La vergine, il toro e il capricorno
Gianni Ferretti, architetto di grido e marito della splendida Giulia, seduce tutte le donne che gli capitano a tiro; un giorno, ospite di un amico nella sua villa, ha un rapporto con la moglie del proprietario, la Signora Scapicolli, nella vasca da bagno.
Giulia, insospettita dal comportamento del marito, che la sera accampa scuse per non avere rapporti con lei, lo segue nella notte e attraverso il buco della serratura scopre l’adulterio.
Il giorno dopo, davanti agli amici esterrefatti, si denuda, prende per mano un ospite inglese e si rinchiude nel garage della villa, simulando di avere un rapporto con l’uomo.
Disperato, Gianni promette alla moglie di non tradirla più, ma dopo poco tempo ci ricasca con la sua dattilografa, Enrica.
E’ Luisa, un’amica di Giulia, ad avvisare la donna della nuova infedeltà del marito.
Giulia, a questo punto, pianta tutto e si rifugia ad Ischia, dove ben presto la sua bellezza miete le prime vittime; a farne le spese è Felice Spezzaferri, un playboy di provincia, che tenta in tutti i modi di sedurre Giulia.
Nel frattempo Gianni sta cercando disperatamente la moglie, e dopo una serie di disavventure, scopre che anche Enrica, la segretaria, lo tradisce; con l’inganno riesce a sedurre Luisa, facendosi dire il nascondiglio della moglie.
Che nel frattempo si è consolata con Patrizio, un giovane mantenuto da una turista; quando Gianni arriva, non può far altro che accettare la situazione.
Sul traghetto che riporta i coniugi a casa Gianni ha però modo di agganciare proprio l’ex donna di Patrizio.
Luciano Martino dirige, nel 1977, La vergine il toro e il capricorno film appartenente as usual al genere sexy- commedia; lo fa con una storia assolutamente scontata, fatta dal classico binomio corna/bellona di turno; la musa questa volta è Edwige Fenech, affiancata da un cast notevole di caratteristi.
Ma la storia, già di per se banalissima, perde ulteriore consistenza per la mancanza di gag, nonostante nel cast figurino i migliori protagonisti della commedia sexy, ovvero Alvaro Vitali, Mario Carotenuto, Alberto Lionello, Aldo Maccione…..

Ria De Simone, la Signora Scapicolli
A parte le rituali docce della Fenech (cronometrati 3 minuti buoni di docce, su un totale di 90 minuti di pellicola!) il film si segnala solo per l’uso del turpiloquio, assolutamente ingiustificato, e per le nudità molto abbondanti della Fenech, questa volta affiancata anche dalla brava Lia Tanzi; il resto è davvero poca cosa, a partire dallo scontatissimo tema delle corna, passando per l’immancabile guardone con binocolo che spia la provocante Giulia e Luisa, per finire al belloccio di turno, Ray Lovelock, che riesce a godersi tanto ben di Dio alla faccia del marito becco e anche contento.
Il cast, alle prese con una commedia spompata in partenza, si arrangia come può, mancando questa volta il pezzo forte del genere, ovvero la battuta sarcastica; qui predomina la battuta da caserma, tipica dei Pierini che arriveranno di la a poco.
Così appaiono decisamente sprecati Lionello e Maccione, la Bisera e la De Simone, Carotenuto e Vitali, la Tanzi e la stessa Fenech, la Schurer, Garrone e tutto il resto del notevole cast; un film che non prende mai, che parte in sordina e termina anche peggio.
Un esempio di battute che circolano nel film: ” Scrivi, dattilografa: sei la mia puttanografa“; il livello ahimè è questo….
Trovo molto pertinenti questi due sintetici commenti, che condivido appieno, presi il primo dal Davinotti e il secondo dal Morandini:
“Ho visto questo film quasi senza nemmeno accennare un mezzo sorriso. Purtroppo i meccanismi comici sono un po’ troppo forzati e vaghi, poco definiti; la colpa è più che altro di una sceneggiatura troppo ripetitiva e allungata all’infinito: una semplice storiella di corna che sarebbe potuta durare la metà. Alvaro Vitali, poi, compare pochissimo e si limita a diventare rosso in faccia ripetendo l’adagio “Che Bona-che Bona”. Film pessimo, più che una commedia è una storiella scema con sequenze di nudo.”
“Tradita a ripetizione dal marito, speculatore edilizio, la bella Giulia decide di rendergli la pariglia. Farsa imperniata ossessivamente sul tema delle corna con dialoghi di programmatico cattivo gusto.”
Edwige Fenech e Lia Tanzi
Il film è disponibile su You tube,in una versione accettabile qualitativamente all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=Zpm7PEM-qhc
La vergine, il toro e il capricorno, un film di Luciano Martino Con Edwige Fenech, Aldo Maccione, Alberto Lionello, Ugo Bologna, Riccardo Garrone, Cesarina Gheraldi, Adriana Facchetti, Mario Carotenuto, Tiberio Murgia, Fiammetta Baralla, Erna Schurer, Ray Lovelock, Pinuccio Ardia, Gianfranco Barra, Gabriella Lepori, Giacomo Rizzo, Lia Tanzi, Alvaro Vitali, Olga Bisera, Laura Trotter, Anna Melita, Michele Gammino
Erotico, durata 90 min. – Italia 1977.
Edwige Fenech … Gioia Ferretti
Alberto Lionello … Gianni Ferretti
Aldo Maccione … Felice Spezzaferri
Olga Bisera … Enrica
Alvaro Vitali … Alvaro
Erna Schürer … Tourist with Patrizio
Michele Gammino … Raffaele
Mario Carotenuto … Pietro Guzzini
Giacomo Rizzo … Peppino Ruotolo
Fiammetta Baralla … Aida, la cameriera
Gianfranco Barra … Alberto Scapicolli
Lars Bloch … Professore mericano
Sabina De Guida … Marchesa
Ria De Simone … Signora Scapicolli
Adriana Facchetti … Moglie di Guzzoni
Riccardo Garrone … Il marito di Enrica
Cesarina Gheraldi … Zoraide, la madre di Gianni
Gabriella Lepori … La segretaria di Gianni
Patrizia Webley … Moglie di Raffaele
Lia Tanzi … Luisa
Ray Lovelock … Patrizio Marchi
Dante Cleri … Venditore di gelati
Sofia Lombardo … Un’altra segretaria di Gianni
Regia Luciano Martino
Soggetto Luciano Martino
Francesco Milizia
Sceneggiatura Cesare Frugoni
Luciano Martino
Francesco Milizia
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Franco Pisano
La signora gioca bene a scopa?
Michele è un commerciante di scarpe, napoletano trapiantato in Emilia, con due debolezze: il gioco e le donne. Il primo dei due vizi, il poker, è responsabile del suo temporaneo tracollo economico. Il suo socio, Peppino, non manca di fargli notare la ormai drammatica situazione economica in cui versa; a questo punto Michele è costretto a ricorrere alle armi della seduzione, riallacciando la precedente relazione con la pittrice Giulia. Grazie alla donna, Michele riesce a sedurre la ricca sorella Monica, un’allevatrice di polli; ma la situazione si ingarbuglia quando a casa di Monica e Giulia, dove ormai Michele si è trsaferito come amministratore delle due donne, arriva uno scrittore di libri erotici, Alberto, con la moglie Eva.
Quest’ultima, una tedesca che riesce a far l’amore solo sotto l’acqua, dapprima tratta con disprezzo Michele, per poi diventare un’insaziabile amante. Stretto nel giro a tre, Michele ben presto mostra la corda e decide di correre ai ripari. Riesce con uno stratagemma a insinuare nei letti delle due il suo commesso Peppino, un giovane timido ma molto dotato (sessualmente) L’espediente ha successo, e Tonino diventa immediatamente l’amante delle due donne. Ma la cosa si rivela un’arma a doppio taglio per Michele: il giovane, infatti, lo soppianta ben presto, ma non solo. Eva, di cui ormai Michele è quasi innamorato, dopo avergli soffiato i soldi frutto di un’epica notte d’amore con le due sorelle, fugge piantando sia lui che il marito Alberto.
Edwige Fenech
Michele è alla disperazione, ma accade un imprevisto; Tonino non regge al super lavoro con le due sorelle e muore d’infarto. Michele può così riprendere il suo posto tra le due donne. Film diretto da Giuliano Carnimeo nel 1974, La signora gioca bene a scopa? è la classica commedia sexy di metà anni settanta, con qualche nudo (qui affidato a Edwige Fenech), qualche lazzo volgarotto e qualche battuta anche simpatica. Se il film non si distacca dal filone delle commedie per palati grossolani, quantomeno ci si rifà gli occhi con qualche scena di nudo, peraltro molto castigata, della sempre splendida Fenech, che questa volta parla con un buffo accento inglese. Il cast è fatto da ottimi caratteristi e vede la presenza anche di Carlo delle Piane, che interpreta il commesso Tonino, che pagherà la sua avidità con un infarto, di Carlo Giuffrè, nei panni del playboy Michele, di Didi Perego e Franca Valeri,
rispettivamente le due sorelle Monica e Giulia, di Enzo Cannavale, al solito a suo agio nei panni di spalla, questa volta di Giuffrè, infine di Gigi Ballista, Gervasio, colui che spenna sistematicamente Michele e di Oreste Lionello, simpatico nel ruolo del marito di Eva. Film senza grossi meriti, ma nemmeno con grossi demeriti, qualche battuta la risata la strappa anche se, come già detto, siamo nell’ambito della commedia sexy più disimpegnata.
La signora gioca bene a scopa? un film di Giuliano Carnimeo. Con Edwige Fenech, Didi Perego, Franca Valeri, Carlo Giuffrè, Adriana Facchetti, Oreste Lionello, Enzo Cannavale, Enzo Andronico, Vittorio Fanfoni, Gigi Ballista, Enzo Robutti, Carla Mancini, Lia Tanzi, Commedia, durata 90 min. – Italia 1974
Carlo Giuffrè … Michele Cammagliulo
Edwige Fenech … Eva
Didi Perego … Monica
Franca Valeri … Giulia Nascimbeni
Carlo Delle Piane … Tonino
Lia Tanzi … Marisa
Gigi Ballista … Gervasio Caminata
Oreste Lionello … Alberto
Enzo Cannavale … Peppino
Adriana Facchetti … Giuditta
Enzo Andronico … Dottore
Enzo Robutti … Primo Guendalini
Regia: Giuliano Carnimeo
Sceneggiatura: Tito Carpi, Carlo Giuffrè
Prodotto da : Gianfranco Couyoumdjian, Luciano Martino
Editing: Eugenio Alabiso
Costumi: Rosalba Menichelli
Direzione musicale: Alessandro Alessandroni
Art department: Antonio Visione
5 bambole per la luna d’agosto

Nell’isola privata dell’ingegner George Stark convergono alcuni uomini d’affari e un inventore che ha ideato una speciale resina resina sintetica, in grado di rivoluzionare l’industria. Il professor Fritz Farrell, il geniale inventore, è accompagnato da sua moglie Trudy, mentre sono presenti anche i probabili acquirenti della formula, Nick Chaney, accompagnato dalla moglie Marie e Jack Davidscon, anche lui in compagnia della moglie Peggy; sull’isola l’unica altra abitante è una ragazza enigmatica e sfuggente, Isabel. Nonostante le offerte degli industriali raggiungano cifre da capogiro,
Ira Furstenberg è Trudy
Fritz Farrell rifiuta ostinatamente di cedere il brevetto. In un aria di reciproca diffidenza, in cui ogni uomo d’affari guarda con sospetto il rivale, immaginando un’offerta più alta che convinca l’idealista inventore a cedere il brevetto, si arriva al primo colpo di scena: Trudy recatasi sulla spiaggia, rinviene il corpo di Stark,, ucciso. Da quel momento l’atmosfera della villa e tra gli ospiti si riempie di sospetti:
ognuno guarda l’altro con diffidenza, mentre diventa impossibile andar via dall’isola perchè scompare l’unica imbarcazione esistente. Muore anche Frick, ma il suo cadavere misteriosamente scompare. E’ l’inizio di una serie di omicidi, che coinvolgono Nick, Marie, Peggy, che via via che muoiono ammazzati vengono deposti dai sempre di meno superstiti nella cella frigorifera della villa. Alla fine restano in vita solo Trudy e Jack, che in realtà sono stati i veri organizzatori degli omicidi; ma i conti tra i due non tornano, perchè nessuno di loro è responsabile della morte di Frick.
Offuscati dalla bramosia di soldi ( gli industriali morti hanno lasciato 3 assegni da un milione di dollari ognuno, al portatore, con i quali volevano comprare la formula) Jack e Trudy si eliminano a vicenda. A quel punto compare dal nulla il vero ispiratore della vicenda, il presunto scomparso Frick, che aveva finto di essere stato ammazzato con la complicità di Isabel. In realtà Frick è semplicemente un impostore, che aveva fatto leva sulla bramosia degli uomini per vendere al miglior offerente la formula. Ma anche Frick non riuscirà godersi i frutti del piano, perchè verrà arrestato e condannato a morte; alla fine l’unica ad aver guadagnato sia i soldi che la formula è la diabolica Isabel.
Diretto da Mario Bava nel 1970, 5 bambole per la luna di agosto è un discreto thriller, ben studiato anche se lacunoso in alcuni passaggi; lento, ma abbastanza ben congegnato, si avvale di un cast di sicuro interesse, con la presenza di attori come Helmut Berger, Edwige Fenech, Ira Furstemberg,Howard Ross e Maurice Poli. Vera sorpresa del film è la giovane Ely Galleani, volto angelico e animo diabolico, l’unica che uscirà viva ( e ricca) dalla vicenda.
Non è certamente il miglior Bava, in primis perchè la trama ad un certo punto si avviluppa, poi per la lentezza studiata della regia. Ma non mancano i colpi di genio, come la sequenza delle morti e dei corpi conservati uno alla volta nel congelatore.
5 bambole per la luna d’agosto, un film di Mario Bava, con Teodoro Agrimi, Maurice Poli, Mauro Bosco, Edy Galleani, Renato Rossini, William Berger, Ira Furstenberg, Edwige Fenech, Edith Meloni, Hélène Ronée , Thriller Italia 1970


William Berger: professor Fritz Farrel
Ira von Furstenberg: Trudy Farrel
Edwige Fenech: Marie Chaney
Howard Ross: Jack Davidson
Helena Ronee: Peggy Davidson
Teodoro Corrà: George Stark
Ely Galleani: Isabel
Edith Meloni: Jill Stark
Mauro Bosco: Jacques
Maurice Poli: Nick Chaney

Regia Mario Bava
Soggetto Mario Di Nardo
Sceneggiatura Mario Di Nardo
Fotografia Antonio Rinaldi
Montaggio Mario Bava
Musiche Piero Umiliani
Scenografia Giulia Mafai
Costumi Giulia Mafai







Grazie nonna
Prima di morire, il signor Persichetti sposa la bella e procace Marijuana; a lei lascia una cospicua eredità. Un giorno la bella e piacente vedova arriva in Italia per conoscere la famiglia del marito, composta dall’ingegner Pino (Enrico Simonetti), dal figlio Giorgio e dall’altro rampollo dell’uomo, Carletto (un giovane Giusva Fioravanti).
Convinto di trovarsi di fronte una vecchia e poco interessante signora, l’ingegnere manda il giovane carletto ad accogliere la donna, proveniente dal Venezuela. Carletto, con sorpresa, si trova davanti la splendida Marijuana, Decide di nascondere la cosa ai famigliari, che però ben presto scoprono l’identità della donna, che da quel momento diventa la preda ambita dei maschi di casa.
Ma Marijuana, un osso duro, tiene a bada tutti e alla fine si concede solo al giovane Carletto, per poi riprendere la strada di casa, lasciando il giovane, ora erudito ai piaceri della carne, alla sua fidanzatina. Commedia scollacciata e becera, Grazie nonna si ricorda solamente per la presenza della bella Fenech, specializzata in commedie sexy; è anche l’ultimo film interpretato da Valerio Fioravanti, noto più in là per cronache giudiziarie.
Nel cast ci sono anche il maestro Simonetti, assolutamente sprecato e Gianfranco D’Angelo. Film soporifero, decisamente da evitare.
Grazie nonna, un film di Franco Martinelli, con Fabrizio Cardinali, Gianfranco D’angelo, Valeria Fabrizi, Edwige Fenech, Giusva Fioravanti, Graziella Mossini, Enrico Simonetti, Italia 1975
Enrico Simonetti: Ing. Pino Persichetti
Edwige Fenech: Marijuana Persichetti
Graziella Mossini: Marinella
Giusva Fioravanti: Carletto
Valeria Fabrizi: Celeste, la governante
Gianfranco D’Angelo: Fra’ Domenico
Fabrizio Cardinali: Giorgio, il figlio più grande
Regia Franco Martinelli
Soggetto Marino Girolami
Sceneggiatura Romano Scandariato, Marino Girolami
Produttore CPM Cinematografica S.r.L.
Casa di produzione Panoramica Eastmancolor
Distribuzione (Italia) Fida
Fotografia Salvatore Caruso
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Enrico Simonetti
La patata bollente
Il Gandhi (il cui vero nome è Bernardo), è un operaio verniciatore con la passione per il pugilato e per la politica; infatti è un attivo sindacalista, iscritto al Pci. L’altra sua passione è la splendida fidanzata Maria; una sera, rientrando a casa, assiste casualmente ad una brutale aggressione nei confronti di un giovane da parte di alcuni militanti dell’estrema destra. Grazie all’intervento di Gandhi, Claudio, il giovane pestato a sangue, riesce ad uscire dalla brutta avventura con qualche livido e tanto spavento.
Il giovane è un omosessuale, e Gandhi, che lo ha portato a casa, si sente in imbarazzo sia con i colleghi che con i compagni di partito. Nasconde l’amicizia per il giovane anche a Maria,e ben presto la situazione degenera. I suoi compagni, assolutamente contrari all’omosessualità,lo deridono, e anche con Maria le cose si mettono male. Sarà proprio
Claudio a sistemare le cose: dopo aver detto a Gandhi di essere un fascista, il giovane verrà pestato da quest’ultimo, e la situazione tra Gandhi e la fidanzata, con i compagni di partito e i colleghi di lavoro si appianerà. Durante le nozze tra Maria e Gandhi arriva una lettera di claudio, che si è trasferito in Olanda: racconta di avere un compagno e sopratutto ringrazia Gandhi dell’amicizia mostratagli. I due neo coniugi passeranno il viaggio di nozze da lui.
La patata bollente è un film di Steno, diretto nel 1979 dal bravissimo regista romano; commedia gradevole e con gag irresistibili, questo film si segnala anche per i dialoghi frizzanti, ben lontani dalle banalità della commedia sexy ancora imperante nei cinema italiani.

Massimo Ranieri e Renato Pozzetto
Ben sorretto da una sceneggiatura robusta, il film si avvale anche di un cast di ottimo livello, nel quale fa un figurone Renato Pozzetto nella parte di Gandhi, il cantante Massimo Ranieri, ancora una volta in un ruolo cinematografico ben recitato nella parte dell’omosessuale Claudio, la splendida Edwige Fenech nei panni di Maria, fidanzata dapprima sconcertata, poi divertita del buon Gandhi.
Piccole partecipazioni anche per Adriana Russo e Clara Colosimo. Va anche segnalata la benevola presa in giro dell’apparato comunista, assolutamente chiuso al dialogo con la diversità sessuale. Steno non calca mai la mano, evitando di far scendere la commedia a livello di farsa.
La patata bollente,un film di Steno. Con Renato Pozzetto, Edwige Fenech, Massimo Ranieri, Mario Scarpetta, Adriana Russo, Loris Bazzocchi, Umberto Raho, Clara Colosimo, Luca Sportelli, Nazzareno Natale, Dario Ghirardi, Alberto Squillante. Commedia, durata 100 min. – Italia 1979.
Renato Pozzetto: Bernardo Mambelli, “il Gandhi”
Massimo Ranieri: Claudio
Edwige Fenech: Maria
Mario Scarpetta: Walter
Clara Colosimo: Elvira
Sergio Ciulli: Maravigli
Adriana Russo: amica di Maria
Loris Bazzocchi: operaio
Umberto Raho: il dottore
Regia Steno
Soggetto Giorgio Arlorio
Sceneggiatura Steno, Giorgio Arlorio, Enrico Vanzina
Produttore Achille Manzotti
Fotografia Emilio Loffredo
Montaggio Raimondo Crociani
Musiche Totò Savio
Costumi Silvio Laurenzi
Alle dame del castello piace molto fare quello
Strampalata storiella che, come suggerisce perfettamente il titolo, è ambientata in un castello teutonico, popolato di dame vogliose e, pruriginose e disponibili. Nella dimora del conte Roland e di sua moglie Eugénie convergono alcuni signorotti invitati dall’anfitrione di casa; fra essi ci sono Loewensdhal, un ricco banchiere e la sua bella moglie Isabelle, oltre al solito avventuriero scarso a denari ma ricco di inventiva, Manuel,
anch’egli in graziosa compagnia. Lo scaltro Manuel approfitta subito delle grazie apertamente disponibili di Isabelle, al solito mal maritata e felicissima di far becco l’odiato marito. Il banchiere, per altro, dubita fortemente delle scarse virtù coniugali della moglie, e irrompe nelle camere della donna.
Ma quest’ultima, ovviamente scaltra come una volpe, grazie all’aiuto della padrona di casa e dell’immancabile servetta ruffiana, riuscirà a capovolgere la frittata, facendo passare il marito come adultero e finendo quindi per passare per donna tradita al cospetto di tutti, con il chiaro intento di chiedere un ricco divorzio.
Più famoso per il titolo che per altro, Alle dame del castello piace molto fare quello, distribuito anche con il titolo più esplicito di Piacere di donna, qualche anno dopo la sua uscita sul mercato tedesco, avvenuta nel 1967, ebbe un certo, marginale successo grazie alla fama ottenuta, nel frattempo, da Edwige Fenech, che in questo film si mostra spessissimo nuda, contribuendo in qualche modo a risollevare un film che altrimenti è di una modestia senza pari.
Qualche nudo (parecchi) da parte delle procaci attrici scelte dalla produzione, scenette saffiche, poche risa e tanta noia caratterizzano un film spesso inserito, a torto, nel filone decamerotico, che invece verrà inaugurato quattro anni più tardi dall’involontario apripista pasoliniano, il Decameron. Diretto da Josef Zachar, è un film davvero poco originale, che tra l’altro circola ancora in un mediocre riversaggio, e che quindi diventa di ancor più difficile lettura, visto che basa quel poco che possiede sulle grazie femminili e sui costumi. Praticamente tutti sconosciuti gli attori, il che non è una grande perdita; l’unica perdita, purtroppo, è il tempo perso nel guardarlo. Escludendo, of course, la Edwige, che da sola vale sempre il prezzo del biglietto.
Alle dame del castello piace molto fare quello, un film di Josef Zachar. Con Sieghardt Rupp, Michaela May, Angelica Ott, Gustav Knuth, Edwige Fenech
Commedia, durata 88 min. – Germania 1967


Edwige Fenech: Felicita
Gustav Knuth: uomo dei panini
Sieghardt Rupp: Manuel Da Silva
Angelica Ott: Sophie
Michaela May: Contessa Annette

Regia Joseph Zachar
Fotografia Kurt Junek
Montaggio Traude Krappl-Maas
Musiche Claude Alzner
Scenografia Kurt Nachmann
Il ladrone
Divertente commedia ambientata durante i tempi della predicazione di Gesù in Galilea; Caleb, un simpatico furfante che vive di espedienti e trucchi, gira in lungo e in largo la regione, truffando e gabbando il prossimo, rubando bestiame, o ingannando i gonzi nei vari mercati nei quali si imbatte. Un giorno, autoinvitatosi ad un banchetto di nozze, assiste al miracolo di gesù che trasforma l’acqua in vino. Incuriosito da quello che ritiene a tutti gli effetti un trucco, Caleb cerca ad ogni modo di scoprire come abbia fatto Gesù a praticarlo.
Il problema principale, per Caleb, è rappresentato dalla potenziale concorrenza che l’uomo potrebbe fargli, rubandogli la scena e il mestiere. per cui l’uomo si ingegna per capirne i trucchi. Nei suoi vagabondaggi, Caleb incontra Debora, una prostituta che ben presto si innamora di lui; la donna, guarita proprio da Gesù dalla lebbra, finisce per diventare una specie di grillo parlante per Caleb, la cui indole fondamentalmente è buona.
Dopo numerose peripezie, dopo essere anche diventato l’amante del governatore Rufo, e aver tentato inutilmente di carpire i segreti della presunta magia di Gesù, Caleb finisce per essere arrestato per un vecchio furto, e condannato in concomitanza con il processo di Gesù, ne condivide la condanna alla crocefissione. Inchiodato sulla croce (legato, secondo la versione personale di Pasquale Festa Campanile) , quando ascolterà l’altro ladrone insultare Gesù, lo dfuenderà, dicendo “lascialo stare, lui non ha fatto nulla di male”.
Divertente la chiusura del film; Gesù, ascoltate le parole di Caleb, gli dice “Caleb, tu oggi sarai con me nel regno dei cieli ” e Caleb, con un ultimo guizzo di ironia gli risponde “vai avanti tu, Signore”
La trasposizione del romanzo appuntamento in cielo, scritto da Pasquale Festa Campanile viene proposto dallo stesso scrittore e regista in una versione scanzonata, di buon livello, che spicca anche per la sua visione ironica della storia di esù, mai blasfema, nemmeno dissacrante. E’ una commedia che basa tutto il ritmo narrativo sulle grottesche vicende di caleb, il buon ladrone figlio di una prostituta che ha una visione utilitaristica della vita, ma non fino al punto di essere cinicamente opportunista. Lo dimostra la storia d’amore con Debora e sopratutto il finale sulla croce, che redime il buon ladrone da tutti i torti passati.
Il film si avvale della divertente sceneggiatura del regista, che ha avuto anche il merito di aver scelto l’attore migliore per il ruolo di Caleb, quel Enrico Montesano bravissimo nel delinearne le peculiarità, aiutato da una splendida Edwige Fenech, nei panni di Debora, uno dei ruoli meglio interpretati in carriera. Il cast è arricchito anche dalla presenza di Daniele Vargas nei panni del governatore Rufo, da Claudio Cassinelli, che interpreta in maniera in verità un tantino stralunata Gesù,
da Bernadette Lafont, che interpreta il ruolo della moglie di Rufo, da Enzo Robutti, il romano beffato da Caleb con il presunto filtro dell’invisibilità. Un bel film, allegro e scanzonato, pieno di trovate e sopratutto scevro da volgarità gratuite; un film che Pasquale Festa Campanile, regista lucano, dirige con allegria, e si vede. A tratti la mimica di Montesano sembra ispirare allo spettatore un senso di complicità, dovuta all’evidente calo nella parte dell’attore, che sembra divertirsi un mondo nel dispensare beffe e inganni.
Il Novella 2000 del cinema, il Morandini, ne riporta un giudizio poco lusinghiero. Evidentemente la comicità è un concetto che i soloni della critica affrontano mal volentieri, limitandosi a ridere davanti alle avventure dei soliti registi mongoli o della Corea, quelli che loro amano tanto.
Il ladrone, un film di Pasquale Festa Campanile. Con Enrico Montesano, Bernadette Lafont, Edwige Fenech, Claudio Cassinelli, Enzo Robutti, Daniele Vargas, Anna Orso, Susanna Martinkova
Drammatico, durata 112 min. – Italia 1980.
Edwige Fenech: Deborah
Enrico Montesano: Caleb
Bernadette Lafont: Appula
Claudio Cassinelli: Gesù
Enzo Robutti: centurione
Susanna Martinková: Marta
Anna Orso: Maria
Daniele Vargas: Rufo, Governatore
Sara Franchetti: Maddalena
Auretta Gay: ragazza del lupanare
Stefania D’Amario: moglie del riccone
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Pasquale Festa Campanile (dal suo romanzo omonimo)
Sceneggiatura Renato Ghiotto
Ottavio Jemma
Santino Spartà
Stefano Ubezio
Scenografia Enrico Fiorentini
Giovannona Coscialunga disonorata con onore
Un industriale veneto, La Noce, possiede una fabbrica di formaggi in Sicilia, che ha il grave problema di inquinare un fiume vicino lo stabilimento. L’industriale, uno strano tipo a mezza strada tra l’affarista senza scrupoli e il traffichino, aiuta anche una cittadina di ragazzi, con il beneplacito di un prelato altrettanto poco affidabile. L’industriale, che teme la legge anti inquinamento , che se applicata lo porterebbe dritto in carcere, decide di rivolgersi all’onorevole Pedicò, altro traffichino che è solito dispensare favori a chiunque gli ceda la propria moglie per soddisfare la propria erotomania.
Ma La Noce ha un problema; la moglie è tutto tranne che una bella donna, inoltre è una bigotta con ferrei principi morali. Sarà Mario, segretario dell’industriale, ad avere l’idea che può salvare capra e cavoli; sostituire la moglie di La Noce con una prostituta occasionale, circuire l’onorevole e ottiene il beneplacito.
Così Mario ingaggia la bella Coco, prostituta da statale, ignorante e anche ingenua, come sostituta della moglie di La Noce; ma durante il viaggio da Roma alla Sicilia prima, e nella villa dell’onorevole poi, accadono una serie di errori di persona, di equivoci, per i il piano alla fine salta. Sarà il protettore di Giovannona alias Coco ad approfittare della situazione, mentre per Mario si apre la carriera di sfruttato. Finale amarognolo.
Giovannona Coscialunga disonorata con onore, diretto da Sergio Martino nel 1973, ad onta di un titolo assolutamente infelice, è in realtà una gradevole commedia di costume, ben diretta e con un cast nutrito di ottimi attori; c’è Vittorio Caprioli, nel ruolo dell’onorevole erotomane Pedicò, la sempre bellissima e seducente Edwige Fenech in quello di Coco, la candida prostituta protagonista dell’intreccio, Pippo Franco in quello del ragionier Mario, che finirà per diventare un pappone, oltre al bravo Gigi Ballista, alla splendida Patrizia Adiutori, e agli onnipresenti Francesca Romana Coluzzi, Riccardo Garrone e Vincenzo Crocitti.
Una commedia in alcuni tratti anche divertente, lontana dalle commediole erotiche e sexy che di li a poco invaderanno lo schermo.
Giovannona Coscialunga disonorata con onore, un film di Sergio Martino. Con Vittorio Caprioli, Edwige Fenech, Pippo Franco, Adriana Facchetti, Riccardo Garrone,Nello Pazzafini, Sandro Merli, Armando Bandini, Sandro Dori, Gigi Ballista, Vincenzo Crocitti, Patrizia Adiutori, Gino Pagnani, Carla Mancini
Commedia, durata 94 min. – Italia 1973.
Edwige Fenech: Giovannona Coscialunga in arte Cocò
Pippo Franco: Ragionier Mario Albertini
Gigi Ballista: Commendatore La Noce
Riccardo Garrone: Robertuzzo
Francesca Romana Coluzzi: Mary
Vittorio Caprioli: Onorevole Pedicò
Sandro Merli: Mons. Alatri
Danika La Loggia: Signora La Noce
Adriana Facchetti: Segretaria di Pedicò
Armando Bandini: passeggero gay nel treno
Vincenzo Crocitti: controllore del treno
Sandro Dori: Matto e cieco sulla Maserati
Gino Pagnani: Autista carro Funebre
Patrizia Adiutori: Luisella
Francesco D’Adda: Mons. Alatri
Carla Mancini: impiegata della società delle “accompagnatrici”
Luigi Leoni: Segretario di Mons. Alatri
Nello Pazzafini: Franceschino
Regia Sergio Martino
Soggetto Tito Carpi, Marino Girolami Francesco Massaro Luciano Martino
Sceneggiatura Mariano Laurenti Sergio Martino Francesco Milizia,
Carlo Veo, Franco Mercuri
Fotografia Stelvio Massi
Montaggio Attilio Vincioni
Musiche Guido De Angelis Maurizio De Angelis
Scenografia Giovanni Natalucci
La pretora
In un minuscolo paesino della provincia veneta il magistrato di ruolo è una donna, la dottoressa Viola Orlando; dura e severa, la donna è però l’amante di un conte, che da un momento all’altro dovrebbe divorziare dalla legittima consorte. La durezza e inflessibilità del magistrato attira però le inimicizie dei potenti del luogo; i suoi principali nemici diventano così due loschi affaristi, Esposito, un ingegnere con molte qualifiche fasulle e Amorini, un altro losco tipaccio che spaccia per opere artistiche quelli che sono filmetti e fotoromanzi porno.
A cambiare l’ordine delle cose e a fornire una formidabile arma di ricatto ai due, arriva un giorno in paese Rosa, sorella del magistrato, identica a lei in tutto e per tutto, ma soltanto fisicamente. La donna, infatti, è tanto libera e disinibita tanto la sorella è severa e moralmente ineccepibile. I due nemici della pretora colgono la palla al balzo e cercano di screditare il magistrato, facendo girare alla sosia della stessa un filmetto porno, con Rosa protagonista di una versione erotica di Biancaneve.
L’arma di ricatto si rivela vincente, e la povera Viola viene chiamata a discolparsi dal procuratore della repubblica. Riuscirà a farlo, grazie ad un particolare anatomico, ma alla fine, sdegnata per essere stata messa sotto accusa, e approfittando del sopravvenuto divorzio del suo amante, la donna, dopo aver riportato giustizia e aver riabilitato il proprio nome, rassegna le dimissioni.

Edwige Fenech (nel ruolo di Rosa), interpreta la versione a luci rosse di Biancaneve
Incursione di Lucio Fulci nel genere commedia sexy, La pretora, diretto dal maestro nel 1976, si distacca da altre pellicole del genere sia per la verve ironica che affiora spesso, sia per la bonaria presa in giro del moralismo e dell’essere bacchettoni, difetto molto radicato, allepoca, nella sonnolenta provincia italiana.
La Fenech sostiene con garbo il doppio ruolo di Viola e di Rosa, donando ai personaggi un certo spessore narrativo, oltre che prestando il suo magnifico corpo alla telecamera. Un film che andrebbe rivisto alla luce di una stagione, quella della commedia sexy, che partorì diversi buoni film, all’epoca bocciati come commedie scollacciate. Solito giudizio tanciato con le forbici dal solone “critico so tutto”, che riprendo, as usual, dal Morandini, vera e propria Bibbia per coloro che non amano il cinema:
“La dottoressa Viola Orlando, pretore in Veneto, ha una sorella gemella birichina. Film anonimo e inconsistente con la Fenech nella parte delle gemelle.”
La pretora, un film di Lucio Fulci. Con Gianni Agus, Giancarlo Dettori, Edwige Fenech, Oreste Lionello.
Piero Palermini, Michele Malaspina, Pietro Tordi, Galliano Sbarra, Mario Maranzana, Walter Valdi, Luca Sportelli, Raf Luca, Gianni Solaro

Edwige Fenech: Viola/Rosa
Giancarlo Dettori: conte Renato Altieri
Gianni Agus: Angelo Scotti
Oreste Lionello: Francesco Lo Presti
Raf Luca: Raffaele Esposito
Mario Maranzana: avvocato Bortolon
Carletto Sposito: procuratore
Regia Lucio Fulci
Soggetto Franco Marotta, Laura Toscano
Sceneggiatura Franco Marotta, Laura Toscano; coll. dial. Franco Mercuri
Casa di produzione Coralta Cinematografica
Distribuzione (Italia) Dear International
Fotografia Luciano Trasatti
Musiche Nico Fidenco
Scenografia Eugenio Liverani
Costumi Vera Cozzolino

Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave

Un titolo chilometrico, ripreso da Sergio Martino nel 1972, dopo il lusinghiero successo ottenuto da Lo strano vizio della signora Wardh, e ricavato da un biglietto che il persecutore di Julie Wardh, Jean, aveva recapitato alla sua ex amante. Per questo film Martino si avvale, nel cast, nuovamente della Fenech e di Rassimov, volto da duro buono sopratutto per le parti da cattivo. A completare il cast vengono chiamati Luigi Pistilli e Anita Strindberg, mentre il soggetto si ispira, in qualche modo, ad un’opera di Edgar Allan Poe; un’operazione non facile, ed infatti il film, pur non essendo mal riuscito, risente della difficoltà di trasposizione delle tipiche atmosfere di Poe in riduzione cinematografica.
Il film narra la storia di Oliviero Reuvigny, scrittore fallito e affetto da turbe mentali, oltre che dedito all’alcool, e della moglie Irene, nevrotica, che vive con il marito in compagnia di un gatto nero di nome Satana. Oliviero ha gravi problemi psicologici,legati ai fanatsmi della madre, di cui non si è mai liberato; in qualche modo vede nella moglie una vittima, mentre l’unica cosa che ha un valore affettivo è il gatto. Nel paese vicino alla casa dello scrittore avviene un brutale delitto, e i sospetti si incentrano proprio sullo scrittore; la ragazza assassinata, infatti, era una delle vecchie amanti di Oliviero.
E’ proprio la moglie, Irene, a fornire un alibi al marito. Ma poco tempo dopo la cameriera di colore della coppia viene brutalmente uccisa. A questo punto i due coniugi, sicuri che questa volta la polizia avrebbe arrestato l’uomo, decide di occultare il cadavere. Il corpo della ragazza viene così trasportato in cantina, dove viene murato. A sconvolgere la vita già precaria della coppia arriva, qualche giorno dopo, una ragazza, nipote di Oliviero; è Floriana, una disinibita ragazza dai costumi molto leggeri, che in poco tempo tempo diventa dapprima l’amante dello zio, poi l’amante di Irene, e infine si concede anche ad un giovane fornitore della casa,Dario.
L’arrivo della ragazza mette in crisi il fragile equilibrio della coppia, che inizia ad odiarsi in maniera assoluta. Oliviero confida a Floriana di essere stanco della moglie, mentre dal canto suo anche Irene, che sospetta il marito di essere l’assassino delle due ragazze, medita di sbarazzarsi di lui. Il dramma arriva al suo compimento; Irene uccide, tagliandogli la gola, il marito, con la tacita complicità di Floriana, che assiste senza intervenire.
Il silenzio di Floriana viene comprato con alcuni gioielli, e così Irene finalmente si sbarazza dell’odiato marito, mentre Floriana si allontana dalla villa con Dario, sulla sua moto. Appena andata via la ragazza, Irene avvisa il suo amante del percorso dei ragazzi; è stata proprio lei a uccidere le due vittime precedenti, con l’aiuto dell’amante, per liberarsi dell’odiato marito. Dario e Floriana troveranno la morte, così come Walter, l’amante di Irene, che a sua volta verrà ucciso dalla diabolica donna; il piano sembrerebbe perfetto, ma il diavolo, alle volte, si scorda i coperchi, è c’è spazio per la sorpresa finale.


Edwige Fenech e Luigi Pistilli
Un film che risente, come già detto, della necessità di mantenersi fedele all’impianto letterario, ma che risente di troppi stereotipi del genere thriller, come la mancanza di atmosfera, l’eccessiva lentezza del film e un generale senso di incompiuto che aleggia sulla pellicola.
Buone, comunque, le prove della seducente Fenech, di Luigi Pistilli, che tratteggia benissimo la figura dello scrittore erotomane ed alcolizzato e della bravissima Strindberg. Nel cast compaiono, per pochi minuti, Dalila Di Lazzaro, Daniela Giordano ed Enrica Bonaccorti, oltre al compianto Franco Nebbia.
Un film di Sergio Martino. Con Luigi Pistilli, Anita Strindberg, Edwige Fenech, Daniela Giordano, Ivan Rassimov.Enrica Bonaccorti, Franco Nebbia Drammatico, durata 95 min. – Italia 1972
Edwige Fenech: Floriana
Anita Strindberg: Irina Rouvigny
Luigi Pistilli: Oliviero Rouvigny
Ivan Rassimov: Walter
Franco Nebbia: Ispettore
Riccardo Salvino: Dario
Angela La Vorgna: Brenda
Enrica Bonaccorti: Hooker
Daniela Giordano: Fausta
Marco Mariani: Libraio
Nerina Montagnani: Mrs. Molinar
Regia Sergio Martino
Soggetto Luciano Martino, Sauro Scavolini – tratto dal racconto Il gatto Nero di Edgar Allan Poe
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Adriano Bolzoni, Sauro Scavolini
Produttore Luciano Martino
Casa di produzione Lea Film
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Attilio Vincioni
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Giorgio Bertolini
Costumi Oscar Capponi
Trucco Giulio Natalucci










































































































































































































































