Boccaccio
Beffe e storie tratte liberamente dal Decameron di Giovanni Boccaccio.
Buffalmacco e Bruno degli Olivieri, due giovani fiorentini scaltri,ordiscono una beffa nei confronti dell’ingenuo Calandrino, allo scopo di estorcergli del denaro;gli vendono una pietra che, a loro dire, ha il potere miracoloso di renderlo invisibile.
Alla bella Monna Lisa fra Ignazio fa credere di essere l’incarnazione in vesti umane del beato Marcuccio;in questo modo potrà godersene le gioie,mentre è intento in un convegno carnale con la donna, Buffalmacco spia i due e quando fra Ignazio ha finito il suo piacevole compito, approfitta anch’esso delle grazie della giovane sposa, mentre Calandrino, credendo di essere invisibile fa lo stesso ma verrà bastonato dal marito della donna.
Altre beffe sono in arrivo per i cittadini, come quella in cui Buffalmacco riesce finalmente a sedurre Fiammetta,la donna della quale si è invaghito; scoperto dopo aver consumato un rapporto con la donna,il giovane viene costretto da Pietro da Vinciolo,marito della donna, a dividere il talamo coniugale,la dove a Buffalmacco verrà riservata una brutta sorpresa.
Enrico Montesano e Silvia Koscina
Bernard Blier e Maria Baxa
A Firenze arriva la peste e i due amici Buffalmacco e Bruno degli Olivieri fuggono dalla città incontrando per strada la Principessa di Chivignì e la sua serva;incontrano anche Lambertuccio da Cecina un capitano di ventura sfuggito dalla città dopo aver tentato di sedurre la bella Ambrogia ed essere stato costretto a sposare la racchia figlia del marito della donna.
Lambertuccio è in compagnia di un uomo, al quale un appestato toglie involontariamente il mantello;in realtà sotto le spoglie del compagno di Lambertuccio c’è la bellissima Belcolore, completamente nuda.Ed è con lei che il capitano di ventura va via.
Antesignano di tutti i decamerotici, Boccaccio, diretto nel 1972 da Bruno Corbucci che scrive anche la sceneggiatura del film con Mario Amendola, si distingue completamente dalla massa quasi informe dei film del genere decamerotico sia per l’eleganza con cui vengono curate le varie componenti del film, ovvero scenografie, costumi e fotografia sia per i dialoghi, meno volgari degli epigoni e sopratutto per la mancanza delle solite scosciate che furono il marchio di fabbrica del florido filone.
Antonia Santilli
Pia Giancaro
Paola Tedesco e Pippo Franco
Le novelle tratte dal Decameron sono raccontate visivamente da Corbucci con brio ed eleganza; si ride finalmente senza la solita grana grossa e senza battute triviali, si assiste alle performance di un gruppo nutrito di attori e di splendide protagoniste che non ebbe in seguito rivali.
Enrico Montesano e Pippo Franco interpretano Buffalmacco e Bruno, i due protagonisti principali attorno ai quali si muovono tutti gli altri, ovvero Fra Ignazio, interpretato da Lino Banfi, Alighiero Noschese che è Lambertuccio da Cecina (Banfi e Noschese, con Montesano saranno protagonisti anche del simpaticissimo Il prode Anselmo),Mario Carotenuto che è il giudice Nicola, il grande Bernard Blier che interpreta il dottor Mazzeo fino ad Andrea Fabbricatore, campione del Rischiatutto televisivo a cui va il ruolo dell’ingenuo Calandrino.
Di primissimo ordine anche il parterre femminile, che include attrici bellissime e di sicuro valore recitativo come Sylvia Koscina (Fiammetta),Isabella Biagini che è Ambruogia, e ancora Maria Baxa,Pia Giancaro,Helene Chanel, Antonia Santilli,Paola tedesco,Pascal Petit.
Un cast prestigioso quindi per un film a tratti molto divertente, una delle cose migliori di quell’anno, eppure penalizzato in seguito dalla mancanza di una distribuzione su supporti digitali.
Infatti il film è rimasto per 40 anni praticamente invisibile, fino all’anno scorso momento in cui è stata realizzata un’edizione digitale del film.
Tuttavia la pellicola non è di facile reperibilità.
Se qualcuno vuole visionarla può scaricare il seguente link: http://wipfiles.net/628rm3dr1bjj.html che contiene una splendida versione del film, ricordando ovviamente che i file sono protetti da diritto d’autore e che devonoe ssere cancellati dopo 48 ore.
Tornando al film, siamo di fronte ad una commedia simpatica e gradevole, che merita sicuramente una visione.
Boccaccio
Un film di Bruno Corbucci. Con Enrico Montesano, Lino Banfi, Sylva Koscina, Alighiero Noschese, Pippo Franco, Andrea Fabbricatore, Guido Celano, Bernard Blier, Franca Dominici, Rosita Pisano, Mario Carotenuto, Andrea Aureli, Giacomo Furia, Mimmo Poli, Nello Pazzafini, Ignazio Leone, Toni Ucci, Isabella Biagini, Hélène Chanel, Gastone Pescucci, Sandro Dori, Pascale Petit, Luca Sportelli, Maria Baxa,Raymond Bussières Commedia, durata 92′ min. – Italia 1972.
Alighiero Noschese: Lambertuccio da Cecina
Enrico Montesano: Buffalmacco
Pippo Franco: Bruno degli Olivieri
Sylva Koscina: Fiammetta
Isabella Biagini: Ambruogia
Raymond Bussières: Cagastraccio
Mario Carotenuto: Giudice Nicola
Bernard Blier: dottor Mazzeo
Pia Giancaro: Monna Lisa
Paola Tedesco : Lidia
Lino Banfi: Padre Ignazio
Andrea Fabbricatore: Calandrino
Pascale Petit: Giletta
Rosita Pisano: Mannocchia, serva di Mazzeo
Sandro Dori: Nicostrato
Maria Baxa: Tebalda
Toni Ucci: Pietro da Vinciolo
Franca Dominici: Perdicca
Luisa Dominici: Belcolore
Guido Celano: messer Anselmo
Andrea Aureli: Maso
Hélène Chanel: Perincipessa di Civignì
Ignazio Leone: il Bargello
Antonia Santilli: donna nella tinozza
Nello Pazzafini: Marito della donna nella tinozza
Gastone Pescucci: Giovanni Cioppolo
Mimmo Poli: Spettatore grasso
Luca Sportelli: Loderinghi
Antonella Santi: donna piccione
Regia Bruno Corbucci
Soggetto Mario Amendola
Bruno Corbucci
Sceneggiatura Mario Amendola
Bruno Corbucci
Produttore Dino De Laurentiis
Distribuzione (Italia) Columbia
L’opinione del Morandini
6 sketch cavati dal Decamerone che hanno per protagonisti Buffalmacco (E. Montesano) e Bruno degli Olivieri (P. Franco), burlatori di Calandrino (A. Fabbricatore) e di altri gonzi. Nel filone dei “decameronidi” uno dei meno trucidi.
L’opinione di Undjing dal sito http://www.davinotti.com
Assieme a Fiorina la vacca uno dei migliori esemplari del filone decamerotico, coniato dal successo pasoliniano (Il Decameron). La valida regia di Corbucci, esperto di commedia all’italiana, è sorretta pienamente dal buon cast, che contempla un convincente (e simpatico) Montesano nel ruolo di Buffalmacco. A margine si fanno notare anche Pippo Franco, Noschese, Lino Banfi ed il celebre vincitore nel Rischiatutto (d’epoca): Andrea Fabbricatore, nei panni di Calandrino, ch’è poi il “legame” di continuità delle varie storie sparpagliate con azzeccato senso del ritmo e dell’ironia. Significativo.
L’opinione di Rfe dal sito http://www.davinotti.com
Uno dei decamerotici migliori, meno rozzi e meno volgari. Un gruppo d’attori mai più visto in un boccaccesco: Pippo Franco, Enrico Montesano, Alighiero Noschese o Lino Banfi sono ben affiatati e divertono. Degne di attenzione soprattutto le belle attrici coinvolte (per fortuna Corbucci si rifiuta intelligentemente di accodarsi al criterio anti-estetico seguito da Pasolini nella Trilogia della vita): Koscina, Biagini, Petit. C’è anche Pia Giancaro, prima di diventare Principessa Ruspoli.
L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com
Decamerotico di classe, girato con buon mestiere da Corbucci che aveva a disposizione mezzi (i soldi di De Laurentiis) nettamente superiori alla media. Partito quasi come un musical, procede con ritmo indiavolato e una notevole cura dal punto di vista scenografico. Montesano fa la parte del leone, ben coaudiuvato da Pippo Franco e da altri valorosi caratteristi, mentre Noschese, insuperabile come imitatore, si conferma un attore piuttosto opaco. Superbo il ricco comparto femminile, cioè la sostanziale ragion d’essere di un film come questo.
L’opinione di motorship dal sito http://www.davinotti.com
Bel decamerotico per nulla volgare e con nudi non esagerati. Inoltre è un film molto divertente, spassoso e diretto davvero molto bene da Corbucci. Incredibile il cast, sia quello femminile (Koscina, Biagini, Petit) che quello maschile, con la coppia Montesano-Noschese (con il primo che domina praticamente la scena) in testa, anche se Pippo Franco e Lino Banfi non sono da meno. Esilarante il finale e simpatiche le canzoncine a mo’ di musical. Da vedere.
L’opinione di tomasmilia dal sito http://www.davinotti.com
Uno dei più fortunati epigoni del Decameron pasoliniano. Grande cast (forse il più ricco per un decamerotico, più comico che erotico) sebbene la trama consista in una decina di novelle (dis) unite tra loro. Pippo Franco e Montesano (istrionico, si esalta tra balli, canti e “parlate”, il gagà) si muovono come Encolpio e Ascilto nel Satyricon petroniano con lo spirito boccaccesco. Sono loro che danno avvio agli scherzi a danno del povero Calandrino (il campione di Rischiatutto, Fabbricatore). Divertenti gli stornelli.
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I picari
Su una galera che naviga per rotte sconosciute facciamo conoscenza con due personaggi pittoreschi: Lazzarillo de Tormes e Guzman de Alfarache.I due, legati allo stesso remo, si raccontano le vicissitudini che li hanno portati a condividere lo stesso destino. Lazzarillo de Tormes, nato in una famiglia numerosa e poverissima, con una madre costretta a prostituirsi per procacciare cibo ai numerosi figli, è stato ceduto dalla famiglia ad un mendicante cieco e furbissimo.L’uomo ha insegnato a Lazarillo tutti i trucchi per sopravvivere di espedienti e carità, ma alla fine viene beffato dal giovane aiutante, stanco delle sue angherie e della sua avarizia. Guzman de Alfarache non ha conosciuto la miseria, perchè suo padre era un artigiano di valore, un orologiaio molto apprezzato ma con un vizio, quello del gioco.
Esperto giocatore di dadi, l’uomo viene sorpreso a barare e finisce così impiccato.Accolto in una famiglia nobile come “coadiuvante pedagogico”, Guzman scopre a sue spese di essere caduto dalla padella nella brace.Il suo compito infatti consiste nel subire le punizioni in loco del rampollo ignorante e maleducato della nobile famiglia.Stanco dei soprusi, Guzman scappa; così ritroviamo i due avventurieri legati al remo della galera, che li sta trasportando verso un oscuro destino.
Claudio Bisio, il capo degli ammutinati
Ma il caso vuole che l’equipaggio dei galeotti di bordo decida di ammutinarsi e cosi dopo rocamboleschi colpi di scena Lazarillo e Guzman vengono scaraventati fuori dalla nave e approdano miracolosamente su una spiaggia.Dopo un’altra avventura, in cui riescono con l’inganno a farsi liberare da un fabbro dalle catene che li imprigionavano, i due avventurieri inseguiti dalle locali guardie finiscono per dividere le proprie strade.Cosi Guzman va a servizio di un nobile ridotto in miseria, che verrà incarcerato per debiti mentre Lazarillo più fortunato diventa un attore, lavoro grazie al quale può permettersi di girare con un ricco abito utilizzato per le scene.I due amici si reincontrano e grazie all’abito di Lazarillo truffano un gioielliere e con i proventi della truffa acquistano una prostituta con l’intenzione di cederla di volta in volta in cambio di denaro.
Ma Rosario, la prostituta, si concede solo a chi le garba così alla fine diventa motivo di discussione tra i due amici con conseguente lite finale e nuova separazione dei loro destini.Che però sono fatalmente destinati a incrociarsi: Lazarillo diventa assistente del boia e un giorno si trova davanti l’amico Guzman condannato a morte per omicidio.Con un ennesimo colpo di teatro, Lazarillo riesce a far liberare Guzman, facendo impiccare in vece sua un povero ladro, mentre allo stesso Guzman Lazarillo taglia la mano, pena riservata ai ladri.Nel finale, troviamo ancora una volta i due amici impegnati nel furto di latte da un pastore che pascolava il suo gregge di pecore.
A distanza di 21 anni dal capolavoro L’armata Brancaleone, Mario Monicelli riprende l’atmosfera del film medioevale trasportandolo in un’ambientazione spagnoleggiante di ispirazione picaresca, prendendo spunto dal romanzo di autore ignoto Lazarillo De Tormes, ambientato nel 1500. Questa volta i protagonisti non sono gli straccioni dal linguaggio ameno che attraversano un’Italia ignorante e popolata da gente superstiziosa, bensi due avventurieri che si imbarcano in imprese grottesche, quasi tutte condannate a fallire miseramente.I due protagonisti, Lazarillo e Guzman, hanno appreso dalla strada l’arte di arrangiarsi e tentano di mettere a frutto quanto imparato, sempre però con alterne fortune.
Non sono affatto due anime candide, come per esempio era il Brancaleone da Norcia protagonista dell’Armata Brancaleone, quanto piuttosto due simpatici gaglioffi che la vita ha costretto ad un’esistenza da vagabondi.Se per Lazarillo la scuola del vecchio mendicante ha avuto una funzione preminente facendolo diventare furbo e scaltro, per Guzman la morte ingloriosa del padre ha funzionato solo come detonatore di un’improvvisa libertà che il giovane non ha saputo ne potuto sfruttare, finendo per incontrare Lazarillo al remo di una galera che li conduce verso una sorte ignota.
I due compagni finiscono così per attraversare in lungo e in largo la Spagna, sempre inseguiti o dalle guardie o perseguitati da un destino infausto. E si imbattono nel corso della loro vita, in personaggi altrettanto “sfiagti”, come il Marchese Felipe de Aragona incontrato da Guzman che per poter mettere sotto i denti qualcosa è costretto a fare due volte la comunione o come il mendicante cieco che diventa la guida cattiva e cinica di Lazarillo. La galleria dei personaggi incontrati dal duo è ampia e variegata e passa dal precettore che picchia Guzman in loco del pargolo nobile ciuco e maleducato fino al gioielliere che i due truffano prima di venire truffati a loro volta da un vecchio ruffiano che rifila loro la bella Rosario, prostituta che va solo con chi piace a lei.
Vittorio Gassman è il Marchese Felipe de Aragona
L’allestimento artistico del film, ovvero il cast che lavora in questa pellicola è di assoluto prim’ordine; si va da Nino Manfredi, cieco e truccato quasi come nel film di Scola Brutti sporchi e cattivi che da vita ad un personaggio a tratti ributtante, ovvero il mendicante spilorcio e cattivo che però funziona da guida verso la vita dura del picaro per il giovane Lazarillo, passando per Vittorio Gasmann sobrio e dolente nei panni del nobile Felipe de Aragona, che alle guardie incaricate di arrestarlo presenta i suoi averi, una brocca, una ciotola e un pitale.Naturalmente poi ci sono i due veri protagonisti: Enrico Montesano nel ruolo di Lazarillo e Giancarlo Giannini in quello di Guzman.
A sinistra Enrico Montesano, Lazarillo
Entrambi lavorano bene mostrando un affiatamento che nell’economia del film si rivelerà prezioso; nessuno dei due tenta di prevalere sull’altro e lo spettacolo è assicurato. Merito anche del resto del cast, nel quale troviamo attori del calibro di Paolo Hendel, il precettore leggermente sadico del nobile rampollo e Claudio Bisio, il capo degli ammutinati della galera, il grande Bernard Blier nel ruolo del magnaccia e Giuliana De Sio in quella della prostituta Rosario, che mostra abbondantemente le sue grazie il che è davvero un bel vedere. C’è spazio anche per Vittorio Caprioli nel ruolo del bandito Mozzafiato e per Enzo Robutti in quello del comandante della galera che subirà l’ammutinamento.Segnalazione per la particina di Sabrina Ferilli che interpreta la figlia del magnaccia che vende Rosario. Se I Picari non è un capolavoro lo si deve solo ad una certa discontinuità del film, che manca di omogeinità e che sembra più affidato a degli sketch improvvisati dal duo Montesano- Giannini che ad un percorso più organico della pellicola.
Nino Manfredi, il mendicante cieco
Tuttavia il maestro Monicelli sorprende ancora con un opera affascinante e divertente in maniera misurata, alla luce sopratutto del mezzo fiasco di critica e di pubblico rimediato con Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984) che farà da preludio a quel gioiello che è Speriamo che sia femmina (1986), che sarà il lavoro precedente a questo film.Monicelli è un maestro, un grande regista, capace di amalgamare alla perfezione i cast pur in presenza di soggetti difficili come il romanzo Lazarillo De Tormes, dal quale il regista si discosta parecchio. Il romanzo infatti, narrato in prima persona dal protagonista, racconta la vita errabonda del giovane Lazzarillo nella Spagna di Carlo V prima di accasarsi felicemente con la serva di un vinaio, che dividerà con il vinaio stesso. Monicelli introduce quindi il personaggio di Guzman, che appare leggermente meno furbo e cinico di quello di Lazarillo, forse perchè di estrazione piccolo borghese la dove l’amico viene dal proletariato più povero e indigente.Questo contrasto lo si avverte nel film, e nel finale sarà proprio Guzman a pagare il prezzo più alto, sfuggendo all’impiccagione ma non al taglio della mano, operato dallo scaltro Lazarillo che però così gli salverà la vita.In definitiva, un buon film che mostra come il cinema italiano degli anni ottanta vivesse purtroppo solo delle performance dei grandi registi come Monicelli, probabilmente il più grande interprete della cinematografia italiana.
I picari, un film di Mario Monicelli. Con Giancarlo Giannini, Enrico Montesano, Giuliana De Sio, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Bernard Blier, Paolo Hendel, Cristina Marsillach, Sabrina Knaflitz, Maria Luisa Armenteros Gonzales, Maria Casanova, Juan Carlos Naya, Claudio Bisio, Sabrina Ferilli, Blanca Marsillach, Vittorio Caprioli, German Cobos, Sal Borgese, Aldo Sambrell, Enzo Robutti, Jesus Guzman, Donatella Ceccarello. Commedia, durata 128 min. – Italia 1987.
Giancarlo Giannini: Guzman de Alfarache
Enrico Montesano: Lazarillo de Tormes
Vittorio Gassman: Marchese Felipe de Aragona
Nino Manfredi: il mendicante cieco
Giuliana De Sio: la prostituta Rosario
Bernard Blier: il magnaccia
Paolo Hendel: il precettore
Vittorio Caprioli: Mozzafiato
Enzo Robutti: Capitano della nave
Blanca Marsillach: Ponzia
Maria Casanova: Donna incinta
Juan Carlos Naya: Venditore di ceramiche
Claudio Bisio: il capo dei rematori ammutinati
Salvatore Borghese: il nostromo
Sabrina Ferilli: giovane prostituta figlia del protettore
Regia Mario Monicelli
Soggetto Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d’Amico, Mario Monicelli, dal romanzo spagnolo Lazarillo de Tormes (1554)
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d’Amico, Mario Monicelli
Produttore Giovanni Di Clemente
Casa di produzione Clemi Cinematografica, Producciones Cinematograficas Dia
Distribuzione (Italia) Warner Bros. Italia
Fotografia Tonino Nardi
Montaggio Ruggiero Mastroianni
Musiche Lucio Dalla e Mauro Malavasi
Scenografia Enrico Fiorentini
Costumi Lina Nervi Taviani
Trucco Manuel Martín, Mario Scutti
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Film apprezzabile per l’ottima (e verosimile) resa ambientale, scenografica e di costume dell’italia picaresca del ‘500, affidata alla maestria e al grande mestiere di Mario Monicelli in una delle sue ultime grandi produzioni cinematografiche. Il film è meno valido sul versante della sceneggiatura fatta più di spezzoni e singoli episodi e poco organica, difetto tuttavia che si tende a dimenticare a causa delle performances molto buone di gran parte del cast.
Due picari vagano per la Spagna combinandone di tutti i colori. A vent’anni da Brancaleone, Monicelli torna a filmare un’epoca storica reinventata, con immutato gusto della rivisitazione e spirito guittesco. Qui però l’invenzione non va oltre la serie di sketch comici e le storielle da commedia all’italiana trasferita in costume. Insomma, operazione non riuscita in un film troppo lungo e senza nerbo, che ha l’unico pregio di scorci visivi del tardo 500 spagnolo. Il resto è buon mestiere senza anima.
Con tutti questi attori, guidati da un valido regista, ci si poteva aspettare di più. Il film non è male, ma non tutto funziona (la parte con la De Sio, per quanto generosamente svestita, è un po’ troppo tirata); e nonostante l’indiscussa bravura di Giannini e Montesano, la pellicola finisce per trascinarsi un po’, anche se ha i suoi buoni momenti (il mendicante Manfredi, la fregatura dei cannoli e il pappone a gestione familiare). Sicuramente vedibile, ma poteva essere meglio.
Forse l’ultimo grande film di un grande regista. Ottima prova di Montesano e Giannini, ma sarebbe da citare tutto il cast… Monicelli riesce a dare l’idea di un intero periodo, tra miseria, fame e guerra, non dimenticandosi però di far ridere con zampate di quelle che si ricordano. Infatti la difficile miscela tra le parti “serie” e quelle più prettamente da commedia all’italiana è molto ben riuscita. Sicuramente un film da vedere.
Ma Lazzarillo de Lormes non era spagnolo? E allora perché si senton diversi mortacci? Una coppia di attori in buona vena, ma il film è di quelli della senilità di vari autori; cioè, si sente odore di set e si vede che le comparse son comparse. Riciclata la gag delle paste de Il mattatore (qui son cannoli). La De Sio sfodera un derrière da urlo, ma dura poco. Un film stanco, riscattato da qualche guizzo simpatico.
La confezione è notevole con i costumi, le scenografie e l’ambientazione curatissimi. Quando apriamo il pacchetto però ci accorgiamo che dentro non c’è molto oltre alle disavventure seriali dei due protagonisti che, peraltro, tra loro si sposano abbastanza bene. I flashback iniziali servono solo a proporci un Manfredi cieco mendicante e l’Hendel precettore manesco e a conti fatti di tutto il film quello che resta di più è la comparsata di Gassman nobile decaduto. Tanto fumo ma poco arrosto…
L’ottima ricostruzione storico-scenografica ed una trama divertente e non banale fanno di questo film uno degli ultimi grandi film di Monicelli. Buona parte del merito va sicuramente allo splendido cast che, oltre alla coppia di protagonisti, trova nella comparsata di Gassmann uno dei suoi momenti più felici.
Buon film di Mario Monicelli. Ciò in cui rende di più è nella perfetta ricostruzione di costumi, luoghi e atmosfere del 500; per quanto riguarda la sceneggiatura, ci sono alti e bassi, c’è poco d’autore e molto da commedia italiana (specie nelle scene con la prostituta); tra i furtarelli e qualche buona gag i ritmi sono sostenuti e nel complesso si lascia seguire fino alla fine per la bravura dell’ampio e vasto cast (Montesano e Giannini sono splendidi, ma al pari è anche Gassman).
Il film è ottimo per alcuni spunti, ma sopratutto per un cast veramente all’ altezza; la mano di Monicelli è sicura, vigorosa ed esperta, la trama ammiccante ma sincera, senza sbavature. Gassman è ben trattenuto, Giannini giusto, la De Sio splendida prostituta.
Camera d’albergo
Emma Crocetti è la figlia di un proprietario d’hotel; è un’appassionata di cinema e si diletta di regia con i suoi due amici Guido e Tonino. Desiderosi di sfondare nel mondo della regia, il terzetto costituisce la cooperativa “La svolta” e decidono di girare un reality ante litteram piazzando una telecamera all’interno delle stanze dell’albergo. Messo assieme del materiale amatoriale con l’uso di mezzi di fortuna, i tre presentano parte del loro prodotto ad un regista ormai in disarmo, il commendator Achille Mengaroni che possiede anche una casa di produzione, la Ursus.
Enrico Montesano
Quello che i tre non sanno è che l’uomo è pieno di debiti ed inseguito dai suoi creditori; Mengaroni dopo aver visionato il materiale fiuta tuttavia il colpo e suggerisce ai tre di ampliare i filmati in loro possesso aggiungendo delle altre scene e contemporaneamente di strappare agli ignari protagonisti il consenso all’utilizzo delle immagini. Nasce così un autentico reality nel reality, con protagonisti Fausto e Flaminia. Il primo è un netturbino, mentre la donna lavora in una scuola guida.
Monica Vitti
Alla ricerca di una sistemazione Flaminia decide di sposare il proprietario della scuola, il corpulento e manesco Cesare De Blasi. Così loro malgrado Fausto e Flaminia sono costretti a frequentarsi e ben presto la passione tra di loro rinasce. La morale che se ne ricava è che nella vita prima o poi l’amore e i veri sentimenti trionfano. Diretto da Mario Monicelli nel 1981 Camera d’albergo è un prodotto incolore e insapore.
Vittorio Gassman
La scarsa vena di Monicelli (anche i grandi alle volte fanno errori) la si nota in tutto il film, nella mollezza di un soggetto francamente abbastanza banale (anche se sceneggiato da Age e Scarpelli e dallo stesso Monicelli) e sopratutto nella piatta recitazione di tre grandi protagonisti del cinema italiano, Vittorio Gassman, Enrico Montesano e Monica Vitti. I tre personaggi a loro affidati, rispettivamente il regista squattrinato Achille, il netturbino dai buoni sentimenti Fausto e la scontenta Flaminia sembrano tagliati con l’accetta e sono anche mal caratterizzati, segno dell’abulica volontà dei tre attori alle prese con un film in cui probabilmente non credevano.
Il soggetto debole, le lunghe sequenze girate in albergo, le banali storie riprese dai tre improvvisati registi fanno il resto; banalissima la sequenza delle svedesine nude che alla fine scoprono la telecamera nascosta e anche tutte le altre storielle appiccicate senza molta credibilità al film che si snoda noiosamente fino ad un finale che è quanto di più banale uno si possa aspettare.
Un vero peccato, perchè Monicelli ci aveva abituato ad uno standard di ben altro livello. Quello che colpisce maggiormente è la conduzione scialba di un film che già nelle premesse appare scontato, vista l’interazione tra la storia dei due ex amanti che riscoprono se stessi e le storielle molto prevedibili che i tre registi girano all’insaputa dei protagonisti. Così la moglie vergine e i vari personaggi ripresi in stile Grande fratello, mentre fanno abluzioni o canticchiano opere liriche, mentre espletano le loro necessità fisiologiche oppure attentano alle virtù delle cameriere appaiono molto sgradevoli e assolutamente prive di fascino. Le gag o le battute francamente sono davvero discutibili; un esempio è il dialogo tra Flaminia e Cesare:” Sai, per un momento ho pensato che tu mi avessi sposato per il mio nome…” “Perchè?” “Perchè mi chiamo Flaminia, come l’autovettura” Con questo genere di battute ovviamente non si va lontano, nemmeno con le gag delle botte da orbi e con le trite altre che scorrono sullo schermo.
Il voyeurismo reality raramente ha avuto tocchi di finezza, proprio per le sue caratteristiche specifiche, ovvero lo scavare nell’intimo delle persone alle prese con le piccolezze della vita quotidiana. Con queste premesse, senza una trama convincente e con attori assolutamente fuori parte o svogliati era inevitabile il fallimento del progetto. Monicelli non mostra mai, in nessun momento,il suo leggendario talento e il suo spirito corrosivo anche se va detto molti spettatori del film, all’epoca, lo assolsero quasi con formula piena. Ma un periodo di crisi è assolutamente comprensibile; non dimentichiamo che l’anno precedente il grande regista toscano aveva avuto un’altra battuta d’arresto con Temporale Rosy,con protagonisti Faith Minton e Depardieu impegnati in una storia d’amore ambientata nel mondo del catch, mal riuscita e bizzarra.
Per fortuna Monicelli ci regalerà nel 1982 Il Marchese del Grillo che rimane una delle sue perle più preziose. In definitiva Camera d’albergo non vale una visione, anche se ovviamente resta una spalla sopra tutte le boiate che vennero prodotte purtroppo a partire dal 1979 in poi.
Camera d’albergo,un film di Mario Monicelli. Con Enrico Montesano, Monica Vitti, Vittorio Gassman, Gianni Agus, Fiammetta Baralla,Franco Ferrini, Nando Paone, Tommaso Bianco, Roger Pierre, Luciano Bonanni, Ida Di Benedetto, Néstor Garay, Beatrice Bruno, Daniele Formica Commedia, durata 99 min. – Italia 1981
Vittorio Gassman: Achille Mengaroni
Monica Vitti: Flaminia
Enrico Montesano: Fausto Talponi
Roger Pierre: Cesare De Blasi
Béatrice Bruno: Emma
Ida Di Benedetto: Moglie vergine
Néstor Garay: Cesare Di Blasi
Gianni Agus: Se stesso
Franco Ferrini: Gianni
Daniele Formica: Aldo
Jacques Ciron: Vittorio
Nando Paone: Guido Bollati
Paul Muller: Hans
Isa Danieli: Maria
Fiammetta Baralla: Tassista
Tommaso Bianco: Sergio
Regia Mario Monicelli
Soggetto Agenore Incrocci, Mario Monicelli, Furio Scarpelli
Sceneggiatura Agenore Incrocci, Mario Monicelli, Furio Scarpelli
Produttore Luigi De Laurentiis, Aurelio De Laurentiis
Distribuzione (Italia) Filmauro
Fotografia Tonino Delli Colli
Montaggio Ruggiero Mastroianni
Musiche Detto Mariano
Nerone
L’imperatore Nerone è odiato da tutti: dai cristiani che lo accusano di aver fatto bruciare Roma e di aver addossato loro la colpa, dalla madre Agrippina perchè ha nominato senatore un suo avversario politico e dalla moglie Poppea perchè non le affida la parte di Elena di Toria in una rappresentazione teatrale scritta dallo stesso imperatore.
Così, grazie ad una congiura orchestrata da alcuni senatori e con la complicità dell’infido Tigellino, capo dei pretoriani dello stesso imperatore, Agrippina riesce a far rinchiudere in un manicomio Nerone, che ne viene liberato solo grazie all’amico Petronio e con l’aiuto di una bella cristiana convertitati al paganesimo, Nenè.
Così, il tentativo di mettere sul trono il generale Galba, affetto da fastidiosi problemi fisici come le emorroidi fallisce e Nerone riesce a tornare sul trono, non prima di essersi spacciato per Gesù davanti ad un Pietro molto più vicino ad un allocco che alla figura carismatica del capo della cristianità.
Diretto da Castellacci e Pingitore, alla loro seconda e ultima prova di regia in coppia dopo il discreto successo di Romolo e Remo storia di due figli di una lupa, Nerone è una parodia in stile burlesque o anche in puro stile avanspettacolo, realizzato nel 1977 con l’ausilio di un cast di assoluto livello ma con un risultato finale appena sufficiente.
Se l’idea di base, il cast e la formula della storia riadattata con enormi asincronismi temporali può sembrare azzeccata, il film che pure parte con qualche felice battuta e qualche gag che smuovono il sorriso ben presto si spegne in una lunga sequela di banalità, a cui invano i due registi tentano di porre rimedio affidando ai vari attori canzoncine e battute lampo che però risultano piatte e poco divertenti.
Colpa di una sceneggiatura da avanspettacolo, quindi inadatta ai tempi cinematografici, colpa anche di troppe banalità nelle battute, alcune delle quali appaiono grossolane e sconce.
E colpa anche di una certa blasfemia che serpeggia nel film, che appare davvero gratuita e poco divertente, tra l’altro.
Il film parte con una sequenza in cui Nerone, interpretato da un romanaccio doc come Pippo Franco scambia due battute con Atte: ” A Nerò, che vuoi la lira?” ” Beh, mejo de gnente” e prosegue sulla stessa falsariga, con scambi di battute surreali, come quella con Bombolo :”certo che l’alloro è una grande invenzione” “specie co’ i fegatelli”
Il livello del film è questo, tuttavia non mancano sprazzi di comicità e di divertimento.
Paola Borboni
Tra una battuta e una canzoncina, spesso in rima, il film prosegue con vivacità, alternando momenti felici (il bagno di Poppea, la sequenza al manicomio) a momenti di stanca.
Tuttavia, alla fine, non si resta completamente delusi.
Merito sopratutto di un cast che raccoglie attori molto bravi, quelli che con un brutto termine erano definiti “caratteristi”e merito anche delle due bellezze protagoniste del film, la ex soubrette Paola Tedesco che interpreta la cristiana convertita Nenè e Maria Grazia Buccella, deliziosamente svampita nel ruolo dell’imperatrice Poppea.
Nel film compaiono anche un bravo Enrico Montesano nel ruolo di Petronio Arbitro, con tanto di erre moscia e vestito ovviamente di tutto punto e con un anacronistico cappello, Oreste Lionello nel ruolo di un Seneca filosofo futurista dai dialoghi quasi demenziali, che parla una stranissima lingua un pò burina, un pò romana e tanto british de noantri.
Due fotogrammi con Paola Tedesco
Troviamo ancora la stella del cinema muto Paola Borboni, che interpreta Agrippina, madre di Nerone e ispiratrice della congiura che porterà l’imperatore stesso in manicomio e che si segnala per un’audace scena a seno nudo, mostrato alla bella età di 77 anni; c’è l’immancabile Gianfranco D’Angelo nel ruolo di Tigellino, stravagante e anche lui caratterizzato da una stoltezza quasi commovente.
“Non sono più cristiana, sono diventata pagana: ecco la prova”
C’è spazio per Paolo Stoppa, un San Pietro rivoluzionario, quasi comunista e anarcoide che alla fine verrà beffato da Nerone, c’è Aldo Fabrizi nel suo penultimo film, che interpreta il generale Galba affetto da problemi fisici fastidiosissimi come le emorroidi, c’è Marina Marfoglia nel ruolo di Atte (storicamente amante di Nerone).
Ancora, completano il cast in ruoli minori Bombolo (Roscio), aiutante squinternato di Nerone, Massimo Dapporto in una particina e infine la futura soubrette Carmen Russo in una breve sequenza in cui mostra il suo celebre seno.
Un film assolutamente scacciapensieri, probabilmente non riuscito ma in grado di strappare qualche momento di ilarità.
Nerone, un film di Castellacci e Pingitore, con Pippo Franco, Maria Grazia Buccella, Paola Tedesco, Oreste Lionello, Enrico Montesano, Paola Borboni, Gianfranco D’Angelo, Paolo Stoppa, Bombolo, Carmen Russo, Marina Marfoglia, Laura Troschel, Aldo Fabrizi Italia 1977, commedia
Bombolo, Pippo Franco e Carmen Russo
A destra, Aldo Fabrizi
Pippo Franco: Nerone
Maria Grazia Buccella: Poppea
Paola Tedesco: Licia
Oreste Lionello: Seneca
Enrico Montesano: Petronio Arbitro
Paola Borboni: Agrippina
Gianfranco D’Angelo: Tigellino
Paolo Stoppa: San Pietro
Aldo Fabrizi: Generale Galba
Bombolo: Roscio
Piero Santi: Vinicio
Gio Staiano: Sporo
Marina Marfoglia: Atte
Laura Troschel: Locusta
Massimo Dapporto: Cristiano liberato
Attilio Dottesio: Centurione
Giancarlo Magalli: Presidente del senato
Valentino Simeoni
Bruno Vilar: Centurione
Regia Castellacci e Pingitore
Soggetto Castellacci e Pingitore
Sceneggiatura Castellacci e Pingitore
Produttore Mario Cecchi Gori
Casa di produzione Capital Film
Distribuzione (Italia) Gold
Fotografia Sergio Martinelli
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Flavio Bocci
Scenografia Enrico Rufini e Maurizio Tognalini
Costumi Enrico Rufini e Maurizio Tognalini
Il paramedico
Mario Miglio è un infermiere dalla vita tranquilla; sposato alla splendida Nina, ha un solo handicap, rappresentato dalla teledipendenza della moglie, che passa ore intere davanti alla tv; gli unici rapporti tempestosi che ha sono quelli con il custode dello stabile in cui abita, un maniaco delle pulizie, con il quale, alla fine, litigherà di brutto.
La vita di Mario cambia irreparabilmente per colpa di una bella Fiat Argenta, vinta casualmente.
Rossano Brazzi e Daniela Poggi
L’auto, l’ammiraglia della Fiat anni 80, viene rubata, e da quel momento per Mario iniziano una serie interminabile di peripezie, che lo porteranno ad essere arrestato, perchè l’auto servirà ad alcuni terroristi.
Ma……….
Il paramedico, film del 1982 diretto da Sergio Nasca, è una commedia cucita addosso ad Enrico Montesano, che nei primi anni ottanta godeva di grande popolarità.Il comico romano, con la sua mimica, la sua buffa maniera di parlare, il suo romanesco autentico, bucava lo schermo, tanto che il regista decise di affidargli la parte dell’infermiere furbo, ma sfigato, che vinta una bella auto si da alla pazza gioia non sapendo che di li a poco sarebbero cominciati i suoi guai.
Una commedia però abbastanza singolare, che dopo una buona metà del suo percorso sembra diventare qualcosa d’altro, finendo però per restare un’incompiuta.
Il personaggio di Mario però non va oltre i confini della macchietta, tant’è vero che Montesano, di solito straripante, in questo film appare impacciato e spaesato.
Accanto al comico romano si muove Edwige Fenech, in una delle sue ultime apparizioni cinematografiche; la bella attrice difatti avrebbe concluso la sua carriera sei anni dopo, con all’attivo solo altre due apparizioni dopo quella nel film di Nasca.
Altro elemento femminile della storia è la splendida Daniela Poggi, quasi sempre senza veli, che sfoggia un fisico da paura; il resto del film vive sulla mimica facciale di Enzo Robutti, che interpreta il Commissario di Polizia, di Rossano Brazzi, nei panni di Augusto Pinna faccendiere legato all’eversione, di Enzo Cannavale, lo sfigatissimo Avvocato Generoso Gallina, che si vanta di non aver mai fatto liberare un suo cliente.
Una commedia di basso profilo, quindi, in cui le battute sono legate solo alla verve di Montesano, che appare spento, come già detto, legato sopratutto all’utilizzo del dialetto romanesco, con contorno di Li mortacci…”e altre frasi tipiche del repertorio popolare romano.
Il paramedico, un film di Sergio Nasca, Con Enrico Montesano, Edwige Fenech, Leo Gullotta, Rossano Brazzi, Enzo Liberti, Enzo Cannavale, Ugo Fangareggi, Enzo Robutti, Franco Diogene, Clarita Gatto, Daniela Poggi, Marco Messeri
Commedia, durata 105 min. – Italia 1982.
Enzo Robutti: Commissario di Polizia
Barbara Herrera: L’ipocondriaca
Daniela Poggi: Vittoria
Enrico Montesano: Mario Miglio
Marco Messeri: Spartaco
Leo Gullotta: Sostituto Procuratore
Edwige Fenech: Nina Miglio
Mauro Di Francesco:
Enzo Cannavale: Avvocato Generoso Gallina
Rossano Brazzi: Augusto Pinna
Pietro Zardini: Guardiano del garage
Regia Sergio Nasca
Soggetto Sergio Nasca, Enrico Montesano
Sceneggiatura Sergio Nasca, Enrico Montesano, Laura Toscano, Franco Marotta, Gianfranco Manfredi
Produttore Fulvio Lucisano
Casa di produzione Italian International Film
Distribuzione (Italia) Medusa
Fotografia Giuseppe Aquari
Montaggio Enzo Siciliano
Musiche Armando Trovajoli
“Stranissima pellicola d’impianto comico, ma che vira, nel secondo tempo, verso atmosfere cupe e seriose: le implicazioni dei media sulla circolazione di “false notizie”, la P2 – chiamata nel film B2 – e alcune connessioni tra magistratura (un bravo Leo Gullotta) e potere politico. Ottimo il cast, che brilla (nella compagine femminile) per la bellezza (e bravura) di una sublime Daniela Poggi. Enzo Robutti è un nevrotico commissario (e ricorda quello di Zucchero, miele e peperoncino). Montesano a tratti è retorico, ma convincente.
Classico “Montesano-movie” di onesta fattura, uscito nel suo miglior periodo artistico. Il film di Nasca ha la virtù di aver sfruttato l’allora attuale argomento della “loggia P2” per imbastire una sorta di commedia brillante che, nel secondo tempo, strizza l’occhio allo “spy movie all’amatriciana”. La prima parte risulta decisamente riuscita e brillante, la seconda invece ha dei cali piuttosto evidenti. Sponsor, nel film, l’allora novità in casa Fiat: l’ammiraglia “Argenta”.
Ambiziosa commedia che vorrebbe farsi indignata ma nun gne affà. Questo principalmente per la scelta sbagliata del protagonista, che pure nei momenti drammatici continua a fare il comico. Con un attore come Manfredi o Dorelli sarebbe stato un piccolo gioiellino. Del resto nemmeno Nasca pare credere troppo all’operazione, probabilmente interessato alla parte invettiva, imbastisce una mezza truffa inducendo il pubblico a credere di trovarsi davanti a un film comico. Tuttavia la confezione è molto buona. Curioso. L’abito non fa il monaco. L’automobile sì.
Un Montesano in grande spolvero in un one-man-show che non può che piacere ai fan dell’attore romano. La storia, improbabile, scorre via liscia senza punti morti, anche perché Montesano non smette un attimo di snocciolare battute su battute: alcune meno felici di altre, certo, ma tale è la quantità che nell’insieme non ci si fa caso. Il cast di contorno è di ottimo livello, con Cannavale in una parte piccola ma molto divertente, una Poggi mozzafiato ed il solito Robutti ai limiti dell’isteria.
Leggere il cast dei film di quel periodo era una botta di vita: Montesano, Fenech, Robutti, Cannavale, Gullotta, Poggi, Di Francesco, Messeri, Brazzi, Monni e Fangareggi. Potrei anche chiudere qui il mio commento, visto che la grandezza del nostro cinema stava proprio nella formazione che veniva messa in campo in ogni pellicola. Naturalmente Montesano è “leader maximo” e gli altri stanno dietro.
Straordinaria prova di Montesano… Il film è pienamente anni ’80: per il genere di automobili che girano, l’arredamente delle case e tanti altri particolari (come il boom delle televisioni private e i loro assurdi programmi). Geniale l’assurda concatenazione di fatalità che porta all’arresto del Nostro… e poi quando decide di “vuotare il sacco” (si fa per dire, visto che in realtà si inventa tutto) gli vengono promessi regali, auto di lusso, ecc… Un film attuale, veramente attuale…”
L’Italia s’è rotta
Due siciliani che lavorano a Torino, Peppe e Antonio, decidono di lasciare la città piemontese, subito dopo aver avuto alcune traversie con dei malviventi locali, spacciatori di droga. Durante il viaggio di ritorno verso la Sicilia, imbarcano con loro la giovane Domenica, una prostituta che Antonio è riuscito a liberare dalla schiavitù del suo pappone;
è l’inizio di un viaggio attraverso un’Italia che sembra un paese del terzo mondo, con le sue contraddizioni e i suoi difetti. I tre, caricati in auto un commendatore e la moglie, non riceveranno in cambio del gesto nulla, cosa che si ripeterà in Toscana, dove daranno una mano ad una nobildonna, rimanendo anche in questo caso a bocca asciutta. Coinvolti in una rapina, riusciranno a mettersi in tasca pochi spiccioli; il loro viaggio, che sembra ormai un’odissea di sfigati, li vede far tappa in Calabria, dove i tre assaporano la bellezza del mare locale, facendo il bagno nudi, come bambini.
La celebre sequenza del bagno dei tre amici nudi
Vengono denunciati per oltraggio al pudore da un magistrato ipocrita, il quale con una scusa trattiene Domenica; i due amici, ritornati in Sicilia, verranno coinvolti in una storia di droga. Certi di dover fare i conti con la mafia locale, ai due non resta altro da fare che percorrere a ritroso il viaggio, e ritornare a Torino, cosa che faranno dopo aver ripreso con loro Domenica.
L’Italia s’è rotta è un film girato da Steno nel 1976, in un momento davvero difficile della vita del paese; scioperi, attentati , crisi energetica, inflazione a due cifre. Un’ Italia rotta, come recita il titolo del film, che diventa un vero e proprio Easy rider di casa nostra, un on the road che mette in mostra tutti gli italici problemi. La fine del miraggio del boom, con l’emigrazione dal sud che ha finito per non integrarsi del tutto al nord, simboleggiata dai due giovani alla ricerca delle vere radici. I due amici finiscono per sperimentare le anime di un paese in crisi di identità, fra miseria e miserie personali, meschinità varie e varia umanità.
Un film profondamente amaro, con un finale che vede Antonio e Peppe tornare sui propri passi, quasi rassegnati ad una vita che non vogliono, ma che rappresenta l’unica possibilità di tirare a campare. Un film che non riesce del tutto, forse perchè troppo ambizioso, in bilico tra una comicità alle volte grottesca, alle volte con note stonate. Non mancano tuttavia momenti di gan cinema: memorabile la corsa dei tre amici sulla spiaggia, nudi e felici come bambini, senza ombra di corruzione o di malizia, interrotta dal solito perbenismo dell’autorità costituita.
Steno fa morire il magistrato ipocrita durante la visione di Gola profonda, simbolo di una trasgressione ahimè solo visiva in un paese dalla moralità con confini molto incerti, in ilico tra tradizione e futuro. Un film con molti difetti, pronto a puntare il dito sulle anomalie di un paese cresciuto solo a livello economico, e mai diventato davvero nazione, con i difetti tipici dell’italiano: individualismo anarcoide, qualunquismo, disfattismo.
La denuncia c’è, ma Steno privilegia il lato grottesco, incidendo alla fine solo a metà e lasciando al cinema un’opera incompleta, priva di veri affondo contro il sistema. Tuttavia la pellicola è godibile, anche per la verve degli attori protagonisti, Teo Teocoli, che interpreta Peppe, Mario Scarpetta che interpreta l’amico Antonio, una bellissima e sexy Dalila Di Lazzaro nel ruolo della giovane prostituta Domenica. Spazio ad attori di fama in ruoli minori, come Enrico Montesano che interpreta il rapinatore, Alberto Lionello nel ruolo dello scultore zio di Domenica, la solita grande Valeria Valeri nel ruolo della contessa, Duilio Del Prete, l’ipocrita magistrato.
L’Italia s’è rotta, un film di Steno. Con Clelia Matania, Enrico Montesano, Duilio Del Prete, Dalila Di Lazzaro, Franca Valeri, Alberto Lionello, Mario Carotenuto, Loris Bazzocchi, Carla Calò, Orazio Orlando, Mario Scarpetta, Armando Marra, Marisa Laurito, Teo Teocoli
Commedia, durata 105 min. – Italia 1976.
Dalila Di Lazzaro: Domenica Chiaregato
Mario Scarpetta: Antonio Mancuso
Teo Teocoli: Peppe Truzzoliti
Enrico Montesano: rapinatore romano
Mario Carotenuto: cavalier Amedeo Zerolli
Alberto Lionello: lo scultore, zio di Domenica
Franca Valeri: contessa Giovanna
Pietro Zardini: negoziante di elettrodomestici
Duilio Del Prete: censore
Orazio Orlando: Oronzo, il maestro
Clelia Matania: madre di Peppe
Carla Calò: madre di Antonio
Loris Bazzocchi: trafficante di droga
Sergio Di Pinto: figlio di Zerolli
Marisa Laurito: Rosalia, sorella di Antonio
Gianni Pallavicino: capomafia
Armando Marra: Scognamiglio
Barbara Herrera: signora Pautasso
Gianni Barabino: vigile urbano genovese
Regia Steno
Soggetto Giulio Questi, Sergio Donati, Luciano Vincenzoni, Steno
Sceneggiatura Sergio Donati, Luciano Vincenzoni, Steno
Produttore Franco Caramelli, Gianfranco Lastrucci
Casa di produzione Splendid Pictures
Distribuzione (Italia) Gold Film – General Video
Fotografia Aldo Tonti
Montaggio Raimondo Crociani
Musiche Enzo Jannacci
Scenografia Gianni Polidori
Costumi Gianfranco Carretti