A doppia faccia
In un incidente d’auto, evidentemente doloso,muore la ricca Helen.
La polizia indaga e punta il dito sul marito della defunta,John Alexander, che in qualità di unico erede è chiaramente il maggior sospettato.
Mentre qualcuno costruisce prove false, John crede di riconoscere la defunta moglie in un’attrice che ha girato un film pornografico…
Plot scarno ed essenziale questo, per non rivelare in anticipo la trama di un film, A doppia faccia, che richiede una visione attenta per essere gustato appieno; un film però, lo dico subito, pieno di difetti e di pause, tributario in maniera fin troppo evidente del celebre La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock.
Diretto da Riccardo Freda, che nell’occasione utilizza il suo abituale pseudonimo di Robert Hampton, A doppia faccia è tratto dal romanzo The face in the night di Edgar Wallace, uno degli scrittori di gialli più saccheggiati della storia del cinema.
In questa occasione Freda fa scrivere il soggetto a Lucio Fulci, che nello stesso anno presenterà la sua variazione sul tema della moglie morta-forse viva, quel Una sull’altra che alla resa dei conti si rivelerà essere ben al di sopra dell’opera di Freda.
Il film non è da gettare, in quanto la mano del regista di Alessandria d’Egitto c’è e si vede, ma è anche inficiato dal basso budget utilizzato per girare la pellicola, cosa che si traduce in un paio di sequenze davvero dilettantesche, come la ricostruzione dell’attentato nel quale muore Helen (con modellini di auto utilizzati in modo da gridar vendetta) e nella scena dell’incidente ferroviario nella quale è evidentissimo l’uso di trenini di una nota e rinomata marca.
Reduce dallo spaghetti western La morte non conta i dollari del 1967, Freda si cimenta con il giallo per il suo ultimo film del decennio sessanta.
Su un plot non particolarmente indovinato, a tratti farraginoso e comunque già visto altre volte, Freda costruisce un film a corrente alternata, in cui eccellenti sequenze come quella in cui John Alexander vaga per i bar di una Londra fumosa e compassata cercando di recuperare la sua mente sconvolta dalla visione del film in cui ha creduto di aver rivisto la moglie, si susseguono sequenze davvero improponibili come quelle citate in cui la mancanza di mezzi non è accompagnata da una mano felice.
Forse la cosa migliore del film è davvero il cast, nel quale figurano l’onnipresente Klaus Kinskj, presenza abituale del nostri cinema, Margaret Lee, la bella Christiane Kruger e Annabella Incontrera; Kinskj è John Alexander, il personaggio principale del film, l’uomo sospettato di aver ucciso la moglie per biechi motivi economici e che alla fine si scoprirà essere vittima di una congiura ben architettata, è attore di razza, a dispetto della sua cattiva fama sui set.
Kinskj era uno degli attori che i registi meno amavano, perchè aveva un carattere ombroso e bizzoso e contemporaneamente era uno dei partner più detestato dai rimanenti attori delle varie produzioni.
L’attore di origine polacca in soli 5 anni, nel periodo tra il 1965 e il 1969 girò 30 film, diventando quindi una star dei b movie, prima di passare a opere di ben altro livello negli anni successivi; sui vari set si comportava da prima donna, creando spesso problemi nelle lavorazioni delle pellicole.
L’impianto generale del film è abbastanza debole, per cui Freda, già alle prese con un budget risicatissimo è costretto a barcamenarsi alla men peggio, inserendo nel film elementi pruriginosi che costeranno al regista stesso qualche problema con la censura.
Tuttavia la grande esperienza del regista riesce in qualche modo a tenere a galla un film che girato da altri si sarebbe risolto in un fallimento senza appelli; grazie alla professionalità del cast, alla buona fotografia, alla celebre canzone di Nora Orlandi che è il tema conduttore del film (non dirmi una bugia, non voglio creder più, il gioco è ormai finito, lo vedi hai vinto tu/esco dalla tua vita, così come vuoi tu, finita è la partita, non giocherò mai più/dimmi la veritàà, ormai non m’ami più, lo dicon gli occhi tuoi, lo devi dire tu…) la pellicola, pur tra intoppi di vario genere riesce a mantenere un livello decoroso.
A meritare la piena sufficienza è l’ambientazione londinese, sicuramente elegante nella sua psichedelia raccolta con intelligenza da Freda in una serie di sequenze che restano la cosa migliore del film.
A doppia faccia è un film che in tv è apparso molto di rado mentre è facilmente reperibile in rete in un’ottima qualità digitale; è presente anche su You tube in versione digitale con sottotitoli in francese.
A doppia faccia
Un film di Riccardo Freda (Robert Hampton). Con Klaus Kinski, Annabella Incontrera, Franz Kruger,Margaret Lee, Gastone Pescucci, Barbara Nelli, Ignazio Dolce,Sidney Chaplin, Giallo, durata 84 min. – Italia 1969.
Klaus Kinski: John Alexander
Christiane Krüger: Christine
Margaret Lee: Helen Alexander
Sydney Chaplin: Mr. Brown
Annabella Incontrera: Liz
Günther Stoll: Ispettore Steevens
Luciano Spadoni: Ispettore Gordon
Barbara Nelli: Alice
Regia Riccardo Freda
Soggetto Lucio Fulci, Romano Migliorini, Gianbattista Mussetto (dal romanzo The Face in the Night di Edgar Wallace)
Sceneggiatura Riccardo Freda, Paul Hengge
Fotografia Gábor Pogány
Montaggio Anna Amedei, Jutta Hering
Musiche Nora Orlandi
7 scialli di seta gialla
Un pianista cieco, il professor Peter Oliver, un ispettore di polizia, Iansen e una serie di oscuri omicidi che hanno per teatro il laboratorio sartoriale e di mode di Françoise Ballais.
Questi gli ingredienti di questo giallo, che vede l’ispettore Iansen alle prese con un assassino insospettabile e inafferrabile.
Quando nell’atelier di Francoise muore la bella indossatrice Paula, l’ispettore incaricato delle indagini dirige i suoi sospetti sul pianista cieco, Peter, che aveva una relazione con la modella.
Ma i suoi sospetti si incentrano anche sul marito di Francoise,Victor Morgan, che aveva una relazione con la donna e che veniva ricattato da un uomo che aveva scattato delle foto compromettenti della loro relazione.
Un nuovo omicidio scombussola tutto; a morire è il misterioso ricattatore, e subito dopo toccherà ad altre persone cadere vittime della follia omicida della misteriosa mano.
Sarà proprio Peter a indirizzare Iansen sulla pista giusta…
La sequenza dell’omicidio sotto la doccia
Diretto da Sergio Pastore nel 1972, Sette scialli di seta gialla si inserisce nel florido filone delle pellicole cloni del grande successo di Argento L’uccello dalle piume di cristallo; tuttavia il maggior tributo il film lo paga al film del 1971 di Argento Il gatto a nove code, dal quale riprende il personaggio del cieco investigatore.
Non è certo l’unico elemento di somiglianza con i film di Argento; a ben guardare Pastore saccheggia tutto ciò che può dalla cinematografia del brivido.
C’è la scena dell’omicidio sotto la doccia, ripresa da Psycho, c’è l’ambientazione alla Bava di Sei donne per l’assassino…. c’è solo da divertirsi a cercare le similitudini che sono tante e anche abbastanza chiare.
Il film in se non è nemmeno malvagio, anche se alcuni colpi di teatro sono davvero tirati per i capelli; tuttavia la trama ha una sua ragione d’essere e si mostra abbastanza intricata.
Sergio Pastore, regista di opere abbastanza anonime come Crisantemi per un branco di carogne ,Il diario proibito di Fanny, girati sul finire degli anni sessanta, ha qui la grande occasione, grazie sopratutto al buon cast assemblato per questo film. Dirige con mano scaltra ma è evidente che si tratta di un onesto artigiano e nulla più; eppure gli strumenti c’erano, a cominciare dal parterre degli attori, che include Anthony Steffen, che interpreta con sufficiente bravura il ruolo del pianista cieco, proseguendo poi con Sylva Koscina, nel ruolo di Francoise, con Annabella Incontrera, sempre algia e bellissima, con Giacomo Rossi-Stuart, che interpreta Victor ovvero il marito di Francoise…
Il film va contestualizzato anche nel periodo storico; siamo agli inizi degli anni settanta, il cinema tira come una locomotiva lanciata a folle corsa e si moltiplicano le produzioni di ogni genere.
Il thriller è uno dei generi più saccheggiati, e alla luce di questo si può capire come le produzioni offrissero regie anche ad onesti mestieranti come Pastore.
C’è qualche spruzzatina di eros, qualche delitto efferato, insomma ci sono tutti gli ingredienti del genere, mentre va segnalata la scena dell’omicidio sotto la doccia, una delle più efferate viste nei film italiani, con tanto di rasoio che taglia nella carne attorno ai seni e al corpo nudo della vittima.
Leggendo quà e là in rete le recensioni al film, mi è capitato di trovare giudizi durissimi e sprezzanti su questo prodotto: critiche troppo severe, perchè come già detto pur non essendo un prodotto riuscito, Sette scialli di seta gialla può essere visto senza gridare allo scandalo.
A patto di sorvolare su alcune incongruenze, su qualche pecca recitativa e su una regia abbastanza piatta.
Sette scialli di seta gialla, un film di Sergio Pastore. Con Annabella Incontrera, Sylva Koscina, Anthony Steffen, Renato De Carmine,Giacomo Rossi Stuart, Umberto Raho, Lorenzo Piani, Shirley Corrigan
Thriller/Giallo, durata 108 min. – Italia 1972.
Anthony Steffen – Peter Oliver
Sylva Koscina – Françoise Ballais
Giovanna Lenzi – Susan Leclerc
Renato De Carmine – Ispettore Jansen
Giacomo Rossi-Stuart – Victor Morgan
Umberto Raho – Burton
Annabella Incontrera – Helga Schurn
Romano Malaspina – Harry
Isabelle Marchall – Paola Whitney
Imelde Marani – La ragazza di Harry
Liliana Pavlo – Wendy Marshall
Shirley Corrigan – Margot Thornhill
Regia: Sergio Pastore
Sceneggiatura: Sandro Continenza, Sergio Pastore e Giovanni Simonelli
Prodotto da Edmondo Amati, Maurizio Amati
Musiche::Manuel De Sica
Costumi:Vincenzo Tomassi
Doppiatori:
Sergio Graziani: Anthony Steffen
Rita Savagnone: Sylva Koscina
Sergio Tedesco: Umberto Raho
Pino Colizzi: Giacomo Rossi Stuart
Maria Pia Di Meo: Shirley Corrigan
Flaminia Jandolo: Annabella Incontrera
Vittoria Febbi: Lilliana Pavlo
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Accettabile giallo con pesanti richiami argentiani. La storia non fila via logica (perché scappare dall’ospedale? perché lasciare l’indirizzo della vetreria?) ed ha uno spieghino finale oscuro, oltre ad infrangere una regola del giallo. Il film però si lascia guardare, con molto debito verso i bei colori e gli interni fotografati da Mancori, talora con effetti optical e quadri di Mondrian. La Incontrera, volto lungo, altero, incavato, è perfetta icona lesbica. C’è Imelde Marani che puttaneggia.
Premesso che resta – tutt’oggi – da chiarire se Pastore ha diretto o meno questo contorto (e poco efficace) giallo, quello che più rimane impresso è un finale al cardiopalma, che nasce come emulativo di Psycho (delitto nel bagno), ma è di una ferocia (considerato il periodo) davvero estrema. Per il resto crolla l’impianto narrativo per l’insolito (ed impossibile) modus operandi del killer, che si avvale di scialli avvelenati e gatti! Il Sette del titolo va in coda alla “miniserie” di gialli con titolo numerico stile Sette Cadaveri per Scotland Yard (che sono poi 9!)
La caccia alla smagliatura nel copione dei thriller all’italiana (ma non solo, anche celebrati pseudo-campioncini alla Seven non sono da meno) è uno sport in fin dei conti un po’ sterile: il giallo tricolore è questione di look, e da questo punto di vista il film di Pastore tutto sommato tiene botta, specie nella parte finale, dal rendez-vous nel cantiere in avanti. Certo non tutto fila liscio. Bravo Steffen (ma molto merito va a Sergio Graziani che lo doppia), improponibile la pettinatura di Rossi Stuart. Non male, dopotutto.
Remake non dichiarato di 23 passi dal delitto, con l’aggiunta di contrafforti argentiani (il meccanismo de L’uccello dalle piume di cristallo) e baviani (l’ambientazione nel corrotto mondo della moda di Sei donne per l’assassino). La sceneggiatura, grossolana e con non poche incongruenze, vanta qualche sequenza thrilling ben riuscita (la vetreria, la doccia di Psyco, il cieco Steffen braccato in casa sua dall’assassino) e la trovata degli scialli è originale benché improbabile. Gradevoli musiche di De Sica.
Una delle perle del trash all’italiana (soprattutto per la parte finale), che proprio per questo ha uno stuolo di fan “urlanti”, che lo considerano un film di culto. In realtà non si capisce il perché, visto che come giallo è davvero mediocre. La regia, infatti, è a dir poco claudicante (ma anche a questo proposito c’è chi pensa che Pastore sia un vero regista e per giunta bravo!) e sulla sceneggiatura meglio tacere. Un po’ meglio la situazione sul versante attori e colonna sonora, ma non basta.
Thrillerone bigio e monotono, la cui inesorabile seriosità spinge a rivalutare il brio di cose che ci parvero di insuperabile bruttezza. Pastore cita a spromba tutto ma non produce un’idea buona e originale che sia una: l’atelier è baviano, il canto dell’uccello argentiano, la cecità anche, l’unico guizzo di truculenza splatter è hitchcockiano (però che fegato!), il gatto ha una coda e tanto basta. Il movente dell’assassino è più imperscrutabile di quello di Pastore. Atmos-fear ce n’è pochina. Soporifero.
Ennesimo giallo che si rifà, in modo più che abbondante, alla celebre trilogia degli animali di Dario Argento. Il film non riesce ad emergere dalla massa di prodotti analoghi del periodo e risulta potabile solo per gli ultra-appassionati del genere. Particolarmente fantasioso, e per questo anche molto improbabile, il modus operandi dell’assassino. Come spesso in pellicole di questo tipo la logica è molto traballante.
Buon appartenente al giallo argentiano, con un ottimo cast su cui spiccano decisamente Anthony Steffen nel ruolo del pianista cieco che indaga e la bella Sylva Koscina superba, ma le bellezze femminili (Annabella Incontrera, Shirley Corrigan) non mancano così come i bravi attori (Rossi Stuart). Il tema musicale di Manuel De Sica è accattivante, l’omicidio finale della Corrigan è davvero inusuale per l’epoca. Non un capolavoro (con spiegone finale molto tirato per i capelli) ma piace.
Giallo italiano piuttosto mediocre. Il ritmo è lento, gli attori poco memorabili e le musiche non troppo entusiasmanti. Si salvano solo la buona fotografia e un omicidio (alla Psycho) piuttosto violento. Per il resto un film decisamente evitabile, solo per appassionati.
Onesto giallo italico di ambientazione nordeuropea. I richiami ad altri film ed in special modo ai primi gialli di Argento sono evidenti, tuttavia Pastore riesce a confezionare un prodotto decoroso e a mio avviso avvincente. La vicenda è concettualmente inverosimile, ma scandita da un’ottima ritmica degli eventi e da un’interpretazione degli attori più che dignitosa. Prodotto destinato a “cinemini” di periferia; ecco un buon motivo per amarlo!
Tra la miriade di imitazioni argentiane degli Anni Settanta, si inserisce questo film di Pastore. A parte l’accumulo di citazioni da altre pellicole del genere (a partire dal protagonista cieco e curiosone, preso di peso da Il gatto di Argento), il film scade spesso nella noia e non è riscattato neanche dalla violenza, visto il basso tasso di splatter. Si salva giusto l’omicidio sotto la doccia (unica scena veramente truce) e qualche buon momento di tensione negli ultimi venti minuti. Interpreti accettabili, sceneggiatura claudicante. Improbabile.
Personaggi bidimensionali come quelli dei fumetti cui parrebbe tratto, che fingono di suonare il piano e cenano all’Hilton, posseggono case con splendidi armamentari vintage e frequentano lisergici atelier. Ecco un motivo valido per guardare questo film: farsi un’idea dell’immaginario lounge-chic che impazzava nelle fantasie italiche, fra sigarette accese in ogni dove e pruriginosi scandali sessuali. La storia è striminzita (il mantello? il gatto?), ma il film ha una sua soporifera fragranza che sa d’innocenza e di cinema con le sedie in legno.
Bistrattato da molti e esaltato da altri. Si tratta di un giallo comunque guardabile, interpretato bene da un gradevole cast. A parte il ridicolo finale (che in parte ricorda quello di Sotto il vestito niente) il film si lascia guardare. Un po’ improbabile la storia del gatto, ma tant’è. Ottime le musiche. Diverse scopiazzature dai film di Argento. Quasi tre pallini.
Film noioso, che si perde più volte nel tentativo di richiamare classici argentiani, facendolo in maniera sconclusionata e poco efficace. La trama è artificiosa e priva di tensione, i delitti (a parte un po’ di gore finale) sono piatti ed architettati in maniera poco credibile. Tra i thriller dell’epoca certamente uno dei più scadenti, rischiarato da una scena finale da deja-vu, ma efficace.
Pastore si butta sul giallo argentiano, con tutti i crismi del genere, attingendo non poco dal Maestro stesso, così come da altri (il film nel film è “Una lucertola dalla pelle di donna” di zio Lucio). Ma, a parte un po’ di confusione nell’esposizione, va detto che non confeziona un affatto un brutto film. Certo, nulla di trascendentale, ma l’omicidio cruento nella parte finale, con accanimento sul corpo indifeso della vittima alza la media… Rossi Stuart meglio di un monoespressivo Steffen. Molti i nudi. VM 14
Discreto thriller dalle incontrovertibili derivazioni, ma onestamente palesate, senza dissimulazioni di sorta. Quello che personalmente ho trovato fuori luogo, è la modalità principale con la quale vengono uccise le malcapitate: troppo improbabile. La storia è carina, con lo svolgimento regolare frutto di una tecnica sobria, senza troppe pretese (saggia decisione evitare di strafare). Particolare la location in Copenaghen, ma forse Milano o Roma avrebbero caricato meglio la natura di genere. Attori bellissimi e musiche adeguate, con un finalone inaspettato.
Thrillerino che si basa su presupposti abbastanza improbabili e attinge senza ritegno dai successi argentiani del periodo (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code…). Violenza e tensione latitano. Film non proprio noioso ma che ristagna nella mediocrità fino all’intenso, violento (finalmente) finale. Non brutto, ma decisamente evitabile.
Tra i vari gialli, giallacci e giallini Anni Settanta, mi sembra il peggiore che ho visto. A parte l’affastellamento, senza nessuna ironia, di citazioni da altri film del periodo, a parte il movente dei delitti, che proprio non sta né in cielo né in terra… ma è proprio noioso, non c’è un momento di vera tensione. E poi, ci vuole coraggio per trattare così l’unico personaggio al quale ci eravamo veramente affezionati. E ci vuole coraggio per far spogliare la Koscina per farle mostrare un lato B da massaia sedentaria…
Veramente inguardabile. Nonostante sia un patito dei gialli italiani Anni Settanta, questo è proprio brutto. Copia e incolla spunti e trama da destra e da sinistra, non intriga, non scorre, con attori incapaci e personaggi senza alcun interesse. Un disastro. Starsene alla larga!
Culto a causa di diversi record: il maggior numero di citazioni da altri gialli, la “scena della doccia” più gore, il modus operandi più contorto e improbabile, il fermo-immagine finale più ridicolo (eppure…). Però oltre questo è anche un giallo onestissimo, che non si limita a seminare false piste per confondere lo spettatore ma gli offre anche la possibilità di indovinare il colpevole con un particolare rivelatore (occhio all’automobile). Regìa assai meno sciatta di quanto sembri, buona prova anche per Steffen (altrove spesso cane).
Sembra davvero un fumettone per via di costumi, design, tecnica di omicidio indiretta e solo in apparenza avveniristica, per il fatto che un’attrice la faccian tanto bella per accopparla in seguito così crudelmente… per il bianco e nero della doccia che qui centuplica la suggestione, stessi due colori che contraddistinguono i mantelli. Davvero un caso? Interessante, ma non grintoso al punto da far decollare l’entusiasmo di chi lo vede.
Inutile far notare quanto l’influenza del Darione nazionale contamini ogni passaggio di questo ennesimo titolo “numerologico”. Un buon giallo comunque, in cui spadroneggiano primi piani fuorvianti e disonesti zoom sugli sguardi torvi e sospettosi di alcuni degli interpreti. Differentemente dal solito, Anthony Steffen mostra davvero un raro stato di grazia con la sua perfetta immedesimazione nei panni del compositore cieco. A tratti allucinato, il film di Pastore presenta inoltre la sequenza forse più splatter mai vista sino ad allora su schermo.
Una volta fatta l’abitudine “visiva” ai fantastici abiti e pettinature dell’epoca, di questo film resta ben poco di godibile. La trama è abbastanza piatta e banale e il cosiddetto colpo di scena finale sembra creato più per dare la colpa al personaggio meno sospettabile di tutti che per seguire un vero filo logico. Imbarazzanti e rigidi i due protagonisti maschili.
Derivativo, eccessivamente derivativo questo giallo a tinte forti dove non si sa dove finisca la citazione e inizi la scopiazzatura spudorata. Inizialmente sembra partire bene, con un misterioso metodo di uccisione, ma quando inizia a delinearsi il quadro si scade nell’assurdo e nel ridicolo. Menzione speciale all’omicidio nella doccia preso da Psyco ma più sanguinoso (in bene) e alla pietosa sequenza finale assieme a quella dell’attentato nella fabbrica (in male).
Giallo che più derivativo non potrebbe essere: in effetti se ci mettiamo ad elencare i riferimenti ad altre pellicole rischiamo di non finirla più. Ttuttavia Pastore propone anche un paio di idee originali: l’ambientazione danese e il complesso modus operandi dell’assassino, che qui si serve, appunto, degli scialli del titolo intrisi di una sostanza che attira e scatena un gatto dagli artigli avvelenati. Buon ritmo, qualche momento di tensione e un omicidio sotto la doccia di inaudita violenza, ma la soluzione convince poco. Non male il cast.
Prende da Argento, da Bava, da 23 passi da un delitto e finisce con una splendida uccisione sotto la doccia degna di Psyco. Siamo nel ’72, siamo nel bel mezzo del giallo all’italiana e del successo di Darione; Pastore si permette di emulare e rubare senza vergogna. E tutto sommato gli si perdona tutto. Il giallo non è poi pessimo, soffre delle classiche ingenuità e carenze sia di budget sia di sceneggiature. Offre la solita fotografia di quegli anni e costumi e scenografie disgustosamente pacchiane. Steffen è una garanzia, il Fonda italiano
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile
Una serie di assassini, un ispettore chiamato a risolvere l’enigma.
Un plot classico, che più classico non si può; si inizia con la morte di alcune belle donne, sposate ai notabili della città, accanto ai cadaveri delle quali vengono rinvenute delle foto.
Sono immagini ovviamente di amanti delle donne, ma presentano una particolarità: i volti degli uomini sono stati rimossi, ovviamente per nascondere la loro identità.
L’ispettore Capuano è incaricato delle indagini, che si presentano subito difficili per i nomi coinvolti; a lui si affianca l’anatomo patologo Casali , che si rivela una preziosa fonte di informazioni per capire come sono morte le donne e la maniera in cui ha operato l’assassino.
Cercando di non pestare i piedi a nessuno, Capuano indaga, prendendo anche delle cantonate, come quella che lo vede sospettare dell’addetto alla ricucitura dei cadaveri.
Ma poco alla volta il caso si sbroglia, fino ad un finale assolutamente a sorpresa.
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, film del 1972 diretto da Roberto Bianchi Montero rivela da subito la scarsa attitudine del regista per il genere thriller;
Sylva Koscina è Barbara Capuana
la trama è abbastanza intricata ma anche maldestramente svolta, tanto che in alcuni punti si fa fatica a seguire i guizzi del regista, che sembra privilegiare più l’aspetto prettamente estetico che quello cinematografico.
Si assiste, difatti, ad una parata di morte assassinate generalmente in desabillè, cosa che la dice lunga sulle intenzioni del regista.
La trama resta abbastanza nell’oscurità, spiazzando lo spettatore, che si riavrà solo sul finale, quando il tutto giungerà alla conclusione, in maniera peraltro ben congegnata.
Susan Scott (Nieves Navarro) è Lilly
Debitore as usual del solito Argento, Bianchi Montero punta tutto su una certa latente tensione, sul cast di starlette che popola il film e su un robusto contributo sonoro del grande Gaslini; se la ricetta non funziona appieno è perchè manca uno degli ingredienti fondamentali, ovvero una suspence tirata, di quelle che inchiodano lo spettatore alla poltrona.
Manca anche nerbo nella recitazione, sopratutto da parte di Farley Granger, imperturbabile e azzimato nei panni dell’ispettore Capuano; Chris Avram se la cava meglio, così come una sicurezza è Luciano rossi, questa volta delegato nella parte decisamente antipatica di un becchino addetto all’estetica dei cadaveri, che ovviamente diventa il sospettato numero uno.
Ma lo spettatore scafato, quello che ama il genere thriller, non si lascia depistare da un si facile indizio, e cerca ovviamente altre soluzioni; la troverà in un finale un tantino tirato per i capelli, ma tutto sommato abbastanza originale.
Se il modus operandi dell’assassino sembra schematicamente compresso, con le morti che avvengono tutte nello stesso modo e che sembrano ricalcare il clichè della punizione delle adultere, la solita immancabile eliminazione del vizio, a salvare la braca pericolosamente inclinata arriva proprio il finale e sopratutto la curiosità di vedere la parata di belle attrici alle prese con il misterioso maniaco.
Il cast, come accennatto, presenta una parata di bellezze di primo piano; Annabella Incontrera, Sylva Koscina, Krista Nell, Femi Benussi, Susan Scott, Angela Covello sono decisamente tutte belle, sexy e affascinanti.
E sono anche abbastanza spogliate, il che induce a qualche malizioso pensierino sulle finalità del film di Montero.
Ma, in definitiva, è un film che può essere visto senza annoiarsi troppo, con qualche bel colpo a patto però di non aspettarsi un thriller mozzafiato
Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, un film di Roberto Bianchi Montero. Con Annabella Incontrera, Sylva Koscina, Silvano Tranquilli, Farley Granger, Susan Scott, Philippe Hersent, Andrea Scotti, Ivano Staccioli, Sandro Pizzorro, Benito Stefanelli, Krista Nell, Femi Benussi, Bruno Boschetti, Jessica Dublin, Chris Avram, Fabrizio Moresco, Angela Covello, Luciano Rossi
Poliziesco/Thriller, durata 91 min. – Italia 1972.
Farley Granger … Ispettore Capuana
Sylva Koscina … Barbara Capuana
Silvano Tranquilli … Paolo Santangeli
Annabella Incontrera … Franca Santangeli
Chris Avram … Professor Casali
Femi Benussi … Serena
Krista Nell … Renata
Angela Covello … Bettina Santangeli
Fabrizio Moresco … Piero
Irene Pollmer … Giannina
Luciano Rossi … Gastone
Jessica Dublin … Rossella
Philippe Hersent … Questore
Nieves Navarro … Lilly
Bruno Boschetti … Poliziotto
Regia: Roberto Bianchi Montero
Sceneggiatura: Luigi Angelo
Produzione: Angelo Faccenna, Eugenio Florimonte,Mario Pellegrino
Musiche: Giorgio Gaslini
Costumi: Oscar Capponi
Editing: Rolando Salvatori
Effetti: Vitantonio Ricci
Costumi: Lidia Maniero
“Giallino italico con trama quasi inesistente e qualche trovatina (mega-citazione dal baviano Sei donne…, il sangue dalla scala a chiocciola, l’inanità del testimone del delitto finale…). Povero il contorno (risibili l’omicidio della Benussi e la lentezza del commissario nel far partire il registratore) e recitazioni appena sufficienti (il regista amava il “buona la prima”). L’amore per il genere, per il decennio e per il superbo gineceo spingerebbero almeno verso la risicata sufficienza: la razionalità, invece, dice uno e mezzo.
La trama è scritta un tanto al chilo, ma quello che rende interessante il film di Montero è – oltre all’impatto scenico cagionato dalla presenza (inusuale) di un elevato numero di fascinose attrici (in ruolo di apòstate) – la solida mano di un regista abituato a realizzare, con professionalità (ed accortezza scenica, con riguardo per la buona fotografia) pellicole di svariati generi. Se l’influenza di Argento si fa sentire, bisogna però segnalare che Montero anticipa l’utilizzo di un grande compositore musicale (Giorgio Gaslini) indòtto a comporre un tema à la Morricone.
Tipico giallo anni Settanta, unisce l’estetica di Bava e la meccanica di Argento (modalità degli omicidi e particolare rivelatore) a un sottotesto maschilista e moralista. La suspense scarseggia, essendo schiacciata dall’incontenibile pressione erotica delle attrici più in voga del momento nel cinema di genere (Koscina, Benussi, Scott, Nell, Incontrera), tutte artisticamente spogliate; c’è anche la giovanissima Covello, unica donna dal ruolo innocente e pudico. Reminescenze hitchcokiane nel beffardo finale.
Giallo girato in economia ma non disprezzabile. Si accumulano omicidi ed ovviamente si pensa bene di fornire al pubblico qualche facile sospettato su un piatto d’argento (un cinico avvocato, un medico pazzo col ghigno del grande Luciano Rossi…) solo per arrivare alla sorpresa finale. Da gustarsi più con la pancia che non col cervello, in ogni caso. Notevole il cast femminile, con nudi a ripetizione.
Risibile thrillerino all’italiana in cui un feroce assassino si diverte ad uccidere donne fedifraghe. Perché? Pare che neanche gli sceneggiatori avessero le idee chiare in proposito, tanto che hanno dato vita ad un plot piuttosto confuso e farraginoso che non coinvolge quasi mai lo spettatore e che si fa notare solo per il finale beffardo ed intriso di umorismo. Per il resto c’è davvero poco da stare allegri.
Ottimo giallo italiano con un cast femminile strepitoso. In quale film possiamo trovare la Koscina, la Scott, la Neill, la Benussi, la Incontrera… Anche il cast maschile è ottimo: Granger, Avram e soci (una gioia per gli occhi del fan degli Anni Settanta). Buone le musiche, i delitti molto sanguinosi, il finale beffardo (un pochino traballante nella soluzione, ma ottimo). Irresistibile, almeno dal mio punto di vista.
Piacevole thriller argentiano con qualche venatura poliziesca. Discreta la regia e curiosamente insistiti i dettagli gore (mai splatter però) e le scene di nudo (integrale quello di Susan Scott). La storia non è nulla di eccezionale, con qualche lentezza e un po’ troppi riferimenti ad Argento, ma bene o male regge fino alla fine. Ottimo il protagonista Farley Granger, bravo Silvano Tranquilli, notevole il cast femminile. Nulla di eccezionale le musiche di Gaslini. Sorprendente l’omicidio sulla spiaggia.
Tra i vari spin-off italici dell’Argento prima maniera, spicca questo giallo dal titolo assai bizzarro (e logorroico). In realtà, a parte un cast rispettabile che mette insieme molte starlette dell’epoca, il film non presenta grandi motivi d’interesse: la sceneggiatura è appena sufficiente, il ritmo latita, la tensione è pari a zero, le scene cruente sono poche e mal realizzate. Tra i pro invece segnalo le belle musiche di Gaslini e il finale spietato, che mette sullo stesso piano buoni e cattivi. Si denota un fondo misogino e anti-borghese.
Il commissario col baffetto azzimato che risolve il caso senza scomporsi: c’è. Alcune sequenze importanti come l’omicidio sulla spiaggia o il finale con fotogrammi sovraimposti: ci sono. Bellezze discinte: non mancano, anzi abbondano. Il sospettato numero uno, un platinatissimo necrofilo che alla fine è innocente: presente. La colonna sonora evocativa e stucchevole: non poteva mancare. Insomma, gli ingredienti che hanno fatto grande il giallo italiano ci sono tutti, ma da metà pellicola causa inedia diffusa, è la voglia di arrivare alla fine, che mi mancava.”
Le belve
Le belve è un film strutturato in 8 episodi, che ricorda il celebre I mostri diretto da Dino Risi nel 1963.
-Primo episodio, Il salvatore
Mentre sta passando per una stradina, un cronista tv si imbatte in un tentativo di suicidio di un uomo, che minaccia di lanciarsi nel vuoto da un cornicione.
Dopo essere salito nell’appartamento dell’aspirante suicida, il cronista riesce a speculare sul fatto rinviando il più possibile l’attimo del gesto fatale non per aiutare il disgraziato, ma per biechi motivi di audience.
Françoise Prévost è Clara Borsetti
Helga Linè, la moglie del fachiro e Lando Buzzanca
– La voce del sangue
Borsetti,un imprenditore cerca in tutti i modi di ottenere un appalto, promettendo al committente di ricompensarlo facendogli godere ancora una volta delle grazie della moglie Clara. Ma Borsetti ha fatto male i conti, perchè l’uomo che deve dargli l’appalto è stanco di incontrare sempre Clara. Così i due coniugi arrivano a far prostituire la figlia.
– Il fachiro
Un fachiro italianissimo si esibisce in spettacoli al limite dell’umano; è costretto a ciò per mantenere la sterminata famiglia della moglie, che beve e mangia alle sue spalle; pur di ottenere visibilità durante i suoi spettacoli, il povero fachiro si spinge sempre più in la…….
Maria Baxa, una moglie perfetta?
– Una bella famiglia
Una bella famiglia, una bella casa. Lui sembra un marito gentile e premuroso che accompagna la moglie al lavoro; ma ben presto vediamo di che lavoro si tratta.
Infatti l’uomo fa scendere la moglie dall’auto, le accende una sigaretta, mentre lei si avvia verso un lampione con minigonna e tacchi a spillo.
– Il caso Apposito
La miglior difesa è l’attacco; è il motto di un manager, che quando vede avvicinarsi il rischio che un’ispezione metta a nudo le sue magagne, non esita a ricattare tutti, usando anche la corruzione.
L’ultimo degli ispettori finirà addirittura suicida
– Il cincillà
Con un espediente, il rampollo di un industriale che alleva polli, grazie alla complicità di una donna che presenta come la sua fidanzata, riesce a estorcere una grossa somma di denaro al padre.
– Il chirurgo
Vendetta di un chirurgo che aveva subito un’ispezione nel suo ospedale.
Femi Benussi è Concetta Sparapaoli
– Processo a porte chiuse
Babbaluni, un contadino zotico e ignorante, è accusato da tre belle sorelle di aver abusato di loro mettendole incinta.
Attraverso un’abile strategia difensiva, l’uomo riesce a capovolgere le accuse, finendo per diventare la vittima delle tre donne e ottenendo la loro condanna.
Protagonista assoluto degli otto episodi è Lando Buzzanca, che passa agevolmente dai panni del reporter privo di scrupoli a quelli del contadino scarpe grosse e cervello fino, passando per altri sei personaggi caratterizzati dall’assenza totale di scrupoli.
Le belve, girato nel 1971 dal regista Giovanni Grimaldi, sfruttando una sceneggiatura di Bruno Corbucci alla quale collabora lo stesso regista, è una copia poco più che sfuocata del ben più corrosivo iI mostri, citato all’inizio.
A parte l’episodio iniziale, quello del cronista avvoltoio e quello finale, il più lungo che riesce a strappare qualche sorriso, il film resta abbastanza anonimo nello svolgimento, a causa della scarsa incisività degli episodi.
Annabella Incontrera è Carmela Sparapaoli
Nuoce al film stesso, paradossalmente, proprio la presenza di Buzzanca, che pure è bravo, ma che non riesce a staccarsi dall’effetto macchietta che è cucito su di lui come una seconda pelle.
L’episodio assolutamente trascurabile è quello dedicato alla famiglia modello, svolto in maniera frettolosa e che avrebbe potuto avere ben altro svolgimento.
Ira von Fürstenberg è Filomena Sparapaoli
Il cast è di quelli da ricordare, con la presenza contemporanea di Tino Carraro e di Claudio Gora, e delle bellissime Femi Benussi, Helga Linè, Ira Furstemberg, Annabella Incontrera, Maria Baxa, Francoise Prevost,Magali Noel ,Margaret Lee, oltre alla solita grande Paola Borboni.
Ma il resto rimane abbastanza soporifero, e se il tentativo era quello di strappare qualche sorriso amaro o qualche sorriso divertito, tutto annaspa nella banalità e nella mediocrità, lasciando alla fine una vera sensazione di vuoto.
Le belve, un film di Giovanni Grimaldi, con Lando Buzzanca, Tino Carraro, Claudio Gora, Femi Benussi, Helga Linè, Ira Furstemberg, Margaret Lee, Annabella Incontrera, Maria Baxa, Francoise Prevost, Paola Borboni.Magali Noel, Commedia Italia 1971
Lando Buzzanca … Il Salvatore / Morsetti / Il fachiro / Il marito /ecc.
Ira von Fürstenberg … Filomena Sparapaoli ( “Processo a porte chiuse”)
Femi Benussi … Concetta Sparapaoli ( “Processo a porte chiuse”)
Paola Borboni … Madre del fachiro ( “Il fachiro”)
Magali Noël … Lisa ( “Il cincillà”)
Margaret Lee … Judy ( “Il cincillà”)
María Baxa … La moglie ( “Una bella famiglia”)
Françoise Prévost … Clara Borsetti ( “La voce del sangue”)
Tino Carraro … L’imprenditore ( “La voce del sangue”)
Claudio Gora … Giulio Bianchi ( “Il caso Apposito”)
Annabella Incontrera … Carmela Sparapaoli ( “Processo a porte chiuse”)
Mario Maranzana … Avv. Maranzana ( “Processo a porte chiuse”)
Helga Liné … Moglie del fachiro ( “Il fachiro”)
Philippe Hersent … Placido ( “Il cincillà)
Nino Terzo … Orazio ( “Il salvatore”)
Empedocle Buzzanca … Cav. Apposito ( “Il caso Apposito”)
Vittorio Fanfoni … Assistent del fachiro ( “Il fachiro”)
Renato Malavasi … Prete ( “Il salvatore”)
Carla Mancini … ‘Picculina’ Sparapaoli
Giovanni Nuvoletti … Il giudice ( “Processo a porte chiuse”)
Franco Ressel … Attorney ( “Processo a porte chiuse”)
Alfredo Rizzo … Dott. Apposito ( “Il caso Apposito”)
Regia Giovanni Grimaldi
Soggetto Giovanni Grimaldi, Bruno Corbucci
Sceneggiatura Giovanni Grimaldi, Bruno Corbucci
Produttore Lello Luzi
Casa di produzione Medusa film
Fotografia Gastone Di Giovanni
Montaggio Daniele Alabiso
Musiche Nino Fidenco
Scenografia Aldo Marini
Costumi Giulia Mafai
Trucco Giulio Natalucci
Roma bene
Lo squallido mondo che ruota attorno ai salotti della Roma che conta, la Roma bene, visto da Lizzani in questo film del 1971. Uno sguardo cattivo, crudele, sopratutto impietoso.
I vizi e le debolezze, le brutture dei Vip sono l’altra faccia della Roma bene, tratteggiata attraverso una galleria di personaggi assolutamente deprimente, radunata attorno al salotto di Silvia Santi, di origini aristocratiche, moglie di giorgio industriale con le mani in molteplici attività; i due coniugi sono la parte terminale di un iceberg composto, secondo Lizzani, da uomini e donne senza scrupoli o valori morali.
Nino Manfredi e Enzo Cannavale
Irene Papas
Come il titolato De Vittis, barone senza denaro che scrocca feste e inviti, e che durante una delle tante festicciole organizzate dalla Santi, la invita a ballare e riesce a rubarle un orecchino, che ingoia, e che sarà costretto poi a “depositare” dopo aver ingurgitato un purgante.
O anche come Nino Rappi, che cerca finanziamenti per una sua impresa e che perciò non esita a servirsi di sua moglie, una donna cinica e furba; Wilma, questo è il suo nome, arrotonda le sue entrate con il lavoro più antico del mondo, ha un’amante donna e anche lei non si fa nessuno scrupolo pur di mantenere il proprio status.
Franco Fabrizi, Michele Mercier, Gigi Ballista
Non c’è un personaggio che abbia un benchè minimo senso morale, oppure che possa definirsi retto o onesto, in questo serraglio indecoroso.
La stessa Silvia Santi non esita a fingere un rapimento pur di estorcere denaro a suo marito, rapimento organizzato con la complicità dei suoi due figli,Vivi e Lando.
C’è poi Dedè Marescalchi,nobiltà pura, che va a letto con chiunque pur di agevolare gli interessi del marito, che ovviamente è consapevole della cosa e ne trae profitto, c’è Elena Teopulos, che uccide il marito simulando un incidente….
Agnello sacrificale in mezzo al branco dei lupi, ecco Il commissario Quintilio Tartamella, chiamato dapprima a indagare sullo strano furto dell’orecchino, poi sul finto rapimento e infine sull’assassinio simulato; il cmmissari, cinico e disincantato, verrà a capo di tutti e tre gli enigmi e involontariamente riceverà una promozione; il suo capo infatti, per timore che le vicende suscitino scandalo nel dorato mondo dell’aristocrazia e del mondo degli affari romano, dopo averlo promosso lo trasferirà.
Quasi tutti i personaggi della storia, con l’eccezione di Giorgio e del Monsignore, eminenza grigia dall’animo nero, esempio di quel clero affarista e spregiudicato presente purtroppo anch’esso nella melma della Roma bene, periranno in un bagno purificatore, simboleggiato da un avvenimento che porterà i loro destini a confluire nella stessa tragica sorte.
Mentre Rappi morirà d’infarto in seguito a un cocktail di donne, alcool e stress da troppo sport, Silvia, Dedè, Elena e De Vittis e altri moriranno affogati mentre navigano con il loro yacht al largo; infatti tutti si caleranno in acqua, lasciando lo yacht senza nessuno a bordo, scordandosi anche di calare la scaletta prima di tuffarsi.
Pia Giancaro
Un rogo simbolico, con cui Lizzani fa perire tutti gli osceni personaggi della storia; saranno loro le vittime di un possibile progrom che sia di buon auspicio per una classe sociale migliore.
Ma il fatto che si salvino i due uomini più importanti, il Monsignore e l’industriale, mostra che non c’è speranza; come un serpente a più teste, la buona borghesia ha sempre la possibilità di mordere da un’altra parte.
Lizzani usa le maniere forti, gettando acido solforico ovunque, usando l’accetta per tagliare i profili dei protagonisti;ne viene fuori un ritratto a tinte cupissime, senza speranza di una classe sociale allo sbando morale.
Alle volte l’accanimento è tale da rendere i personaggi troppo caratterizzati; tuttavia è indubbio il valore dell’operazione del film, teso a mostrare l’altro lato della medaglia, ovvero le paludi che si nascondono dietro il dorato mondo della noiltà, dei ricchi parvenue e di coloro che fanno dell’interesse, del denaro e del successo la fonte primaria di interesse.
Un film da rivedere, a distanza di quasi quarant’anni, anche per la presenza di un cast sontuoso, che spazia da Virna Lisi a Philippe Leroy, passando per Manfredi, le bellissime Mercier e Senta Berger, tra Gastone Moschin e Irene Papas, Vittorio Caprioli e Ely Galleani, film arricchito anche da una galleria di caratteristi, come Cannavale, Ballista, Tarascio…..
Per una volta sono in disaccordo con il grande Kezich, che scrisse del film:
“Molto abile nella ricostruzione naturalistica della cronaca, Lizzani appare meno a suo agio nell’affresco di costume: questo Roma bene sta alla realtà odierna della capitale come La Celestina P.R. stava alla Milano del miracolo economico. Nessuno dei numerosi attori di un cast affollato si conquista una menzione al merito: neppure Nino Manfredi nella parte di un commissario disgustato e ostinato, che dovrebbe rappresentare nel quadro una specie di personaggio positivo”
Gastone Moschin
Roma bene, un film di Carlo Lizzani. Con Nino Manfredi, Irene Papas, Umberto Orsini, Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, Virna Lisi, Michèlle Mercier, Mario Feliciani, Senta Berger, Gastone Moschin, Evi Maltagliati, Vittorio Sanipoli, Carlo Hintermann, Franco Fabrizi, Nora Ricci, Enzo Tarascio, Annabella Incontrera, Enzo Cannavale, Peter Baldwin, George Wang, Gigi Ballista, Giancarlo Badessi, Gigi Rizzi, Carla Mancini, Minnie Minoprio, Dado Crostarosa, Luigi Leoni, Pupo De Luca
Drammatico, durata 113 min. – Italia 1971.
Senta Berger … Dede Marescalli
Vittorio Caprioli … Il barone Maurizio Di Vittis
Franco Fabrizi … Nino Rappi
Mario Feliciani … Teo Teopoulos
Philippe Leroy … Giorgio Santi
Virna Lisi … Silvia Santi
Nino Manfredi … Il Commissario Quintilio Tartamella
Michèle Mercier … Wilma Rappi
Gastone Moschin … Il monsignore
Umberto Orsini … Prince Rubio Marescalli
Irene Papas … Elena Teopoulos
Gigi Ballista … Vitozzi
Dado Crostarosa … Lando Santi
Ely Galleani … Vivi Santi
Annabella Incontrera … La Lesbica
Evi Maltagliati … La madre di Elena
Minnie Minoprio … Minnie
Nora Ricci … donna Serena
Gigi Rizzi … Un playboy
Vittorio Sanipoli … Il Questore
Giancarlo Badessi … Rossi
Peter Baldwin … Michele Vismara
Enzo Cannavale … Tognon
Pia Giancaro … L’invitata in nude-look
Margaret Rose Keil … Suzy
Pupo De Luca … Amante di Dede Marescalli
Enzo Tarascio … L’avvocato di Elena
Carlo Hinterman … Secondo avvocato di Elena
Luigi Leoni … Altro amante di Dede Marescalli
Regia: Carlo Lizzani
Soggetto: Luigi Bruno Di Belmonte
Sceneggiatura: Luciano Vincenzoni,Nicola Badalucco,Carlo Lizzani
Fotografia: Giuseppe Ruzzolini,Alfonso Avincola
Montaggio: Franco Fraticelli,Sergio Fraticelli,Alessandro Gabriele
Effetti speciali: Italo Cameracanna
Musiche: Luis Enriquez Bacalov
Scenografia: Flavio Mogherini,Francesco Pietropolli
Costumi: Adriana Berselli,Marina De Laurentiis,Rosalba Menichelli