Baciamo le mani
Stefano Ferrante,figlio del capo clan mafioso Don Angelino Ferrante,viene ucciso di sera in una campagna.
A organizzare l’agguato è Gaspare Ardizzone,boss emergente.
Spietato,cinico e senza scrupoli Gaspare ha assassinato personalmente Stefano per la sua opposizione a cedergli un suolo sul quale il boss
aveva delle mire.
Sapendo di non poter competere con il sanguinario Gaspare,Don Angelino si rivolge a Santino Billeci,capoclan americano rispettato e temuto,
sperando di poter in qualche modo contrastare lo strapotere di Ardizzone.
Ma il boss fa uccidere Billeci e da quel momento praticamente più nessuno osa opporsi al suo clan.
Nel frattempo Mariuccia,la giovane vedova di Stefano,allaccia una pericolosa relazione con Masino,figlio del braccio destro di Don Angelino;la donna resta incinta e a quel punto il loro destino è segnato.Poichè Mariuccia ha venduto il terreno oggetto della disputa e ha violato il codice della mafia osando avere una relazione con Masino,viene affogata in una vasca da bagno e lo stesso Masino costretto al suicidio.
La guerra tra i clan diventa sempre più spietata:sarà Luca,il cugino di Stefano a vendicare la morte del giovane uccidendo Ardizzone ma…
Baciamo le mani è l’opera prima e unica di Vittorio Schiraldi,giornalista,scrittore e sceneggiatore che riduce per il grande schermo il suo romanzo omonimo,curandone anche la sceneggiatura.
Mossa vincente,perchè chi meglio dello scrittore può trasportare sullo schermo la sua creatura?
E Schiraldi lo fa in maniera egregia,usando un linguaggio e immagini davvero forti,tanto che all’epoca dell’uscita del film,nel 1973,furono in molti a puntare il dito sull’eccessiva violenza contenuta nella pellicola.
Cosa che,pochi anni dopo,verrà purtroppo confermata dai fatti reali,che mostrarono come il film in realtà avesse solo avvicinato il problema.
Che era molto più terribile e complicato di quanto ipotizzato fino ad allora.
Con un linguaggio duro,con una storia complessa vista la ricchezza di personaggi ma con le idee chiare e sopratutto con buona tecnica Schiraldi disegna una storia in cui,alla fine,non ci saranno vincenti,ma solo tanti cadaveri.
E anche in questo il regista bergamasco mostra di essere un anticipatore della realtà storica.
Ancora una volta sorprende il fatto che un regista dalle indubbie qualità come Schiraldi non abbia poi avuto più possibilità di dirigere altre pellicole;si dedicherà,infatti,a scrivere sceneggiature cinematografiche alcune delle quali di buon livello,come Il gatto dagli occhi di giada e Sono stato un agente C.I.A
Probabilmente la scelta di dirigere un film fu una decisione presa solo per sperimentare nuovi mezzi di espressione;Schiraldi infatti continuò,dopo il suo fortunato esordio a scrivere romanzi di lusinghiero successo come Sii bella, sii triste,La mafia dagli occhi blu ecc.
Pellicola riuscita,quindi,grazie alla mano forse un tantino rozza ma sicuramente efficace del regista,a cui di deve ascrivere anche l’intuizione di aver assemblato un cast pieno di caratteristi di lusso oltre ad un bravissimo Arthur Kennedy,a un diabolico John Saxon e una splendida Agostina Belli.
Comprimari che si chiamano Corrado Gaipa,Daniele Vargas,Pino Colizzi.
Ancora un buon film che vi consiglio caldamente,teso,essenziale.
La pellicola è presente su You tube in buona qualità all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Q1MUF41ZafA
Baciamo le mani
Un film di Vittorio Schiraldi. Con Paolo Turco, Daniele Vargas, John Saxon, Corrado Gaipa,Agostina Belli, Arthur Kennedy, Pino Colizzi, Giuseppe Addobbati, Tino Bianchi, Spiros Focas, Anna Orso, Massimo Sarchielli, Giorgio Dolfin, Marino Masé, Jane Avril Drammatico, durata 110 min. – Italia 1973
Arthur Kennedy: Don Angelino Ferrante
Agostina Belli: Mariuccia
John Saxon: Gaspare Ardizzone
Spiros Focás: Luca Ferrante
Joshua Sinclair: Stefano Ferrante
Paolo Turco: Massimo Ferrante
Pino Colizzi: Masino D’Amico
Giuseppe Addobbati: Nicola D’Amico
Marino Masé: Luciano Ferrante
Corrado Gaipa: Don Emilio Grisanti
Daniele Vargas: Don Santino Villeci
Regia Vittorio Schiraldi
Soggetto Vittorio Schiraldi
Sceneggiatura Vittorio Schiraldi
Casa di produzione Aquila Cinematografica
Fotografia Marcello Gatti
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Enrico Simonetti
Scenografia Enrico Sabbatini
Costumi Enrico Sabbatini
“Li piccioli fottono le donne ed il popolo ignorante: da sempre si copre l’immobilità assoluta a vantaggio esclusivo di “pochi” con sole belle e fatue parole con “politichese” gira il cetriolo e… “gira..gira lu’ citrulo pegghi’ n’culo all’ortolano””
La rivolta delle gladiatrici (The Arena)
Durante l’occupazione romana della Gallia, un gruppo di legionari irrompe in un villaggio gallico mentre è in corso una cerimonia sacra e massacra senza pietà tutti gli uomini del villaggio.
Ad essere risparmiate sono soltanto le donne che vengono incatenate e trasportate in città. La stessa scena si ripete in Africa con le stesse modalità, solo che ovviamente le donne sono di colore.
Pam Grier è Mamawi,Margaret Markov è Bodicia
Bodicia, sacerdotessa dei galli, bionda e bellissima, catturata nel raid in terra francese e Manawi, ballerina colored vengono quindi ad incontrarsi in catene nella città romana di Brindisi.
Qui le donne, assieme alle sventurate compagne di prigionia, vengono utilizzate come compagne occasionali dei gladiatori impegnati nei loro cruenti combattimenti o anche come divertimento notturno dei loro carcerieri.
Una rissa avvenuta nelle stanze in cui sono rinchiuse le donne provoca l’intervento di Timarcus, il tirannico organizzatore dei giochi gladiatori.
L’uomo decide così di far addestrare le donne per farle combattere fra di loro nelle arene.
Così avviene, sotto la guida dell’istruttore Septimus, che però finisce per innamorarsi della bella Lucinia.
Nell’arena, le donne si combattono, ma senza la necessaria ferocia, evitando di farsi del male, cosa che provoca lo scontento del pubblico, assetato di sangue.
Costrette sotto la minaccia delle armi a combattere sul serio, le gladiatrici improvvisate finiscono per trucidarsi fra loro.
Saranno Mamawi e Bodicia,sopravvissute ai combattimenti, consapevoli di essere destinate alla morte comunque, a organizzare una rivolta delle schiave, che si concluderà con la fuga di poche superstiti attraverso i sotterranei della città.
Tardo peplum datato 1974, La rivolta delle gladiatrici, più noto in America con il titolo The Arena è inaspettatamente un gradevole film d’avventura che dal peplum riprende i ritmi e l’ambientazione, utilizzando le caratteristiche che avevano reso famoso il genere negli anni 60, ovvero i combattimenti con gladi e forche, gladiatori impegnati in lotte estreme ecc.
A cambiare per una volta sono i soggetti; non più rudi traci o sassoni catturati dai romani ma bellissime ragazze poco inclini a fungere da oggetto di divertimento per il volgare pubblico.
Sostanzialmente è questa la novità apportata dal film di Steve Carver, autore del discreto F.B.I. e la banda degli angeli (Big bad mama); accanto a lui, non accreditato, figura Aristide Massaccesi che in realtà girò le scene d’azione.
E c’è da credergli perchè la mano del regista romano (che contemporaneamente stava girando il decamerotico Novelle licenziose di vergini vogliose) è visibile sopratutto nella perizia con cui le stesse vengono rappresentate.
La rivolta delle gladiatrici ha ritmo, una sceneggiatura accettabile, scene d’azione ben girate; il che è un autentico lusso, tenendo conto che il film stesso era un prodotto low budget.
Il cast fa il suo dovere, e tra gli attori protagonisti troviamo una giovane Pam Grier (Mamawi), la bella Lucretia Love (Deirdre),Rosalba Neri (Cornelia), l’ottimo Daniele Vargas, luciferino nell’interpretazione di Timarcus e Margaret Markov, la biondissima Bodicia decisamente più bella che brava.
Da segnalare alcune scene su tutte; in primis la sequenza girata all’interno dell’arena, con i combattimenti tra le improvvisate gladiatrici e la rissa nelle cucine organizzata da Mamawi.
Naturalmente nudi a volontà ma eros decisamente limitato il che è sicuramente una novità all’interno di un film girato, se pur in “coabitazione” dal Massaccesi/D’Amato.
Un pizzico di femminismo ante litteram, con qualche discorso velleitario (vedi quello di Mamawi alle sue colleghe gladiatrici), seni, cosce e natiche a profusione ma anche un sostanziale equilibrio della pellicola che alla fine risulta gradevole e leggera.
Relegato tra i B movie e spesso sconsigliato dai critici come esempio di film dozzinale e mal diretto, The Arena vale invece sicuramente una visione.
Molto più di alcuni celebrati film di provenienza cecoslovacca, polacca e via discorrendo che imperversarono sugli schermi (purtroppo) in tutto il decennio settanta.
Da rimarcare, in ultimo, l’utilizzo da parte di numerosi attori di pseudonimi americani, espediente per accreditare la provenienza americana del film stesso; così Maria Pia Conte diventò Mary Count, Rosalba Neri diventò Sara Bay, Mimmo Palmara si trasformò in Dick Palmer e via dicendo.
Rosalba Neri
La rivolta delle gladiatrici (The Arena), un film di Steve Carver e Aristide Massaccesi (non accreditato), con Margaret Markov, Pam Grier, Lucretia Love, Paul Muller, Daniele Vargas, Marie Louise Sinclair, Maria Pia Conte, Rosalba Neri, Vassili Karis, Silvio Laurenzi, Mimmo Palmara, Antonio Casale, Franco Garofalo, Pietro Ceccarelli, Jho Jhenkins, Ivan Gasper, Pietro Torrisi, Salvatore Baccaro, Anna Melita.
Genere Peplum,sexy Italia-USA 1974
Margaret Markov Bodicia
Pam Grier … Mamawi
Lucretia Love … Deidre
Paul Muller … Lucilius
Daniele Vargas … Timarchus
Marie Louise Sinclair … Livia
Maria Pia Conte … Lucinia
Rosalba Neri … Cornelia
Vassili Karis … Marcus
Silvio Laurenzi … Priscium
Mimmo Palmara … Rufinius
Antonio Casale … Lucan
Franco Garofalo … Aemilius
Pietro Ceccarelli … Septimus
Regia Steve Carver, Joe D’Amato (non accreditato)
Soggetto John William Corrington, Joyce Hooper Corrington
Sceneggiatura John William Corrington, Joyce Hooper Corrington
Produttore Mark Damon
Produttore esecutivo Roger Corman
Casa di produzione New World Pictures, Rover Film
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Jahn Carver, Joe Dante
Musiche Francesco De Masi
Scenografia Bartolomeo Scabia
Costumi Luciana Marinucci
Il piatto piange
Un gruppo di amici, oziosi e annoiati, si riunisce a Luino nell’albergo di uno della compagnia.
Siamo agli inizi degli anni Trenta, il fascismo è da poco al potere, ma al gruppo dei gaudenti poco importa, anzi.
A loro della politica interessa poco; le loro serate passano in interminabili partite a carte, fra sberleffi e boccacceschi racconti sulle prodezze amatorie dei componenti del gruppo.
Sbruffonate, certo, ma non quelle di Mario Tonino detto il Camola; lui con le donne ha davvero fortuna, forse perchè affronta la vita e le cose come un gioco.
Andrea Ferreol, la cantante moglie del capostazione
Camola è il segretario del locale avvocato, i suoi amici sono un barbiere, un capostazione, un professore…in pratica, gli uomini del paese che hanno una funzione sociale. Tutti insieme oziano, in una città che sembra oziosa allo stesso modo, incurante degli avvenimenti tragici che sembrano avvicinarsi come nubi nere; quando il gruppetto non è impegnato a giocare a carte, o a prendersi beffe dello Spreafico, il locale dirigente del partito fascista, frequentano la casa d’appuntamenti di Mamma Rosa, da poco trasferitasi con le sue ragazze nel paese.
Il Camola ben presto seduce dapprima la moglie di un casellante delle ferrovie, poi la bella Ines, la ragazza più bella del paese e infine una giovane fascista.
Quest’ultima dopo che un mediconzolo gli ha diagnosticato una malattia venerea e dopo che un suo amico gli ha fatto bere la balla che per guarire deve andare con una ragazza ancora vergine.
Così, tra una beffa e un litigio, tra giochi e indolenza, si consumano le giornate del gruppo, mentre attorno a loro scorre pigramente la vita della cittadina, scossa solo dalla morte di Mamma Rosa e dalle spedizioni punitive dello Spreafico avvenute in concomitanza con i festeggiamenti del 21 aprile.
Il piatto piange, diretto da Paolo Nuzzi nel 1974 e tratto dall’omonimo romanzo di Pietro Chiara, è una trasposizione abbastanza fedele del romanzo stesso, del quale cerca di ricostruire l’atmosfera indolente, pigra che lo caratterizza.
E lo fà in maniera abbastanza originale, perché il film scivola via senza grosse sbandate, riuscendo a catturare l’attenzione dello spettatore con i fatterelli, tutto sommato abbastanza banali, che avvengono nel paese.
Due fotogrammi con la splendida Agostina Belli, Ines
Merito non solo della sceneggiatura a cui lavorarono in tre, lo stesso scrittore, il regista e Maria Pia Sollima, ma anche grazie al bel cast che il film riunisce attorno alla figura principale del Camola, interpretato molto bene da Aldo Maccione.
L’attore torinese da respiro al suo personaggio, un uomo dai robusti appetiti sessuali, poco disposto a prendere sul serio la vita o quello che gli accade intorno.
Accanto a lui, il grande Erminio Macario, che interpreta il Brovelli, un reduce un pochino tocco della prima guerra mondiale che si prende lo sfizio di mollare una pedata nel didietro ad un fascista.
Molto bene anche la bella e brava Agostina Belli, la Ines bramata dal Camola (che riuscirà a goderne le grazie) e dal viscido Spreafico, che inutilmente le farà la corte.
Ci sono poi Andrea Ferreol, l’unica ad andare sopra le righe con il personaggio (un tantino isterico) della cantante lirica moglie del capostazione che fa becco il marito, c’è Guido Leontini che al solito interpreta il personaggio più antipatico del film, lo Spreafico.
E infine attori come Claudio Gora (il dottore), Daniele Vargas (l’Avvocato) e nientemeno che Bernard Blier nel ruolo del parroco.
Piccola parte per Maria Antonietta Beluzzi che interpreta Mamma Rosa; l’attrice, che aveva 44 anni all’epoca in cui fu girato il film, compare in una scena di nudo piuttosto ardito, anche se non particolarmente apprezzabile dal punto di vista estetico.
Un film di buon livello, gradevole, che ha il merito di ricreare le atmosfere ovattate tipiche del romanzi di Chiara; un film in cui l’ironia è palpabile, che qualche vota esprime la stessa con guizzi beceri. Ma sono difetti davvero veniali, perchè il tutto non sfugge mai dalle mani del regista, che riesce a portare a termine un prodotto con dignità senza mai scivolare nella farsa. Il film è disponibile su You tube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=gmGd18l93k4 in una versione molto buona qualitativamente
Il piatto piange,
un film di Paolo Nuzzi. Con Erminio Macario, Agostina Belli, Andréa Ferréol, Aldo Maccione, Claudio Gora, Bernard Blier, Daniele Vargas, Elisa Mainardi, Renato Pinciroli, Lorenzo Piani, Vittorio Fanfoni, Loredana Martinez, Nazzareno Natale, Guido Leontini, Armando Brancia, Renato Paracchi, Franco Diogene, Angelo Pellegrino, Piero Chiara
Commedia, durata 110 min. – Italia 1974.
Maria Antonietta Beluzzi, Mamma Rosa
Aldo Maccione: Mario Tonini detto il Camola
Erminio Macario: Brovelli
Agostina Belli: Ines
Maria Antonietta Beluzzi: mamma Rosa
Andréa Ferréol: Cantante lirica
Aldo Maccione: Mario “Camola” Tonini
Claudio Gora: Il dottor Ferri
Bernard Blier: Il parroco
Daniele Vargas: L’Avvocato
Elisa Mainardi: Wilma Sperzi
Renato Pinciroli: Rimediotti
Loredana Martinez: Flora
Nazzareno Natale: Bertinelli, lo stalliere
Guido Leontini: Spreafico
Armando Brancia: Mazzaturconi, il federale
Renato Paracchi: Il “cliente” di Bellinzona
Franco Diogene: Peppino, il barbiere
Angelo Pellegrino: Giuseppe Migliavacca, il sarto
Piero Chiara: Un cliente del caffè con giornale
Maria Antonietta Beluzzi: mamma Rosa
Regia Paolo Nuzzi
Soggetto Piero Chiara,
Sceneggiatura Piero Chiara, Paolo Nuzzi, Maria Pia Sollima
Fotografia Arturo Zavattini
Montaggio Antonio Siciliano
Musiche Franco Micalizzi, Rudy Knabl, Sandro Blonksteiner
Scenografia Mario Ambrosino
Costumi Mario Ambrosino, Angela Parravicini
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“Non ho mai capito perché anche i cinefili dalla mente più aperta, più anticonformisti, sempre pronti a rivalutare ignobili filmacci, non abbiano mai riscoperto questa gradevole pellicola d’ambientazione provinciale (e d’epoca fascista), ispirata all’omonimo romanzo (1962) di Piero Chiara. Certo, non è perfetta, i tempi morti purtroppo non mancano, ma tutti gli interpreti sono affiatati e il risultato è comunque gradevolissimo da visionare.
Vezzosa pellicola di ambientazione luinese (in realtà girato ad Orta San Giulio: si vede anche l’isoletta in mezzo al Cùsio), con gradevolissimi caratteristi. Accanto ad un ottimo Maccione, ruotano l’Agostina , Gora, Diogene, Leontini, Maffioli, Vargas, Pellegrino… In più ci sono due assi come Bernard Blier (che ha la faccia di uno che è nato per fare l’attore) e Macario (non proprio eccelso, ma lo si guarda sempre con affetto). Film non grande, ma legittimamente di piccolo culto.
Distribuito nelle edicole (ormai in anni lontani, tipo 1996-1997) nella serie Commedia Sexy all’Italiana (Shendene & Moizzi) il film non brilla per ritmo, essendo statico (fissato attorno ad un tavolo) e costringendo a piangere, non solo il piatto, ma pure lo spettatore. Il pianto poi si dilunga, di fronte allo sperpero d’un cast di spessore (risalta il simpatico Macario) ed alla perfetta ricostruzione degli ambienti d’epoca (anni ’30). L’obiettivo del film è mancato in pieno, ma merita una visione.
Gustoso e salace, in tono con la poetica di Chiara (che co-sceneggia e fa una fugace apparizione su una panchina ad ammirare la Belli). Maccione straordinario, ricostruzione accurata. Un film riuscito.”
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L’infermiera
Un fresco vedovo, Leonida, viene colto da infarto mentre si sta consolando con la moglie del custode del cimitero nel quale ha sepolto sua moglie. La notizia invece di turbare, rallegra gli avidi parenti prossimi dell’uomo, ansiosi di mettere le mani sull’azienda vinicola che Leonida possiede, in modo da poterla vendere ad un ricco imprenditore. Per far ciò però hanno bisogno che all’uomo sia fatale un secondo infarto; così il genero di Leonida chiama al capezzale dell’infermo una splendida e avvenente infermiera, con il palese intento di provocare nell’uomo un mortale infarto.
Ma la donna, all’inizio d’accordo con il piano, impara a conoscere e stimare Leonida; gli si affeziona, e decide di sposarlo. Così caccia dalla villa del futuro marito tutti i parenti e parte in viaggio di nozze con l’uomo. Ma a Leonida sarà fatale proprio la bellezza della moglie: non resiste, infatti, al suo charme e dopo un amplesso cade fulminato dal secondo infarto.Anna, divenuta sua erede, commossa tributa all’uomo dei solenni e fastosi funerali.
Commedia sexy diretta da Nello Rossati nel 1975, L’infermiera si segnala per l’ottimo cast allestito dal regista e per la trama non disprezzabile, anche se il canovaccio resta abbastanza orientato sulle generose nudità della bellissima ex Bond Girl svizzera Ursula Andress; l’attrice, nel pieno della maturità fisica, è uno spettacolo per gli occhi.Il resto del film fila via sui binari della comicità non triviale, anche se abbastanza telefonata, e sulle gag dei numerosi co-protagonisti, a cominciare da Mario Pisu che interpreta Leonida, proseguendo per un’altra splendida Bond girl,
Luciana Paluzzi, e ancora con Duilio Del Prete (il genero di Leonida), Daniele Vargas, la bella Carla Romanelli, Lino Toffolo e come guest star Jack Palance, nei panni dell’industriale americano. In ultimo, il bravo Lino Toffolo, nei panni del servitore, costretto, per l’ennesima volta in carriera, a fare l’ubriacone.
Film tutto sommato non disprezzabile; a parte la musicalità del dialetto veneto, irresistibile, usato a piè spinto, la bella Andress da valore aggiunto alla pellicola. Memorabile il bagno in piscina, con l’attrice completamente nuda e generosamente esposta. Il regista adriese, reduce dal buon successo di La nipote, dirige quasi con taglio drammatico il film, rendendolo superiore alla media delle pellicole della commedia sexy.
Lino Toffolo e Carla Romanelli
Luciana Paluzzi
L’infermiera, un film di Nello Rossati. Con Duilio Del Prete, Daniele Vargas, Mario Pisu, Ursula Andress, Luciana Paluzzi, Jack Palance, Carla Romanelli, Lino Toffolo, Marina Confalone, Stefano Sabelli
Erotico, durata 105 min. – Italia 1975.
Ursula Andress: Anna
Duilio Del Prete: Benito Varotto
Mario Pisu: Leonida Bottacin
Daniele Vargas: Gustavo Scarpa
Carla Romanelli: Tosca Floria Zanin
Marina Confalone: Italia Varotto
Stefano Sabelli: Adone
Luciana Paluzzi: Jole Scarpa
Lino Toffolo: Giovanni Garbin
Jack Palance: Mr. Kitch
Attilio Duse: Dottor Pavan
Regia Nello Rossati
Soggetto Claudia Florio, Roberto Gianviti, Nello Rossati, Paolo Vidali
Sceneggiatura Claudia Florio, Roberto Gianviti, Nello Rossati, Paolo Vidali
Produttore Carlo Ponti
Produttore esecutivo Romano Dandi
Casa di produzione Compagnia Cinematografica Champion
Distribuzione (Italia) Interfilm
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Gianfranco Plenizio
Scenografia Toni Rossati
Costumi Toni Rossati
Trucco Francesco Corridoni, Maria Teresa Corridoni, Giulio Mastrantonio
L’ingenua
Questa volta, in questo particolare caso, ovvero la recensione del film L’ingenua, opera datata 1975 e diretta da Gianfranco Baldanello, occorre rendere giustizia al merito e riconoscere ai critici l’aver visto giusto sul giudizio da dare alla pelliccola: trama arruffata, a tratti raffazzonata, battutine e situazioni pecorecce, inconsistenza totale di un minimo di credibilità della pellicola stessa, tanto che parlare di trama riesce davvero difficile.
La bellissima Orchidea De Santis
Un film che sarebbe da bocciare in toto, non fosse per la presenza di due attrici diversissime tra loro, una delle quali nobilita in qualche modo la pellicola, l’altra che è occupata a mostrare quasi esclusivamente le sue doti fisiche, e che con la recitazione ha davvero poco a che fare. Sto parlando della solita inappuntabile e professionale Orchidea De Santis e della futura pornostar Ilona Staller,
alias Cicciolina, qui alle prese in un ruolo leggero, tanto leggero da risultare impalpabile. Una differenza che è l’unica cosa che si nota nel film, di una pochezza addirittura imbarazzante. Non fosse per la presenza dell’attrice pugliese, che ci mette la solita professionalità, unita questa volta a qualche scena di nudo un tantino ardita, che è comunque sempre un bel vedere, di questo film non si parlerebbe nemmeno.
Ma nella rivalutazione di alcune carriere cinematografiche, come quella di Orchidea De Santis e di alcune sue colleghe che hanno interpretato tanti film negli anni settanta, queste prove vanno rimarcate, proprio per sottolineare le capacità di recitazione spesso dimenticate. La trama, come già detto, non ha molta importanza, visto che alla fine non ci si ricorda nemmeno di cosa parlava il film, tuttavia la accenno brevemente.
I protagonisti della storia sono un giovane, un tantino tonto e ingenuo, oppresso da una fidanzata fin troppo vivace, una coppia di freschi coniugi che scoprono da subito i piaceri dell’adulterio e del tradimento, una giovane commessa all’apparenza ingenua, ma in realtà furba come una volpe, una soubrette del varietà e una villa, oggetto di desideri e anche di una truffa ben congegnata.
Tra palpate sotto il tavolo ( la Staller con le natiche palpeggiate in puro stile Rossati, scena ripresa pari pari e senza pudore dal bel film dello stesso regista, La nipote), battute in veneto che non strappano sorrisi, becere e triviali, la solita improponibile Ilona Staller che parla un misto di padovano/veneziano, per lo meno doppiata egregiamente, il film scivola nella noia più assoluta, rallegrato, e si far per dire, dalle splendide nudità della De Santis e da quelle della Staller, che se nel confronto perde nettamente,
hanno il pregio di stimolare quantomeno l’istinto da guardone dello spettatore. Il nulla più assoluto, quindi, e salvata la De Santis, salvato il solito Daniele Vargas, possiamo consegnare ai posteri una commediola appartenente al genere pecoreccio della commedia sexy.
L’ingenua,un film di Gianfranco Baldanello. Con Daniele Vargas, Giorgio Ardisson, Ilona Staller, Ezio Marano.
Enzo Spitaleri, Orchidea De Santis
Erotico, b/n durata 93 min. – Italia 1976.
Daniele Vargas e Ilona Staller
Ilona Staller: Angela
George Ardisson: Piero Spazin
Daniele Vargas: Luigi Beton
Ezio Marano: Cornelio
Orchidea De Santis: Susy
Regia Gianfranco Baldanello
Soggetto Giacomo Gramegna
Sceneggiatura Giacomo Gramegna
Casa di produzione Winston
Fotografia Romano Scavolini
Musiche Carlo Savina
La nipote
Uno dei bersagli preferiti dai registi italiani è, da sempre, la provincia italiana, vista attraverso le sue contraddizioni, il suo vivere una realtà in cui si mescolano tradizione e moralismo, scarsa simpatia per il moderno e una certa bacchettoneria al limite del patologico. Quell’essere sempre pronta ad additare i comportamenti giudicati diversi e quel continuo aggrapparsi alle tradizioni, viste come ancora di salvezza della moralità, del costume; una provincia in cui molto è peccato e poco è virtù, in cui anche il vestire in un certo modo era considerato disdicevole. Una provincia, però, che dietro la facciata di perbenismo nascondeva, parafrasando il titolo di un film di Jancso, vizi privati e pubbliche virtù.
Orchidea De Santis, la servetta disponibile
Uno dei film che garbatamente prendeva in giro questa moralità dubbia, questo insieme di comportamenti contradittori, è del 1974, e venne girato dal regista Nello Rossati; ambientato nell’entroterra veneto, girato tra Polesella e Castelmassa, comuni della provincia di Rovigo, La nipote si presenta come una satira non feroce, ma garbata e intelligente, di vizi e virtù di questo mondo.
La storia è davvero semplice, nel suo svolgimento; la vita di una oziosa, ipocrita e poco virtuosa famiglia viene completamente stravolta dall’arrivo di una nipote del capo famiglia, una ragazza intelligente e furba a cui è morta la madre. Indigente, la ragazza chiede di poter restare con la famiglia; una famiglia che all’esterno può sembrare quasi modello, ma che vede l’uomo di casa affetto da erotomania inseguire e sedurre, in ogni occasione buona, la colf di casa, una procace e disponibile ragazza che di buon grado si presta alle smanie erotiche dell’uomo;
la moglie apparentemente morigerata dello stesso, che in realtà vive una torrida storia erotica con un dipendente del marito; il figlio della coppia, un babbeo che erra di stanza in stanza in cerca di un buco della serratura dal quale spiare tutti. Sarà proprio la nipote a portare lo scompiglio, con conseguenze anche tragiche, ma ugualmente venate di un umorismo che rimarrà la costante del film.
Francesca Muzio, La nipote
Film ben girato, con un’ambientazione curata e una fotografia impeccabile, La nipote si segnala per la presenza, nel cast, della bellissima e brava Orchidea De Santis, che interpreta alla perfezione il ruolo della servetta disponibile ( memorabile la scena in cui la stessa viene palpeggiata a tavola dal padrone di casa e ritorna nelle cucine con le mutandine tra i piedi), o quando vestita semplicemente con un reggicalze compiace il suo datore di lavoro svolgendo delle finte faccende domestiche.
Per contro, appare molto meno efficace la recitazione di Francesca Muzio, la nipote del film, timida e impacciata; il resto, come già detto, si segnala per la venatura d’ironia che accompagna le situazioni del film, che si distacca dalla produzione di genere proprio in virtù dell’abilità di Rossati, che semina nel film situazioni di erotismo che non sono mai fini a se stesse, ma coerenti con la narrazione.
La nipote, un film di Nello Rossati. Con Daniele Vargas, Giorgio Ardisson, Ezio Marano, Francesca Muzio.
Carla Mancini, Orchidea De Santis
Commedia, durata 92 min. – Italia 1974.
Francesca Muzio: Adele, la nipote
Daniele Vargas: Luigi Ing. Favaretto
Giorgio Ardisson: Piero, l’amante di Zoraide
Annie Karol Edel: Zoraide, matrigna di Antonio e moglie di Luigi
Orchidea De Santis: Doris, la governante
Roberto Proietti: Antonio Favaretto, figlio di Luigi
Otello Cazzola: il parroco del paese
Ezio Marano: Romeo, il medico
Regia Nello Rossati
Sceneggiatura Giacomo Gramegna
Fotografia Vittorio Bernini, Romano Scavolini
Montaggio Francesco Bertuccioli
Musiche Carlo Savina
Scenografia Toni Rossati