L’amore attraverso i secoli
Le plus vieux métier du monde,ovvero Il mestiere più vecchio del mondo,chiara allusione alla prostituzione diviene nella distribuzione italiana, per motivi inspiegabili L’amore attraverso i secoli.Ora,la prostituzione sta all’amore come un sasso sta ad un diamante per cui la scelta dei distributori italiani è assolutamente fuorviante,non lasciando immaginare il vero argomento trattato nel film.
Che è una pellicola “collettiva”,diretta cioè da 6 registi di alterna fama internazionale.
Claude Autant-Lara, Mauro Bolognini, Philippe De Broca, Jean-Luc Godard, Franco Indovina e Michel Pfeghaar dirigono nel 1967 un film con sullo sfondo il meretricio, definito “mestiere più antico del mondo“,come del resto popolarmente e universalmente indicata la prostituzione.
Con esiti modesti se non deludenti.
Discontinuo,con ambizioni di satira e riflessione sull’argomento,L’amore attraverso i secoli è invece pellicola anonima,piatta,ravvivata solo dall’esperimento dell’episodio “L’amore nel 2000” di Godard che si distingue per l’ardita operazione fotografica e l’utilizzo quasi sperimentale del colore,un episodio però fine a se stesso più che organico ad un tema che è trattato in maniera dissimile dai sei registi.
La trama:
– primo episodio,L’età della pietra:Brit è una bella cavernicola,che smania d’amore per un misterioso uomo venuto da molto lontano.Per affascinare e ammaliare il giovane,Brit si rivolge a Rak,specie di stregone della tribù il quale crea per lei l’antenato del trucco.
Ottenuto grazie alla seduzione il risultato sperato,la bella Brit decide di sfruttare “commercialmente” l’invenzione…
-secondo episodio,Notti romane:Flaiano,imperatore romano,cerca di arricchire la sua collezione di “donne allegre” andando nei lupanari,dove si congiunge con una affascinante prostituta esotica,che paga profumatamente.La donna altri non è che sua moglie Domitilla…
– terzo episodio,La ghigliottina:Mimi,prostituta francese,ha un appartamento che utilizza per i suoi incontri che si affaccia sulla piazza
dove avvengono le esecuzioni capitali.Quando tra i suoi clienti arriva Philibert,giovane squattrinato che non può pagarla,Mimi finge di concedersi gratuitamente.In realtà la donna ha visto che tra i condannati a morte c’è lo zio del giovane,un uomo ricchissimo di cui Philibert è l’unico erede.
-quarto episodio,La belle epoque:con abilità e intelligenza,usando però sopratutto le arti della seduzione,la prostituta parigina Nini
riesce a farsi sposare da un ricco banchiere semplicemente lusingandolo e facendogli credere di essere un irresistibile Casanova;
-quinto episodio,Oggi: due giovani prostitute scoprono che utilizzando un’ambulanza,che marcia a sirene spiegate,possono evadere i ferrei controlli della polizia,che addirittura le scortano durante i loro incontri amorosi;
-sesto episodio,L’amore nel 2000:in un prossimo futuro un viaggiatore scopre che l’unico modo per eccitarsi è pagare una donna…
Molto discontinuo,più insipido che brutto,sopratutto molto deludente:il tentativo di ricavare una commedia brillante e ironica affidando un tema “serio” da affrontare in maniera leggera ma intelligente da parte dei produttori del film (ben 6 importanti case europee,ovvero Athos Films, Franco London Films, Francoriz, Les Films Gibé, Rialto Film e Rizzoli Film) naufraga sia come risultato finale del film in se sia come ricavato al box office.
Il gran cast assoldato,che include star del calibro di Michèle Mercier,Enrico Maria Salerno,Gastone Moschin,Elsa Martinelli,Jeanne Moreau ecc.riesce solo a dare un pò di smalto ad un film che mostra come sia impossibile un’operazione che coinvolga registi di diversa estrazione e cultura, atutto scapito dell’omogeinità della pellicola stessa.
Gli episodi boccacceschi finiscono per essere troppo brevi e scontati,senza alcuna ricerca che coinvolga psiche,motivazioni,location storico/culturale,tutte quelle componenti cioè che sono l’ossatura di un film di livello.
Dei sei episodi,l’unico a mostrare un qualche interesse è quello citato di Godard che include un incredibile nudo integrale (per l’epoca) di Marilù Tolo,discreto quello di Autant Lara mentre gli altri raggiungono a mala pena la sufficienza.
Il film è ormai da tempo introvabile in versione italiana,mentre è di difficile reperibilità in lingua originale.
L’amore attraverso i secoli
Un film di Jean-Luc Godard, Mauro Bolognini, Philippe De Broca, Claude Autant-Lara, Michael Pfleghar, Franco Indovina. Con Enrico Maria Salerno, Anna Karina, Jean-Claude Brialy, Michèlle Mercier, Elsa Martinelli ,Jeanne Moreau,Raquel Welch,Marilù Tolo.Titolo originale Le plus vieux métier du monde. Commedia, durata 110 min. – Francia, Italia, Germania 1967
Michèle Mercier: Brit
Enrico Maria Salerno: Rak
Gabriele Tinti: L’uomo venuto dal mare
Gastone Moschin: L’imperatore Flavio
Elsa Martinelli: Domitilla
Jeanne Moreau: Mimi
Jean-Claude Brialy: Philibert
Jean Richard: Il commissario del popolo
Albert Rémy: uomo francese con due donne
Raquel Welch: Nini
Martin Held: Édouard
Nadia Gray: Nadia
France Anglade: Cathérine
Francis Blanche: Il dottore
Jacques Charrier: John Dimitrios
Anna Karina: Eléonore Roméovitch
Marilù Tolo: Marlène
Regia Claude Autant-Lara, Mauro Bolognini, Philippe De Broca, Jean-Luc Godard, Franco Indovina, Michel Pfeghaar.
Sceneggiatura Jean Aurenche, Daniel Boulanger, Ennio Flaiano, Jean-Luc Godard, André Tabet, Georges Tabet
Produttore Joseph Bercholz, Horst Wendlandt
Casa di produzione Athos Films, Franco London Films, Francoriz, Les Films Gibé, Rialto Film, Rizzoli Film
Distribuzione (Italia) Cineriz
Fotografia Pierre Lhomme, Alessandro D’Eva, Dario Di Palma, Heinz Hölscher
Montaggio Agnès Guillemot, Nino Baragli, Susanne Paschen
Musiche Michel Legrand
L’età della pietra: Franco Indovina
Notti romane: Mauro Bolognini
La ghigliottina: Philippe De Broca
La Belle Époque: Michael Pfeghaar
Oggi: Claude Autant-Lara
L’amore nel 2000: Jean-Luc Godard
Michele Mercier è Brit
Elsa Martinelli è Domitilla
Jeanne Moreau è Mimi
Jean Claude Brialy è Philibert
Raquel Welch è Nini
France Anglade è Cathérine
Anna Karina è Eléonore Roméovitch
Marilù Tolo è Marlene
Il trafficone
Per poter mantenere la sua famiglia,Vincenzo Lo Russo è costretto ad improvvisare lavori ingegnosi;Angelina,la moglie e i suoi tre figli lo attendono a casa e Vincenzo raccatta denaro abbordando i passeggeri delle auto che si fermano ai semafori proponendo loro l’acquisto di capi d’abbigliamento.
Un giorno casualmente abborda una affascinante donna con la quale ha una fugace relazione; la donna ha in realtà attirato a casa Vincenzo per compiacere il marito guardone e al termine del rapporto regala a Vincenzo stesso un libro sulla sessualità e sui rapporti di coppia.
Dopo averlo letto l’uomo prende una decisione: si improvviserà medico e aprirà uno studio nel quale cercherà di curare i problemi sessuali delle coppie, che a quanto pare sono molto più diffusi di quanto sembri.
Tina Aumont e Carlo Giuffrè
Rita Calderoni
Cosi con l’aiuto di Gennaro, un suo amico,Vincenzo avvia lo studio che ben presto ottiene uno straordinario successo.
Spesso infatti le coppie che si rivolgono a lui trovano nell’uomo la soluzione ai loro problemi, in particolare le partner femminili che vengono “guarite” dai loro problemi dall’infaticabile Vincenzo.
Ma il super lavoro alla fine sfianca il pur valoroso Vincenzo che nel frattempo ha cambiato il suo cognome in D’Angelo; la prima ad accorgersi dei problemi è la moglie Angelina, trascurata nel talamo nuziale dal marito.
Così, convinta da un amico a rivolgersi all’ormai famoso dottor D’Angelo, Angelina scopre il nuovo lavoro del marito.
Ad un primo attacco d’ira segue una riflessione sul cambiamento che l’attività di Vincenzo ha portato all’economia domestica; così Angelina alla fine convince suo marito ad allargare la società, diventando anch’essa una sessuologa…
Il trafficone è una commedia sexy del 1974,diretta da Bruno Corbucci, non priva di un suo rozzo ma efficace umorismo; l’idea di fondo della sceneggiatura presta infatti il fianco allo sviluppo di una storia sicuramente esile ma ben diretta dal regista romano,uno dei più fecondi sceneggiatori del cinema italiano e regista di una cinquantina di film che spaziano dal western alla commedia.
Adriana Asti
Irina Maaleva
Dopo aver cavalcato in maniera semi seria il filone decamerotico con film come Boccaccio e Il prode Anselmo e il suo scudiero, Corbucci passa alla commedia sexy reclutando per il cast il simpatico e sicuramente affidabile Carlo Giuffrè e affiancandogli nomi di un certo livello del cinema italiano come Lino Banfi e Enzo Cannavale con l’aggiunta di ottime e belle attrici come Tina Aumont, Marilu Tolo e Rita Calderoni, una volta tanto slegata dal suo mentore Polselli.
Per completare, Corbucci affida parti di contorno ad altri nomi importanti del cinema leggero come Gianni Agus,Vincenzo Crocitti e Adriana Asti, rendendo così quanto meno affidabile la parte recitativa.
Marilu Tolo
Anche se nello stretto ambito del cinema di genere Il trafficone risulta alla fine un prodotto ben confezionato,gradevole e quasi esente dalle triviliatà gratuite delle commedie sexy, con scene di sesso e nudo assolutamente castigate e dirette più che altro come degli sketch satirici.
Alla fine vien fuori una commedia che si gusta con piacere,grazie sia alla professionalità del cast sia ad alcune scenette ben costruite (quella iniziale con protagonista la Aumont,quella finale con la Tolo e il siparietto costruito dalla coppia Banfi-Maleeva).
Un’ora e mezza di cinema distensivo ed allegro, senza alcuna pretesa.
Il film è disponibile in una versione più che accettabile su You tube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=CWPPDxCsHV4
Vi ricordo che se usate Chrome è disponibile un’estensione che permette la visione del film off line; il software 4K video downloader permette altresi lo stesso lavoro.
Il trafficone
Un film di Bruno Corbucci. Con Marilù Tolo, Tina Aumont, Carlo Giuffrè, Gianni Agus, Adriana Asti, Enzo Cannavale, Lino Banfi, Elio Zamuto, Rita Calderoni, Irina Maleeva, Massimo Dapporto Commedia, durata 91 min. – Italia 1974.
Carlo Giuffré: Vincenzo LoRusso / dottor Gaetano D’Angelo
Enzo Cannavale: Gennaro, amico di Vincenzo
Rita Calderoni: Angela, moglie di Vincenzo
Lino Banfi: ragionier Luigi Scardocchio
Irina Maleeva: Silvana, moglie di Scardocchio
Elio Zamuto: Barone Vito Macaluso
Marilù Tolo: Rosalia, moglie del barone Macaluso
Tina Aumont: Laura Vitali
Adriana Asti: Virginia, moglie del pretore Filiberto Vettiglia
Gianni Agus: onorevole Rivolta
Renzo Marignano: Conte Everardo
Liuba Subcova: moglie del conte
Regia Bruno Corbucci
Soggetto Bruno Corbucci, Mario Amendola
Sceneggiatura Bruno Corbucci, Mario Amendola
Produttore Galliano Juso
Casa di produzione Cinemaster
Fotografia Guglielmo Mancori
Montaggio Daniele Alabiso
Musiche Ubaldo Continiello
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Il catalogo di inibizioni e bizzarrie sessuali nella vita di coppia si presenta in una veste solare e giocosa e oppone ai possibili rischi di caduta nel cattivo gusto la solida barriera di Giuffrè, che mantiene contegno e professionalità in tutti i pezzi proposti: alcuni sono più riusciti (le esilaranti fregole di Banfi e la cura dell’ipodotato Crocitti), altri meno, perché flosci (Agus e il transgender) o inutilmente reiterati (gli agguati della Asti). Valida spalla Cannavale; bollente la Tolo. Per la colonna sonora Continiello utilizza “Il ballo del qua qua”.
L’opinione di Motorship dal sito http://www.davinotti.com
Una curiosa commedia con protagonista assoluto il grandissimo Carlo Giuffrè nei panni del falso medico che usa la sua farlocca professione per soldi e per concedersi qualche bella occasione in quanto a donne. Giuffrè è esplosivo, divertente e non volgare, confrmando le sue doti di attore e di comico. Ottimi comprimari Enzo Cannavale, sempre all’altezza nei panni del suo sgangherato assistente, le bellissime Marilù Tolo, Tina Amount e Rita Calderoni, un giovane Lino Banfi già divertentissimo. Noioso l’episodio con Agus.
L’opinione di sasso 67 dal sito http://www.filmtv.it
Commedia abborracciata di tematica sessuale (Giuffrè, magliaro napoletano a Roma, si improvvisa sessuologo e fa i soldi), che prende a pretesto il nuovo mestiere del protagonista per avere maggior agio di creare situazioni al confine tra comicità ed erotismo. Con scarsi risultati, va detto, sull’uno e sull’altro versante. Cannavale strappa qualche risataccia, ma l’insieme è quasi deprimente, anche perché si notano errori di montaggio francamente imbarazzanti: per esempio, un attimo prima che il medico riceva i giovani sposini Vincenzo Crocitti e Pamela Villoresi, l’infermiera ha fatto alzare, nella sala d’attesa, una coppia che non somiglia nemmeno lontanamente (i due, per di più, sono vestiti in maniera completamente diversa) a quella che troviamo nello studio del “dottore”.
Tour de force di Carlo Giuffrè che, soldi a parte, avrebbe potuto dedicarsi ad altre attività umanamente più gratificanti.
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La controfigura
Una Citroen con a bordo Giovanni, architetto fallito, attraversa la città e si dirige verso un garage sotterraneo.
Qui, seminascosto nell’oscurità, c’è un uomo visibilmente nervoso, che all’arrivo dell’auto estrae da una borsa una pistola automatica e inizia a sparare addosso a Giovanni. Il primo colpo infrange il parabrezza ma il secondo colpisce in pieno l’architetto che stramazza al suolo.
Si dice che in punto di morte si riveda ad altissima velocità tutta la vita e a Giovanni capita invece di rivedere gli avvenimenti, le facce e le persone che ha frequentato negli ultimi tempi, in un mix che si accavalla senza sosta.
E’ l’inizio di La controfigura, film del 1971 diretto da Romolo Guerrieri, che capovolge le regole del thriller mettendo in scena l’atto finale della storia, per poi riprendere attraverso l’alternarsi del flashback la vita di Giovanni.
Un architetto di bassa tacca, che vivacchia con i soldi che gli passa il padre; ha sposato la bellissima quanto superficiale Lucia e nutre anche sentimenti equivoci per la altrettanto affascinante suocera Nora.
E’ questa bruciante passione che porta Giovanni a equivocare sulla simpatia che Nora gli porta;l’uomo, durante un viaggio in Africa la prende con la forza.
Nello stesso viaggio sia la moglie che la suocera conoscono un giovane e affascinante hippy, Eddie, verso il quale le due donne mostrano apertamente simpatia.
A quel punto Giovanni costringe sua moglie a tornare a Roma, ma quando apprende che sua suocera ha fatto anch’essa ritorno con Eddie, decide di andarla a trovare.
Al rifiuto netto della donna, Giovanni decide di penetrare nell’appartamento di Nora dove fa un’inaspettata scoperta, quella del cadavere di Eddie.
Convinto che ad uccidere l’hippy sia stata sua suocera, Giovanni fa scomparire il cadavere del giovane, ignorando che l’assassino è un maniaco….
Pesante il debito o se preferite il tributo ai film lenziani; analogo tributo o se vogliamo ispirazione per il film di Lado La corta notte delle bambole di vetro, che sostanzialmente ripercorre in flashback la vita di Gregory Moore,il giornalista americano in stato catalettico che rivede in flashback le sue vicissitudini.
Ma La controfigura presenta comunque diversi elementi a suo favore, a cominciare da una trama abbastanza lineare e ben svolta fino alla fine così come ben giocata è la carta dei continui flashback che ci illustrano la vita di Giovanni, il vero protagonista della storia.
Elegante confezione quindi, per un film molto più vicino ad un noir che ad un thriller.
Mancano infatti del tutto l’elemento slasher e quello strettamente ad alta tensione tipico dei film strettamente appartenenti al genere thriller, a tutto vantaggio di una storia che sembra privilegiare le gesta in primis di Giovanni e in secondo luogo di quelle di sua moglie Lucia, frivola e viziata e della sua affascinante madre.
Il film di Guerrieri è tratto, o forse sarebbe meglio dire ispirato all’ omonimo romanzo di Libero Bigiaretti; da quello che ho letto nelle varie recensione, pare che il romanzo abbia un andamento molto più introspettivo e psicologico, ma la cosa ha un’importanza relativa.
Girolami consegna al pubblico un film molto ben confezionato che ha qualche punto debole nei dialoghi, valga per tutti nel flashback iniziale la solita domanda del padre di Lucia a Giovanni, quella ormai di prammatica negli anni settanta: “Ma lei è comunista?”.
Ma questo è voler davvero trovare il pelo nell’uovo.
Il film ha momenti felici e un cast di buon livello, con la splendida Bosè su tutti.
L’attrice italiana ha fascino da vendere e surclassa la pur bella e a tratti nuda Eva Aulin.
Discreta la prestazione dell’immancabile Jean Sorel,autentica presenza fissa di numerosi film a metà strada tra il thriller, il giallo e il noir; presenze assolutamente di contorno quelle di Marilu Tolo, scarificatissima nel ruolo di un’amica di Giovanni non tanto segretamente attratta da lui e di Silvano Tranquilli, qui nel ruolo di Roger, marito di Nora e padre di Lucia.
Quasi invisibile Giacomo Rossi-Stuart, mentre il ruolo del commissario è affidato a Pupo De Luca, un altro grande caratterista del cinema anni settanta.
La controfigura è un film che passa raramente in tv, ed è quindi difficilmente rintracciabile in rete. A tutti consiglio la versione ricavata dalla proiezione televisiva che ne ha fatto Rete 4, che è di gran lunga la migliore oggi esistente.
La controfigura
Un film di Romolo Guerrieri. Con Silvano Tranquilli, Lucia Bosè, Jean Sorel, Antonio Pierfederici, Ewa Aulin, Marilù Tolo, Bruno Boschetti, Pupo De Luca Drammatico, durata 90 min. – Italia 1971.
Jean Sorel … Giovanni
Lucia Bosé … Nora Tosatti – Madre di Lucia
Ewa Aulin … Lucia
Silvano Tranquilli … Roger
Sergio Doria … Eddie Kennan
Antonio Pierfederici … Professor Bergamo
Bruno Boschetti … Il poliziotto Balestra
Giacomo Rossi-Stuart …Fratello di Giovanni
Pupo De Luca … Commissario
Marilù Tolo … Marie, amica di Roger
Regia Romolo Guerrieri
Soggetto Valentino Bompiani
Sceneggiatura Sandro Continenza, Sauro Scavolini
Produttore Gino Mordini
Fotografia Carlo Carlini
Musiche Armando Trovajoli
Candy e il suo pazzo mondo
Una timida e ingenua ragazza americana, Candy, durante una pallosa lezione scolastica si addormenta di botto.
La ragazza, che ha una fantasia spigliatissima e un candore disarmante a metà strada esatta tra la Alice nel paese delle meraviglie di Carroll e la versione femminile del Candido di Voltaire, sogna così di avventurarsi nel mondo degli adulti.
E’ per lei l’inizio di una serie di travolgenti esperienze senza respiro, durante le quali finisce per conoscere persone stravaganti, come lo scrittore MacPhisto che tenta di approfittare di lei nella sua limousine nera per passare nelle braccia di un giardiniere dai parenti del quale viene denunciata. Arrestata dalla polizia, riesce a fuggire in maniera rocambolesca quando l’auto con i due poliziotti che l’hanno fermata finisce dentro la vetrina di un club nel quale un illusionista sta ultimando un numero di magia. Fuggita su un aereo, viene nuovamente fatta oggetto delle voglie del comandante, dal quale fugge per ritrovarsi tra le mani di un chirurgo, il quale a sua volta vuol farle la festa.
L’infermiera del dottore, gelosa come una pantera, la costringe nuovamente alla fuga e a riparare in un bar dove però, ancora una volta, deve guardarsi dalle losche attenzioni di un regista.
Di avventura in avventura, sempre in fuga da uomini che da lei vogliono una sola cosa facilmente immaginabile, Candy continua le sue peregrinazioni difendendosi di volta in volta da un autotrasportatore che le ha dato un passaggio, da uno strano fachiro e buon ultimo da un santone che la porta in un tempio.
Qui Candy….
Candy e il suo pazzo mondo, diretto da Christian Marquand è tratto da un libro di un certo successo uscito negli Usa sul finire degli anni 50, scritto da Terry Southern e Mason Hoffenberg e intitolato semplicemente Candy.
Il film è una produzione francese con partecipazione italiana e americana e venne girato tra Fort Wadsworth e New York dal regista francese Marquand, più noto come attore che come regista.
In questa veste infatti girò solo due film, dei quali Candy è l’opera finale.
E visti i risultati vien da dirsi anche per fortuna.
Candy infatti è un incredibile guazzabuglio di situazioni e di scene girate a velocità folle, con improvvise perdite di ritmo e sopratutto senza una linearità di percorso.
Eva Aulin e Richard Burton
La giovane studentessa dall’immaginazione fervida viene trasportata in un mondo quasi reale, almeno come personaggi, a differenza dal modo fantastico di Alice nel paese delle meraviglie popolato da strane e incredibili creature.
Candy è bella e sexy, e suscita evidentemente incontrollabili e lussuriosi desideri in tutti gli uomini che incontra, nessuno escluso.
Lei è un’anima candida, pulita, che difende senza troppa convinzione la sua “purezza”; ma in un modo o nell’altro ogni volta che qualcuno tenta di farle la festa ecco un provvidenziale accadimento che le permette la fuga, fino al finale assolutamente logico e altrettanto deludente.
Un film psichedelico che ricorda alla lontana le gag di Questo pazzo, pazzo, pazzo mondo del quale condivide il cast stellare.
Raramente si è visto in un’opera cinematografica un cast così imponente dal punto di vista dei nomi utilizzati, se non in alcuni film a sfondo bellico o in qualche kolossal.
Marlon Brando
Si va da Marlon Brando a Richard Burton, da James Coburn a John Houston, da Walter Matthau a Ringo Starr e Charles Aznavour, affiancati da un cast femminile che include Marilu Tolo e Anita Pallenberg, Elsa Martinelli e Florinda Bolkan, Lea Padovani e Nicoletta Machiavelli.
Poi naturalmente c’è lei, la biondissima e minuta Eva Aulin, la diciottenne (all’epoca) attrice svedese di Landskrona che un anno prima si era fatta una certa fama con La morte ha fatto l’uovo e l’anno prima ancora con Col cuore in gola di Tinto Brass, recitato accanto a Trintignant.
La Aulin ha tutto per riuscire in questo film; ha un’aria candida e sperduta che la caratterizzano particolarmente, ha buone doti recitative e sopratutto non ha il fisico della vamp.
Quindi è perfetta per un personaggio lindo e pulito contrapposto ai lascivi personaggi che incontra.
Il cast è stellare, l’attrice principale è perfettamente calata nel ruolo, la storia c’è anche.
Allora cosa non funziona nel film?
Praticamente quasi tutto.
Se in Alice nel paese delle meraviglie la presenza di personaggi illogici è giustificata dalla fantasia della protagonista che incontra personaggi non umani e quindi appartenenti al mondo della fantasia come il Bianconiglio o lo Stregatto, Candy incontra personaggi umani che di strano hanno tutto.
A cominciare dai nomi, che possono essere quello di Hunchback juggler oppure del Dottor. A.B. Krankheit, di Zero o Grindl per finire alle loro professioni che non sono strane ma che sono svolte quasi fossero appartenenti ad un mondo alieno.
I personaggi sembrano tutti avere dei profondi problemi psicologici, delle specie di sdoppiamenti tra il reale e il fantastico quasi vivessero su un pianeta che non è la terra.
Se Marquand tenta di avvalorare questa tesi, lo fa nel peggiore dei modi; l’umano/fantastico/alieno ha però comportamenti troppo vicini a quelli quotidiani e tutti sembrano attirati da una cosa sola facilmente comprensibile.
Candy infatti suscità desiderio di possesso e l’umanità che incontra sembra farsi pregio del tentativo di infangare la sua purezza.
Vero è che tutto nasce nella fantasia della ragazza, ma allora perchè trasportarla in mille avventure caotiche e riportala al presente senza aver incontrato un solo esempio di umanità in positivo?
Questa e altre domande sorgono spontanee dopo pochi minuti di film, una volta compreso che il film purtroppo andrà a parare in una direzione precisa, cosa che avviene con puntualità mortale.
Nicoletta Machiavelli
Florinda Bolkan
La povera Candy attraversa mille posti e scampa a mille pericoli per poi rendersi conto che è stato tutto un sogno.
Noi lo sappiamo già, visto che il regista improvvidamente non usa nessun espediente per nascondercelo.
Dopo pochi minuti un senso di malcelata sopportazione invade lo spettatore che dopo metà film prende coscienza di una tragica realtà: il cast faraonico, il battage pubblicitario che ha preceduto il film altro non sono che una gigantesca nuvola di fumo negli occhi.
Non fosse per Child of the Universe cantata dai Byrds o per Magic Carpet Ride e Rock Me degli Steppenwolf l’abbiocco sarebbe in agguato pronto a far capolino nelle numerose pause del film.
Quelle in cui Candy guarda disarmata i palazzi di New York, in cui passeggia su uno dei ponti della grande mela, o quando segue il fachiro nel deserto….
Deprimente è vedere artisti del calibro di Brando e di Burton alle prese con personaggi distanti anni luce dalle loro corde così come è mortificante vedere poco più che comparsate fatte da Enrico Maria Salerno e Umberto Orsini.
Insomma, un film lanciato come un capolavoro che alla fine lascia stupefatti solo per il presappochismo dilettantistico con cui il film è girato.
Costato un pozzo di dollari, ricavò pochissimo al box office.
Charles Aznavour
Candy e il suo pazzo mondo
Un film di Christian Marquand, Giancarlo Zagni. Con Enrico Maria Salerno, James Coburn, Marilù Tolo, Ringo Starr,Richard Burton, Charles Aznavour, Marlon Brando, Ewa Aulin, Sugar Ray Robinson, Walter Matthau, Lea Padovani, Enzo Fiermonte, Christian Marquand, Elsa Martinelli, Umberto Orsini, Micaela Pignatelli, Peter Dane, John Huston, Florinda Bolkan, John Astin, Anita Pallenberg, Nicoletta Machiavelli, Joey Forman, Julian Beck
Fantastico, durata 115 min. – USA, Italia, Francia 1968.
Ewa Aulin: Candy Christian
Charles Aznavour: Hunchback juggler
Marlon Brando: Grindl
Richard Burton: MacPhisto
James Coburn: Dr. A.B. Krankheit
John Huston: Dr. Arnold Dunlap
Walter Matthau: Gen. R.A. Smight
Ringo Starr: Emmanuel
John Astin: T.M. Christian / Jack Christian
Elsa Martinelli: Livia
Sugar Ray Robinson: Zero
Anita Pallenberg: Nurse Bullock
Lea Padovani: Silvia Fontegliulo
Florinda Bolkan: Lolita
Marilù Tolo: Conchita
Nicoletta Machiavelli: Marquita
Umberto Orsini: The Big Guy
Enrico Maria Salerno: Jonathan J. John
Neel Noorlag (con il nome Neal Noorlac): Harold
Enzo Fiermonte: Al Pappone
Peter Dane: Luther
Peggy Nathan: Miss Quinby
Anthony Foutz (con il nome Tony Foutz):
Tom Keyes:
Mark Salvage: Dottor Harris
Micaela Pignatelli: Ragazza
Joey Forman: Charlie, il poliziotto
Fabian Dean: sergente di polizia
Ragni Malcolmsson: ragazza
Eva Aulin legge il libro da cui è tratto il film
Regia Christian Marquand
Soggetto Mason Hoffenberg, Terry Southern
Sceneggiatura Buck Henry
Produttore Robert Haggiag
Produttore esecutivo Selig J. Seligman, Peter Zoref
Casa di produzione American Broadcasting Company, Corona Cinematografica, Dear Film Produzione, Selmur Productions
Distribuzione (Italia) 20th Century Fox Home Entertainment
Fotografia Giuseppe Rotunno
Montaggio Giancarlo Cappelli, Frank Santillo
Effetti speciali Augie Lohman, Harold E. Wellman
Musiche Dave Grusin
Scenografia Dean Tavoularis
Costumi Mia Fonssagrives, Enrico Sabbatini, Vicki Tiel
Eva Aulin con Marlon Brando durante le prove
La Aulin con Elsa Martinelli in una foto pubblicitaria
Varie lobby card del film
Siamo tutti in libertà provvisoria
Durante un incontro amoroso con una misteriosa donna, l’onorevole Virgizio viene colto da infarto e muore. Ai funerali la vedova dell’onorevole, parlando con i figli, si dice convinta che il marito sia morto durante un’orgia.
Confida così i suoi dubbi al giudice Langellone, del quale è amico; il giudice è momentanemente sottoposto a indagini per aver partecipato ad una riunione di magistrati di orientamento politico fascista.
Langellone riesce a convincere il suo superiore della necessità di riaprire le indagini, nonostante quest’ultimo non abbia alcuna intenzione di concedere l’autorizzazione.
Marilù Tolo: Emilia moglie di Langellone
Macha Méril : Gisella moglie di Mario De Rossi
Ma con furbizia Langellone ottiene ciò che vuole e affida le indagini al Commissario Panzacchi, un integerrimo funzionario di polizia che affronta il suo lavoro con entusiasmo, nonostante capisca che la legge non è uguale per tutti.
Avrà modo di veder confermati i suoi peggiori sospetti, man mano che le indagini entrano nel vivo e permettono di far luce sulla vicenda.
Nel frattempo, viene sottoposto a indagini Mario De Rossi, un solerte e incorruttibile funzionario del ministero di giustizia, un uomo anonimo ma tutto di un pezzo, già trasferito due volte per non aver voluto accettare l’uso delle bustarelle nei ministeri in cui aveva prestato servizio.
Per sua sfortuna, il nome di De Rossi viene trovato tra le carte dell’onorevole defunto, e il pover’uomo, non riuscendo a ricordare dove fosse la sera dell’accaduto finisce per essere arrestato.
Riccardo Cucciolla: Mario De Rossi
Panzacchi, con tenacia, ricostruisce intanto la vicenda, grazie anche all’aiuto assolutamente involontario di una sua vecchia conoscenza milanese, Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’ un ex palo di una banda.
Mancini infatti racconta di come abbia collaborato a trasportare il corpo dell’onorevole Virgizio fuori da un appartamento affittato di volta in volta a coppie illegali e gestito proprio dalla moglie di De Rossi, una donna profondamente innamorata del marito ma anche amante della bella vita.
La donna approfittava dell’ingenuità di Mario De Rossi facendogli credere di vincere frequentemente al lotto, giustificando così le cospicue entrate della gestione della casa d’appuntamento che la donna utilizzava con la collaborazione di un malvivente di mezza tacca.
Proseguendo le indagini, Panzacchi scopre anche il nome della misteriosa donna che era con l’onorevole durante il congresso carnale clandestino;si tratta di Emilia, moglie del giudice Langellone che si concedeva svariati amanti per sfuggire alla routine matrimoniale.
Il commissario naturalmente indirizza con malizia i sospetti del giudice raccontandogli di aver trovato tra le carte del morto poesie d’amore dell’amante a Emilia, in cui sospirava d’amore e desiderio, di voglia di baciarle “quella tua voglia di fragola che hai sulla coscia”
Langellone collega immediatamente la moglie al morto e durante un colloquio notturno costringe la moglie a confessare.
Il giorno dopo presenta un’arringa al suo superiore, unitamente ad una lettera di dimissioni.
Ma il superiore riesce ad insabbiare tutto, promuovendo il giudice ad altro ufficio e soffocando lo scandalo.
L’unico a rimetterci davvero è il povero De Rossi, che finisce in un manicomio completamente fuori di senno, assistito però amorevolmente da sua moglie Gisella.
Francesca Romana Coluzzi: la vedova Virgizio
Film disomogeneo, disorganico, penalizzato da una eccessiva lunghezza e da alcuni “siparietti” davvero monotoni, Siamo tutti in libertà provvisoria esce nelle sale italiane nel 1971 per la regia di Manlio Scarpelli, più conosciuto per aver scritto sceneggiature di fiction televisive (all’epoca chiamate serie Tv) come Il commissario De Vincenzi e la riduzione televisiva del Sandokan.
Creato con dispendio di mezzi e con un cast di primissimo piano, Siamo tutti in libertà provvisoria mostra la corda dopo poco più di venti minuti, arenandosi in una serie di ritratti poco incisivi e superficiali dei protagonisti della vicenda.
Che sicuramente, nelle intenzioni di Manlio Scarpelli e Ruediger von Spiess che curarono la sceneggiatura, prevedeva una sorta di satira sociale sui mali della giustizia e sul perbenismo della buona società, sulla inutilità di essere portatori di valori sani (testimoniata dalla ingiusta reclusione di De Rossi) e viceversa sul delitto che paga, anche se in questo caso siamo davvero di fronte a reati di pochissimo conto che colpiscono più la morale che le leggi che governano la società civile.
Il mondo della magistratura è visto come un’ambiente più simile ad una giungla, dove vige la legge del più forte che un mondo dove il cittadino sa di potersi rivolgere per ricevere giustizia; ma il tutto è raccontato sia in parole che in immagini così sommarie e mal definite da risultare sterile.
Deprimenti sono ad esempio le interruzioni della narrazione intervenute per mostrare gli incubi del povero De Rossi, che non riesce in alcun modo a spiegarsi come la giustizia possa sbagliarsi un modo tanto maldestro, così come assolutamente fuori luogo è la lunga partita a carte tra il commissario Panzacchi e il piccolo furfante Pulcinella.
Philippe Noiret,Il giudice Langellone
L’ultima perla è il duello in aula tra l’avvocato difensore e la pubblica accusa, naturalmente anche questo girato ad alta velocità e con immagini sfumate, quasi a voler simboleggiare il confine tra sogno e realtà.
Il cast, pur di gran livello, non riesce a uscire dalla palude dei luoghi comuni e del deja vu che infestano la sceneggiatura; così troviamo un buon Riccardo Cucciolla che interpreta con garbo e in maniera dolente lo sfortunato e onesto de Rossi accanto a Vittorio De Sica assolutamente svogliato e svagato nel ruolo poco credibile del napoletano Mancini-Pulcinella, bene Ivo Garrani nel ruolo del capo dei magistrati e bene anche Cirino (il commissario Panzacchi), Macha Meril (la moglie di De Rossi), Marilu Tolo (la moglie di Langellone). Malissimo Noiret(Langellone) ,
lento apatico e doppiato in maniera dilettantesca e altrettanto male Lionel Stander, l’avvocato difensore di De Rossi. Piccole parti per Francesca Romana Coluzzi (la moglie dell’onorevole Virgizio) e per la grande Lia Zoppelli, che interpreta la direttrice di un atelier.
Vi segnalo la amena recensione del Morandini, assolutamente sbagliata che mostra ancora una volta l’inattendibilità di parte delle recensioni stesse; fate voi stessi il confronto fra il plot “vero” e quello del Morandini stesso; “Protagonista è un poveraccio afflitto da una moglie che crede di avere il bernoccolo degli affari. La donna si lancia in una serie di speculazioni ai limiti del codice e chi ne fa le spese è il marito che si ritrova da un giorno all’altro indiziato di reato. Durante l’istruttoria lo accusano formalmente di peculato. A suo carico ci sono solo indizi, ma intanto per il poveraccio è una via crucis di cui non s’intravede nemmeno la conclusione.” Sic….
Langellone rinfaccia a Emilia la sua doppia vita
Siamo tutti in libertà provvisoria,un film di Manlio Scarpelli. Con Vittorio De Sica, Riccardo Cucciolla, Lionel Stander, Philippe Noiret, Mario Pisu, Claudio Gora, Vinicio Sofia, Vittorio Sanipoli, Riccardo Garrone, Mimmo Poli, Ivo Garrani, Andrea Bosic, Umberto Raho, Marilù Tolo, Macha Méril, Francesca Romana Coluzzi, Bruno Cirino, Francesco Sineri
Commedia, durata 93 min. – Italia 1971.
Bruno Cirino :Commissario Panzacchi
Vittorio De Sica: Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’
Riccardo Cucciolla … Mario De Rossi
Philippe Noiret … Giudice Francesco Langellone
Macha Méril … Gisella moglie di Mario De Rossi
Bruno Cirino … Commissario Panzacchi
Lionel Stander … Avvocato Bartoli
Vittorio De Sica … Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’
Marilù Tolo … Emilia moglie di Langellone
Ivo Garrani …Procuratore generale
Francesca Romana Coluzzi … Moglie dell’onorevole Virgizio
Claudio Gora … Capo del Ministero, superiore di De Rossi
Vittorio Sanipoli … Questore
Lia Zoppelli … Direttrice dell’atelier
Umberto Raho … Di Meo
Regia Manlio Scarpelli
Sceneggiatura Manlio Scarpelli, Ruediger von Spiess
Casa di produzione Zafes Film
Fotografia Marco Scarpelli
Montaggio Carlo Reali
Musiche Augusto Martelli
Prigione di donne
Ingresso alle celle di un carcere femminile.
Martine, una studentessa francese, guarda attonita la fila di celle che la circonda e rivive i momenti che hanno preceduto il suo arrivo e la sua detenzione nel carcere.
La giovane, una studentessa giunta a Roma per motivi di studio, gironzola con una sua amica tra le rovine della città eterna ed entra in una grotta dove ci sono dei giovani che stanno utilizzando droga.
L’arrivo della polizia fa si che uno di essi infili delle bustine di stupefacenti nella tasca del vestito di martine, che nel frattempo viene fermata, arrestata e tradotta in questura.
Martine Brochard interpreta Martine
Nonostante proclami la sua innocenza, la giovane viene portata in carcere, dove inizia la sua odissea.
Viene infatti sottoposta ad un’umiliante ispezione corporale e spedita in una cella in compagnia di detenute per vari reati.
Qui Martine fa conoscenza con Susanna, una prostituta che è anche la più violenta della cella, leader del gruppo di detenute, con Gianna che è una “mammana” ovvero una persona che pratica aborti clandestini, con Grazia, una detenuta politicizzata.
Le condizioni di vita delle detenute sono disumane; angariate dalle superiori e da suore che hanno poca pena sia delle anime sia dei corpi delle stesse detenute, le donne diventano molto più ciniche e disumane proprio in virtù del trattamento che subiscono.
Le stesse alla fine attuano una serie di vendette nei confronti delle secondine e delle superiori; adulterano il cibo, denudano una delle suore più giovani umiliandola e costringendola a girare completamente nuda e via dicendo.
Susanna promuove una rivolta per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita, ma la rivolta tessa finisce nel sangue; sarà Grazia a pagare quando, inseguita dai poliziotti che nel frattempo hanno sedato a manganellate la rivolta, deciderà di suicidarsi pur di non tornare in cella.
Martine, ancora una volta innocente in quanto ha tentato in tutti i modi di frenare la rivolta, viene inviata con Susanna, Gianna ed altre in un carcere di massima sicurezza, dal quale però uscirà quasi subito essendo stata riconosciuta la sua estraneità alla vicenda originale che l’ha portata in carcere, ovvero la detenzione della droga.
E’ una donnamolto più matura quella che lascia il penitenziario e sale su un traghetto, guardando con pietà il carcere nel quale ci sono ancora le sue compagne di sventura.
Prigione di donne è un WIP, women in prison, un genere cinematografico che ebbe un certo successo ambientato sempre all’inetrno di carceri e penitenziari femminili; si distingue dagli altri numerosi cloni per una certa sobrietà sia nello stile del racconto sia per la quasi totale assenza di una delle componenti che caratterizzarono molti film del filone, ovvero le immancabili sequenze saffiche tra detenute.
La componente erotica è limitata ad un paio di scene peraltro molto caste, come la sfida lanciata da Susanna che inscena una finta masturbazione a tutto vantaggio di una guardia di custodia e a qualche immancabile scena di docce comuni.
Il film ha anche l’ambizione di denunciare il trattamento subito dalle detenute nelle carceri, e quà fallisce un pò l’obiettivo per eccesso di zelo.
Brunello Rondi, regista molto controverso, autore di film smaccatamente erotici come I prosseneti e Velluto nero, ma anche di film di discreta fattura come Ingrid sulla strada, è troppo smanioso di conferire alla sua pellicola una patente di credibilità e mette troppa carne al fuoco.
Il film così assume a tratti caoticità mescolata ad una denuncia forte ma anche esagerata delle condizioni di vita delle detenute; le secondine, le suore, il personale del carcere, il commissario, l’avvocato finiscono per essere caratterizzati in senso negativo e ciò nuoce alla credibilità del film stesso.
La scena del sicidio di Grazia, con tanto di tv pronta a sciacallare sull’evento con una diretta in cui il cronista altro non aspetta che la morte della ragazza per fare audience è molto forzata, così come esagerata è la recitazione della pur brava (e bellissima) Marilu Tolo che interpreta Susanna.
L’oltraggio alla giovane suora, l’attrice Cristine Galbò
L’attrice romana dà un tono di isterismo al suo personaggio francamente irritante; molto più posata Martine Brochard che interpreta la svagata Martine, colpevole solo di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Le altre attrici, fra le quali segnalo Cristine Galbò che interpreta la giovane suora, Erna Schurer che interpreta l’equivoca Gianna e Katia Christine, che da corpo al personaggio tragico di Grazia fanno il loro dovere con professionalità.
La sequenza della morte di Grazia, l’attrice Katia Christine
Competano il cast Corrado Gaipa, il magistrato, Luciana Turina qui nelle vesti di una suora, Maria Pia Conte che interpreta l’amica di Martine che si guarda bene dall’intervenire al momento dell’arresto della stessa e Andrea Scotti, l’antipaticissimo poliziotto che interroga Martine facendo pistolotti abbastanza surreali sui francesi e sugli studenti che potrebbero stare a casa loro senza importunare la gente per bene.
Un film di buona fattura quindi, ben sceneggiato e ben diretto, con momenti abbastanza felici mescolati ad esagerazioni sceniche, che però non inficiano sulla buona riuscita del film, che in fondo è abbastanza interessante e coinvolgente.
Prigione di donne, un film di Brunello Rondi. Con Marilù Tolo, Martine Brochard, Erna Shurer, Andrea Scotti, Erna Schurer, Lorenzo Piani, Corrado Gaipa, Aliza Adar, Katia Christine, Luciana Turina, Christine Galbo
Drammatico, durata 90 min. – Italia 1974.
Martine Brochard Martine Fresienne
Marilù Tolo … Susanna
Erna Schürer … Gianna
Katia Christine … Grazia
Cristina Galbó … La giovane suora
Isabelle De Valvert … Isabelle
Aliza Adar … La detenuta di colore
Luciana Turina … Suora
Maria Cumani Quasimodo- Suor Ursula, la madre superiora
Maria Pia Conte … L’amica di Martine
Felicita Fanny … Una detenuta
Corrado Gaipa … Magistrato
Giovanna Mainardi… Secondina
Anna Melita … Una hippie
Lorenzo Piani … L’hippy tossico
Jill Pratt … La madre di Martine
Regia: Brunello Rondi
Sceneggiatura: Brunello Rondi, Leila Buongiorno, Aldo Semeraro
Prodotto da: Pino De Martino
Musiche: Alberto Verrecchia
Film Editing : Giulio Berruti
Costumi: Oscar Capponi
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Uno dei primi e più riusciti (causa professionalità del regista e degli interpreti) Women in Prison di stampo italiano. Incentrato sulle vicende della nuova introdotta all’interno d’un carcere femminile, che devo sopportare ogni tipo di vessazione, a cominciare dalle ispezioni intime (decisamente forti nella versione integrale). Il tema predominante (ovvero il sesso) è esplorato in maniera distorta, come già era accaduto in un altro dramma, sempre siglato da Rondi (Valeria Dentro e Fuori, 1972). Sicuramente un titolo di punta nel genere…
Nobile assunto, ma film indeciso (fra denuncia civile e concessione all’erotismo, fra recitazione composta – la Brochard – e quella eccesivamente sguaiata – la Tolo, eccetera). Calcare troppo sugli aspetti di denuncia (penso alla figura della Cumani Quasimodo), rischia di cadere nel grottesco, nel non credibile, e quindi nel non far arrivare a bersaglio la denuncia. Gineceo favoloso: oltre alle citate, la Schurer, la Christine (sì! La vittima designata) e la Galbó (sì! Gli orrori del Liceo).
Avvalendosi della consulenza alla sceneggiatura del criminologo Semerari, Rondi getta un’occhiata polemica contro il sistema carcerario e mediatico, ma nello stesso tempo cede ai richiami del wip puro – nudi, ispezioni corporali, secondine sadiche, docce, masturbazioni, lesbismo, rivolte – per il quale dispone di una nutrita manovalanza femminile, ben caratterizzata nel fisico e nell’animo: innocente e sensibile la Brochard, burina romantica la Tolo, ribelle la Christine, vezzosa la Schurer; al di là delle sbarre, una ieratica Cumani e una fragile Galbò. Acconce musiche di Verrecchia.
Women in prison di quelli teoricamente a mezza strada tra le nobili intenzioni e le concessioni al pubblico. In realtà il lato sociale è piuttosto debole, con le solite accuse al sistema che opprime le donne eccetera; ed anche a livello exploitation il film non mi ha convinto più di tanto. Certo si tratta di un film vitale, forse persino troppo con queste donne che non fanno altro che fare caciara appena possono; ma nel complesso l’ho trovato deludente
Film su donne in prigione che per la prima volta anzichè puntare unicamente su sesso e violenza dà spazio anche a una – ridicola – denuncia sociale. Certe scene sono talmente esagerate da far ridere, vedi quando Christine chiama e chiede di parlare col presidente della repubblica (sic!) o la rivolta fatta da donne spogliate a forza. Mediocre, considerando anche il livello delle altre pellicole italiane (e estere) su questo (per fortuna oggi tramontato) sottogenere.
Di forte impatto emotivo, ma non travolgente come altri film dello stesso regista, forse anche perché la protagonista sembra un pesce fuor d’acqua e la si apprezza più che altro per la sua caparbietà a difendersi e a credere in una giustizia. Vincono la Tolo, con le sue espressioni sprezzanti e sarcastiche, i visi truccati della Schurer e la meraviglia strabiliante della Christine… Sembra che Rondi l’abbia fatto apposta a far torturare la più bella…
Le cinque giornate
Cainazzo è un ladruncolo, in prigione per reati comuni; siamo nel 1848, a Milano, alla vigilia delle famose 5 giornate.
Una cannonata sfonda il muro del carcere, così Cainazzo ha la possibilità di fuggire.
Dopo aver incontrato i suoi vecchi compari di ruberie, l’uomo si imbatte in Romolo, un giovane romano a cui una cannonata distrugge invece il laboratorio di panetteria in cui lavora.
Cainazzo (Adriano Celentano) in carcere
I due così prendono a vagare per la città, mentre infuriano i moti popolari di ribellione contro gli austriaci.
Romolo e Cainazzo si imbattono in un’umanità variegata, fatta di cialtroni, nobili ansiosi di cavalcare la ribellione popolare, approfittatori, ladri,avventurieri, sinceri patrioti e doppiogiochisti.
Dopo aver aiutato a partorire una giovane donna, si imbattono in una contessa libertina che costruisce una barricata con i mobili del suo palazzo, in un nobile debosciato che vive in un palazzo depredato dai rivoltosi (solo i libri sono rimasti al loro posto, simbolo di una ottusa concezione della ricchezza), poi in un barone che guida un gruppo di poveri ignoranti e altro ancora.
Cainazzo e Romolo riescono a passare indenni, pur tra molte peripezie, tra i disordini, la reazione austriaca, i processi sommari; ma il giovane romano pagherà con la vita la ribellione ad uno stupro perpetrato ai danni di una ragazza milanese sorpresa a letto con un austriaco.
Con gli occhi gonfi di pianto, Cainazzo sale sul palco degli effimeri vincitori della battaglia, e davanti ai milanesi radunati in piazza, ridendo grida loro “Ci hanno fregati!”
Unico lavoro di Dario Argento che non presenti una trama thriller, Le cinque giornate, diretto dal regista romano nel 1973 ebbe un’accoglienza tiepida sia a livello di critica sia a livello di pubblico.
Marilù Tolo, una contessa davvero speciale
Un vero peccato, perchè il film è di ottima fattura, pur risentendo di una trama spesso avviluppata e contorta, con troppi personaggi e troppi incontri dei due protagonisti con gente di ogni risma, il tutto condensato in soli 5 giorni di battaglia, quanto durarono i moti antiaustriaci del 1848
Un film che si regge sopratutto sulle figure ben caratterizzate dei due protagonisti, Cainazzo interpretato da Adriano Celentano e Romolo, interpretato dal compianto Enzo Cerusico.
I due si muovono in una Milano irreale, popolata da gente di ogni risma; la loro saggezza popolare li porta a diffidare dei vari personaggi che incontrano, tant’è vero che man mano che la loro amicizia si sviluppa e conslida, sembrano quasi diventare due corpi estranei in quella rivoluzione che non solo sentono lontana da loro, ma che vedono come velleitaria e spronata da gente con interessi luridi da difendere.
La visione del regista, che a tratti usa l’arma della comicità con buona mano, come nel caso del surreale parto che vede protagonisti i due amici, è sicuramente ironica e amara; non sembrano esserci personaggi degni di stima, nella storia.
Dalla contessa che appoggia la rivoluzione e che si comporta quasi fosse ad un pranzo di gala, passando per il barone rivoluzionario che stuprerà la povera ragazza colpevole di amare un austriaco, passando per Libertà, uno dei compagni di ruberie di cainazzo, che da un lato è il capo dei rivoluzionari, dall’altro un venduto agli austriaci, tutte le figure che compaiono nel film sono miserabili e arriviste.
La rivoluzione, per loro, è fonte di arricchimento, di conquista di potere mentre il popolo, quello che ci lascia la pelle sulle barricate, è carne da macello, sacrificabile in nome del proprio abietto obiettivo.
Questa visione pessimistica è stemperata in molti casi dalla sarcastica ironia che Dario Argento fa affiorare nel film; che diventa però, in alcuni casi, abbastanza irritante.
Comunque il film rimane di buon livello; sicuramente preziosa è l’opera dei due attori principali, ai quali va aggiunta la bellissima Marilu Tolo, che all’epoca del film era la compagna del regista romano e che tratteggia perfettamente il ruolo della contessa un tantino ninfomane.
Buona la fotografia e la ricostruzione storica di un film che avrebbe meritato ben altra sorte, che resta un buon esercizio di un regista che ha dimostrato di avere un’ottima conoscenza del mezzo cinematografico.
Le cinque giornate, un film di Dario Argento. Con Marilù Tolo, Adriano Celentano, Glauco Onorato, Enzo Cerusico, Luisa De Santis, Carla Tatò, Emilio Marchesini, Stefano Oppedisano, Fulvio Mingozzi, Loredana Martinez, Sergio Graziani, Ivana Monti, Ugo Bologna, Renato Paracchi, Luca Bonicalzi, Salvatore Baccaro, Guerrino Crivello
Commedia, durata 124 min. – Italia 1974.
Adriano Celentano – Cainazzo
Enzo Cerusico – Romolo Marcelli
Marilù Tolo – La contessa
Luisa De Santis – Donna Incinta
Glauco Onorato – Zampino
Carla Tatò – La Vedova
Sergio Graziani – Barone Tranzunto
Salvatore Baccaro – Garafino
Ugo Bologna – Ufficiale
Tom Felleghy – Mariano
Emilio Marchesini – Prigioniero
Fulvio Mingozzi –
Ivana Monti – La donna stuprata
Stefano Oppedisano –
Dante Maggio – Vecchio
Dario Argento – Regista
Dario Argento – Sceneggiatore
Nanni Balestrini – Sceneggiatore
Luigi Cozzi – Sceneggiatore
Enzo Ungari – Sceneggiatore
Salvatore Argento – Produttore
Claudio Argento – Produttore
Giorgio Gaslini – Compositore Della Musica
Luigi Kuveiller – Direttore Della Fotografia
Franco Fraticelli – Montatore
Elena Mannini – Costumista
Infelicissima escursione argentiana fuori dai suoi territori, benché generose dosi di violenza certifichino che anche in vacanza Darione pensava comunque al core business. Sceneggiatura di Balestrini confusa e velleitaria, attori non all’altezza, cattivo o nullo governo dei registri (con prevalenza di un grottesco un po’ troppo conclamato), insomma un ciofecone che si può tranquillamente accantonare, o guardare solo per documentazione.
Per capire il senso del film, basta fare riferimento alla frase di Celentano, rivolto al compare: “E ora andiamo a vedere che cazzo è ‘sta rivoluzione”. Trattasi infatti della rivolta contro gli austriaci vista dagli occhi di due poveracci ignoranti (da piegarsi la scena dell’esplosione della panetteria, col fornaio illeso). Ne vedranno un po’ di tutti i colori, anche se Argento (qui decisamente fuori dai suoi abituali binari) la butta anche sul ridere, pur distribuendo sangue e violenza. Troppo lungo e pasticciato (misto-generi), ma vedibile.
Unica escursione di Dario Argento al di fuori del genere giallo/horror. Dopo la trilogia degli animali (che gli fruttò successo e notorietà mondiali), il regista romano provò a cambiare decisamente rotta ma il pubblico non premiò questa scelta e così torno rapidamente sui suoi passi (il film successivo fu il capolavoro Profondo rosso). Argento comunque sforna un prodotto più che dignitoso (anche se indubbiamente il thriller gli è molto più congeniale), in cui abbondano scene di notevole violenza. Buona l’interpretazione di Celentano e Cerusico.
Comunemente definito come un incidente di percorso o dun’opera minore nella filmografia di Dario Argento, è invece un singolare film storico pieno di ironia, realizzato con una regia deliziosa. Fra i suoi pregi maggiori si evidenzia una funzione ritmica del montaggio, il rigore cromatico e le inquadrature di alcune scene girate a 18 fotogrammi al secondo, la stessa velocità usata dalle macchine da presa nel cinema muto (un chiaro omaggio del maestro a Charlie Chaplin). Rivisto oggi da chi non guarda solo horror lo rivaluto grandemente.
Confessione di un commissario al Sostituto Procuratore della Repubblica
Il Commissario Giacomo Bonavia, un onesto e disilluso funzionario di polizia, tenta da anni inutilmente di incastrare il boss mafioso Ferdinando Lomunno, responsabile tra l’altro della morte del sindacalista Giampaolo Rizzo, amico dello stesso commissario. Non potendo incriminarlo, perchè ogni volta che è arrestato Lomunno riesce ad uscire pulito dalle inchieste, Bonavia decide di far uscire dal carcere Michele Lipuma, fratello di Serena, ex amante di Lomunno, nemico giurato dello stesso.
Martin Balsam
Marilù Tolo
L’uomo, travestito da poliziotto, tenta di uccidere Lomunno a colpi di mitra, ma riesce soltanto a uccidere le sue guardie del corpo, prima di essere ucciso a sua volta. Delle indagini viene informato il Sosituto procuratore della Repubblica Traini, che ben presto entra in rotta di collisone con il commissario. In un crescente clima di sospetti tra i due, il Procuratore inizia a indagare sul commissario, che a sua volta arriva a far mettere sotto controllo il telefono del Procuratore, servendosi del suo fido aiutante Michele.
Franco Nero
La tensione tra i due arriva al massimo quando il Procuratore, che sta indagando sull’intreccio tra i tre killer morti, e gli affari poco puliti a cui non sono estranei il Sindaco, un onorevole e un presidente di bana, decide di sospendere il Commissario dal suo incarico, dopo aver scoperto che lo stesso sta coprendo Serena Lipuma, ora vittima designata di Lomunno, in quanto al crrente di troppi segreti. Sospeso, il commissario decide di farsi giustizia da se: armato di una pistola entra in un ristorante e con un solo colpo fredda Lomunno.
Luciano Catenacci
Il Commissario viene arrestato, proprio mentre Traini è arrivato a scoprire tutti i protagonisti dell’intreccio mafia-politica-affari. Serena viene rapita e uccisa, perchè il suo nascondiglio viene scoperto dalla mafia grazie all’aiuto di Malta,, Procuratore della Repubblica. Il Commissario Bonavia paga con la vita il suo coraggio, ucciso da due killer in carcere, ma Traini, deciso ad andare a fondo, si reca da Malta.
Il film si interrompe quà, lasciando presagire un’indagine sul Procuratore capo.
Confessione di un Commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica, film del 1971 diretto da Damiano Damiani, è un ottimo prodotto, dal ritmo serrato e dalla trama scorrevole. Il contrasto tra i due protagonisti, Traini e Bonavia viene abilmente montato e esacerbato dai reciproci sospetti, come nella memorabile scena in cui i due si scambiano reciproche accuse.
C’è tensione, nel film, c’è denuncia, c’è ritmo, e sopratutto c’è un cast assolutamente perfetto, che interpreta i vari personaggi con professionalità e abilità. Bravissimo Martin Balsam, il Commissario Giacomo Bonavia, un uomo integerrimo che inutilmente cercherà di far capire a Traini che i metodi della giustizia alle volte devono essere sorpassati da sitemi più duri. Bene anche Franco Nero, nel ruolo dell’onesto, ma testardo Traini, così come bravissima è Marilu Tolo nel ruolo di Serena
Gran cast di caratteristi, che include Claudio Gora, il Procuratore della Repubblica Malta, Arturo Dominici, il losco avvocato della mafia Canistraro, Luciano Catenacci, il boss Ferdinando Lomunno, Giancarlo Prete, il sindacalista Giampaolo Rizzo. Un film a metà strada tra la denuncia e il poliziesco classico, che fa passare due ore in un nulla.
Confessione di un Commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica, un film di Damiano Damiani. Con Claudio Gora, Marilù Tolo, Martin Balsam, Arturo Dominici, Franco Nero.Nello Pazzafini, Calisto Calisti, Sergio Serafini, Giancarlo Prete, Bruno Boschetti, Giancarlo Badessi, Adolfo Lastretti, Luciano Lorcas, Giuseppe Alotta, Wanda Vismara, Michele Gammino Poliziesco, durata 103 min. – Italia 1971.
Franco Nero … Il sostituto Procuratore Traini
Martin Balsam … Commissario Bonavia
Marilù Tolo … Serena Li Puma
Claudio Gora … Il Procuratore capo Malta
Luciano Catenacci Ferdinando Lomunno
Giancarlo Prete … Giampaolo Rizzo
Arturo Dominici … Canistraro
Michele Gammino Gammino
Adolfo Lastretti … Michele Li Puma
Nello Pazzafini … Il detenuto del manicomio
Calisto Calisti … Il mafioso
Adele Modica … Lina Paladino
Dante Cleri … Usher
Roy Bosier … Giuseppe Lasciatelli
Regia Damiano Damiani
Soggetto Damiano Damiani, Fulvio Gicca Palli
Sceneggiatura Damiano Damiani, Salvatore Laurani
Produttore Mario Montanari, Bruno Turchetto
Casa di produzione Euro International Film, Explorer Film ’58
Fotografia Claudio Ragona
Montaggio Antonio Siciliano
Musiche Riz Ortolani
Scenografia Umberto Turco
Mio caro assassino
Nelle vicinanze di uno stagno si consuma un orribile delitto; un uomo viene agganciato da una benna per la testa, e viene orribilmente decapitato. Sul posto, per indagare su quella che sembra una sciagura colposa, ad opera del manovratore della benna stessa, arriva l’ispettore Luca Peretti (George Hilton) , che sin dall’inizio sembra titubante.
Quando viene rintracciato il corpo del manovratore, trovato impiccato ad una trave, Peretti ha la conferma che si tratta di un duplice omicidio; la messa in scena del finto suicidio viene immediatamente svelata dall’intuizione dell’inquirente. Indagando sul passato della prima vittima, Paradisi, un ex investigatore di assicurazioni, Peretti si imbatte nella compagna dell’uomo ( una bellissima Helga Linè), che trova, all’interno di una giacca, delle chiavi di una cassetta postale. La donna si reca, dietro consiglio dell’ispettore, a controllarne il contenuto, ma all’interno dell’ufficio postale viene assassinata dal misterioso killer.
Monica Randall
Che però commette un errore fatale; riesce a strappare solo un brandello della busta che la povera donna stringeva tra le mani. Grazie all’analisi della busta, che contiene un foglio di quaderno con un disegno, Pieretti arriva a collegare i delitti ad una brutta storia avvenuta anni prima, quella del rapimento di Stefania, figlia di un facoltoso industriale, scomparsa con il padre dopo il pagamento del riscatto e rinvenuta morta con lo stesso in un bunker su una collina. Con l’aiuto della signorina Rossi ( Patty Shepard), insegnante della bambina, Luca Pieretti ricostruisce il ruolo del Paradisi nella vicenda; ma il misterioso kller torna in azione e la povera signorina Rossi viene brutalmente fatta a pezzi con una fresatrice, unica scena splatter del film.
Marilu Tolo e George Hilton
Pieretti, che ha un legame tormentato con la dottoressa Borgese ( una splendida e affascinante Marilu Tolo), sacrifica anche la sua vita privata pur di assicurare il killer alla giustizia; si dedica anima e corpo alle indagini, coadiuvato al fido maresciallo Marò (Salvo Randone); scopre così che il Paradisi aveva scoperto qualcosa sul rapimento, e che ricattava i componenti della famiglia di Alessandra, i Moroni, della quale fanno parte la moglie del defunto, Eleonora ( Diana Ghia), la cognata Carla (Monica Randall), Oliviero, il fratello (Tullio Valli), Giorgio Canavese (William Berger). A poco a poco l’ispettore, nonostante il kller elimini ogni volta tutte le tracce dell’accaduto, riesce a ricostruire l’accaduto, e durante un drammatico interrogatorio collettivo, a smascherare l’insospettabile colpevole.
Lara Wendel
Più che un thriller, il film di Tonino Valerii, girato nel 1972, è un noir, con i tempi tipici del film di genere; grande attenzione viene data ai dettagli, e la trama sembra reggere bene, congegnata com’è attorno al rapimento di Alessandra ,una giovanissima Lara Wendel; niente sangue a profusione, se non nella scena gore dell’assassinio della maestra Rossi, fatta a pezzi con una fresatrice; il resto è solo atmosfera, con l’inseguimento implacabile di Pieretti, sulle tracce dell’inafferrabile killer. C’è nel film una scena assolutamente fuori luogo, e che oggi sarebbe impensabile; durante l’interrogatorio di uno dei componenti della famiglia, c’è un nudo di una bambina di dieci- undici anni, spacciato per quello di una modella in erba. Una scena e una scelta assolutamente discutibile.
Helga Linè
Un film bello, intenso, tutta atmosfera, ben diretto da Valerii, e assolutamente ben recitato da tutti i protagonisti. Bella la Tolo, intensa, nel breve ruolo della compagna di Pieretti. Credo che Mio caro assassino possa essere considerato come una delle produzioni migliori dell’intero decennio settanta e che ancora oggi possa essere visto con interesse.
Un film di Tonino Valerii. Con George Hilton, Marilù Tolo, Dante Maggio, William Berger.
Salvo Randone, Enzo Fiermonte, Piero Lulli, Andrea Scotti, Elisa Mainardi, Alfredo Mayo, Helga Liné, Corrado Gaipa, Monica Randall, Dana Ghia, Pietro Ceccarelli, Patty Shepard
Giallo, durata 92 min. – Italia 1972.
George Hilton: Ispettore Peretti
Salvo Randone: Marò
William Berger: Giorgio Canavese
Manuel Zarzo (aka Manolo Zarzo): Brigadier Bozzi
Patty Shepard: la mestra Paola Rossi
Piero Lulli: Alessandro Moroni
Helga Linè: compagna di Paradisi
Dante Maggio: Mattia Guardapelle
Alfredo Mayo: Beniamino
Corrado Gaipa: capo dell’agenzia assicurativa
* Marilù Tolo: Dottoressa Anna Borgese
Tullio Valli: Oliviero Moroni
Dana Ghia: Eleonora Moroni
Monica Randall: Carla Moroni
Lara Wendel (aka Daniela Rachele Barnes): Stefania Moroni
Lola Gaos: Adele
Regia Tonino Valerii
Soggetto Franco Bucceri, Roberto Leoni
Sceneggiatura Franco Bucceri, Roberto Leoni, José Gutiérrez Maesso, Tonino Valerii
Produttore Roberto Cocco
Fotografia Manuel Rojas
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Claudio Cinini, Francesco Canet
Costumi Fiorenzo Senese
Trucco Vittorio Biseo
Marilù Tolo
Una carriera cinematografica di tutto rispetto quella di Maria Lucia Tolo, in arte Marilù Tolo, attrice romana nata nella capitale il 16 gennaio del 1944, composta da quasi 70 film e da altre partecipazioni a serie televisive. Alta, bella, dal fisico armonico, un volto in cui splendono due occhi affascinanti e profondi, Marilù ha sicuramente approfittato delle sue doti fisiche per imporsi all’attenzione del mondo dello spettacolo, e grazie ad esse ha potuto esordire come modella in sfilate di moda;
Marilu Tolo in Viva la muerte tua
un’attrazione fatale, perchè proprio sulle passerelle nacque la sua relazione giovanile più importante, quella con lo stilista Valentino Garavani, che la ricorda così: “un grande amore l’ho avuto. L’attrice Marilù Tolo. Ero molto innamorato di lei: era veramente bellissima, bruna, con questi occhi incredibili. Lei aveva solo 17 anni, e io 27. Le ho anche regalato un anello, che ebbi indietro. Sono rimasto molto male. Ora vive fra il Messico e Los Angeles, si è sposata benissimo, con un uomo adorabile, molto molto molto ricco. Ogni tanto la sento ancora. Ci facciamo gli auguri a Natale“.
Nel film Barbablu
Siamo tutti in libertà provvisoria
Una carriera che inizia subito, a soli 16 anni, con il film Urlatori alla sbarra, nella quale recita con il suo nome, Marilù, al fianco di Celentano e Mina; notata anche dalla televisione, raggiunge vasta popolarità al fianco del grande Mario Riva nel programma culto di inizi sessanta, Il musichiere.
In tre anni gira altri dieci film, il più importante dei quali è Adultero lui, adultera lei, di Raffaele Matarazzo, nei panni di Lina. Il genere di voga, a inizi anni sessanta, è il peplum, o sandalo, i famosi film storici ambientati nell’antica Roma o comunque in costume; gira Il trionfo di Ercole,Maciste gladiatore di Sparta, nel quale è l’affascinante Olympia, L’ultimo gladiatore,Il magnifico gladiatore. Pellicole di valore non eccelso, ma che ne costruiscono la fama, che se non decollerà mai, per la mancanza di veri ruoli da protagonista, le permettono comunque di diventare molto popolare. Nel 1964 partecipa, nel ruolo di Diana, al film di De Sica Matrimonio all’italiana, tratto dalla pieces teatrale di De Filippo Filomena Marturano.
Mio caro assassino
Recita quindi accanto a due mostri sacri del cinema,la Loren e Mastroianni, e non sfigura affatto. Dopo una brevissima apparizione in Giulietta degli Spiriti,di Fellini, Marilù accetta praticamente tutto quello che le offrono, e finisce per comparire in pellicole mediocri, come Catherine Carnet alias per un morto,Un colpo da mille miliardi,077 intrigo a Lisbona,Una raffica di piombo.
Uno dei suoi ultimi film, Il tassinaro
La carriera quindi sembra prendere una strada ben definita, attribuendole ruoli di comprimaria, quando non anche di semplice comparsa. Fino al 1967 gira altri film, nessuno di quali merita davvero una citazione. Nel frattempo, esauritasi la vena dei peplum, in Italia arriva come un ciclone lo spaghetti western, genere nato all’indomani del clamoroso, e per molti versi imprevisto successo di Per un pugno di dollari.Nel 1967 è nel cast di Se sei vivo spara, che segna il suo esordio nel genere,nel ruolo di Lori, a cui seguiranno altre partecipazioni come non protagonista, prima di interpretare Candy e il suo pazzo mondo al fianco della emergente Ewa Aulin.
Abuso di potere
Con disinvoltura, la Tolo passa attraverso diversi generi; al drammatico Uccidete il vitello grasso e arrostitelo di Samperi alterna Roy Colt e Winchester Jack, un western canonico,la commedia Gradiva, di Albertazzi,il semi erotico I caldi amori di una minorenne, accanto ad una giovanissima Romina Power,un altro western, molto popolare, Viva la muerte…tua, diretto da Tessari, nel quale è Lupita, al fianco di Franco Nero e di Eli Wallach
Marilu è Venerata in Jus primae noctis
Marilu ha una buona fama; nel mondo del cinema è conosciuta, ma non è una protagonista. Sembra accettare il suo ruolo, quasi da precursore del genere cinematografico in voga al momento in cui si apresta a girare un film. Così interpreta uno dei primi film del genere decamerotico, Jus primae noctis, finalmente in un ruolo da protagonista, nelle vesti di Venerata, la donna amata da Gandolfo e concupita dal signore Ariberto da Ficulle.
La paura dietro la porta
Interpreta Meo Patacca, con Proietti e subio dopo è la dottoressa Anna Borgese in Mio caro assassino, di Tonino Valerii, uno dei thriller all’italiana meglio congegnati di sempre. é una piccola parte, nel ruolo della compagna trascurata del commissario Peretti. Il 1972 la vede nella produzione di Barbablu, un thriller mal riuscito in cui spicca solo il cast, formato da Burton, dalla Belli, da Raquel Welch, dalla Schubert e da Nathalie Delon. Segue un film davvero particolare, Themroc,una amro apologo sulla civiltà moderna prima dell’incontro fatale con Dario Argento, avvenuto sul set di Le cinque giornate di Milano, nel quale recita accanto a Celentano.
Due fotogrammi tratti da Le 5 giornate di Milano
Nasce l’amore con il regista, ed una relazione turbolenta che finirà prima della realizzazione di Profondo rosso; in questo film si vede Gianna,la reporter interpretata da Daria Nicolodi, gettare nel cestino una foto di Marilu, mntre pronunzia un canzonatorio “Bye bye”
Nel 1974 gira Il trafficone, con Maccione, la Aumont e altri e subito dopo il controverso Prigione di donne; sono due film smaccatamente a sfondo erotico, e sembrano essere anche il canto del cigno dell’attrice. Nel 1975, infatti, conosce il ricco produttore Robert Velin, si trasferisce in America e da quel momento dirada di molto le sue apparizioni cinematografiche, che di fatto si limiteranno ad alcune partecipazioni in film minori, come Paura, Il magnate greco, al fianco di Quinn, Il sonno della morte e Assassinio al cimitero etrusco.Le sue ultime apparizioni sono nel film di sordi Il tassinaro e nel primo dei cine panettoni, Vacanze di Natale.
Meo Patacca
Sept homme et une garce
Se solo MarilùTolo avesse creduto nei propri mezzi, avrebbe avuto una carriera cinematografica di ben altro livello; non che abbia fatto solo film anonimi, ma è sempre mancato l’acuto, il film che la imponesse come brava e capace attrice, quale indubbiamente è sempre stata. Ritiratasi dagli schermi, l’attrice, che oggi ha 65 anni, vive in qualche parte degli Stati Uniti, lontana da quel mondo che le ha dato comunque una certa popolarità.
Ossessione nuda
Prigione di donne
Sciarada per 4 spie
Uccidete il vitello grasso
Il trionfo di Ercole
Sherazade
Themroc
Se sei vivo,spara
Matrimonio all’italiana
Candy
Il magnate greco
L’amore attraverso i secoli
Maciste gladiatore di Sparta
La saga dei Forrest
Assassinio al cimitero etrusco
Con Mastroianni in Matrimonio all’italiana
Avec la peaux des autres
Confessione di un commissario
Corrimi dietro che t’acchiappo
Dimenticare Lisa
Django kill
Il papavero è anche un fiore
La bufera
La primula rossa
Un killer per sua maestà
Se tutte le donne del mondo
Le brigate del tigre
La primula rossa
La paura dietro la porta
La controfigura
La bufera
Il trionfo di Ercole
I caldi amori di una minorenne
Gli ultimi giorni di Pompei
Baleari operazione d’oro
Avec la peaux des autres
Vacanze di Natale
Perry Grant agente di ferro
Matrimonio all’italiana
La bufera (Sceneggiato Tv)
La bourse et la vie
La Celestina P.R.
Le Judoka Agent Secret
L’ultimo gladiatore
1960 – Urlatori alla sbarra
1960 – I piaceri del sabato notte
1960 – La regina delle amazzoni
1960 – I dolci inganni
1963 – Adultero lui, adultera lei
1963 – Shéhérazade – La schiava di Bagdad
1964 – Il gladiatore di Messalina
1964 – Il magnifico gladiatore
1964 – Il trionfo di Ercole
1964 – L’ultimo gladiatore
1964 – La Celestina P.R.
1964 – Maciste gladiatore di Sparta
1964 – Matrimonio all’italiana
1965 – Le chant du monde
1965 – Giulietta degli spiriti
1965 – Da 077: intrigo a Lisbona
1965 – Le notti della violenza
1966 – Perry Grant, agente di ferro
1966 – Le judoka, agent secret
1966 – Un colpo da mille miliardi
1966 – Baleari operazione Oro
1966 – Carnet per un morto
1966 – La bourse et la vie
1966 – La Primula rosa
1966 – Sciarada per quattro spie
1966 – Se tutte le donne del mondo…- Operazione paradiso
1966 – Una raffica di piombo
1966 – Poppies Are Also Flowers
1966 – Retour à Bacoli (film tv)
1966 – Avec la peau des autres
1967 – Le streghe (episodio La strega bruciata viva)
1967 – Ore violente
1967 – L’amore attraverso i secoli
1967 – Se sei vivo spara
1967 – I dannati della terra
1968 – Commandos
1968 – La saga dei Forrest
1968 – Un killer per Sua Maestà
1968 – Candy e il suo pazzo mondo
1969 – I caldi amori di una minorenne
1970 – L’età selvaggia
1970 – Roy Colt e Winchester Jack
1970 – Gradiva
1970 – Uccidete il vitello grasso e arrostitelo
1971 – Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica
1971 – Siamo tutti in libertà provvisoria
1971 – La controfigura
1971 – Romance of a Horsethief
1971 – Viva la muerte… tua!
1972 – Jus primae noctis
1972 – Abuso di potere
1972 – Bluebeard – Barbablù
1972 – Meo Patacca
1972 – Mio caro assassino
1973 – Il mangiaguardie
1973 – Le cinque giornate
1973 – Themroc
1974 – Il trafficone
1974 – Prigione di donne
1975 – Au-delà de la peur
1976 – Corrimi dietro che t’acchiappo
1978 – Il magnate greco
1981 – The Sleep of Death
1982 – Assassinio al cimitero etrusco
1983 – Il tassinaro
1983 – Vacanze di Natale