L’uomo senza memoria
Con L’uomo senza memoria inizia la collaborazione di Filmscoop con John Trent,webmaster del sito http://www.ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com
Ho conosciuto John Trent circa 13 anni fa,durante la frequentazione comune di uno dei più bei siti del web,l’ormai scomparso Pagine 70.
Ci siamo poi conosciuti personalmente durante alcuni raduni organizzati dal forum del sito;di lui mi ha colpito,da subito,la grande competenza in materia cinematografica sopratutto sugli anni settanta.
Competenza tra l’altro acquisita su un decennio che lo ha visto bambino,vista la sua giovane età.
Oggi il suo sito è una fonte inesauribile di chicche cinematografiche che vi consiglio caldamente di visitare.
Ho così deciso,dopo averlo contattato,di proporvi alcune delle sue recensioni alle quali ho aggiunto,personalmente una gallery fotografica e le consuete recensioni prese da altri siti.
John è un grande conoscitore di cinema,le sue recensioni saranno di sicuro molto visitate su Filmscoop e la sua collaborazione
integra quella di shewolf,che cura alcune delle rubriche più seguite del sito e quelle,prossime,di altre penne prestigiose.
Buona lettura.

Interessante e misconosciuto thriller/noir firmato da Duccio Tessari (e scritto e co-sceneggiato, tra gli altri, dallo stesso Tessari e dall’ onnipresente Ernesto Gastaldi). In un intreccio nel quale si mescolano abilmente affari di droga, intrighi e trame sommerse spiccano l’ eleganza di Tessari nel girare la storia (alcune sequenze sono assolutamente magistrali) e la bravura interpretativa di un grande Umberto Orsini che ruba la scena a tutti, a cominciare dal protagonista Luc Merenda (che è lo svagato smemorato del titolo). C’ è anche la bellezza dirompente della sempre affascinante Senta Berger e un piccolo ruolo se lo ritaglia anche la svedesina Anita Strindberg, stellina nascente del nostro cinema di genere targato anni ’70. Interessante anche la partecipazione del piccolo Duilio Cruciani, bimbo già visto in “Non si sevizia un paperino” che avrà un ruolo fondamentale, mentre invece il cattivo di turno è Bruno Corazzari, faccia “di genere” che non ha bisogno di presentazioni. La mano alla sceneggiatura di Gastaldi si vede soprattutto in quella lieve punta di giallo che fa capolino di tanto in tanto, con rasoi scintillanti nell’ aria e addirittura una motosega che finirà con lo sventrare un malcapitato personaggio. Un ottimo film che va sicuramente recuperato e che in Italia ancora latita in dvd mentre all’ estero (Francia, Germania e Spagna) è da tempo uscito, anche con l’ italico idioma. Assurdo.
Peter Smith (Luc Merenda), reduce da un incidente d’ auto in seguito al quale ha completamente perso la memoria, vive a Londra e da circa 6 mesi lavora come commesso in un negozio di antiquariato. E’ in cura presso uno psichiatra ed è continuamente impegnato nella ricerca di risalire al suo passato e alla sua identità. Un giorno riceve un telegramma dall’ Italia e un biglietto del treno per Portofino, dove lo aspetterebbe una fantomatica Sara. Sara (Senta Berger) è un’ istruttrice di nuoto che ora si è stabilita a Portofino ed è la moglie di Peter, che in realtà si chiama Ted.
Corteggiata spietatamente dal medico sportivo della piscina, Daniel (Umberto Orsini), è tuttavia ancora innamorata del marito e non riesce a capacitarsi del fatto che egli sia sparito nel nulla da circa un anno; la donna lo aspettava a New York dopo un viaggio di lavoro ma Ted non era più tornato. Ora la vita di Sara è calma e monotona ma qualcuno, in piena notte, penetra in casa sua alla ricerca di qualcosa; dopo averla aggredita e narcotizzata mette l’ appartamento sottosopra ma senza rubare nulla. Il mistero si infittisce ancora di più allorquando anche Sara riceve un telegramma che le preannuncia il ritorno di Ted. Non è lei, dunque, ad averlo invitato a Portofino… Inoltre non sa nulla dell’ incidente e della conseguente amnesia: credeva soltanto che il marito l’ avesse abbandonata. Ma allora chi è che vuole farli incontrare di nuovo? Ted parla con Sara e cerca di spiegarsi, confermandole di non ricordare nulla. Va a vivere da lei e un misterioso individuo (Bruno Corazzari) inizia a perseguitarlo: i due si scontrano e l’ uomo chiede a Ted di restituirgli il milione di dollari che egli gli avrebbe sottratto. Il passato di Ted, dunque, è tutt’ altro che limpido e una partita di 5 kg di eroina pura (del valore sul mercato di un milione di dollari, appunto) è il motivo del contendere; 8 mesi prima egli aveva fregato i suoi soci rubando la droga e nascondendola in un posto che ora nessuno riesce a trovare. Ted giura ancora di non sapere niente e la situazione si mette male per lui e per l’ ignara Sara. Il socio misterioso gli concede una settimana di tempo per rinsavire e intanto il cane di Sara viene ritrovato sgozzato… Il macabro avvertimento spinge Ted e Sara a prendere la decisione di scappare a New York (dove tutto era iniziato) ma, prima che ciò avvenga, Sara viene investita da un’ auto alla cui guida c’è una donna misteriosa (Anita Strindberg) che qualche sera prima aveva avvicinato Ted baciandolo. I due erano stati amanti? L’ incidente stradale, ovviamente non è casuale, e serve a rallentare la partenza di Ted e Sara (cui viene ingessata una gamba). Il tempo stringe…

La colonna sonora è firmata dal maestro Gianni Ferrio (presente spesso nei film di Duccio Tessari) che si produce in un tema principale e in atmosfere che richiamano in qualche maniera la soundtrack del giallo “La morte accarezza a mezzanotte”. Se lì avevamo Mina che si esibiva in svolazzi vocali stavolta abbiamo un main theme con testo scritto da Giorgio Calabrese ed interpretazione di Rossella, cantante poco nota presente nel circuito della RCA. Come quasi sempre ci capita in queste occasioni ci piace riportare il testo di cotanti misconosciuti capolavori. Ecco a voi “Labyrinthus”:
Come parti che si muovono
un enigma per immagini
prima, dopo
si confondono…
Schemi che si sovrappongono
suoni vaghi che ritornano
oggi, ieri
non sai dirtelo…
Si affollano nella tua mente
passato, presente
e tu non sai più distinguere
in un labirinto di specchi e parole
ti insegui perdendoti e vai, vai…
Il dubbio è un’ ipotesi assurda
in uno che guarda
quello che tu fai
guidandoti un gioco di parti in cui rappresenti
la prossima vittima e vai, vai…
Visi nuovi e posti insoliti
che ti sembra di conoscere
gente, voci
ti confondono…
Hai fantasmi che ti seguono…
Un film di Duccio Tessari. Con Umberto Orsini, Luc Merenda, Senta Berger, Rosario Borelli, Bruno Corazzari, Anita Strindberg, Duilio Cruciani Giallo, durata 91 min. – Italia 1974
Senta Berger: Sara Grimaldi
Luc Merenda: Edward
Umberto Orsini: Daniel
Anita Strindberg: Mary Caine
Bruno Corazzari: George
Rosario Borelli: Poliziotto
Manfred Freyberger: Philip
Tom Felleghy: Dr. Archibald T. Wildgate
Carla Mancini: Giovanna
Vittorio Fanfoni: medico
Duilio Cruciani: Luca
Regia Duccio Tessari
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi
Casa di produzione Dania Film
Fotografia Giulio Albonico
Montaggio Mario Morra
Musiche Gianni Ferrio
Costumi Danda Ortona
Trucco Mario Van Riel
Ada Maria Serra Zanetti: Sara Grimaldi
Luigi La Monica: Edward
Luciano Melani: George
Roberto Villa: Poliziotto
Giancarlo Maestri: Philip
Vittorio Congia: Dr. Archibald T. Wildgate
Fabio Boccanera: Luca
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B. Legnani
Gradevole opera di Tessari (forse ci concede un cameo, nel ruolo del vigile urbano), che vivacizza la prima ora, un po’ statica, con inquadrature originali, talora pure virtuosistiche. Più interessante la parte finale. Girato con non grandi mezzi, ma piacevole. Una buona testimonianza del cinema italiano che fu. Berger stupenda e brava, Merenda e Strindberg ingessati, Orsini e Corazzari intriganti.
Undying
Mitica pellicola sdoganata da Nocturno, che lo ha proposto (alcuni anni orsono) come allegato (formato VHS) alla rivista. Il ritmo è lento, ma la storia è ben scritta, interpretata (Orsini si mangia Merenda in due e due quattro) e diretta. La parte affascinante spetta alle splendide presenze femminili, che rispondono al nome di Senta Berger ed Anita Strindberg. Più drammatico, che giallo in senso stretto, anche se permeato da un forte alone di tensione cagionato dal vuoto di memoria indotto nel protagonista…
Il Gobbo
Luc Merenda ha perso la memoria dopo un incidente d’auto. La ricerca del rimosso lo conduce da una donna che risulta essere sua moglie, a Portofino (poteva andargli peggio); lì però trova anche un losco figuro che lo ricatta… Tessari ribadisce che la sua traiettoria gialla è diversa da quella argentiana, e con l’aiuto di Gastaldi confeziona un film non originalissimo ma molto elegante e curato, con un cast apprezzabile (grande Corazzari, e com’era bella la Berger). Piacevole. La Musa di Buono Legnani prende la presenza.
Homesick
Anche Tessari dà il suo contributo al giallo di casa nostra prendendo spunto dai lavori di Argento (il suo famoso e sfuggente “particolare rivelatore” viene ingigantito in amnesia) e contaminandolo con le atmosfere tipiche dei noir. La storia ha invero poco mordente – tranne che verso il finale – e conquista più che altro per la limpida fotografia di una Portofino fuori stagione e per alcune buone trovate (Corazzari affetto da rinite cronica, lo “scherzetto” della motosega). Rossella canta la bella canzone dei titoli di testa.
L’opinione di Ezio dal sito http://www.filmtv.it
In preda a un’amnesia dopo un incidente Ted (Merenda) torna dalla moglie (Berger) e viene perseguitato da un losco individuo.Ma altri sono in agguato.Girato in una Liguria (Portofino) piovosa e’ un tipico thiller anni settanta ,meno ambizioso di altri gialli girati dal regista e sceneggiato dal bravo Ernesto Gastaldi,certo e’ un po’ ingenuo ma fa sempre piacere trovare bravi attori di quell’epoca e un cinema che oggi non c’e’ piu’.Nulla di trascendentale,ma si vede davvero con piacere.
La signora ha dormito nuda con il suo assassino
Roy Schroder è un quarantenne dipendente in tutto dalla ricca moglie Elisabeth;la donna,conscia del suo
potere su di lui,lo tiranneggia a tal punto che Roy medita,con l’aiuto dell’amante Jane,di sbarazzarsi dell’ingombrante consorte e convolare a nuova vita con Jane.
Pe poter attuare il loro piano ed ereditare le sostanze di Elisabeth però i due devono compiere un delitto perfetto facendo passare la morte della donna per un suicidio.
Tutto viene preparato con meticolosità ma al momento dimettere in pratica il diabolico piano ecco il colpo di scena: due balordi rapinano Elisabeth,la colpiscono con violenza e subito dopo ne portano via il corpo.
Sgomenti,i due amanti si rendono conto che la mancanza del corpo può diventare un boomerang, generando sospetti negli inquirenti.
Roy tuttavia è convinto che la moglie sia ormai morta,così decide di mettere in opera il piano che aveva elaborato all’insaputa di Jane;uccide così l’amante per non dividere la cospicua eredità di Elisabeth.
Ma la moglie non è affatto morta;a conoscenza del piano diabolico dei due amanti,Elisabet aveva preparato delle contromosse
Davanti all’esterrefatto Roy,Elisabeth lo ricatta dicendogli che da quel momento in poi l’uomo si trasformerà nel più perfetto dei mariti,pena la denuncia del suo piano omicida.

Per Roy l’incubo continua…
La signora ha dormito nuda con il suo assassino è un thriller teutonico diretto dal regista berlinese Wolfgang Becker nel 1970,
completamente sconosciuto in Italia,autore in carriera di una cinquantina di opere,molte delle quali girate dopo questo film
per la tv tedesca.
Un thriller tradizionale,con colpi di scena e dal finale in stile delitto e castigo.
La novità questa volta è nella vendetta della moglie tradita,che decide di ono denunciare il marito fedifrago ma di legarlo a
se a doppio filo,costringendolo ad una vita coniugale peggiore della galera a cui sarebbe stato destinato l’uomo.
A leggere la trama sembrerebbe un film avvincente e ricco di colpi di scena;purtroppo non è così e la sceneggiatura
mostra ben presto limiti e incongruità,con l’aggravante dell’andamento narcolettico della pellicola,diretta con poco nerbo e molta approssimazione da Becker. A ciò va aggiunta anche la palese incapacità degli attori,un cast di carneadi in cui l’unica presenza professionale è costituita
dall’attrice francese Veronique Vendell,che in Italia aveva conosciuto una certa notorietà con Vedo nudo,Per grazia ricevuta e Il commissario Pepe.
Ich schlafe mit meinem Mörder,titolo originale del film in realtà,tradotto,significa “Ho dormito con il mio assassino“;

la distribuzione italiana,come si usava spesso all’epoca dell’uscita del film aggiunse un ammiccante “nuda”,che doveva richiamare
in sala qualche spettatore in più.
Non andò così e il film non solo non ebbe successo,ma finì per essere consegnato all’oblio.
Ancora oggi risulta tra i più difficili da reperire.
Anonima la regia,la sceneggiatura e la fotografia.
Un film senza nessuna attrattiva particolare
La signora ha dormito nuda con il suo assassino
Un film di Wolfgang Becker. Con Peter Capell, Véronique Vendell, Harald Leipnitz Titolo originale Ich schlafe mit meinem Mörder.
Giallo, durata 93 min. – Germania 1971.
Harald Leipnitz … Joy
Ruth-Maria Kubitschek … Elisabeth
Véronique Vendell Jane
Friedrich Joloff… Inspettore
Peter Capell … Vanetti
Wolf Harnisch … Burckhardt
Regia: Wolfgang Becker
Sceneggiatura: Willibald Eser, Werner P. Zibaso
Produzione: Wolf C. Hartwig,Ludwig Spitaler
Musiche: Martin Böttcher
Montaggio: Jan Catell
Acque profonde (Eaux profondes)
” Non credo di aver tradito Patricia Highsmith. Il libro e il film non sono lo stesso oggetto, hanno un percorso e un destino diverso. Una cosa è un libro, un’altra il film. Sono nati uno e l’altro in tempi diversi, possiamo dire che la genesi è differente. Non hanno lo stesso oroscopo. Se c’è manipolazione nei miei film non è colpa mia. Quando scrivo la sceneggiatura il gioco inizia, mi lascio andare. I miei personaggi mi chiedono di cambiare e io lo faccio.Istintivamente.”
Con queste parole Michel Delville parla della riduzione cinematografica del romanzo Eaux profondes di Patricia Highsmith dal quale nel 1981 il regista francese trae questa affascinante opera, lasciando inalterato il titolo ma modificando profondamente la psicologia dei personaggi.
Un film che sembra un sottile gioco psicologico tra due personaggi, marito e moglie e il gruppo di vicini e amici con i quali interagiscono, che però fanno da contorno visto che i coniugi assumono da subito un’importanza capitale che spinge lo spettatore a cercare motivazioni sul loro strano comportamento.

E infatti è proprio la natura del comportamento dei due coniugi a ben vedere la parte più intrigante del film; il misterioso rapporto tra i due,l’alchimia che c’è tra loro, il gioco perverso che li unisce ma al temo stesso li distingue è una cortina fumogena che Delville esalta fino a rendere la vita coniugale un rebus fatto di tradimenti presunti, di seduzione e alla fine, quando meno te lo aspetti, di morte.
Victor è un creatore di profumi con l’hobby di coltivare lumache ed è sposato con Melanie, una giovane e apparentemente frivola donna con la quale ha avuto una bambina che ora ha dieci anni.
I due vivono nell’isola di Jersey, dove sono ben integrati e hanno una vita sociale intensa.
Che però è alimentata molto più da Melanie che da Victor; è la donna ad essere attratta e affascinata dalla vita sociale, specialmente dagli uomini, con i quali civetta in modo addirittura sfacciato, sotto gli occhi inespressivi del marito che non sembra ferito da questi comportamenti della donna.

Sembra un gioco crudele quello che Melanie opera ai danni del marito, ma le cose stanno veramente così?
Man mano che il film si inoltra nel tempo, il sottile e perfido gioco assume connotazioni molto più complesse; da un lato vediamo Melanie sedurre uno dopo l’altro alcuni giovani conoscenti dall’altro vediamo Victor sempre impassibile; nel suo sguardo non riusciamo a cogliere la realtà dei suoi sentimenti.
E’ ferito dal comportamento della moglie?
Sembrerebbe di si, perchè ad un certo punto le cose cambiano.
Dopo aver messo in guardia gli spasimanti di Melanie,dicendo loro che per la moglie è disposto ad uccidere ( e che lo ha già fatto) all’improvviso Victor agisce mettendo in pratica i suoi ammonimenti.
Annega nella piscina proprio uno di questi e da quel momento le cose cambiano…
Cambiano anche per lo spettatore che inizia a prendere sul serio Victor, personaggio che fino a quel momento è risultato essere un autentico enigma.

A quanto pare la sua apparente docilità nasconde emozioni forti, la sua imperturbabilità è solo di facciata.
Quello che sembrava fino a quel punto un crudele gioco messo in scena dalla volubile Melanie è qualcosa di ben più complesso e forse anche perverso.
Può essere che sia un gioco tra le parti, ovvero che sia Melanie che Victor si comportino nei loro rispettivi modi per un sottile e perverso gioco destinato a tener vivo il rapporto tra la coppia?
Può essere che Melania faccia la femme fatale solo per accontentare il voyeurismo del marito e che costui sia ben felice della cosa?
Lo sapremo, forse,solo alla fine, quando nelle ultime scene accade qualcosa che ovviamente non racconto per non guastarvi la sorpresa.
Si, perchè Acque profonde è un film straordinario, che va guardato fotogramma per fotogramma e che anche dopo la fine lascia un senso di irrisolto che però non deriva dalla qualità del racconto bensi dal bivio in cui le strade divergono ed ognuno è libero di scegliere la strada che preferisce.
Delville ci porta ad un finale enigmatico (fino ad un certo punto però) attraverso un film psicologico il che non significa sbadigli o noia, tutt’altro.

Il regista di Boulogne-Billancourt è un fine indagatore, ironico e sottilmente sarcastico, fine ed elegante, come del resto aveva mostrato nei film fino ad allora diretti, ultimo dei quali Un dolce viaggio,girato prima di questo splendido Acque profonde.
La stessa eleganza formale unita a tanta, tanta sostanza la ritroviamo quindi in questo film, che parte quasi come una commedia, diventa un dramma e vira verso il thriller finendo nuovamente come un dramma.
Davvero da premi Oscar poi le interpretazioni dei due attori protagonisti, Isabelle Huppert e Jean-Louis Trintignant; con la Huppert Delville girerà un altro bellissimo film La lettrice.

Come racconterà Delville in un’intervista,” Isabelle Huppert e Jean-Louis Trintignant non avevano mai lavorato insieme e presto sorse tra loro una complicità che era assolutamente necessaria per la credibilità del film. D’altra parte, mi piacciono i giocatori intuitivi . Con questi, non c’è bisogno di spiegazioni o lunghe ripetizioni . Ho fatto in modo di catturare la loro viva spontaneità di espressione ”
La coppia funziona in maniera perfetta e dona una credibilità del tutto particolare al film, che si avvale inoltre di una splendida fotografia e di una location piena di fascino.
Un film davvero bello.
Del quale esiste una versione italiana, purtroppo di difficilissima reperibilità in rete.
Un film da guardare, da assaporare, da amare.
Acque profonde
Un film di Michel Deville. Con Jean-Louis Trintignant, Isabelle Huppert Titolo originale Eaux profondes. Giallo, durata 94′ min. – Francia 1981.
Jean-Louis Trintignant … Vic Allen
Isabelle Huppert … Melanie
Sandrine Kljajic … Marion
Éric Frey … Denis Miller
Christian Benedetti … Carlo Canelli
Bruce Myers … Cameron
Bertrand Bonvoisin … Robert Carpentier
Jean-Luc Moreau … Joël
Robin Renucci … Ralph
Philippe Clévenot … Henri Valette
Martine Costes … La mamma di Julie
Evelyne Didi … Evelyn Cowan
Jean-Michel Dupuis … Philip Cowan
Bernard Freyd … Havermal
Regia Michel Deville
Soggetto Patricia Highsmith
Sceneggiatura Florence Carez sotto lo pseudonimo Florence Delay, Michel Deville, Cristopher Frank, Patricia Highsmith
Produttore Denis Mermet
Fotografia Claude Lecomte
Montaggio Raymonde Guyot
Musiche Manuel de Falla
L’opinione del Morandini
Nell ‘isola di jersey (Normandia) Vic, dirigente di un’impresa di profumi, è tradito in modo aperto dalla moglie Mélanie che adora finché uccide un suo amante. Il delitto passa per morte accidentale. Ne uccide un altro, ma l’inchiesta si arena. Sotto gli occhi della loro bambina, che assiste ai loro giuochi perversi, i due tornano a vivere insieme. Scritto da Florence Delay, Christopher Frank e da M. De Ville, tratto dal romanzo Deep Water (1957) di Patricia Highsmith. Regia rigorosa, di raffinata morbidezza. J. Trintignant inquietante, I. Huppert magistrale come donna di infantile crudeltà.AUTORE LETTERARIO: Patricia Highsmith
L’opinione del sito http://www.filmtv.it
Tratto da un romanzo di Patricia Highsmith il film di Deville è denso di sfumature e assolutamente non banale.

Vic non ballava mai, ma non per le ragioni che di solito si danno gli uomini che non ballano. Vic non ballava mai semplicemente perché a sua moglie piaceva molto ballare. Cercava di razionalizzare questo suo atteggiamento, ma senza riuscirci, senza riuscire a convincere se stesso nemmeno per un istante, anche se ci provava tutte le volte che vedeva Melinda ballare. Sua moglie era insopportabilmente stupida, quando ballava. Riusciva a fare del ballo una cosa imbarazzante.
Melinda entrava e usciva piroettando dal suo campo visivo, ma lui se ne rendeva conto molto vagamente. Sapeva che si trattava di lei solo per via della familiarità che aveva con ogni minimo dettaglio della sua persona fisica. Alzò con calma il bicchiere di scotch allungato con acqua e lo sorseggiò. Sedeva scomposto, con un‟espressione neutra in faccia, sulla panca imbottita che seguiva i contorni del montante delle scale dei Meller, con gli occhi fissi sul movimento dei ballerini, e intanto pensava che quella sera, appena tornato a casa, sarebbe andato a dare un’occhiata alle cassette di erbe che teneva in garage, per vedere se fossero spuntate le digitali. Stava coltivando parecchi tipi di erbe: ne reprimeva la crescita privandole di metà della luce e dell‟acqua di cui avevano bisogno, allo scopo di intensificarne l‟aroma. Tutti i giorni all‟una, quando tornava a colazione, metteva le cassette fuori al sole, e tornava a riporle nel garage alle tre, prima di andare alla tipografia.
Victor Van Allen aveva trentasei anni, era di statura leggermente inferiore alla media, tendeva a una soda e diffusa rotondità piuttosto che alla pinguedine, e aveva un paio di sopracciglia folte e crespe che sporgevano sopra gli occhi azzurri dall‟espressione innocente. I capelli castani erano lisci, tagliati molto corti, e, come le sopracciglia, folti e tenaci. La bocca era di grandezza normale, ferma, l‟angolo destro solitamente piegato all‟ingiù in un‟espressione di asimmetrica risolutezza o di umorismo, a seconda di come si sceglieva di interpretarla. Era quella bocca a rendere ambigua la faccia di Vic perché era facile scorgervi una certa amarezza, anche dato che gli occhi azzurri, grandi, intelligenti e impassibili non lasciavano assolutamente capire cosa pensasse o sentisse.
Michel Delville,regista del film
Patricia Highsmith,scrittrice del romanzo
L’assassino è al telefono
L’assassino è al telefono, diretto da Alberto De Martino nel 1972 è un giallo/ thriller molto inusuale,nettamente staccato dai numerosi prodotti del genere che fiorirono nel periodo di massimo successo dei thriller seguito al grandissimo successo dell’argentiano L’uccello dalle piume di cristallo, vero capostipite del genere.
Sceneggiato da De Marino con la collaborazione di Renato Izzo, Adriano Bolzoni, Vincenzo Mannino,il film ebbe un’accoglienza controversa a causa del capovolgimento di alcuni capi saldo del genere,in particolare per la lentezza e per lo svolgimento a scatole cinesi tipico dei film di Hitchcock.
Poco apprezzati, in particolare, la trama complessa e l’espediente narrativo usato, ovvero il riemergere lento e dilatato nel tempo dei ricordi della protagonista, che contribuiranno allo scioglimento dell’enigma, con un finale sorprendente ma a detta di molti farraginoso e tirato per i capelli.
Anne Heywood
La storia ha come protagonista Eleonor Loraine, un’attrice compagna di Peter Verwood,scomparso tragicamente in un incidente stradale del quale però la donna non ha alcun ricordo, tanto da aver allacciato una nuova storia conclusasi con il matrimonio con George, suo compagno di lavoro.
La condizione psicologica della donna è aggravata dal fatto di non ricordare neanche gli eventi che l’hanno portata a questo matrimonio;queste continue amnesie, molto lunghe come durata si aggravano un giorno in cui Eleonor si ritrova casualmente di fronte un uomo che sente di conoscere e che contemporaneamente risveglia in lei ricordi terribili sepolti nella mente.
L’uomo responsabile della cosa è in realtà un killer professionista, che è in Belgio (il film è ambientato a Bruges) per compiere un omicidio politico e che è il vero responsabile della morte di Peter.
Insospettito dalla reazione di Eleonor, che sviene quando lo vede,il killer prende a seguire la donna finendo per capire che la stessa sta vedendo riemergere dalle nebbie della memoria gli accadimenti del passato.

Deciso a fermare la potenziale minaccia, il killer progetta il suo assassinio ma miracolosamente la donna riesce a sfuggire ai suoi tentativi;sarà George,il marito di Eleonor a causare involontariamente un’accelerazione decisiva degli eventi.
George apprende dalla sorella di Peter, Margaret, che Eleonor incontrava il suo fidanzato in uno chalet e vi si reca con lei;la donna riacquista la memoria e ricorda così la sequenza degli avvenimenti realmente accaduti durante il presunto incidente, collega il volto misterioso al killer che implacabilmente la segue e arriva ad una verità sconvolgente…
Un gioco di incastri, una verità che emerge dal passato dal passato sotto forma di brandelli che poco alla volta si ricuciono, una soluzione finale imprevista e imprevedibile:questi gli elementi sui quali gioca De Martino per costruire un film che teoricamente dovrebbe portare lo spettatore alla soluzione dell’enigma, costituita dalle vere motivazioni che spingono il killer a dare una caccia senza quartiere.

Siamo lontani,lontanissimi dai thriller truculenti,dalle overdose di sangue e dai cadaveri sparsi come se piovesse;il film ha un andamento quasi trasognato,lento e avvolgente.
Purtroppo alla fine questo diverrà anche un limite,paradossalmente,perchè durante lo svolgimento del film la sensazione di inespresso, incompiuto più di una volta fa capolino sopratutto in alcune sequenze che rimangono inespresse o fumose.
Ma evidentemente l’intenzione del regista è proprio questa, lasciare nel vago lo spettatore, avvolgerlo con la bella colonna sonora di Stelvio Cipriani,la splendida fotografia di Aristide Massaccesi e lasciarlo nel dubbio fino alle sequenze finali.
Un espediente usato molte volte, un’arma rischiosa sopratutto se il film rischia di cedere l’intensità e il pathos a favore della noia, che purtroppo qualche volta affiora.Il flashback, i dialoghi, le cadute di ritmo alla fine hanno un peso predominante e per il film queste caratteristiche, che dovrebbero costituirne il fulcro,l’ossatura centrale restano in buona parte lettera morta.

In sostanza andrebbe sottoscritto il parere del sito http://www.exxagon.it,che dice testualmente:”Tutto il thrilling della pellicola si regge sull’amnesia anterograda della protagonista e quindi sull’impossibilità di inquadrare con precisione i protagonisti portando questi ultimi ad essere potenziali sospetti, nonché a confondere passato con presente, verità e bugia, vita e teatro. Il pezzo del Machbet riesce davvero a confondere le idee dello spettatore. Il problema principale è la noia che si insinua con gran velocità e che rende difficile guardare tutto il film senza farsi avvincere dalla tentazione di premere sul tasto dell’avanzamento veloce. Non c’è vera evoluzione del plot, non c’è suspance, non c’è sangue; c’è solo lo score musicale di Cipriani che viene piazzato ovunque ed un finale che più balordo non si può; il tutto incorniciato dalla fotografia di Aristide Massaccesi”
Un’opinione forse troppo dura, ma che ha molti fondamenti per una pellicola con troppe ambizioni dai risultati incerti.

Nel cast figura Telly Savalas, palesemente inadatto al ruolo mentre la bella e seducente Anne Heywood se la cava molto meglio;in definitiva una pellicola con un suo fascino,che potrete visionare seguendo i link presente in questa pagina:http://rarelust.com/the-killer-is-on-the-phone-1972/
La versione proposta dovrebbe essere in italiano, come indicato nella scheda tecnica.Buona visione, quindi ma ricordatevi sempre che avete un limite temporale, come dice la legge sui diritti d’autore, di 24 ore per farlo.
L’assassino… è al telefono
Un film di Alberto De Martino. Con Telly Savalas, Rossella Falk, Anne Heywood Drammatico, durata 101′ min. – Italia 1972
Telly Savalas: Ranko Drasovic
Anne Heywood: Eleanor Loraine
Osvaldo Ruggeri: Thomas Brown
Giorgio Piazza: George
Willeke von Ammelrooy: Dorothy
Rossella Falk: Margaret Vervoort
Antonio Guidi: Dr Chandler
Roger Van Hool: Peter Vervoort
Ada Pometti: Infermiera
Regia Alberto De Martino
Sceneggiatura Adriano Bolzoni, Alberto De Martino, Renato Izzo, Lorenzo Manning, Vincenzo Mannino
Produttore Aldo Scavarda
Produttore esecutivo Guy Luongo
Casa di produzione Belga Films, Difnei Cinematografico, SODEP
Fotografia Joe D’Amato
Montaggio Otello Colangeli
Musiche Stelvio Cipriani
Costumi Enrico Sabbatini
Doppiatori
Sergio Rossi: Ranko Drascovic
Gabriella Genta: Eleanor Loraine
Carlo Sabatini: Thomas Brown
Dario Penne: Peter Vervoort
L’opinione del sito http://www.horrormovie.it
(…) Film singolare questo giallo diretto da Alberto De Martino. Singolare perchè difficilmente accostabile ai film dello stesso genere che si producevano in Italia a inizio anni ’70 e forse proprio per questo motivo diventato nel tempo oggetto di scherno e indifferenza da parte del pubblico appassionato al thriller italiano d’antàn. Un’operazione d’ostracismo poco condivisibile, però, perchè “L’assassino è… al telefono” ha il pregio di discostarsi dalla massa apparendo così L’assassino è al telefonorelativamente originale e riuscendo a farsi ricordare tra i tanti film dello stesso genere che affollarono gli schermi italiani dell’epoca.
Alberto De Martino scrive la sceneggiatura del film insieme a una considerevole mole di altri nomi: Adriano Bolzoni, Renato Izzo, Lorenzo Manning e Vincenzo Mannino. Troppi, direte voi (e confermo io), ma a dispetto delle aspettative, “L’assassino è … al telefono” ha una coerenza narrativa e un filo logico sorprendenti e ben maggiori di prodotti assimilabili. (…)
L’opinione di thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Alla base di questo giallo c’è l’amnesia della protagonista e il film, con tutte le sue molteplici divagazioni, ruota attorno a questo stato che confonde la visione perchè lo sguardo di Eleonor coincide con quello dello spettatore. Però una volta intuito l’epilogo con la soluzione finale, il film diventa veramente noioso e inutilmente dilatato ed a poco servono sia l’intepretazione della Haywood, sia il carisma di Savalas fin troppo a zonzo in quel di Bruges. L’assenza di suspence e scene forti influiscono sensibilmente sulla monotonia di un film che scorre senza un vero sussulto.
L’opinione di deepreded89 dal sito http://www.davinotti.com
Siamo dalle parti del thriller hitchcockiano, con vuoti di memoria, complotti e un misterioso sicario (Savalas, la cui credibilità crolla a ogni sua brutta battuta) e nel complesso si sta a galla (movente e lentezze a parte), ma il vero pregio nel film è più nella veste che nel contenuto, con una cappa tetra e autunnale che avvolge le vicende narrate, confermando l’assoluta professionalità di De Martino e dello staff tecnico (citiamo anche le notevoli, seppur un po’ troppo reiterate, musiche di Cipriani). Brava Anne Heywood. Niente male.
L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com
Tra i cloni argentiani questo si traduce in un interessante e sottovalutato giallo con un ottimo cast in cui spicca una concentrata Rossella Falk. La colonna sonora di Cipriani, onnipresente per quasi tutta la durata del film, inebria lo spettatore accompagnando le immagini della pellicola dove è la mente la vera protagonista, una mente che cancella i ricordi rigenerandosi in una dimensione in cui la realtà emerge solo lentamente. La ricostruzione narrativa è perfetta. Rispondi tu al telefono?
La domenica del diavolo
Rita,Elena e Francesca,tre belle ragazze con l’hobby dell’atletica, decidono di passare un week al mare nella villa di Elena.
Sulla spiaggia, le tre ragazze conoscono casualmente Mario,Bruno e Pierluigi,tre balordi che malauguratamente le donne invitano nella villa.
Sarà l’inizio di un incubo, che vedrà però le ragazze riuscire a liberarsi dei tre, uno dei quali ucciso improvvidamente con un giavellotto (sic).
Finale a sorpresa…
Trama esilissima, ricalcata pari pari dal più famoso dei rape and revenge, L’ultima casa a sinistra, La domenica del diavolo è un thriller insipido e noioso, caratterizzato solo dai numerosi nudi delle tre attrici protagoniste, che non lesinano centimetri, anzi metri di pelle.

Film giocato tutto sui soprusi che il trio canagliesco esercita sulle tre ragazze, che alla fine si riveleranno meno sprovvedute di quel che sembra; a parte le doti fisiche, nessuna delle tre attrici protagoniste, ovvero Christiana Borghi, Elisabetta Valgiusti e Monica Como mette in mostra qualcosa oltre il fisico mentre tra i maschi l’unico credibile è Antonio Cantafora mentre decisamente ai limiti della fantascienza è la partecipazione dell’attore comico Crocitti nei panni di uno dei tre compari.
Crocitti, scomparso due anni fa, ha un volto grassoccio e simpatico agli antipodi quindi dal carognone che dovrebbe interpretare.
E in fondo è questo il limite di un film uscito nel 1979, ovvero nel periodo in cui la crisi del cinema è ormai irrimediabile, con una contrazione consistente di biglietti staccati e di spettatori.

Il regista, Raimondo Del Balzo,è qua al suo quarto lavoro dei sei globalmente diretti, due dei quali avevano avuto un discreto successo;si tratta dei lagrima movie L’ultima neve di primavera e Bianchi cavalli d’agosto.Se però Del Balzo era sembrato a suo agio con i due film strappalacrime, dimostra di non avere il polso adatto alla direzione di un thriller, oltre ad essere penalizzato abbastanza chiaramente dal budget risicato messogli a disposizione dalla produzione.
Il regista si spegnerà poi nel 1995 a soli 56 anni.
Del film è scomparsa la versione presente su You tube, mentre è presente sui p2p in una accettabile qualità.
La domenica del diavolo
un film di Raimondo del Balzo,con Antonio Cantafora,Vincenzo Crocitti,Christiana Borghi,Elisabetta Valgiusti,Monica Como,Dirce Funari Drammatico, Italia 1979
Antonio Cantafora …Pier Luigi
Vincenzo Crocitti … Mario
Christiana Borghi … Rita
Elisabetta Valgiusti … Elena
Monica Como … Francesca
Giancarlo Prete … Bruno
Dirce Funari … Silvia
Regia:Raimondo Del Balzo
Sceneggiatura:Raimondo Del Balzo,Candido Simeone
Produzione:Candido Simeone
Musiche:Stelvio Cipriani
Fotografia:Maurizio Gennaro
Montaggio:Cleofe Conversi e Marcello Malvestito
Makeup Department :Emilio Trani
L’opinione del sito http://www.nocturno.it
Conosciuto anche col quantomai incomprensibile titolo Midnight Blue, è diretto proprio da quel Raimondo Del Balzo famoso per il lacrima-movie L’ultima neve di primavera che qui però si scatena nell’erotismo e in un bel festival dell’ovvio e del già visto.
Cosa succede a tre atlete (Cristiana Borghi, Elisabetta Valgiusti e Monica Como) che decidono di passare il week end nella villa al mare di una di loro prima che il pullman della polisportiva le riporti sui campi da gioco? Succede che vengono abbordate da tre individui che non promettono nulla di buono, che prima si mostrano gentili e poi si rivelano quello che sono: pericolosi ricercati evasi. Certo che Crocitti, con quella faccia da gnocco fritto, è abbastanza improbabile come maniaco, la fuga delle ragazze dagli aguzzini è girata coi piedi e il colpo di scena finale involontariamente ridicolo.
Il tutto è condito con dialoghi da brivido e con una musica lounge di Stelvio Cipriani che non c’entra niente.
Da vedere probabilmente solo per la massiccia dose di nudi generosi e per la discreta violenza con cui le ragazze si vendicano delle tre canaglie. C’è anche Dirce Funari.
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.wordpress.com
La domenica del diavolo è un classico filmetto thriller imbastito sulla struttura classica del rape & revenge: tre avvenenti ragazze, con la passione dell’atletica, decidono di passare qualche giorno di relax al mare nella villa di una di loro; l’arrivo improvviso di tre uomini sconvolgerà tutti i loro piani. La presenza di Christiana Borghi, Elisabetta Valgiusti e Monica Como giustifica la visione di questa pellicola debole, con dialoghi ridicoli e situazioni assurde: oltre ai loro numerosi nudi, mostrati di buon grado da Del Balzo (regista famoso per i suoi “Lacrima-movie”, melodrammi altamente drammatici e strappalacrime), rimane ben poco: una fotografia a volte sopra la media, un’atmosfera soleggiata che ricorda alcuni gialli “marittimi” di inizio anni Settanta, e qualche scena memorabile per la sua inverosimiglianza (il giavellotto come arma d’offesa). Dei tre bruti si salva il solo Antonio Cantafora, perfettamente a suo agio nel ruolo, mentre il caratterista romano Vincenzo Crocitti è alquanto improbabile nei panni del criminale. Le musiche lounge di Stelvio Cipriani, spesso ciliegina sulla torta per alcuni gialli usciti nei Settanta, qui – seppure non disprezzabili – sono del tutto sconclusionate per le atmosfere della pellicola in questione. L’anno successivo Ruggero Deodato farà uscire La casa sperduta nel parco, praticamente uguale sia dal punto di vista del plot che da quello – ahimè – del risultato stilistico.
L’opinione del sito http://www.bizzarrocinema.it
Se idee riuscite come l’anomala ambientazione solare, l’originale evoluzione narrativa (che inizia da un’ottica reazionaria per divenire velatamente femminista nella parte finale) e l’inclusione nel cast delle splendide presenze femminili di Christiana Borghi, Elisabetta Valgiusti e Monica Como facevano presagire il meglio, a conti fatti il prodotto finale non si discosta molto da rape’n’revenge ben più imprevedibili come L’ultimo treno della notte (1975) o Non violentate Jennifer (1978). Sul versante erotico, l’estetica di fondo degrada astutamente verso le concessioni del prossimo cinema hard (senza tuttavia osare l’esplicito), mentre tecnicamente si alternano ottime soluzioni visive a strafalcioni a dir poco ingiustificati: come conciliare l’ispirata sequenza del giavellotto finale con continui errori di montaggio e fotografia, spesso virata con un effetto notte inguardabile? Complice forse la fretta, l’interessante idea di partenza si dissolve in nulla minuto dopo minuto, portando i circa 80′ minuti di girato verso una conclusione frettolosa ed impropria, talmente paradossale da apparire persino comica. Restano nello spettatore il ricordo dei corpi e i volti magnifici delle tre protagoniste, e la musica ipnotico/straniante del maestro Stelvio Cipriani. Non memorabile, ma piacevole.
Gli occhi azzurri della bambola rotta
Un ex detenuto sta facendo autostop per recarsi in un piccolo paese di montagna in Francia.
E’ Gilles,che ha deciso di rifarsi una vita e ricominciare da zero la sua esistenza.
Il villaggio in cui approda Gilles è, come tutti i piccoli centri, arroccato dietro la difesa dei piccoli privilegi personali e nessuno sembra essere disposto ad offrire un’opportunità all’uomo,sopratutto alla luce del suo burrascoso passato.
Tutti tranne Claude.
La donna, invalida ad una mano, decide di assumerlo come uomo tuttofare ed impiegarlo nella sua villa dove vive con le sue due sorelle;Nicole, la prima, è una donna con problemi legati ad una ninfomania irrefrenabile mentre la seconda, Yvette, vive su una carrozzella assistita dal medico condotto del paese e da una infermiera.
L’arrivo di Gilles è accolto di cattiva grazia da Renè, l’uomo che precedentemente si occupava della villa, mentre in paese accade qualcosa di grave.
I cadaveri di tre donne vengono recuperati, tutti con lo stesso tratto identificativo, ovvero la mancanza degli occhi; le tre donne avevano in comune il fatto di essere bionde e di avere gli occhi azzurri.

I sospetti ovviamente convergono su Gilles,l’ultimo arrivato e con la fedina penale sporca,il quale ha avuto problemi con Renè al punto di aver tentato di ucciderlo.
L’ispettore Pierre è convinto che il misterioso assassino altri non sia che Gilles,il quale dal canto suo ha allacciato una relazione con Claude, seguita con attenzione da Nicole, che dal’alto della sua malattia vorrebbe aggiungere Gilles alla sua vasta collezione di amanti.
Tra Claude e Nicole nasce così una rivalità accesa, troncata dall’improvvisa morte di Nicole, che viene rinvenuta cadavere;sembrerebbe un altro assassinio imputabile al misterioso killer, ma in questo caso alla donna non sono stati tolti gli occhi.
Gilles, braccato dalla polizia, completamente innocente dei delitti che gli vengono imputati viene ucciso a colpi di pistola,proprio sotto gli occhi di Claude, la sua amante.
Ma nel frattempo accade qualcosa che dimostrerà l’innocenza di Gilles.

La giovane Caroline, l’infermiera addetta alle cure di Yvette, al terza sorella, viene aggredita dal misterioso assassino e riesce a rifugiarsi, benchè ferita, nell’ambulatorio del dottor Philippe.
Il misterioso killer rivela così la sua identità:si tratta proprio di Yvette, che in realtà non è affatto affetta da paralisi;al culmine di una lotta senza tregua, Yvette uccide Caroline, prima di soccombere ad un colpo letale di coltello inferto da un’altra figura misteriosa….
Ovviamente non vado oltre nell’analisi della trama per non rivelare quello che sarà l’ultimo colpo di scena di Gli occhi azzurri della bambola rotta,film oscillante tra il thriller e l’horror diretto nel 1973 da Carlos Aured,che porta sullo schermo una sceneggiatura di Paul Naschy, uno degli interpreti del film.
Un giallo o thriller o horror che dir si voglia povero allo stesso tempo di idee e di qualità registiche, visto l’andamento ondivago della trama, lacunosa in molti punti e che ha l’unico merito di rendere così molto difficile la comprensione dell’identità del killer.
I colpi di scena finali arrivano a conclusione di un film che fino a quel momento si è distinto principalmente per la grossolanità degli effetti usati, oltre che per una certa sciatteria generale dovuta alla mancanza probabilmente di soldi per costruire un impianto più solido e meno artefatto.
Lo stile di Aured mostra evidenti tributi al giallo di casa nostra, con la differenza non da poco di ricalcare le trame argentiane tanto in voga nel nostro paese con scarsa mano e ancor più scarsa abilità.
Il film è rozzo, va a scatti, mostra più di un tributo a Gatti rossi in un labirinto di vetro, sopratutto nell’idea di rendere protagonisti del film dei cadaveri privi di occhi, estirpati al solito da un pazzo assassino.
A ben vedere gli assassini sono due e questo dovrebbe creare suspence ma in realtà, alla luce del finale assolutamente incoerente e mal girato si può parlare di classica ciliegina sulla torta che rovina però una torta dal retrogusto amaro.

Los ojos azules de la muñeca rota, tradotto letteralmente dai nostri distributori in Gli occhi azzurri della bambola rotta non ha alcun pregio e una volta tanto vede anche un buon attore come Paul Naschy, che interpreta Gilles barcollare per tutto il film in una interpretazione assolutamente incolore.
Molto meglio Dyana Loris, Eva Leon e Ines Morales, le interpreti femminili del film mentre un punto a favore è la location montanara del film; brutte le musiche per un film decisamente in tono minore e tranquillamente evitabile.
Non ho trovato traccia in rete di una versione italiana del film, per cui per vederlo occorrerà una ricerca sui p2p.
Gli occhi azzurri della bambola rotta
regia di Carlos Aured, con Paul Naschy, Dyana Loris, Eva Leon, Antonio Pica, Ines Morales, Pilar Bardem, Thriller/Horror Spagna 1973
Paul Naschy: Gilles
Diana Lorys: Claude
Maria Perschy: Yvette
Antonio Pica: ispettore Pierre
Eduardo Calvo: dottor Philippe
Eva Leon: Nicole
Pilar Bardem: Caroline
Luis Ciges: Renè
Ines Morales: Michelle
Sandra Mozarowsky: turista
Regia Carlos Aured
Soggetto Paul Naschy, Carlos Aured
Sceneggiatura Francisco Sànchez
Produttore esecutivo Josè Antonio Pérez Giner
Montaggio Francisco Sànchez
Effetti speciali Manuel Gòmez
Musiche Juan Carlos Calderòn
Scenografia Andrés Gumersindo
Costumi Humberto Cornejo
Trucco Miguel Sesé
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
Giallone-thrillerone iberico con titolaccio pazzesco che promette benissimo. Ma non mantiene. Sotto l’egida del killer di nero guantato, che è di argentiana memoria, Carlos Aured prova a dire la sua a riguardo e, ad essere clementi (cosa facile per un appassionato del genere) in parte ci riesce, tranne che per un macroscopico difetto: una colonna sonora così scarsa da demoralizzare anche un audioleso. Vengono utilizzate sostanzialmente due brani musicali: uno e un motivetto tipicamente settanta per nulla sinistro che viene insensatamente sovrapposto alle scene più tese, tagliando le gambe all’effetto delle scene stesse. L’altro pezzo musicale è un arrangiamento di “Fra Martino” che viene utilizzato per dare una misura della degenerazione mentale del killer (Argento docet). Un pezzo musicale peggio dell’altro. Aured comunque s’impegna per cercare di replicare la lezione italiana, fra traumi psicologici, sessualità maniaca, spiegone finale e un’atmosfera quasi accettabile, resa però indigesta da scivoloni in melò. Il film, tra l’altro, non permette di scoprire chi sia il vero colpevole perché omette dei particolari necessari a intuirne l’identità, semplicemente crea una serie di false piste, compreso ovviamente il protagonista Gilles con il suo passato burrascoso. E qui si apre il capitolo Paul Naschy, al secolo Jacinto Molina, la vera mente pensante dietro Gli Azzurri Occhi della Bambola Rotta. Naschy non solo scrive la sceneggiatura (insieme al regista) ma si ritagli anche il ruolo principale del macho circondato da donne, in realtà un tarchiato latin lover dall’interpretazione discretamente abborracciata. Lui però si sente bello e le donne sotto contratto devono stare al gioco. Non manca un po’ di splatter (globi oculari per coerenza col titolo), così come di fatto l’inutilmente crudele ripresa della macellazione di un maiale. Rocambolesco finalone multiplo la cui soluzione rammenta il classico Occhi senza Volto (1960). Film per appassionati del genere, o per chi voglia farsi qualche risata, perché Gli Occhi Azzurri della Bambola Rotta di materiale che mette allegria ne ha.
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Rustica imitazione spagnola dei thriller italiani coevi, erra catatonica fra donne menomate e ambigue, assassinii trash con fiotti di sangue e pupille enucleate dalle orbite, flashbacks amatoriali e un po’ di sesso, per ridestarsi tardivamente in un finale tributario di Occhi senza volto. Buchi di sceneggiatura, attori scarsi (pessimo Naschy) e musiche insulse, dall’allegro Leitmotiv al metallico “Fra Martino” che scatena la follia omicida. Deprecabile e del tutto fuori luogo lo sventramento del maiale.
L’opinione di Deepred89 dal sito http://www.davinotti.com
Mediocre gialletto spagnolo. La regia e la fotografia non sono nemmeno cattivissime ma la storia è lentissima ed accumula vari finali uno meno convincente dell’altro. Il protagonista Paul Naschy poi è imbronciatissimo e il resto del cast, pur non essendo completamente indegno, non fa nulla per farsi ricordare. Inoltre l’erotismo latita (nessuna scena di nudo) e anche il sangue è piuttosto limitato. Tremenda colonna sonora, con musichette in stile Gameboy e un delirante remix di “Fra Martino” (!) durante gli omicidi. Solo per appassionati.
L’opinione di Stefania dal sito http://www.davinotti.com
Il difetto è proprio la confezione, veramente sciatta e opaca, perché la storia non sarebbe male, e un certo indizio subliminale sull’identità dell’assassino è suggerito con una certa grazia. Inoltre il potenziale morboso-orrorifico delle tre sorelle (la monca, la paralitica e la ninfomane) c’è, purtroppo la sceneggiatura non valorizza i personaggi. Banalissime le sequenze degli omicidi. Gli interpreti? Beh, Naschy aveva già dato pessima prova di sé ne Il mostro dell’obitorio:qui, nel ruolo del maschio concupito, fa peggio. Povero ma brutto!
Doppia coppia con regina
Prima di parlare di questo film riemerso dall’oblio dopo oltre quarant’anni, vorrei ringraziare pubblicamente un manipolo di utenti di You tube che da qualche giorno sta caricando in rete una serie di film assolutamente rari, dei quali si erano perse le tracce oppure esistevano in giro solo polverose VHS.
Film spesso rintracciabili solo in versioni mutile o registrate anni addietro da canali televisivi privati, che utilizzavano vecchi master graffiati e che ora sono invece disponibili in versioni perlomeno decenti, come il rarissimo La lunga spiaggia fredda,Due occhi per uccidere oppure Crema cioccolato e paprika e molti altri.
Questa opera meritoria, spesso ostacolata dai regolamenti ottusi di You tube e dalle leggi sul diritto d’autore, andrebbe incentivata alla luce del fatto che spesso si tratta di opere datate,risalenti a oltre 40 anni addietro e quindi dal valore commerciale prossimo allo zero. Da oggi in poi,spero con buona frequenza,vedrò di aggiornare articoli e link presenti sul sito,visto che molti purtroppo sono stati cancellati.

Doppia coppia con regina,del quale fino a pochissimo tempo addietro esisteva solo una versione da videocassetta dalla qualità orrenda è riemerso improvvisamente grazie alla versione trasmessa da Rai Movie, probabilmente mutila di qualche minuto di pellicola, ma quantomeno accettabile dal punto di vista qualitativo; il film è oggi disponibile sul mulo, in una versione da 800 mega oppure in una versione molto meno compressa ai seguenti indirizzi:
https://ultramegabit.com/file/details/YZHxfMnI7cE/Dp72dvd.part1.rar
https://ultramegabit.com/file/details/1w6XjvZE8G0/Dp72dvd.part2.rar
https://ultramegabit.com/file/details/LKO5dqtF190/Dp72dvd.part3.rar
https://ultramegabit.com/file/details/Sxhm9LcG5WU/Dp72dvd.part4.rar
Veniamo al film vero e proprio, diretto nel 1972 da Julio Buchs,conosciuto in Italia per aver diretto una giovanissima Romina Power in uno dei suoi primi lavori cinematografici,I caldi amori di una minorenne
Doppia coppia con regina è un giallo classico, che si ispira scopertamente ai film lenziani e in particolare,per quanto riguarda i tempi cinematografici e l’uso della tensione narrativa a Cosi dolce cosi perversa.
La trama è innestata sulle vicende di Josè, un giovane ambizioso che,stanco di fare il meccanico,realizza tutti i suoi risparmi ed arriva a Madrid, dove però per colpa di un suo amico, resta a secco economicamente.

Grazie alla bella fotografa Elisa,Josè riesce a sbarcare il lunario, vivendo con lei e diventandone l’amante;successivamente Josè conosce i coniugi Pablo e Laura, che diviene la sua amante.
La donna coinvolge Josè in un tentativo di omicidio ai danni del marito, che però riesce a scampare all’omicidio e ricatta Josè, costringendolo a sua volta a diventare il killer della moglie.Preso in una trappola mortale, Josè dovrà riuscire a districare l’intricato rebus…
Come dicevo, un giallo tradizionale, Doppia coppia con regina , non differente nella sostanza dalla miriade di prodotti simili che pullularono nelle sale cinematografiche per buona parte degli anni sessanta e settanta;la miscela è quella classica, fatta cioè di una trama non eccessivamente contorta, di situazioni di tensione legate a sprazzi di sottile erotismo.
Questo film non fa eccezione alla regola, tuttavia si caratterizza per l’uso misurato dell’eros e per una buona tensione che serpeggia nel film per tutta la sua durata.

Grazie ad un cast impeccabile, Buchs dirige un film dal buon andamento, senza sussulti ma anche senza grosse pecche;la presenza di due bellissime brave attrici come Marisa Mell e Patrizia Adiutori, di un ottimo Gabriele Ferzetti conferisce alla pellicola dignità e un certo valore mentre molto marginale è la presenza di Helga Linè.
Marisa Mell, all’apice della sua bellezza, replica il ruolo di femme fatale interpretato in tanti film simili a questo; la differenza è che questa volta non si spoglia o quasi per nulla, a differenza di Patrizia Adiutori che mostra qualcosa in più.Non male nemmeno Juan Luis Galiardo,interprete principale del film che caratterizza il personaggi di Josè in maniera efficace,restituendoci un personaggio credibile alle prese con una storia troppo più grande di lui.
Un film di discreta caratura,quindi, in cui a supplire ad una sceneggiatura vista altre volte e quindi non particolarmente affascinante c’è quanto meno un manipolo di attori che recita decentemente.
Da vedere.

Doppia coppia con regina
Un film di Julio Buchs. Con Gabriele Ferzetti, Marisa Mell, Helga Liné, Patrizia Adiutori, Manuel Alexandre, Eduardo Calvo Titolo originale Alta tension. Drammatico, durata 90 min. – Spagna 1972.
Marisa Mell … Laura Moncada
Gabriele Ferzetti … Pablo Moncada
Juan Luis Galiardo … José
Helga Liné … Choni
Patrizia Adiutori … Elisa Folbert
Regia:Julio Buchs
Sceneggiatura:Julio Buchs
Musiche:Gianni Ferrio
Fotografia:Mario Montuori
Montaggio:Gaby Peñalba e Antonietta Zita
Production Design :Piero Filippone
Costumi:Antonio Muñoz
L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com
Aitante e squattrinato playboy (un sosia di Marino Masè!) conosce una signora ricca e frustrata, che gli propone di faR fuori il marito… L’abusatissimo spunto narrativo, il look, le belle musiche loungeggianti di Ferrio ci portano in zona Lenzi, difatti citato. Tuttavia, pur nella convenzionalità d’insieme il film non è malaccio (e di congrua brevità): Ferzetti è bravo, Marisa è Marisa, e una sequenza soprattutto è costruita sapientemente. Sciattissimo invece il finale (esauriti i fondi?). Comunque guardabile.
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Uno dei tanti discendenti de I diabolici di Clouzot, filtrato con le atmosfere di casa Lenzi, riserva ben poche sorprese e funge solo da ordinario tassello per completare un determinato sottofilone cinematografico, molto in voga in Italia e in Spagna tra fine Sessanta e primi Settanta; la Mell riesce comunque a trafiggere con la sua bellezza letale – contrapposta a quella più rassicurante dell’altrettanto venusta Adiutori – e Ferzetti con la consueta bravura e professionalità. L’optical irrompe nei titoli di testa e nel décor.
L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com
Una Mell stupenda, perfettamente a suo agio nel suo ruolo di villian, Ferzetti perfettamente antipatico, il convincente Gallardo, un ottimo cast di contorno (Auditori, Linè) e un buon intrigo che pur non essendo originalissimo cattura ed offre una certa tensione (vedi la scena del tavolo “elettrico”), rendono il film molto interessante. Ottime le musiche. Per chi ama il genere sarà un’eccellente scelta.
L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com
Un primo tempo all’altezza di Ritratto in nero: lui, lei, l’altro e un piano diabolico per disfarsi di un uomo con cui si vive controvoglia e di cui l’unica cosa che interessa e il potere. Ed ecco che entra in scena il playboy che vuole arrivare, pronto a tutto per questo. L’errore è che entrambi i coniugi si servono di lui e allora la cosa si complica. Dal sapore di Mystere (ovviamente a questo antecedente) una pellicola dignitosa, che anche se si perde un po’ nella seconda parte, resta un giallo scorrevole e interessante, con una soundtrack ottima.
L’opinione di Stefania dal sito http://www.davinotti.com
L’incipit è grande: Gallardo, provinciale inurbato, ha un carisma rozzo, un mix di ingenuità ed arrivismo che ne fanno un epigone non indegno di un certo… Midnight Cowboy! Anche il film nel suo insieme è sicuramente epigonico e derivativo (dal noir anni ’40 al giallo erotico-complottista lenziano), ma il ritmo narrativo è ottimo, stringato, senza indugi né compiacimenti, si gioca abbastanza a carte scoperte, questo va a scapito della suspence, ma non del divertimento. Ottima e inquietante la trovata del testimone cieco. Piacevole.
Marisa Mell
Helga Linè
Gabriele Ferzetti
Patrizia Adiutori
Le lobby card presenti nell’articolo provengono dal sito http://www.dbcult.com che ringrazio vivamente.
Volete essere sempre aggiornati sulle novità del sito?
Filmscoop è su Facebook: richiedetemi l’amicizia.
Il profilo è il seguente:
http://www.facebook.com/filmscoopwordpress.paultemplar

Il sesso della strega
Agghiacciante.
Non illudetevi, è un aggettivo che non serve a qualificare questo film come un film dell’orrore o come un thriller di caratura che tiene avvinti alla poltrona.
Siamo di fronte infatti ad uno dei film più scombinati, peggio realizzati e mal interpretati della storia del cinema italiano, un prodotto all’altezza di z movie ormai diventati leggenda come Incontri molto ravvicinati del quarto tipo,La bestia in calore o Un lupo mannaro contro la camorra, girato in tempi relativamente più recenti.
Il sesso della strega, distribuito all’estero con il titolo Sex of the witch, girato nel 1973 è opera dell’ineffabile Angelo Pannacciò, responsabile tra l’altro di aver diretto altre due brutture indescrivibili come Un urlo dalle tenebre (del quale ho già parlato) e Holocaust parte seconda: i ricordi, i deliri, la vendetta, altra bruttura inenarrabile.
Scoordinato,con una sceneggiatura scritta in pochi minuti e raffazzonata come poche, mal recitato e penalizzato ulteriormente da evidentissimi limiti di budget Il sesso della strega è la quintessenza di tutto quello che andrebbe evitato quando si dirige un film.

La storia è di una banalità imbarazzante e inizia attorno al capezzale di Sir Hilton, che sentendosi in prossimità della morte ha radunato i suoi discendenti, che in un lungo e tediosissimo monologo racconta spezzoni della sua vita e in ultimo confida di voler portare nella tomba il terribile segreto di famiglia.
L’uomo finalmente muore, con gran sollievo degli spettatori e subito dopo viene letto il testamento.
Tutti i beni di Hilton dovranno essere divisi tra i legittimi eredi fatta salva la parte destinata alla sorella Evelyn, che è la pecora nera della famiglia, in quanto odiava tutta la discendenza di Hilton.
Gli eredi credono di aver ereditato una fortuna ma in realtà hanno anche ereditato una vendetta;una mano misteriosa infatti semina la morte tra di loro.
Pannacciò, amante del gotico e delle storie a sfondo “magico” torna a rielaborare una sceneggiatura sullo stile del peraltro pessimo Un urlo dalle tenebre;lo fa nel modo peggiore, dimostrando che i maestri a cui si ispira, da Bava a Freda, non solo non gli hanno insegnato niente ma hanno avuto su di lui un influsso nefasto.
Non si contano infatti gli errori elementari nelle inquadrature, nella direzione del cast già di per se di un livello molto basso e sopratutto la mancanza assoluta della capacità di creare il colpo ad effetto, quel quid che innalzi almeno a tratti il livello del film.

Per di più, Pannacciò abbonda con l’erotismo, creando un effetto domino che trascina ancor più verso il basso il tutto; non avendo il senso della misura,il regista inserisce scene di nudo o di erotismo nei momenti topici della pellicola, con conseguenze a tratti anche esilaranti.
Basti vedere una delle sequenze iniziali, quella in cui il maggiordomo e una servetta si dedicano ad un amplesso nella cappella della villa, con primo piano del maggiordomo a cui la servetta pratica (evidentemente) una fellatio e in cui lo stesso sembra più in preda a spasmi intestinali che al piacere provocato dall’atto.
E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nefandezze proposte:si guardi l’entrata in scena surreale dell’ispettore, una sorta di tenente Colombo con tanto di impeccabile impermeabile e sorriso idiota stampato sul volto, roba da far invidia a Jeff Blinn in Giallo a Venezia.

Insomma, per farla breve,un campionario difficilmente ripetibile di bestialità e orrori cinematografici.
Il cast è quanto di peggio si possa assemblare e include il solito Gianni Dei,dall’espressione ancor più sperduta del solito,Jessica Dublin ormai over 50 e Camille Keaton, nipotina del grande Buster in un piccolo ruolo che fortunatamente le impedisce di partecipare allo scempio.
Se qualcuno dovesse butrire dei dubbi su quanto esposto su, consiglio la visione del film all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=2JJGKL1fkLY La versione è decisamente bruttina ma è quanto di meglio circoli in rete.
Il sesso della strega
Un film di Elio Pannacciò. Con Susanna Levi, Assunta Liemezza, Jessica Dullin, Sergio Ferrero, Ferruccio Viotti, Gianni Dei, Jessica Dublin, Lorenza Guerrieri, Marzia Damon, Camille Keaton Thriller/Horror, durata 91 min. – Italia 1973.
Susanna Levi … Susan
Jessica Dublin … Evelyn Hilton
Sergio Ferrero … L’uomo di Ingrid
Camille Keaton … Ann
Franco Garofalo … Tony
Donald O’Brien …L’ispettore
Gianni Dei … Simon Boskin
Augusto Nobile … Edward
Maurizio Tanfani … Nath
Marzia Damon … Gloria
Irio Fantini … Assistent Inspettore
Ferruccio Viotti … Notaio
Giovanni Petrucci Johnny
Annamaria Tornello … Ingrid
Regia:Angelo Pannacciò
Sceneggiatura:Angelo Pannacciò
Musiche:Daniele Patucchi
Fotografia:Maurizio Centini,Girolamo La Rosa
Montaggio:Marcello Malvestito
Art Direction:Egidio Spugnini
Costume Design :Osanna Guardini
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
L’incipit l’ho trovato interessante: questo moribondo circondato dai parenti e ripreso con un grandangolo che deforma l’immagine e la sua voce che pontifica sulla vita, la morte e i “morti-viventi”, con le parole scritte dallo sceneggiatore Franco Brocani (quello di Necropolis, 1970, e si capiscono tante cose…). Anche il tema musicale di Patucchi non mi è parso malaccio. Quindi, sempre nel bel mezzo di quel diluvio di parole, una bara, e due che scopano vicino ad essa. Niente male. Poi il film inizia davvero e sono guai. Il Sesso della Strega è un film di Pannacciò (è non ci si può sbagliare perché ce lo stampa a tutto schermo in titoli da fumetto), lo stesso dietro ad ineffabili lavori quali Porno erotico western (1979) e Un urlo nelle tenebre (1975). L’idea sarebbe quella di mescolare giallo ad horror soprannaturale e spolverare tutto con diverse scene di sesso che non guastano mai, ma il risultato ottenuto da Pannacciò è sotto il livello della decenza soprattutto per la noia abissale che sprigiona da questo whodunnit pecoreccio con grandi primi piani sugli occhi abborracciati dei protagonisti. E’ la noia che proprio non si può perdonare perché con brutture, sciatterie e illogicità ci si potrebbe anche divertire ma con la noia no. Gianni Dei, al secolo Gianni Carpanelli, nei panni del segretario amante del defunto non ci fa una bella figura (non che altrove…) e così il Donald O’Brien nei panni di un ispettore decisamente incompetente. Curiosa la partecipazione di Camille Keaton che cinque anni dopo diventerà famosa (più o meno) come protagonista dello shock exploitation Non Violentate Jennifer. Il finale del film proprone una soluzione dell’enigma quantomeno assurda però si sà, il paranormale… Invece riguardo il sesso così così, anche perché Pannacciò non è un maestro dell’eros, ma non escludo che possano esserci stati dei tagli. In più, grande delusione perché sul dizionario di Giusti si dice: “L’ultima scena del film si chiude sul sesso della strega esibito in primo piano, ben divaricato”. Giusti sì che è un maestro dell’eros perché solo a leggere mi ero galvanizzato e invece salta fuori che si tratta di una con delle orribili mutande blu. Vatti a fidare. Sconsigliato. Fidatevi.
L’opinione del sito http://www.horrormovie.it
(…) Per la serie “al brutto non c’è mai limite” eccoci di fronte a “Il sesso della strega”, titolo ad effetto per uno dei più scombinati e brutti thriller a tinte paranormali che la cinematografia italiana abbia prodotto negli anni ’70.
Il nostro cinema di genere tra gli anni ’60 e ’70 ha raggiunto vette altissime aggiungendo ottimi film su ottimi film. Registi del calibro di Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci, Riccardo Freda e Antonio Margheriti, solo per fare i nomi dei più celebri, hanno donato all’immaginario collettivo cinematografico veri gioielli mai più eguagliati dalle produzioni nostrane. Ma c’era anche un sottobosco di registi che si barcamenavano tra l’horror, l’erotico e chissà cos’altro che rappresentavano il lato oscuro di questa armoniosa combriccola di “Grandi nomi”, artigiani con non troppo talento che coglievano al balzo il filone in voga del momento e davano vita a discutibili Il Sesso della Stregalungometraggi che oggi vengono venerati come autentici “scult”. Tra i tanti sicuramente Angelo (in arte Elo) Pannacciò è uno dei più rappresentativi, soprattutto per questo “Il sesso della strega”, un thriller di rara bruttezza che fonde insieme il gotico italiano, il giallo-thriller (in quel periodo al suo massimo grado di diffusione) e l’erotico.
Pannacciò, autore anche della sceneggiatura insieme a Franco Brocani, aveva uno spunto interessante e soprattutto originale su cui lavorare: la magia (mista alla scienza) utilizzata per il cambiamento di sesso di un individuo. Purtroppo questo spunto non viene affatto approfondito e l’intera sceneggiatura appare troppo sconclusionata, composta da pochi eventi che si inseriscono nella narrazione spesso senza un vero nesso logico. Inoltre lo stesso autore non sembra avere le idee troppo chiare su quale genere ripiegare, se sul thriller-horror o sull’erotico. Se infatti la struttura è quella tipica del thriller, con tanto di omicidi all’arma bianca e killer misterioso da smascherare, non viene mai enfatizzata la suspense e gli stessi omicidi sono coreografati in modo Il Sesso della Stregagoffo e sicuramente poco “spaventoso”. Invece il film abbonda di scene erotiche, focosi amplessi e frequenti nudi, spesso inseriti in modo molto gratuito, solo che, ahinoi, anche in questo caso Pannacciò fallisce e le sue scene non riescono a infondere un reale erotismo, dal momento che anche in questo caso abbiamo scenette impacciate, mal girate e spesso ridicole (praticamente ogni volta che entra in scena il maggiordomo erotomane).(…)
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Viene la tentazione, davanti a film indescrivibili come questo, di fare la lista delle cose involontariamente esilaranti. Mi limito all’ispettore, che indossa l’impermeabile “da ispettore” anche al momento della prima colazione, e all’ambulanza che, arrivando a sirene spiegate, viene a lungo impallata da un muretto. Il resto è in linea, compreso il pazzesco finale. Nomi britannici, ma targhe automobilistiche italianissime e ambientazione nell’Appennino Laziale. Il c.s.c. Irio Fantini ha vari primi piani: un po’ poco per salvare il film..
L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com
Scompiscevole guazzabuglio di Pannacciò con vago plot occultistico sulla scia di chissà quali turpitudini di famiglia nobile, mentre per lo più nipoti lubrichi si limitano a trombare tutti con tutti (nè è da meno la servitù, dove spicca un grande Franco Garofalo in versione Igor de’ noantri), su musiche da porno-soft di Patucchi. O’Brien, che al confronto nei western pare Henry Fonda, contende al Jeff Blynn di Giallo a Venezia la palma di poliziotto più ciula, spaventosissime le mises di Gianni Dei. Irredimibile
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Sul lato tecnico non c’è nulla da fare, viste la regia esangue e la totale incuria di ritmo, montaggio, continuità e locations spudoratamente nostrane spacciate per anglosassoni. Il film di Pannacciò si guadagna la fama di cult per un soggetto all’insegna di un cinema bizzarro oggi estinto: una classica trama giallo-gotica a sfondo ereditario che si contamina con l’occultismo e la fantascienza delle mutazioni genetiche, nonché con frequenti intermezzi sexploitation e musiche stranianti. Argentiano l’omicidio con la mazza. Gli attori? «Fantasmi grigi e smunti, persone di oggi e senza spessore».
L’opinione di Max92 dal sito http://www.davinotti.com
Chi si inerpica nella visione di questa pellicola da Olimpo del trash non nutre grandi aspettative. Ma Pannacciò è riuscito a superare se stesso, sciorinando allo spettatore un film di una bruttezza inusitata. Riprese amatoriali, interpreti allo sbaraglio più completo (Buster Keaton si starà rivoltando nella tomba nel vedere dove si era infognata la nipotina Camille) e scene di sesso di uno squallore indicibile (vedere la sfatta Dublin nuda, che comunque rimane recitativamente la migliore, è un’esperienza che lascia il segno). Titolo finissimo.


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Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale
Mentre è su una spiaggia all’apparenza deserta, occupato a ritrarre la bellissima modella Olga, il fotografo carlo assiste, non visto, ad un omicidio eccellente mascherato da incidente.
La vittima è il procuratore Anchisio e le indagini sulla morte dello stesso sono affidate la valido ispettore Vezzi.
Carlo, sviluppate le foto, decide di trarre un profitto dalla situazione e propone un ricatto a Mario Ceccarelli, detto Zio Fifì, un sordido regista di filmini porno che nasconde la sua attività facendosi credere maestro di danza.
A nulla valgono i tentativi di vendere gli scatti proibiti alla mafia mentre interessato alla cosa sembra essere un settimanale che si offre di acquistare i negativi.
Accordatisi per una cospicua somma, Fifi, Olga e Carlo danno i negativi ad un inviato del settimanale, che nel frattempo viene ucciso.
Il misterioso assassino è quindi in possesso dei negativi ma per una fatalità Olga, amante e modella di Carlo, ha scambiato i negativi e così iniziano i guai.

L’uomo uccide zio Fifi e poi con un incidente stradale ferisce gravemente la sventurata Olga.
Carlo, ormai resosi conto di essere in balia di un uomo senza scrupoli, decide di collaborare con la polizia che tende una trappola all’omicida…
Giuseppe Vari, onesto artigiano del cinema, firmandosi Joseph Warren mette su nel 1972 questo strano intreccio fra thriller e poliziesco nel 1972, uno degli anni in cui a cinema ci andavano praticamente tutti e vedendo qualsiasi cosa.Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale esce proprio in questo periodo, finendo però, proprio per l’altissimo quantitativo di prodotto offerto, per confondersi con altri prodotti dalle tematiche simili.
E poichè si tratta di un film scarno ed essenziale, senza una sceneggiatura molto coerente ecco che il film finisce presto nel dimenticatoio
In verità un po ingenerosamente, visto che il prodotto finale non è malvagio; tuttavia la trama un po ruvida, l’andamento traballante del film stesso ne decretano un sostanziale insuccesso ai botteghini.
Peccato, perchè Vari, che aveva all’attivo almeno una ventina di film appartenenti a svariati generi non era certo un pivellino; purtroppo in Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale si fa prendere la mano dalla tentazione di velocizzare la pellicola, renderla ricca di colpi di scena con il risultato di creare un film dall’andamento schizofrenico.

Nonostante le evidenti pecche nella sceneggiatura, il film regge a fatica sorretto principalmente dall’ottimo cast assoldato per la pellicola;si va dall’onnipresente Lou Castel ( il fotografo Carlo) alla bellissima Beba Loncar (Olga, la modella e amante di Carlo), da Adolfo Celi (l’ispettore Vezzi) a Massimo Serato (lo zio Fifi).
Gli attori interpretano in maniera misurata le loro parti in un film che ha una discreta miscelazione degli elementi thriller e polizieschi, spruzzati da una piccola dose di erotismo, come del resto prevedibile visto il ruolo del protagonista, un fotografo e quello sopratutto di “zio Fifi”, una specie di ruffiano che vive dirigendo squallidi filmetti pornografici.
A proposito di erotismo, non va dimenticato lo squallido espediente, a cui probabilmente è del tutto estraneo il regista, di inserire per il mercato estero sequenze pornografiche del tutto fuori contesto, cosa che dequalifica la pellicola che al tirar delle somme non è da gettare via.

Su You tube, all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=cJ9cCfhiMvo è possibile vedere il film completo; purtroppo si tratta di un riversamento da VHS con una qualità dell’immagine e del sonoro davvero modesta, cosa sorprendente visto che del film stesso esiste da tempo una versione digitale.
In attesa di una riduzione decente occorre accontentarsi.
Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale
Un film di Giuseppe Vari. Con Massimo Serato, Adolfo Celi, Beba Loncar, Lou Castel, Renato Baldini Poliziesco/Thriller, durata 92 min. – Italia 1972.
Lou Castel: Carlo
Beba Loncar: Olga
Adolfo Celi: Inspector Vezzi
Massimo Serato: Uncle Fifi
Umberto D’Orsi: Romano, avvocato di Don Salvatore
Renato Baldini: Marshal Notarantonio
Consalvo Dell’Arti: Soprintendente Portella
Antonio La Raina: Mauri
Carlo Landa: Roversi
Carla Mancini: dipendente del Nightclub
Renato Malavasi: Vicenzino Rocca
Fortunato Arena: Don Salvatore Aniello
Domenico Maggio: Garrù
Alfredo Adami: Il cassiere (non accreditato)
Sisto Brunetti: Poliziotto (non accreditato)
Riccardo Petrazzi: scagnozzo di Don Salvatore (non accreditato)
Goffredo Unger: scagnozzo di Don Salvatore (non accreditato)
Regia Giuseppe Vari
Sceneggiatura Thomas Lang
Casa di produzione Castor Film, Ital-Victoria Films
Fotografia Franco Villa
Montaggio Giuseppe Vari
Musiche Mario Bertolazzi
Costumi Osanna Guardini
Trucco Corrado Blengini
L’opinione del sito http://www.ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com
(…) Il 1972 è stato davvero un anno ricco di spunti e inventiva per il cinema italiano e non mi stupisco affatto (anzi) che questo interessante thriller (tra i meno noti e celebrati anche tra gli appassionati del genere) sia uscito proprio in quel periodo. Il regista Giuseppe Vari mescola un po’ di poliziesco e giallo complottistico (con un po’ di rimandi a “Blow up”), non eccede in finezze e virtuosismi registici e quindi, invece di strafare, punta onestamente all’essenziale cavando sangue dalle rape; la sceneggiatura è scarna, il cast non è proprio da urlo e quindi la recitazione non è ai massimi livelli (Celi a parte nei panni del commissario) eppure, nonostante queste premesse poco esaltanti, il film è gradevolissimo, fila via che è un piacere e si rivela una piccola sorpresa. Insomma, una visione direi che se la merita.(…)
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
Giallaccio dell’esperto di spaghetti western e di montaggio Giuseppe Vari (Il 13º è sempre Giuda, 1971), che essendo agli inizi del successo pubblico del giallo argentiano, e quindi su binari ancora non solcatissimi, impapocchia il tutto fra thriller, mystery e poliziottesco. Ma forse Vari voleva fare le cose proprio così. La supsense più classica esce dalla porta sul retro già sulle prime e per questo e quello l’appassionato del canonico giallo rimarrà deluso. Tuttavia la storia, complessa e ricca di personaggi particolari, si costrusisce discretamente e la conclusione della faccenda è coerente. Di Argento c’è il concetto del testimone oculare di un omicidio, la soggettiva del killer e di quest’ultimo anche una parte dell’iconografia. Del poliziottesco c’è tutta la faccenda criminosa, personaggi malavitosi e qualche battuta con riferimenti colti socio-politici (vedi Solgenitsin). Un po’ viene da ridere a sentire i regionalismi e le sbandate recitative dei soliti caratteristi (Arena mafioso è cult), però buona parte degli attori dà quello che può e non dà poco: Adolfo Celi e Beba Locar al meglio, Lou Castel ha la faccia incazzata per buona parte del film (il che non è una novità), ma ce l’avrei anche io se avessi fatto le foto sbagliate. Bellissime, a mio parere, le musiche di Mario Bertolazzi, very Seventy! Poco sangue, a parte un’uccisione, ma decisamente originale il trappolone finale per beccare il cattivo di turno. Terza Ipotesi su un Caso di Perfetta Strategia Criminale non è il giallo che consiglierei, fra i tanti che si possono vedere, ma a livello tecnico e narrativo è un prodotto innegabilmente sufficiente, quindi si becca il pollice in su. Mezzo pollice in su. Però poco visto e quindi meritevole di recupero; chissà, forse in futuro sarà cult! No, non lo sarà.
L’opinione di nicola81 dal sito http://www.filmtv.it
Difficile immaginare un giallo dallo stile e dalla tematica più lontani rispetto a quelli che sono i canoni tradizionali del genere: in effetti la scelta compiuta da Vari di privilegiare il versante poliziesco comporta un inevitabile sacrificio in termini di suspense. Tuttavia l’intreccio è costruito discretamente e in modo abbastanza verosimile, la sceneggiatura di Thomas Lang si mantiene agile e il finale, una volta tanto, fornisce le dovute spiegazioni. Tra un imbronciato Lou Castel e una ornamentale Beba Loncar, spicca l’ottima interpretazione di Adolfo Celi.
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Dignitoso ed emblematico. Dignitoso perché il film, più poliziesco che argentiano, si lascia guardare senza accusare cadute eccessive. Emblematico perché rappresenta quei prodotti medi di cui il cinema italiano era negli Anni Settanta così felicemente dotato. Celi è splendido, anche quando lo si fa proferire cose inverosimili. Molti, impegnati in ruolo cospicui rispetto al solito, danno il massimo. La Loncar mi colpisce sempre, perché riesce contemporaneamente ad essere sia sensuosa sia rassicurante, il che da tutte non è.
L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Proprio vero che più uno ha e più vuole avere… anche se non eccelle, nell’insieme è un film piacevole. Celi non fallisce mai, ma mi è molto piaciuta la scena più tragica nel rifugio estemporaneo, oltre all’immancabile classe del padrino mafioso quando pretende di assurgere ad onesto cittadino. Bravo anche Serato (ormai lo reputo un attore scalognato, perché ricalca quasi le sventure di Macchie solari). Vale comunque la pena di vederlo, non solo per onor di firma.



































































































































































































































































































































































