volto di Tania.
All’interno del maniero alloggia da qualche tempo la giovane Katiuscia che ufficialmente risiede nella casa per svolgere ricerche per un libro, ma che in realtà cerca prove della scomparsa di sua sorella aiutata in questo da Fjodor, che inutilmente ha tentato di convincere il riottoso responsabile della legge nel vicino villaggio a interessarsi al caso. Il poliziotto in realtà non ha alcun interesse a inimicarsi nè Nijinski ne sua moglie Tania, per cui le ricerche avvengono molto blandamente.
Ma cosa succede realmente nella villa? Nijinski per trovare una cura utilizza corpi di donne, quindi effettivamente il dottore è responsabile della scomparsa della sorella di Katiuscia: i suoi tentativi ottengono finalmente il successo sperato ma accadono altre cose…
Una coppia di giovani, Masha e Alex, di passaggio in zona ha un incidente di carrozza e trova rifugio presso il castello. Per Nijinski è l’occasione tanto attesa: uccide Masha e ne preleva il tessuto epidermico innestandolo sul volto della moglie, ma non vivrà abbastanza per godersi il trionfo perchè….
La mano che nutre la morte, per la regia di Sergio Garrone esce nelle sale italiane nel 1974; siamo di fronte ad un film realizzato in strettissima economia con metà del budget utilizzato per il cachet di Klaus Kinski, eppure sorprendentemente interessante. Merito della buona mano del regista che riesce a manipolare una sceneggiatura equilibrata anche se non originale utilizzando il poco che ha a portata di mano, senza utilizzare effetti splatter (le scene nel laboratorio sono davvero realizzate con poco) e senza usare a sproposito l’elemento erotico.
Pure alla fine il prodotto risultante è gradevole, grazie all’abilità del regista che fino ad allora aveva diretto principalmente western all’italiana come Django il bastardo e Bastardo, vamos a matar; il buon risultato del film lo spingerà poco più tardi a dirigere un film sulla falsariga di questo, intitolato Le amanti del mostro.
Nel cast troviamo un Klaus Kinski sorprendentemente misurato, che recita quasi con il freno a mano tirato mentre sicuramente affascinante è Katia Christine,l’attrice olandese comparsa in diversi ruoli di supporto in film di inizi anni 70 come La vittima designata o La prima notte del Dottor Danieli, industriale col complesso del… giocattolo. Di Marzia Damon si apprezza principalmente qualche apparizione senza veli.
Curioso il nome del professore padre di Tania: Ivan Rassimov infatti è uno degli attori più eclettici del cinema di genere anni 60-70. Può valere la pena cercare una versione accettabile in dvx di questo film oppure aspettare con molta pazienza che capiti su qualche tv privata; se cercate in rete vedrete che è possibile trovarlo in streaming.
La mano che nutre la morte,un film di Sergio Garrone. Con Klaus Kinski, Katia Christine, Marzia Damon, Carmen Silva, Stella Calderoni, Romano De Gironcoli, Alessandro Perrella, Carla Mancini, Luigi Bevilacqua, Bruno Arié, Osiride Peverello, Amedeo Timpani, Pasquale Toscano Fantascienza, durata 85 min. – Italia, Turchia 1974.
Klaus Kinski … Prof. Nijinski
Katia Christine … Masha / Tanja Nijinski
Marzia Damon … Katja Olenov
Stella Calderoni … Sonia
Alessandro Perrella … Feodor
Ayhan Isik … Alex
Regia: Sergio Garrone
Sceneggiatura: Sergio Garrone
Produzione: Amedeo Mellone, Claudio Sinibaldi
Musiche: Stefano Liberati, Elio Maestosi
Editing: Cesare Bianchini
Costumi: Amedeo Mellone
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Tardo gotico che assembla: un mad-doctor (il convincente Kinski) in vena di esperimenti sulla pelle di giovani vittime, al fine di recuperare la bellezza perduta della donna amata; la solita coppietta con carrozza accidentata, costretta a trovar riparo nella casa del folle; una scrittrice che rimèmbra lo scopritore del trapianto, tale dott. Marshall (Rassimov); tanta faciloneria, nello stile d’un Garrone che è però già eccessivo (come dimostrerà nei Nazi e nei W.I.P.) e non lèsina Sex&Violence, ingredienti abbondantemente sparsi lungo i 90 minuti della pellicola. Discreta la colonna sonora.
La cosa più grandiosa di questo film e del suo gemello Le amanti del mostro è il coraggio di Garrone nel negare che i due film siano gemelli: cast, staff tecnico e canovaccio (il mad doctor) identici, e scene che si ritrovano nell’uno e nell’altro… Vecchiotto come concezione già al periodo, poverissimo, desolante nei generici (turchi), imbarazzante nel cast (tranne, s’intende, il grande Klaus), in breve un disastro. Avvistabile la musa del Legnani?
Miserrima coproduzione italo-turca, girata con sciatteria desolante, eguagliata solo da certi gotici spagnoli tipo Il mostro dell’obitorio. Kinski, ennesimo mad doctor, è vano e svogliato, la Christine inespressiva, i due comprimari turchi (Isik e Tas) pessimi. Un minimo accenno di recitazione proviene solo dalla graziosa Caterina Chiani aka Marzia Damon, protagonista pure di una focosa sequenza lesbo: unico sussulto di tutto il film.
Gotico italiano di scarso valore incentrato su una serie di situazioni trite e ritrite tra cui l’assunto principale della storia che si fonda sul solito scienzato pazzo che fa esperimenti ai danni di belle e sprovvedute fanciulle. Tutto già visto ed il peggio è la grossolanità dell’insieme (fatta eccezione per gli effetti truculenti che sono più curati della media). Per il resto la noia fa capolino in più di un momento. Tuttavia è leggermente, ma di poco, al di sopra dell’indecenza.
Forse questa suonerà ai più come un’eresia, ma io non l’ho trovato così male, questo film. Oltre alla presenza di Kinski vi sono da segnalare nel cast la regale Katia Christine (doppiata superbamente da Vittoria Febbi), i particolari splatter (molto audaci per l’epoca) dell’operazione chirurgica, le musiche. Poco sesso tranne una spinta scena lesbica, ottimo il doppiaggio eseguito dalla c.d.c. (e questo non è poco). Io mi sento di consigliarlo.
Poverissimo gotico di serie C, i cui unici elementi positivi risiedono nella buona interpretazione di Kinski, nella quasi accettabile colonna sonora e in alcune rare inquadrature riuscite (Kinski con la bambola). Tecnicamente modestissimo, con discontinuità varie nel montaggio e nella fotografia, squallido nelle location (una sequenza è ambientata in villaggio western) e diretto in maniera più che svogliata. Gore abbondante ma casareccio, nonostante la firma di Rambaldi. Cultissime le zoomate sulla tomba di Ivan Rassimov (!). Mediocrissimo.
Non malaccio questo orrore, buona la prova di Kinski mentre il resto del cast è perlomeno discutibile. Negli anni 70 furono prodotte diverse schifezze, mentre questo, pur mostrando degli enormi limiti, riesce comunque a farsi apprezzare. Trama banale e già vista, ma film che se la cava.
E riecco il grande Klaus nei panni del mad doctor che si lancia in folli esperimenti sul corpo umano. Horror gotico poverissimo, ha comunque dei notevoli picchi nelle scene splatter e il cast femminile (su cui svetta una fantastica Katia Christine) è di quelli che da solo può giustificare una visione. Non male, dopo tutto, anche se la scena lesbo era francamente gratuita ed evitabile. Buone le musiche. Insomma si può vedere.
La morte ha sorriso al suo assassino
Una donna, Greta von Holstein, mentre è su una carrozza, ha un incidente; la ragazza, sbalzata dall’interno, picchia il capo e subisce un trauma con relativa perdita di memoria.
Greta assomiglia in maniera incredibile ad una donna, sua omonima, che si è vista per un attimo ad inizio film; il suo volto appare su una lapide, davanti alla quale c’è un uomo che piange.
Soccorsa dai padroni di una villa, i coniugi Walter ed Eva von Ravensbrück,la ragazza viene ospitata nella villa, dove risiede il dottor Sturges, che la cura e ne resta turbato; l’uomo, che conduce misteriosi esperimenti sulla resurrezione, resta particolarmente colpito da un medaglione-amuleto che Greta porta al collo.
Greta si risveglia dopo l’incidente
Nel frattempo la venuta di Greta sembra alterare in qualche modo gli equilibri della casa e delle vite dei suoi abitanti; parallelamente iniziano ad accadere strane cose.
Una cameriera della villa decide di licenziarsi, e si allontana in fretta dalla stessa, ma viene raggiunta e barbaramente trucidata con una fucilata in pieno volto.
Tra i coniugi von Ravensbrück iniziano i primi problemi; sia Walter,sia Eva, si invaghiscono della bellissima e impenetrabile Greta.Il rapporto a tre prosegue per qualche tempo, fino a quando Eva, accortasi della relazione di Greta con Walter, spinta dalla gelosia, con un tranello porta la ragazza nei sotterranei della villa, dove la mura viva.
La scomparsa della ragazza allarma Walter, che tuttavia deve prendere atto della situazione, e nonostante l’arrivo della polizia, ben presto il tutto arriva ad una fase di stallo.
Gli esperimenti del dottor Sturges
Ma le sorprese stanno per iniziare:una sera nella villa Walter e Eva organizzano un ballo in maschera, durante il quale ecco apparire una donna che ha le stesse fattezze di Greta.
La quale insegue Eva e le mostra il suo volto che all’improvviso si trasforma in un orribile teschio; sconvolta, Eva si getta dal terrazzo della villa.
La morte arriva a colpire Walter, che viene ucciso e appeso come un animale squartato ai ganci della stalla, mentre il padre di Walter, che in realtà è il marito di Greta, viene lasciato morire rinchiuso in una tomba.
… e dell’assistente di Sturges
Muore anche un servitore della villa, ucciso a coltellate; il commissario che intanto indaga sulle misteriose sparizioni e sulle morti, rinviene l’amuleto e decide di farlo esaminare da uno studioso.
Quest’ultimo rivela che l’antico amuleto serviva agli inca come parte di un rituale atto a far resuscitare i morti.
Il commissario decide di far visita al fratello di Greta, che si stava occupando del caso; ma lo rinviene morto.L’uomo infatti è stato ucciso proprio da Greta che gli ha lanciato contro il volto un gatto.
La soluzione del rebus è singolare; Greta era morta di parto anni prima, ma suo fratello la aveva richiamata in vita proprio grazie all’amuleto; ma quando il commissario si reca a trovare Greta nella sua tomba, scopre che è vuota………..
…mette in atto le sue arti di seduzione nei confronti di Eva
La morte ha sorriso all’assassino, girato da Aristide Massaccesi con il suo vero nome, è un horror/thriller girato nel 1972; pasticciato, a tratti quasi indecifrabile, mostra cose egregie (la solita mano di Massaccesi, abile e scaltra) a soluzioni tirate per i capelli, quasi un espediente per allungare il brodo e renderlo digeribile.
Il che accade solo a tratti; se la trama horror ha una sua logica, la ha meno la sceneggiatura, spesso lacunosa e incomprensibile; tuttavia il regista, abilmente, ci mette il suo mestiere riuscendo a tirar fuori un prodotto finito se non degno di rilevanza quanto meno non infame.
Il cast raggiunge a mala pena la sufficienza, essendo male assortito; a disagio Luciano Rossi, Klaus Kinskj appare come un corpo estraneo. Un tantino meglio Eva Aulin, che sopperisce con la sua bellezza, strappando però a mala pena la sufficienza.
Un film decisamente in tono minore, arruffato, con pochi momenti brillanti, legati alle improvvise trasformazioni di Greta; il tutto condito da qualche blanda scena erotica con protagoniste la bella Aulin, che interpreta Greta e Angela Bo, che interpreta Eva.
Klaus Kinski
La morte ha sorriso all’assassino,un film di Aristide Massaccesi. Con Klaus Kinski, Ewa Aulin, Giacomo Rossi Stuart, Attilio Dottesio,Marco Mariani, Fernando Cerulli, Giorgio Dolfin, Carla Mancini, Angela Bo, Luciano Rossi
Drammatico, durata 91 min. – Italia 1973.
L’orrenda trasformazione di Greta
Ewa Aulin: Greta von Holstein
Klaus Kinski: dottor Sturges
Angela Bo: Eva von Ravensbrück
Sergio Doria: Walter von Ravensbrück
Attilio Dottesio: ispettore Dannick
Marco Mariani: Simeon
Luciano Rossi: Franz
Giacomo Rossi Stuart: dottor von Ravensbrück
Fernando Cerulli: professor Kempte
Pietro Torrisi: assistente muto del Dr. Sturges
D’Amato cava sangue dalle rape, ma sempre rape rimangono. Lento, per arrivare a metraggio decente, impreziosito da fotografia splendida (molte le inquadrature dal basso) e da carezzevoli musiche di Berto Pisano (forse si sente pure il flicorno). Molta eco da Poe. Un po’ buffa l’ambientazione teutonica in un’orgia di… pini marittimi. I migliori sono Kinski e Dottesio (doppiato da Cigoli). La Aulin è, come spesso avviene, talmente candida da sfociare nel perverso
Esordio (ufficiale) in regia per Massaccesi, dopo una lunghissima gavetta come tuttofare nell’ambiente del cinema, ed unico film siglato con il suo vero nome (a fronte di un incalcolabile numero di pseudonimi). Si tratta di un horror gotico, con momenti di violenza grafica molto forti per l’epoca, come un volto sfigurato da un coltello, un cadavere sbudellato e una fucilata in faccia. La trama piuttosto contorta e confusa non preclude al regista la possibilità di portare sullo schermo buone sequenze di tensione e di erotismo.
Mentre tecnicamente qua e là qualcosina funziona (ma giusto qualcosa), dal punto di vista narrativo le cose non funzionano assolutamente: la storia, infatti, è confusionaria e farraginosa ma soprattutto sconta un ritmo molto lento che nemmeno un finale a sorpresa, anche se non troppo, riesce a risollevare. Solo per i fan del regista e, forse, nemmeno loro apprezzeranno.
Interessante gotico pieno di enormi pregi, ma con qualche difetto non indifferente. Tra i pregi ricordiamo l’ottima regia, la bellissima fotografia, la notevolissima colonna sonora e il buon cast. Tra i difetti invece abbiamo una storia lenta e sconclusionata, che fatica moltissimo ad ingranare e che non riesce assolutamente ad appassionare. Non mancano le scene splatter, a tratti fin troppo esagerate. Il finale verrà ripreso da un horror americano di poco successivo.
Storia horroromantica, dove la bellissima Ewa Aulin seduce tutti, spettatore compreso, con la sua dolcezza carica di sensualità all’inverosimile. Atmosfera morbida e torbida allo stesso tempo, condita da uno splendido tema musicale, perfetto per questo prodotto. Certo, la sceneggiatura alcune volte barcolla, ma l’insieme gustoso degli splendidi costumi e della suggestiva ambientazione, compensa adeguatamente le mancanze. Lo ricordo davvero volentieri questo film, bella creatura dell’indimenticabile Aristide Massaccesi.
La bestia uccide a sangue freddo
Fernando Di Leo si cimenta nell’horror/thriller con questo La bestia uccide a sangue freddo; il risultato finale, aldilà di alcune geniali trovate a livello visivo, è un pasticciato film in cui si mescolano efferati delitti, un pò di sangue e di macabri omicidi, e poco più.
La storia prende corpo con il litigio tra due coniugi, Hans e sua moglie Ruth, in seguito al quale l’uomo decide di far ricoverare la donna nell’istituto psichiatrico del prof.Oesterman. All’interno della clinica si sviluppano i soliti intrecci morbosi, tra una infermiera e la sua paziente di colore, tra un’altra paziente e un giardiniere e una relazione amorosa tra la signora Chaeryl e il medico della clinica, il dottor Clay.
Klaus Kinski , il Dr. Francis Clay
L’atmosfera dell’istituto, già di per se avvolta in una cappa insalubre e morbosa, diventa angosciante quando un misterioso assassino incapucciato inizia a mietere vittime tra il personale e le pazienti della struttura.
La prima a subire un attentato è Chaeryl, che però sfugge alla morte; poi, in un crescendo di terrore, vengono uccisi una infermiera, a cui viene mozzata la testa in giardino, la signora Ruth, pugnalata a morte nel suo letto, l’autista della clinica Augusto, l’unico ad aver visto in azione il misterioso killer, e infine Anna
(l’insaziabile donna che ha un legame con il giardiniere) e Mara, la bella ragazza di colore che si stava trastullando in un rapporto lesbico con l’infermiera Hilde. Il professor Oesterman e il Dr. Clay dapprima tentano di sbrogliarsela da soli, poi si rivolgono alla polizia; d’accordo con l’ispettore Kore, tendono una trappola con la collaborazione di Chaeryl al misterioso assassino…..
La bestia uccide a sangue freddo, come già detto, non è un gran film; nonostante l’indubbio mestiere di Di Leo, la sceneggiatura mostra grosse falle. A poco vale il cast messo su dal regista, nel quale spicca un opaco Klaus Kinskj, per una volta in un ruolo non da cattivissimo, la bella Margaret Lee, beniamina del pubblico televisivo italiano nel ruolo di Chaeryl, una affascinante e spogliatissima Rosalba Neri, nel ruolo della ninfomane Anna e Monica Strebel in quello dell’infermiera dalle inclinazioni particolari. I colpi di scena latitano, e ben presto i misteriosi omicidi sembrano essere legati ad un filo conduttore piuttosto esile, ed infatti il finale non smentisce le premesse, con un bagno di sangue assolutamente illogico.
La versione italiana del film, abbastanza osè per l’epoca in cui venne girato, non include alcune scene molto forti che vennero viceversa aggiunte per il mercato estero: in esse si vedono l’atto di autoerotismo della Neri (forse lei, forse una controfigura, chissà) e lo stesso atto fatto da Monica Strebel, oltre a qualche sforbiciata come quella delle scene del rapporto amoroso tra il giardiniere e la Neri nella serra della clinica.
In definitiva, un prodotto debole, anche se non inguardabile: la mano di Di Leo salva il tutto da un naufragio annunciato dopo una buona mezzora di film.
Poche scene gore, fa le qual l’omicidio di Mara, avvenuto con l’uso di una balestra che lancia una freccia dal giardino, la decapitazione dell’infermiera e le scene finali, in cui il folle omicida massacra le infermiere con una mazza residuo medioevale, prima di cadere sotto il fuoco dei poliziotti.
Troppo poco per dare una valutazione quantomeno sufficiente ad un prodotto che dovremmo inserire tra i B movie.
La bestia uccide a sangue freddo ,un film di Fernando Di Leo. Con Klaus Kinski, Margaret Lee, Rosalba Neri, Jane Garret, Gioia Desideri, Fernando Cerulli, John Karlsen, Monica Strebel, Ettore Geri, Carla Mancini
Horror, durata 90 min. – Italia 1971.
Klaus Kinski … Dr. Francis Clay
Margaret Lee … Cheryl Hume
Rosalba Neri … Anna Palmieri
Jane Garret … Mara
John Karlsen … Professor Osterman
Gioia Desideri … Ruth
John Ely … Giardiniere
Fernando Cerulli … Augusto, l’autista
Giulio Baraghini … Poliziotto
Ettore Geri … L’ispettore Kore
Monica Strebel … L’infermiera Hilde
Carla Mancini … Infermiera
Franco Marletta … Infermiere
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Fernando Di Leo, Nino Latino
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Nino Latino
Produttore: Tiziano Longo, Armando Novelli
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giomini
Effetti speciali:
Musiche: Silvano Spadaccino
Scenografia: Teresa Ferrone, Nicola Tamburo
Costumi: Marcella Moretti
Trucco: Antonio Mura