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Perchè si uccidono (La merde)

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Unico film del figlio del grande Erminio Macario,Mauro,Perchè si uccidono,con eloquente sottotitolo La merde è un pasticcio grossolano e scoordinato,tipico figlio delle produzioni di metà anni settanta dirette da registi improvvisati che non avevano alle spalle il necessario background tecnico che permettesse loro di padroneggiare almeno in maniera sufficiente la macchina da presa.
Solito soggetto scontato (il figlio di una ricca famiglia che si da alla droga) in un crescendo di mediocrità sia soggettistica
che meramente tecnica che portano una pellicola di per se scadente ad un finale drammatico attraverso però spazi di involontaria comicità
vista la seriosità del soggetto iniziale e dell’argomento trattato.
Scene da antologia,slegate da qualsiasi contesto logico si alternano a concetti espressi visivamente con grossolana fattura;alcune scene sembrano
fettine di carne affettate con la scure là dove si sarebbe dovuta usare l’introspezione psicologica,una descrizione accurata
della psicologia del personaggio principale,Andrea.

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Sicuramente comica e fuori contesto è la sequenza più famosa del film,su cui si è a lungo favoleggiato e che ha costituito,nel tempo,l’unico motivo di interesse verso il film,ovvero l’impressione del marchio a fuoco sulle parti intime di una bella satanista,con tanto di particolari in primo piano.
Come dicevo,una scena senza contesto preciso e puramente gratuita,come del resto alcune presenti nel film a cui vanno aggiunte una pesantezza
quasi insopportabile dei dialoghi e la volontà da parte del regista di stigmatizzare l’ambiente borghese in cui la storia si dipana,senza
che però lo stesso Macario abbia ben idea di dove andare a parare.
La storia che fa da collante è assolutamente banale;un giovane di buona famiglia (Andrea) si fa coinvolgere dall’amata nel mondo della droga,uscendone distrutto.
La merde,sottotitolo francese del film si riferisce non figurativamente alla sostanza che un gruppo di detenuti spalmerà sul volto
del protagonista mentre questo è detenuto.
Morale:se appartieni ad una società di cacca,è giusto che tu diventi tutt’uno con la stessa,con palese riferimento anche al soprannome dato all’eroina,la merda,appunto.

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A parte questo apologo velleitario che sa tanto di post sessantotto in pesante ritardo storico,in un paese alle prese con altri problemi,
il film di Macario si accartoccia su se stesso per eccesso di zelo da parte del regista.
Le storie di droga negli anni settanta erano ormai infilate nei film a tutto spiano,senza però analizzarne mai i contesti sociali o familiari
in cui proliferavano.
Quasi nessuno si preoccupava di trovarvi le radici storiche della sua diffusione o semplicemente quelle psicologiche;una domanda scomoda che nessuno si poneva era “perchè giovani che ormai hanno tutto ricorrono ai paradisi artificiali?”
Può sembrare una domanda banale,ma se andate a vedere la produzione di pellicole sull’argomento noterete che lo stesso era spesso affrontato di sfuggita.
La droga è il demonio,ma sui perchè si ricorre ad essa vaga una sorta di damnatio memoriae,quasi che l’argomento non sia poi importante
quanto i risultati della dipendenza dalla droga stessa.
Macario suggerisce,per il suo personaggio,un disadattamento generico dovuto a più fattori,al fatto per esempio di vivere in una famiglia senza regole morali, con una sorella ondivaga che passa da un amore lesbico ad una messa nera (è lei la vittima sacrificale marchiata a fuoco) con una fidanzata
ormai senza più controllo sulla dipendenza da droga.

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A fare le spese di questa ribellione senza apparente movente sarà la moglie del suo protettore Luca,che aveva salvato suo padre dalla fucilazione
e che in cambio del suo aiuto vedrà uccidere sua moglie proprio dall’allucinato,senza speranze Andrea.
Il finale è ovviamente drammatico.
Quanto meno in linea con la storia narrata,una storia nera rimasta però archiviata nel cassetto delle buone intenzioni.
Film quindi pasticciato e incongruo,con un buon cast assolutamente sprecato.
Bravo Maurice Ronet nel ruolo di Luca,bene la Loncar nei panni della moglie di quest’ultimo,bene la Fani nell’interpretazione della ragazza di Marco.
Incolore e insapore invece Marco Renis,che,come Macario,chiuderà la sua carriera con questo unico film interpretato.
Da segnalare invece le musiche dei Goblin.
Il resto è da dimenticare.
Il film,dopo un lunghissimo oblio è riapparso da poco ed è disponibile su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=2COXgAxg28E in una versione decisamente buona.

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Perché si uccidono (La merde)
Un film di Mauro Macario. Con Beba Loncar, Maurice Ronet, Leonora Fani,Luciano Rossi,Marco Reims, Antonio Pierfederici, Micaela Pignatelli Drammatico, durata 94 min. – Italia 1976.

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Marco Renis … Andrea
Leonora Fani … Fidanzata di Andrea
Maurice Ronet … Marco
Beba Loncar … Moglie di Marco
Micaela Pignatelli… Sorella di Andrea

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Regia: Mauro Macario
Sceneggiatura: Mauro Macario
Musiche: I Goblin
Fotografia: Giovanni Raffaldi

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Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

Homesick

Si annuncia come dramma sociale antiborghese con il rampollo insoddisfatto e ribelle, ma presto, improvvisamente, sfonda la porta dell’exploitation:
messe nere con vagine marchiate a fuoco, allusioni gay, violenze e visioni onirico-grottesche sotto l’effetto di endovenose a base di metedrina e lsd,
rimedio suicida a difficili rapporti familiari ed estremo tentativo di recuperare l’amore perduto. Nel cast brilla la Fani, sia per il suo nudo – che si appaia a quello della Pignatelli –
sia per la sua maschera di tossica spaurita e allucinata. L’assistente del farmacista è Margherita Fumero.

Ciavazzaro

Sconclusionato film che in puro stile Anni Settanta presenta la discesa nell’inferno della droga di un rampollo borghese. Finale tragico.
Il cast non recita, anche se le presenze femminili sono molto interessanti (la Loncar, la Fani), buone le musiche (leggo adirittura dei Goblin!!!),
ma per il resto… Tra sabba satanici (con peli e chiappe all’aria), aghiaccianti visioni (un nero nudo con una tromba e i parenti del ragazzo vestiti come Luigi XIV). Delirante

Blazer00

Film di denuncia contro la droga: un rampollo borghese entra nel giro e purtroppo non riuscirà più a tornare indietro.
L’idea era ottima, peccato per certe trovate a dir poco comiche come quella del carcere, dove “la merda” era intesa come l’eroina e i compagni di cella
invece la prendono alla lettera! Inizia bene ma poi si perde in esagerazioni inverosimili.

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luglio 17, 2016 Posted by | Drammatico | , , , , | Lascia un commento

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giugno 22, 2014 Posted by | Photogallery | | Lascia un commento

Il giardino dell’Eden (Eden no sono )

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Prima di addentrarmi nella descrizione del plot del film Il giardino dell’Eden (Eden no sono nella versione originale), co produzione nippo-italiana del 1980 diretta dal regista giapponese Yasuzô Masumura,devo necessariamente specificare due cose:
– questo film è praticamente un “invisibile”,nel senso che non sembra uscito nelle sale italiane o se lo ha fatto è durato davvero poco in cartello;è stato editato,molti anni or sono,in versione VHS senza però il doppiaggio in italiano.In rete esiste solo un brutto riversaggio da videocassetta, con parlato in inglese e degli orribili sottotitoli in greco;
– avendo avuto la ventura di vederlo in lingua inglese,per i motivi sopra descritti, posso aver mal interpretato alcuni passaggi, per cui la trama potrà apparire lacunosa.
Il film è essenzialmente una storia d’amore;costruita attorno a due personaggi antitetici, Michele e Alexandra,porta lo spettatore attraverso un percorso lineare a vivere in prima persona le vicende sentimentali di due ragazzi divisi da tutto, partendo dalla cultura per finire con lo status sociale.

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Da subito impariamo a conoscere il protagonista maschile,Michele;è un giovane borsaiolo, che vive in una famiglia dedita al ladrocinio come forma di sopravvivenza.
Un giorno Michele, che si è appostato davanti ad un museo, vede scendere dalle scale dello stesso una ragazza e con destrezza la borseggia.
Tornato a casa, la sera il ragazzo apre il portafoglio della vittima e vi trova solo documenti e poco altro.Rimane colpito però dal volto della ragazza e così decide di tornare all’indomani sul luogo del misfatto.
Qui restituisce il portafoglio alla ragazza e così i due giovani si avviano assieme; lui ruba, non visto, una moto e porta la ragazza in spiaggia.
Fa in modo di sabotare la moto togliendo la calotta delle candele, così quando la ragazza chiede di essere riportata a casa, la moto non parte.
Alexandra, la ragazza,è furiosa e tenta di avviarsi a piedi ma il giovane la raggiunge e la invita in un capanno vicino.
Nel frattempo però la famiglia di Alexandra è in agitazione.
Poichè è gente ricca teme che alla ragazza sia successo qualcosa, sopratutto dopo che l’autista ha riferito che la ragazza è letteralmente sparita.Decidono così di avvertire la polizia e di affiggere in città manifesti con la foto della ragazza.
Nel frattempo,mentre i due ragazzi ignari fanno amicizia la madre di Michele e i suoi fratelli riconoscono la ragazza e uno dei fratelli decide di raggiungere Michele per organizzare un sequestro e ottenere un riscatto.

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Michele e Alexandra scoprono di essere attratti l’uno dall’altra e quando il fratello di Michele arriva tra lui e il giovane scoppia una lite violenta.
Mentre Michele resta con Alexandra, con la quale ha ormai raggiunto anche una perfetta intesa sessuale, il fratello in combutta con la madre chiama la famiglia della ragazza e ottiene un riscatto ingente.
Ma la polizia è ormai sulle loro tracce e raggiunge il nascondiglio di Michele e Alexandra.
Il giovane viene ferito e la ragazza riportata a casa.
Ma Alexandra è innamorata del ragazzo e…
Questa in sintesi la storia del film, che per buona parte mostra i due giovani intenti ad una esplorazione completa dei sensi; Michele e Alexandra scoprono i loro corpi, fanno giochi tipici degli adolescenti,si amano.
Quello che succede attorno è quindi solo un corollario per mostrare come l’amore possa vincere anche le barriere sociali.

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Una trama semplicissima, quindi, ingenua e fiabesca come il finale.
Storia vista mille volte, non fosse per l’abbondanza di nudi che il regista nipponico inserisce nel film senza però condirli con un eccessivo erotismo.
Leonora Fani, la vera protagonista, è nuda per almeno metà film;ed è su di lei che indugia la macchina da presa, mostrandola mentre fa il bagno su quello che dovrebbe essere il litorale romano (ma non lo è),assolutamente deserto e geograficamente inappropriato, visto il candore della sabbia tipico delle regioni del sud.
La Fani è ripresa mentre insegna a Michele i rudimenti dell’arte,con buoni risultati a quanto pare visto che il giovane le dipinge il corpo nudo con fiori e la aiuta in una specie di affresco trompe l’oeil che la ragazza dipinge su una parete o mentre si getta con foga giovanile tra le braccia del suo giovane amante.
Il giardino dell’eden è quindi poco più di una fiaba a cui viene aggiunta, come pretesto, la storia del sequestro che serve per staccare nettamente le due vicende, ovvero l’amore e la passione che travolge i due giovani facendo dimenticare loro l’esistenza del mondo reale (i due vivono come Adamo ed Eva in un magico Giardino dell’Eden) e dall’altro lato le ricerche dei genitori di lei e la meschinità e l’avidità dei parenti di lui.
A parte la solarità del film, girato quasi tutto con splendidi e assolati paesaggi,c’è ben poco altro; la storia è quella che è con il finale decisamente politicamente corretto.

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Bellissima e convincente la Fani, discreto Domiziano Arcangeli;nel cast del film troviamo anche due attori dal lusinghiero passato come Massimo Serato e Antonella Lualdi, rispettivamente padre e madre di Alexandra mentre la canagliesca madre di Michele è interpretata da Angela Goodwin.Belle le musiche di Stelvio Cipriani che ricordano quelle di aonimo veneziano visto l’uso insistito dell’oboe.
Come già detto all’inizio, il film non esiste ne in digitale ne in versione italiana;chiunque voglia vederlo nella versione ridotta da VHS dovrà scaricarsi il file che è disponibile a questo indirizzo:http://wipfiles.net/dlpkd39c5va1.html

Il giardino dell’Eden (Eden no sono)
di Yasuzô Masumura.Con Leonora Fani,Domiziano Arcangeli,Angela Goodwin,Antonella Lualdi, Massimo Serato.Drammatico,Italia/Giappone 1980

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Domiziano Arcangeli …Michele
Leonora Fani …Alexandra
Angela Goodwin …La madre di Michele
Antonella Lualdi …La madre di Alexandra
Massimo Serato …Il padre di Alexandra
Ronni Valente … Ron

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Regia:Yasuzô Masumura
Sceneggiatura:Yasuzô Masumura,Leros Pittoni
Produzione:Hiroaki Fujii,Asao Kumada,Turi Vasile
Musiche:Stelvio Cipriani
Fotografia:Armando Nannuzzi
Art direction:Enrico Fiorentini

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dicembre 6, 2013 Posted by | Drammatico | | Lascia un commento

Amore mio non farmi male

Marcello e Anna sono due studenti legati da un tenero rapporto.
Tra i due tutto è ancora fermo all’amore platonico, ma Anna inizia a premere per andare oltre.
Così un giorno trascina Marcello in un campo dove finalmente consumerebbero il primo rapporto per entrambi non fosse per l’arrivo di un contadino che guasta loro le uova nel paniere.
Da quel momento i due ragazzi proveranno più volte a coronare il loro desiderio d’amore fisico ma incontreranno ostacoli di tutti i tipi, a cominciare dalle loro famiglie.
Marcello è figlio di Carlo,un avvocato e di Simona, una donna bigotta in maniera patologica mentre Anna è figlia di Paolo, un pilota d’aerei e di Linda, una ex hostess.

Leonora Fani

Macha Meril

Sia Simona che Paolo, per motivi molto simili, vorrebbero che i loro figli si mantenessero vergini mentre Carlo e Linda cercano di capire e di giustificare Marcello e Anna.
Nel frattempo Marcello, dopo i tentativi ripetuti tutti coronati da insuccesso, entra in crisi e così suo padre si adopera per “svezzare” il suo rampollo; convince così un suo cliente ad organizzare un incontro con una prostituta e subito dopo cerca di far sedurre il ragazzo dalla sua segretaria. Ma ancora una volta le cose vanno per il verso storto e ci vorrà l’intervento della madre di Anna per rimediare a tutto e dare ai ragazzi l’opportunità giusta…

Gabriella Giorgelli

Vittorio Sindoni, regista siciliano da diversi anni specializzato in film e produzioni tv (sue sono le regie di Le ragazze di San Frediano,La mia casa è piena di specchi,La ragazza americana ) dirige nel 1974 Amore mio non farmi male  una gradevole e garbata commedia senza grossi acuti ma anche senza cadute di stile tipiche delle produzioni dell’epoca.
Un film che si segnala principalmente per un cast di notevole levatura, con attori e attrici di fama come Walter Chiari e Valentina Cortese, Luciano Salce e Roberto Chevalier, Leonora Fani e Ninetto Davoli, Gabriella Giorgelli e Macha Meril.
Il film basa tutte le sue chance proprio sul cast, visto che la sceneggiatura è molto lineare e non presenta acuti o particolari difficoltà; il tema della sessualità giovanile, del tabù che sembra insormontabile per i genitori è affrontato con estrema leggerezza, con toni da commedia e senza alcuna velleità socio-culturale.

Luciano Salce e Roberto Chevalier

Un film che meriterebbe anche un votazione alta non fosse per le interpretazioni fuori dalle righe di due grandi dello schermo, Walter Chiari e Valentina Cortese.
Il primo, nei panni del genitore di Anna, geloso in maniera quasi morbosa della figlia, va spesso oltre le righe accentuando in maniera macchiettistica le caratteristiche del suo personaggio, che appare sguaiato, rumoroso ed esagitato oltre misura.
Lo stesso si può dire di Valentina Cortese, assolutamente fuori parte per l’eccesso caricaturale dato al suo personaggio, che richiedeva maggior misura e minore carica di energia nell’interpretazione stessa.


Bene invece il resto del cast: misurato, elegante ed ironico Luciano Salce (il padre di Marcello), bella e raffinata Macha Meril in quello di Linda, la mamma di Anna.
Da segnalare le prove dei due studenti innamorati, ovvero Roberto Chevalier e Leonora Fani.
Il primo è impacciato e imbranato quanto basta, la seconda è la solita garanzia, con un carico di fascino e grazia senza uguali.


C’è spazio anche per Gabriella Giorgelli nel ruolo della prostituta mentre microscopiche parti sono riservate alla CSC Carla Mancini e a Sandra Mantegna.
Un film decoroso, senza grandi sussulti ma gradevole.
Recentemente passato in tv dopo un lunghissimo oblio, è disponibile in rete in una versione rippata da satellite.

Amore mio, non farmi male
Un film di Vittorio Sindoni. Con Walter Chiari, Valentina Cortese, Macha Méril, Luciano Salce, Roberto Chevalier, Leonora Fani, Giuliano Persico, Pia Velsi, Ninetto Davoli, Enzo Robutti, Gino Pagnani, Carla Mancini, Mico Cundari, Sandra Mantegna Commedia, durata 100′ min. – Italia 1974.

Roberto Chevalier: Marcello Foschini
Leonora Fani: Anna De Simone
Luciano Salce: Carlo Foschini
Valentina Cortese: Simona Foschini
Walter Chiari: Paolo De Simone
Macha Méril: Linda De Simone
Ninetto Davoli: Giovanni Procacci
Gabriella Giorgelli: Cicci
Enzo Robutti: Laganà
Leopoldo Trieste: avv. Musumeci
Orazio Stracuzzi: Oro Falso
Sandra Mantegna: Wanda
Carla Mancini: Greta
Pia Velsi: Sora Teresa
Gino Pagnani: tassista
Mico Cundari: medico
Jimmy il Fenomeno: carcerato
Angelo Pellegrino: carcerato
Valentino Simeoni: carcerato
Franca Scagnetti: portinaia a Trastevere

Regia Vittorio Sindoni
Soggetto Ghigo De Chiara, Vittorio Sindoni
Sceneggiatura Ghigo De Chiara, Vittorio Sindoni
Produttore Nicholas De Witt
Produttore esecutivo Enzo Giulioli
Distribuzione (Italia) Cecchi Gori
Fotografia Safai Teherani
Montaggio Mariano Faggiani
Scenografia Giorgio Luppi
Costumi Adriana Berselli, Lamberta Baldacci
Trucco Giulio Mastrantonio

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novembre 3, 2012 Posted by | Commedia | , , , , , , , , | 1 commento

Calde labbra

Francesca è una ragazza schiva e fragile che vive con sua madre e che ha un autentica fobia per gli uomini.
Una sera ha infatti assistito non vista ad un focoso amplesso tra sua madre e suo padre, in cui la donna ha subito le avance del marito.
Da quel momento Francesca ha visto gli uomini come dei bruti, ragion per cui quando a casa sua arriva l’istitutrice Lise Braille finisce per prendere una sbandata per la donna , rivedendo in lei la figura della madre assente ma anche dell’amante premurosa e gentile.

Rosemarie Lindt

Tra le due donne nasce quindi un complesso legame lesbico, che però si interromperà bruscamente.
Nel frattempo la sempre più confusa Francesca cerca di sostituire l’affetto di Lise legandosi alla sua amica Monica, ma quando farà delle avance a quest’ultima, Monica reagirà male.

Leonora Fani

Disperata, alla vigilia di Natale Francesca cercherà di farla finita, ma verrà salvata in extremis proprio da sua madre.
A sorpresa, Calde labbra, firmato nel 1976 da Demofilo Fidani risulta essere un film non disprezzabile, pur essendo scopertamente un’opera di stampo erotico.
Muovendosi nello stretto ambito del film di genere, l’onesto mestierante Fidani, autore di opere come il discreto A.A.A. Massaggiatrice bella presenza offresi… (1972) e La professoressa di lingue (1976) dirige un film di discreta fattura, con una buona ambientazione, aiutato sopratutto dalla protagonista principale, l’attrice Leonora Fani.
Ancora una volta la bravissima Fani interpreta il personaggio di un’adolescente problematica, in questo caso traumatizzata dalla vista di un rapporto sessuale violento fra i suoi genitori con una abilità che conferma la sua indubbia bravura nei ruoli drammatici.

Claudine Beccarie

Se è vero che il film non ha una sceneggiatura particolarmente complessa, va detto che Fidani gioca le sue carte con abilità: la storia del rapporto lesbico che si crea tra la matura istitutrice e la debole Francesca è esplicitato senza il ricorso continuo all’eros, bensi a situazioni torbide come quella che vedrà protagonista la ragazza e la sua amica Monica, che reagirà violentemente alle profferte di Francesca.
Il finale è drammatico, con il salvataggio della ragazza da parte della madre e con la ripresa di un rapporto tra le due che sembrava definitvamente compromesso.
Il resto del cast si muove egregiamente: bene Sofia Dionisio che interpreta Monica, l’amica del cuore di Francesca, bene anche Rosemarie Lindt (la madre di Francesca) anche se nel film si vede poco e bene anche la futura pornostar Claudine Beccarie, ancora una volta in un ruolo estremamente sexy.
Calde labbra non è un film di facile reperibilità: io sono riuscito a rivederlo solo in un divx recuperato da una vecchia e malandata versione VHS.

Sofia Dionisio

Con molta pazienza è possibile rintracciarlo in rete e può valere la pena vedere questo film in cui c’è la Fani, uno dei motivi che mi hanno spinto a rivedere il film di Fidani.
Ancora una volta penso alla miopia dei registi e dei produttori del cinema di genere che utilizzarono così poco una delle migliori attrici del decennio settanta.

Calde labbra, un film di Demofilo Fidani. Con Flavia Fabiani, Leonora Fani, Didier Faya, Rose Marie Lindt, Walter Romagnoli, Jacques Stany, Claudine Beccarie.Drammatico Italia 1976

Claudine Beccarie … Lise Braille
Leonora Fani … Francesca
Sofia Dionisio … Monica
Walter Romagnoli … Gianni
Rosemarie Lindt … Teresa
Didier Faya … Franco
Jacques Stany …Padre di Francesca

Regia: Demofilo Fidani
Sceneggiatura:Otello Cocchi,Demofilo Fidani
Produzione: Otello Cocchi
Musiche: Coriolano Gori
Fotografia: Luigi Ciccarese
Montaggio:Alessandro Lucidi
Sound Department:Romano Checcacci

 

ottobre 20, 2012 Posted by | Erotico | , , , , | 1 commento

Sensitività (Sensività)-Kyra la signora del lago

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Sensitività, o Kyra – La signora del lago, o anche L’ultima casa vicina al lago o Sensività (titolo originale) è un film conosciuto più per le sue disavventure che per i suoi pregi artistici, peraltro molto ridotti.
Diretto da Enzo G. Castellari nel 1979, rappresenta l’unica incursione nel campo dell’horror metafisico da parte del regista romano e arriva nelle sale due anni dopo il discreto risultato di Quel maledetto treno blindato, un curioso film bellico diretto dallo stesso Castellari nel 1977.
Sensitività ebbe vicende molto travagliate, a partire da una distribuzione cinematografica penalizzante che portò il film nelle sale per un ristrettissimo periodo; l’insuccesso ai botteghini convinse la casa cinematografica Video Kineo ad acquisire i diritti della pellicola, cosa che avvenne in maniera non indolore.

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Il film di Castellari venne affidato ad Alfonso Brescia che stravolse la trama originale, girò altre scene sostituendo l’attrice protagonista Leonora Fani con una controfigura con il risultato finale di ottenere un prodotto ibrido e sconclusionato che rese il film irriconoscibile.
Poichè già di per se la sceneggiatura originale era debole e poco convincente il guazzabuglio divenne totale e il film si rivelò economicamente un altro fallimento.
Del film di Castellari si persero le tracce e a tutt’oggi coloro che hanno visto la versione originale, mai più trasmessa nel mercato televisivo si contano sulla punta delle dita.

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Il titolo del film in origine era Sensività, ma nella versione spagnola divenne Sensitività, titolo con il quale il film è passato sul piccolo schermo; il giudizio tecnico sul film va quindi mediato su quella che è la parte originale dello stesso,  per intenderci diretta da Castellari.
La stessa sceneggiatura originale prevedeva uno svolgimento della pellicola sui binari della storia nera con elementi horror, erotici e metafisici che nella versione da noi conosciuta come Kyra la signora del lago sono in parte persi e in parte assolutamente incomprensibili.

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In quest’ultima versione, quella che attualmente circola (sporadicamente) in orari impossibili e su canali televisivi a visibilità limitata, la storia è incentrata sulle vicende di Lilian, una ragazza orfana che ritorna al proprio paese natale, per scoprire che dopo ogni rapporto sessuale con giovani del luogo, nel corso dei quali perde la conoscenza finendo per sembrare morta, avviene un omicidio.
Il tutto è legato ad un’antica maledizione e a Kyra, una divinità crudele e alla presenza in paese della gemella di Lilian, Lilith (antico personaggio della cosmogonia ebraica e mesopotamica, considerata dagli ebrei la prima moglie di Adamo e dai mesopotami un demone crudele).
La contemporanea presenza delle due gemelle risveglia quindi l’antica maledizione, amplificata dall’odio viscerale che Lilith porta per Lilian, che la ragazza considera responsabile delle disavventure che ha vissuto.
L’odio mortale tra le due gemelle porterà alla tragedia finale, quando Lilith aggredirà Lilian, arrivata in paese con una moto, provocandone la caduta dalla stessa che prenderà fuoco durante il mortale duello tra le ragazze, che moriranno per colpa della benzina infiammatasi dopo l’uscita dal serbatoio della moto.

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Leonora Fani

Il plot ha quindi una tematica di base non originale, che Castellari sviluppa svogliatamente come del resto testimoniato dal regista stesso che ha ricordato quanto poco credesse in questo progetto. Tuttavia, nelle parti attribuibili sicuramente al regista romano si nota un’eleganza formale e un uso della fotografia di sicuro livello, segno dell’indubbia abilità del regista romano.
Il giudizio sul film andrebbe quindi formulato visionando la versione originale del film, dimenticando per un attimo quella farraginosa e incoerente di Brescia; Sensitività ha un suo fascino, delle belle scene e un minimo di tensione anche se l’horror non è certamente il genere preferito da Castellari, che infatti non girerà più prodotti di questo genere.
Tra le scene aggiunte nella nuova sceneggiatura ce ne sono alcune che muovono al riso invololontario, tanto appaiono fuori contesto e inserite per ovviare all’assenza dell’attrice protagonista, la Fani; si vedano in tal senso le immagini della mano insanguinata che affiora dall’acqua o quelle dell’ascia che sfonda le porte inserite senza alcuna logica.
Come giustamente fa notare D.P. nel suo esaustivo articolo scritto per il mensile Nocturno (http://www.nocturno.it/news/sensivita-vs-kira-la-signora-dellago?AspxAutoDetectCookieSupport=1),

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la differenza tra l’idea iniziale di Castellari e la realizzazione successiva di Brescia appare evidente sin dalle battute iniziali.
Abbastanza previdibile e scontata appare la sequenza iniziale, con la mamma di Lillian e la stessa bambina insieme su una barca, seguito dall’arrivo in paese di un misterioso motociclista con casco che si rivelerà essere la stessa Lillian mentre ben diversa era l’introduzione studiata da Castellari.
In definitiva, il giudizio sul film non può essere oggettivo almeno per quanto riguarda la prima stesura del film, troppo differente dalla seconda; anche il finale è completamente differente e mortifica l’opera di Castellari banalizzandola con una sbrigativa morte di entrambe per lo scoppio della moto, mentre in origine la sequenza prevedeva un finale in cui le due ragazze finivano per unirsi in un legame incestuoso.
Poichè molto difficilmente ritroveremo in rete la versione originale del film, dobbiamo accontentarci di quella di Brescia, che ovviamente non vale una visione nemmeno distratta; a scusante del regista romano va detto che è difficilissimo modificare una pellicola senza avere nemmeno la presenza dell’attrice protagonista, dovendo quindi contare solo su controfigure e artifici di scena.

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Per quanto riguarda il cast, splendida la prova di Leonora Fani,, che si conferma attrice di razza anche se ancora una volta bisogna segnalare la miopia dei produttori e dei registi che non la scritturarono (salve rarissime eccezioni) per film che ne esaltassero la grandi capacità interpretative e il carisma che l’attrice veneta possedeva. Così così la Adriani mentre il resto del cast fa il suo dovere; belle le musiche di Maurizio e Guido De Angelis, bella la fotografia.
Per quanto riguarda la documentazione fotografica che ho scelto per questa recensione, occorre ricordare che si tratta della seconda versione del film, quella di Brescia, che ho eliminato le parti più scabrose e che essendo la fonte una riduzione in analogico di una vecchia VHS i fotogrammi stessi del film appaiono di bassissima qualità.

Sensitività
Un film di Enzo Girolami Castellari. Con Caterina Boratto, Leonora Fani, Vincent Gardenia, Wolfango Soldati Drammatico, durata 92 min. – Italia, Spagna 1979.

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Sensività banner protagonisti

Leonora Fani: Lilian
Patricia Adriani: Lilith
Caterina Boratto: Kira
Vincent Gardenia: Pittore anziano
Wolfango Soldati: Manuel
Enzo G. Castellari: Ispettore

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Regia Enzo G. Castellari versione originale
Regia Alfonso Brescia versione Kyra la signora del lago
Soggetto José Maria Nunez
Sceneggiatura Leila Bongiorno, José Maria Nunez
Casa di produzione Cinezeta
Distribuzione (Italia) Alpherat Orange
Fotografia Alejandro Ulloa
Montaggio Gianfranco Amicucci
Musiche Maurizio De Angelis, Guido De Angelis

giugno 10, 2012 Posted by | Horror | , | Lascia un commento

E la notte si tinse di sangue

Belfast, metà degli anni settanta. Nel porto cittadino attracca una nave dalla quale sbarca un cittadino americano. E’ Cain Adamson, un reduce dalla guerra del Vietnam, senza soldi e alla ricerca di un rifugio sicuro. Cain è un uomo ferito nel fisico ma sopratutto con grossi problemi di equilibrio mentale; le esperienze passate nell’inferno di Hanoi hanno lasciato evidenti strascichi di natura psicologica e tare ormai irrecuperabili.

Che sia ormai fuori di testa lo si intuisce subito; abbordata una prostituta di mezz’età, si fa da questa accompagnare nel suo appartamento e la costringe sotto la minaccia di un lungo coltello a ballare nuda mentre lui suona l’armonica.

 

La prostituta che verrà picchiata

Del resto l’accoglienza di Belfast non è stata delle migliori, è in corso la lunga guerra fratricida tra cattolici e protestanti e lui ne fa le spese quando si reca in una chiesa e si ritrova nel bel mezzo di un attentato esplosivo dal quale esce indenne.

Per qualche giorno Cain sopravvive tra dormitori e stazioni, ma ben presto i pochi soldi che possiede finiscono. A quel punto per il reduce la strada sembra segnata; quello che per lui sembra un colpo di fortuna è rappresentato da un convitto di infermiere che l’uomo segue nella speranza di riuscire a rimediare con una rapina un pò di soldi. Così una notte si introduce nella pensione in cui le otto infermiere alloggiano; le ragazze sono là per concludere i loro studi e nel momento in cui Cain si introduce nella pensione sono intente a discorrere fra loro e a prepararsi per le feste.

Esplode la follia sadica di Cain

Con il suo inseparabile coltello, Cain sottopone le impaurite donne ad una serie di efferate violenze; dallo stupro alle sevizie vere e proprie, dai rapporti saffici a cui costringe due giovani infermiere fino al suicidio di una di esse che si ammazza con un coltello da cucina passando per una serie atroce di violenze, Cain semina la morte nel pensionato. Ma Cain non ha previsto una cosa……

E la notte si tinse di sangue (Born to hell o anche Naked massacre) diretto nel 1976 da Denis Héroux è un film nettamente spaccato in due; nella prima parte, che dura per almeno un’ora di film in cui assistiamo ad un timido tentativo da parte del regista di mostrarci l’inferno della guerra civile irlandese parallelamente alla vita miserabile di Cain, reduce dal Vietnam dal quale è tornato con la mente in pappa e carico di una violenza latente in attesa di esplodere.

L’irruzione nella pensione

Le due amiche si confidano

Cain all’inizio non sembra voler far del male a nessuno; ma le difficoltà di ambientamento, la mancanza di soldi, la violenza che si respira palpabile in città culminata con l’attentato alla chiesa nella quale si è momentaneamente rifugiato finiscono per far esplodere i suoi problemi psicologici.

Così, quando vediamo Cain penetrare di notte nella pensione immaginiamo già il passo successivo che introduce alla parte successiva del film, quella caratterizzata da un’assoluta mancanza di profondità della storia pareggiata da un’inaudita carica di violenza. Per le otto pensionanti, le giovani infermiere che fino a poco prima discorrevano di cose futili o di programmi sulle feste inizia un incubo senza fine; Heroux introduce l’elemento slasher e l’elemento erotico, bilanciando quindi la prima parte più attendista e descrittiva.

Essenzialmente questo è un film horror/slasher, quindi se vogliamo in perfetta linea con le intenzioni del regista e da questo punto di vista il film può dirsi riuscito pur con qualche riserva; quello che manca è l’amalgama, ovvero un bilanciamento migliore in cui l’odissea personale di Cain che finisce per diventare fonte di tragedia per le otto infermiere, prima della sorpresa finale che in qualche modo tiene a galla il film e fa propendere per un giudizio di sufficienza.

La prima vittima della follia di Cain

La bravissima Leonora Fani

Le perplessità riguardano principalmente la scelta di Mathieu Carrière come protagonista; se da un lato l’attore tedesco ha dalla sua una buona mimica che gli permette di interpretare il lato sociopatico di Cain al meglio, dall’altra è assolutamente poco credibile come reduce dal Vietnam.

Carriere, una lunga e prestigiosa carriera di comprimario in almeno un centinaio di produzioni cinematografiche e una ottantina televisive è incisivo come killer, molto meno come ex militare americano. Il problema è essenzialmente psicologico, per lo spettatore; il volto di Carriere mal si presta allo stereotipo del reduce. Per fare un esempio lato, Stallone (attore davvero da minimi sindacali) è molto più incisivo nel suo Rambo perchè è americano.

E’ tutto muscoli e ha il fisico del ruolo, l’espressione priva di intelligenza di colui che è passato nell’inferno e ne è uscito ed è sopratutto uno yankee a tutti gli effetti. Carriere no. Discorso diverso per il nutrito cast femminile, che vede la partecipazione delle nostrane Ely Galleani e Leonora Fani con in aggiunta le belle e brave Carole Laure e Christine Boisson; tra tutte la più convincente è la Fani, ancora una volta.

La minaccia a Jenny e Christine

Christine Boisson

L’attrice veneta sembra sperduta, un volto ingenuo e senza malizia in un fisico esile, sottile; il ruolo dell’infermiera Jenny le appartiene naturalmente e lei lo disegna splendidamente. Assolutamente memorabile la scena in cui Cain costringe lei e la sua amica/collega Christine (la Boisson) ad un rapporto saffico sotto la minaccia dell’immancabile coltello. Le due ragazze sorprese mentre colloquiano da un Cain che stringe tra le mani un carillon è una delle sequenze meglio riuscite del film, carica di tensione e di morbosità com’è.

Un’altra infermiera vittima del folle Cain

Ely Galleani

Mentre seguiamo queste scene, assistiamo anche alla perversione aggiuntiva di Cain che frusta con la cinghia la sventurata Jenny; subito dopo il folle Cain mostra alle due ragazze il corpo senza vita di una loro collega nascosto sotto il letto. Se vogliamo è la parte migliore del film, quella più autenticamente thriller e quella meglio riuscita dal punto di vista della tensione.

Cain costringe Jenny e Christine ad un rapporto saffico

Il corpo senza vita di Christine

Questo film ha avuto qualche problema sia con la censura che con la distribuzione; ancora oggi non esiste una sua versione digitale per il mercato italiano e quindi l’unica fonte visiva resta la VHS che la casa cinematografica Vidcrest diffuse nelle videoteche negli anni 80. Non mi risulta nessun passaggio televisivo del film stesso, e i motivi potrebbero essere da ricercare proprio nella difficoltà di reperimento del master originale.

Per questo motivo i fotogrammi che vedete inseriti nell’articolo appaiono di bassa qualità; per quanto riguarda la ricerca del film in altri formati appare difficilissima.

Se riuscite a recuperarne una copia vi consiglio di vederlo, se naturalmente siete appassionati del genere.

…E la notte si tinse di sangue

Un film di Denis Héroux. Con Ely Galleani, Mathieu Carrière, Christine Boisson, Carole Laure, Leonora Fani Titolo originale Born for Hell. Drammatico, durata 93 min. – Italia, Francia, Germania, Canada 1976.

Mathieu Carrière … Cain Adamson

Debra Berger … Bridget

Christine Boisson … Christine

Myriam Boyer … Leila

Leonora Fani … Jenny

Ely Galleani … Pam (come Ely de Galleani)

Carole Laure … Amy

Eva Mattes … Catherine

Andrée Pelletier … Eileen

Regia di Denis Héroux

Scritto da Fred Denger,Denis Héroux

Sceneggiatura di Géza von Radványi

Prodotto da Peter Fink e Georg M. Reuther

Musiche originali di Voggenreiter Verlag

Fotografia di Heinz Hölscher

Montaggio di Yves Langlois

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aprile 12, 2012 Posted by | Senza Categoria | , , , , , | Lascia un commento

Bestialità

Bestialità locandina

Una ragazzina traumatizzata, una coppia matura in crisi. Un triangolo amoroso che verrà a comporsi e poi disfarsi con tragedia greca in agguato.
Sembrerebbe la classica storia pruriginosa tipica della commedia sexy italiana post 1975, almeno a leggere alcuni commenti assolutamente inaffidabili redatti da improbabili critici che non hanno visto altro che qualche frammento della pellicola in oggetto.

Le cose stanno ben diversamente, perchè Bestialità è uno dei film “maledetti” degli anni 70, un film abbastanza brutto ma coraggioso, che appartiene ad un tipo di cinema che oggi nessuno si sogna più di proporre.
Un cinema che non aveva paura di affrontare i tabù sessuali, come l’incesto e l’omosessualità o come la bestialità, la zoofilia che è alla base della sceneggiatura del film che andiamo a scoprire.
Siamo nel 1976 anno di svolta per il cinema italiano.

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La grande crisi è arrivata, per motivi più volte elencati; la tv uccide il cinema, perchè porta nelle case migliaia di pellicole a costo zero attraverso gli innumerevoli canali televisivi privati che trasmettono 24 ore al giorno in prevalenza film, molti dei quali recentissimi.
Peter Skerl con l’aiuto di Luigi Montefiori (che si firma al solito Eastman) scrive la sceneggiatura di questo film che tratta un argomento assolutamente tabù per il cinema, affrontato in rarissime occasioni e mai in termini così espliciti.
La storia racconta le vicende della giovanissima Janine, che un giorno scopre la propria madre in atteggiamenti intimi con il cane di famiglia.

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Al trauma per l’improvvisa scoperta si aggiunge quello per la reazione del padre che dopo aver ammazzato l’animale da fuoco alla casa e porta via la moglie.
Janine finisce così in una casa di cura, per rimettersi dal trauma, dall’epilessia e da una gravissima forma di sifilide che probabilmente le ha trasmesso la madre.
Un giorno la ragazza decide di averne abbastanza e fugge dalla clinica per rifugiarsi sull’isola nella quale ha vissuto il trauma adolescenziale; qui trova rifugio grazie ad un pastore, Ugo, e si lega al cane di quest’ultimo, un doberman ribattezzato (con pochissima fantasia) Satana.
Qualche tempo dopo sull’isola arriva una matura coppia, composta da Paul e da sua moglie Yvette; i due sono ormai in crisi affettiva nonostante l’antico affetto li unisca ancora.

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Yvette, conosciuta Janine, le si lega morbosamente; dapprima nella donna affiora un affetto materno che però ben presto si trasforma in qualcosa di ben diverso.
Le due donne, la matura Yvette e l’adolescente Janine diventano amanti e decidono di coinvolgere nei loro giochi saffici il marito della donna, Paul.
I tre formano quindi un triangolo perfetto, in cui tutto sembra funzionare a meraviglia e difatti il rapporto tra i coniugi sembra rinascere.
Ma Janine si lascia portare dall’istinto e un giorno replica l’esperienza della madre; mentre è su una roccia, ha un rapporto con il suo cane che però la sbrana.
Il pastore che ha raccolto la giovane Janine uccide il malcapitato Satana a bastonate e ….
Bestialità è un film abbastanza anomalo fin dalla trattazione di argomenti scabrosi come il lesbismo, la relazione tra persone mature e un’adolescente (eminentemente erotica), la zoofilia.
La mescolanza di questi tre ingredienti origina un film confuso e a tratti malsano, dai dialoghi surreali e pretestuosi.
Sentire Paul dissertare sul senso della vita e giustificare la sua relazione ai limiti della pedofilia, anzi sicuramente pedofila visto che il personaggio di Janine nella sceneggiatura ha 16 anni, è abbastanza penoso oltre che assurdo.

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La lentezza del film, scandita solo dalle carezze saffiche tra Janine e Yvette, in seguito allargate al felicissimo Paul quasi incredulo della grazia che gli è capitata assume contorni grotteschi anche nelle scene di nudo.
Vedere le chiappe al vento di Philippe March (che interpreta Paul) o i ripetuti accoppiamenti con Eleonora Fani (Janine) e la moglie Yvette (Juliette Mayniel) trasmette un senso di tristezza abbastanza profonda, aldilà dell’aspetto poco coinvolgente dello scenario erotico.
Ancora più desolante è il finale del film, che da tragedia greca innescata dalla morte di Janine sbranata da Satana e vendicata dal pastore Ugo che uccide il povero animale a bastonate (un brutto esempio di cultura anti animalista) si trasforma quasi in farsa grottesca con la matura Yvette che scopre di essere incinta e contemporaneamente scopre anche di essere stata infettata dalla sifilide, cosa che porterebbe la donna a mettere al mondo un figlio probabilmente malato.

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Un brutto pasticciaccio, quindi, che ha però il merito di affrontare con un certo coraggio un tema scomodo come la zoofilia, senza mostrare peraltro più del necessario e contenendo le scene erotiche (ammesso che lo siano) con i cani nei limiti accettabili del decoro.
Tra le pochissime luci del film si possono citare il fascino e la bravura di Leonora Fani, che all’epoca del film aveva 22 anni ma ne mostrava come minimo 7-8 in meno; aiutata dal suo volto da eterna ragazzina, la Fani riesce a dare contorno e spessore ad un personaggio certamente difficile e cavandosela con dignità anche nelle numerose scene di sesso, che la coinvolgono in esperienze abbastanza problematiche come i baci saffici con la Mayniel (che all’epoca in cui venne girato il film aveva 40 anni) e gli amplessi con Paul/Philippe March.

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Quest’ultimo è la vera pietra al collo della pellicola: l’attore francese che sarebbe poi scomparso 4 anni dopo all’età di 55 anni è legnoso e monocorde ed anche palesemente a disagio nelle scene di sesso.
Molto meglio la brava Mayniel che mostra oltre ad una padronanza evidente dei mezzi scenici un superbo fisico, robusto ma armonico alla bella età di 40 anni.
Sul film aleggia la colonna sonora di Gori, morbosa al punto giusto e che ricorda la classica Djamballa che era la soundtrack di Il dio serpente, mentre la fotografia è ingiudicabile; chi non ha visto questo film nelle sale ha potuto farlo solo attraverso le Vhs. Non mi risulta infatti che le tv private lo abbiano trasmesso e se lo hanno fatto lo hanno trasmesso in analogico.
I fotogrammi del film provengono da un riversaggio VHS-Rip e la qualità scadente dei fotogrammi mostra come molti passaggi del film stesso siano ingiudicabili dal punto di vista estetico/fotografico.

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Questi fotogrammi sono gli unici esistenti in rete e sono ovviamente edulcorati dalle scene di sesso con i cani (peraltro molto ma molto velate).
In ultimo, solita testimonianza della malafede di alcuni critici della domenica.
Ecco come viene descritta la trama in un sito specializzato: “I protagonisti sono: una donna che è innamorata del suo dobermann; una figlia che è gelosa della madre; un marito che è geloso del dobermann e infine il cane che è geloso del marito. Alla fine l’animale sbrana la ragazza e viene ucciso dal marito. Insensato.
Inutile dire che l’anonimo recensore avrà visto qualche porno su una rete privata e lo ha scambiato per questo film oppure più probabilmente si è inventato la trama…..

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Bestialità
Un film di Peter Skerl. Con Leonora Fani, Philippe March, Juliette Meyniel, Marisa Valenti,Ennio Balbo, Piero Mazzinghi, Lorenzo Fineschi, Franca Stoppi, Ilona Staller, Cinzia Romanazzi
Drammatico/Erotico, durata 85 min. – Italia 1976.

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Philippe March    …     Paul
Juliette Mayniel    …     Yvette
Enrico Maria Salerno    …     Ugo
Leonora Fani    …     Jeanine
Franca Stoppi    …     La madre di Janine

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Regia: Peter Skerl
Sceneggiatura: Peter Skerl, Luigi Montefiori (George Eastman)
Produzione: Peter Skerl, Luigi Valenti
Musiche: Coriolano Gori
Editing: Peter Skerl, Maurizio Mancini

Le recensioni qui sotto sono prese dal sito http://www.davinotti.com

Tutti i diritti riservati.

Gli anni’70 non sono solo (e soltanto) stati quelli della commedia sexy, del giallo e del poliziesco. Sono stati anche, in misura tutt’altro che contenuta, quelli del disagio esistenziale, della “maladolescenza” e, più in generale, della difformità di concezione sull’edonismo applicato all’atto sessuale. Un mini filone, a base di bestialità assortite, fece la sua comparsa: cani o serpenti gli amanti prediletti da ragazze men che piccine. Questo è l’esemplare meno volgare e che più degli altri attirò pubblico nelle sale. La musica tetra e il partner aggiudicato (dobermann) lo rendono avvilente.

Da un’idea di Luigi Montefiori. Sulle cupe note di Gori, prologo ed epilogo zoofili e violenti delimitano una scipita storia di coniugi borghesi in crisi: il contatto con un’isolana giovane e selvaggia fa loro riscoprire la perversione dei sensi. Dialoghi verbosi e vuoti – decorati da uno strip-tease della Staller – si alternano a scene di sesso tra la Fani e la coppia March-Meyniel. Salerno parla poco e bastona, Muller filosofeggia insensato. Scabroso, con pretese autoriali frustrate.

Una ridicolaggine bella e buona, girata male e con le pessime musiche di Lallo Gori, forse riciclate, chissà. Dialoghi irritanti, storia elementare… è davvero arduo salvare qualcosa in questa pellicola, sebbene ci siano alcuni bravi attori (Muller, Salerno, lo stesso Balbo). Appare anche la Staller in uno dei suoi tipici ruoli degli anni ’70, e come se il film non fosse già abbastanza bizzarro di suo, Maria Tedeschi ad un certo punto accenna persino uno strip. Quando è troppo, è troppo.

Si parte alla grande, con una sequenza edipico-zoofila trashisticamente imperdibile. Poi si tenta la carta dell’erotico (più o meno) classico, con scenari vagamente esotici e una buona dose di noia, mentre il ridicolo si limita ai dialoghi allucinanti (si legga sotto) e ad alcune inquadrature (per via di una regia a dir poco pessima). L’attenzione sale nell’ultima mezz’ora, quando il senso dell’assurdo e del trash tornano finalmente a farsi sentire. Incredibile la presenza di alcuni grandi nomi, tra attori e doppiatori. Musiche di Gori spassose.

Non si è mai visto nulla di simile e mai si ripeterà. Un mix tra zoofilia e poesia pura, lontano anni luce dalle boiate caserecce di Luigi Russo o le “bestie” della Marina Fajese. Scioccante, perverso ma anche ipnotico e, per certi versi, surreale. La Fani è al massimo dello splendore. Si vede che dietro c’è una regia che ricerca la bellezza estetica, distante da quelle dei nostri “classici” registi di genere. Peter Skerl, regista svedese con qualche ambizione, ci regala qualcosa di unico e indimenticabile.

settembre 16, 2011 Posted by | Erotico | , , , | Lascia un commento

Pensione paura

Pensione paura locandina

Siamo sul finire della Seconda guerra mondiale, la località è un luogo imprecisato in riva ad un lago.
Marta gestisce una pensione con l’aiuto della figlia adolescente Rosa in attesa che torni suo marito dalla guerra; l’uomo è un pilota, ma da tempo non risponde più alle lettere d’affetto che la figlia continua ostinatamente a spedirgli.
Per le due donne la vita nella pensione è dura e non priva di rischi; da una parte c’è la solitudine e l’impresa proibitiva di portare avanti il lavoro pur con la penuria di cibo che c’è, dall’altra vi è la presenza inquietante di alcuni loschi pensionanti che alloggiano da loro.
Marta si consola con un soldato amico del marito che nasconde nella soffitta mentre Rosa ha un’amicizia pulita con il nipote del parroco del villaggio.
Le cose sono ben diverse all’interno della pensione, dove alloggiano persone equivoche, come un pazzoide che insidia Rosa è che è rimasto vedovo dopo aver perso la moglie per un “incidente domestico”, ovvero una provvidenziale caduta per le scale, per passare al tenebroso e violento Rodolfo che vive alle spalle della matura amante spillandole denaro.

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Luc Merenda è Rodolfo

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Leonora Fani è Rosa

Proprio Rodolfo si incapriccia di Rosa, ma è tenuto alla larga sia da Marta che da sua figlia.
Ma una sera Marta cade per le scale e muore; da quel momento tutta la responsabilità della pensione cade sulle deboli braccia di Rosa che fatica a tener lontani i viscidi individui che la circondano.
Ed è Rodolfo ad approfittare vergognosamente della ragazza, violentandola con l’aiuto della laida amante che asseconda tutti i suoi passi; attirata in camera della donna, Rosa subisce lo stupro di Rodolfo.
Ma i due pagano il fio delle loro colpe e vengono assassinati nel loro letto.
E’ Rosa a trasportare i loro corpi nella lavanderia dove li copre con del fango.

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A darle man forte arriva inaspettatamente un misterioso uomo, che uccide tutti i presenti nella pensione, incluso l’amante della defunta Marta che aveva tradito i compagni causando anche la morte del marito di Marta.
Ma la strage da il colpo di grazia al precario equilibrio di Rosa, travolta dagli avvenimenti.
La ragazza, impugnata una pistola, spara al misterioso soccorritore mentre lo bacia e mentre si avvia verso la pensione, truccata e vestita come un’adulta, ascoltiamo una voce fuori campo che legge una struggente lettera della ragazza al padre.
Pensione paura è un film di Francesco Barilli diretto nel 1977, che arriva a tre anni esatti da quel folgorante film che era stato Il profumo della signora in nero, sua opera d’esordio alla regia.

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Barilli, artista a tutto campo, capace di essere attore e regista, sceneggiatore nonchè valido pittore mostra ancora una volta il suo straordinario talento che purtroppo non ebbe un altro  seguito cinematografico.
La carriera di Barilli infatti proseguì ma in campo televisivo o con i mini short pubblicitari, tutti distinti da una grande eleganza formale.
Pensione paura mostra le stesse caratteristiche di Il profumo della signora in nero, ovvero una tensione latente addirittura opprimente, un’abilità incredibile nell’uso del chiaroscuro cinematografico ma anche la capacità di avvolgere lo spettatore in una cappa di impenetrabile atmosfera fatta di musiche cupe e fotografia in cui l’azzurro scuro si mescola al nero con forti contrasti con la pace e la bellezza del mondo esterno.

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E’ questo che colpisce prima di tutto nel film: il mondo esterno sospeso nella pace del lago, in cui gli echi della guerra sembrano davvero abissalmente lontani e l’atmosfera deprimente e insana che si respira all’interno della pensione.
Una pensione abitata da gente viziosa e amorale, tra la quale sboccia la giovane Rosa travolta dagli eventi: la ragazzina che bacia timidamente il nipote del prete e che gioca alle ombre cinesi si trasformerà in una dark lady nel finale rivelatore, quando davanti allo specchio mostrerà il passaggio definitivo all’età adulta con il rossetto sulle labbra e con la sua immagine di ragazzina cresciuta in fretta e furia esaltata proprio dal cosmetico che la trasforma irrimediabilmente.

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Grande sorpresa del film è Leonora Fani, assolutamente perfetta nel ruolo della giovane Rosa, aiutata anche da quell’aria di candore innocente che ebbe nel corso della sua carriera, una carriera che avrebbe avuto ben altri sbocchi se avesse trovato registi che credevano nelle sue doti, come Samperi che la diresse in Nenè, l’altra sua grande interpretazione.
Ottimo anche Luc Merenda che disegna il cattivissimo e abietto Rodolfo con abilità, così come da sottolineare è anche la prova di Rabal, l’amico traditore.
Un film che ebbe recensioni non completamente positive perchè con poca oculatezza vennero proposti paralleli tra Pensione paura e Il profumo della signora in nero, che sono opere completamente diverse, unite solo dalla matrice della tensione.
Il film con la Farmer e Scaccia virava sul paranormale la dove Pensione paura si basa tutto sull’atmosfera opprimente e claustrofobica della pensione, aumentata esponenzialmente dalla presenza dei loschi abitanti descritti.
In comune però i due film mostrano la capacità di padroneggiare le situazioni, la capacità descrittiva di Barilli che purtroppo non ebbe ulteriori conferme.
Il che è davvero una delle cose da rimpiangere degli anni settanta.

Il film è disponibile in una buona qualità digitale, in versione completa su You tube,all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=CTdrR-dnOu8

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Pensione Paura, un film di Francesco Barilli. Con Francisco Rabal, Luc Merenda, Leonora Fani, Jole Fierro Drammatico, durata 100 min. – Italia 1977

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Leonora Fani: Rosa
Luc Merenda: Rodolfo
Francisco Rabal: Amante di Marta
Lidia Biondi: Marta
Jole Fierro: Amante di Rodolfo

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Regia     Francesco Barilli
Sceneggiatura     Barbara Alberti, Francesco Barilli, Amedeo Pagani
Produttore     Tommaso Dazzi, Paolo Fornasier
Fotografia     Gualtiero Manozzi
Montaggio     Amedeo Salfa
Musiche     Adolfo Waitzman

Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com

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È un film bruttino, ma vale certamente la pena di vederlo (ovviamente nell’edizione integrale da poco disponibile, che conferma la pittoricità de Il profumo della signora in nero). Cupo, ibrido, raffazzonato. Intrigante, ma con troppi snodi che non stanno in piedi (il finale, poi…). Peccato, perché varie cose (l’ambientazione alle Terme di Stigliano e sul Lago di Bracciano, la fotografia, la musica al pianoforte) sono indimenticabili. Bella (e brava) la Fani, gustoso Merenda, perfetta la Fierro, insipido Rabal.

Non è ben chiaro il senso finale (e soprattutto il “genere”) che Barilli (regista del piccolo gioiello Il Profumo della Signora in Nero) intende assegnare al film. Qui l’atmosfera sembrerebbe volersi delineare su un plot più “sostanziale” e significativo, quasi sociale. Ma dopo il primo tempo si ha come la sensazione di voltare pagina: si assiste alla tortura (specialmente psicologica) cui è sottoposta la Fani (peraltro brava) ed il film scende ad un livello inferiore. Visione integrale necessaria, per un giudizio più circoscritto…

Giovanissima pensionate alle prese con clienti perlomeno inquietanti, tra assatanati di sesso e figuri loschi: meno male che han scritto “paura” nel titolo, altrimenti non mi accorgevo che era un thriller! Si intuisce uno sforzo da qualche parte, ma il risultato è francamente noioso, con una lentezza sfibrante e una carenza di senso del mistero (più enunciato che rappresentato), che purtroppo la buona cura visiva e l’ottima musica non riescono a bilanciare. Gli ultimi 10 minuti, poi, sono proprio appiccicati male, tanto per chiudere la storia.

Scabroso e malsano, stenta a trovare una sua precisa collocazione a causa di una confusione narrativa che soltanto nello snodo finale si avvicina ai parametri del thriller con uno sguardo a Psyco. L’atmosfera è lugubre e claustrofobica, con suggestive scelte cromatiche e personaggi immondi (stupratori, assassini, pervertiti di ogni gradazione, preti ipocriti). Molto brava la Fani. Bellissima la colonna sonora di Waitzman, maxime l’inquietante motivo d’apertura. A suo modo affascinante, benché non troppo riuscito.

Indeciso su quale strada prendere (dramma della follia? thriller?) il film, dopo una prima parte molto lenta (in cui non succede nulla o quasi), si riprende leggermente nella seconda che è più movimentata. Peccato però che la sceneggiatura sia non poco ingenua oltre che del tutto inverosimile (la Fani è poco più che una bambina ma si destreggia perfettamente tra omicidi e violenze di ogni sorta). Farsesco e, a mio avviso, fuori luogo il finale in salsa “western”. I personaggi poi più che tali spesso sono macchiettistici e già visti. Deludente.

Pellicola senza dubbio particolare e malsana, con un ritmo lentissimo, vari personaggi sgradevoli e un’atmosfera cupa e a tratti quasi disturbante. Molti personaggi non sono sviluppati a dovere, alcune scene potenzialmente notevoli non trovano una realizzazione adeguata e la noia spesso si fa sentire, così come la mancanza di mezzi. La regia di Barilli comunque è buona, la fotografia non delude e le musiche sono discrete. Brava la Fani, discreto Luc Merenda, passabili gli altri. Interessante. Da visionare possibilmente nella versione restaurata.

In un sito di recensioni specializzate sugli alberghi questa “pensione” totalizzerebbe lo zero su tutto: ritmo, recitazione, trama, regia. Basterà il monologo iniziale a sfiancare anche i cultori del brutto involontario: “Ogni giorno mi aspetto di vederti d’improvviso sulla porta, bellissimo”, frase che forse solo gli sceneggiatori di Kiss me, Licia in tempi non sospetti osarono. Poi le caratterizzazioni sono veramente pessime: con attori che necessitano e altri che, fortunatamente, ottengono il doppiaggio. Pensione bruttura.

Cupo, profondamente triste, poco riuscito. Sono parole del regista Francesco Barilli e a questo punto dovrebbero far pensare. Effettivamente non si può dire che “Pensione Paura” sia un gran film, però l’arte di Barilli riesce comunque ad emergere nella delicatezza della messa in scena, nell’uso intelligente della fotografia, nella capacità di raccontare una vicenda cupissima e tragica senza mai sbracare e rimanendo nell’ambito di un cinema raffinato. Peccato per il finale, tirato per i capelli.

Sembra che l’interesse di chi ha scritto la storia fosse arrivare al punto relativo alla violenza sessuale della bella e giovane attrice. Tutto il resto è composto da una trama raffazzonata, noiosa e che nel finale centra addirittura il ridicolo. Belle le location e suggestivi alcuni momenti in notturna, ma Barilli ha fatto ben altro.

Lacustre tenebra della follia, dalla guerra che gli ha portato via il padre alla mente giovane, troppo vulnerabile per non essere sopraffatta. Le anime dannate, ospiti sgraditi ma necessari, volgari ubriaconi violenti, stupratori del corpo e dello spirito. Inesorabile il tripudio alla morbosità per un film condito con senso dalla triste melodia ricorrente, il cui lento e piatto movimento improvvisamente diviene burrasca per le sue brutalità. Il playboy e la sua vecchia, malata fino ad assecondarlo nel crimine, con il finale che riprende la citata pazzia.

Per apprezzare il film in questione bisogna lasciarsi trascinare nell’atmosfera cupa e morbosa che aleggia nelle stanze della Pensione delle Sirene. Sotto questo punto di vista il film è efficace: Barilli riesce a trasmettere un senso di claustrofobia, sfruttando bene la location; inoltre le vicende della protagonista sono squallide quanto basta a conferire un certo disagio nello spettatore. La storia di per sè non è niente di che ed il finale non convince. Merenda e la Fani molto in parte. Non male.

Ne Il profumo della signora in nero la lentezza (iniziale) era una lentezza dinamica, inesorabile, costruttiva della suspence, funzionale alla rappresentazione dell’ambiguità. Qui la lentezza è distruttiva di ogni buona intenzione: Barilli si attarda nel torbido, si crogiola nel malsano. Il dramma della protagonista, che sarebbe potente, trova le espressioni più banali, poi vira al grottesco e scivola in un finale da melodramma. Veramente qualcosa di incompiuto, un’occasione mal sfruttata.

Pellicola inquieta e tendente allo scabroso in cui una ninfetta s’imbatte nei clienti psicolabili della sua pensione. Una confezione patinata ma non eccelsa, anzi alcune situazioni scadono nel farsesco, tuttavia il clima mostra alcuni momenti discreti.

Seconda (e ultima, non a caso) prova di Barilli dopo Il profumo della signora in nero. In un clima torbido e lugubre da fine del mondo, alcuni personaggi sgradevoli si incontrano in una pensione sulle rive di una lago appenninico (nella realtà è quello di Bracciano). Un film strano, stralunato, dominato da un’aria pesante, mefitica e morbosa. Complessivamente triste e di voluta, ma esasperante, lentezza. Nonostante il titolo, nessuna paura e tanta tanta noia.

Bellissimo “noir” con atmosfere Avatiane di uno dei nostri autori più interessanti degli anni ’70. Meno bello del Profumo della signora in nero e comunque notevole. Barilli ci regala anche tracce di cinema argentiano (i cromatismi virati in blu o rossi accesi, gli scarafaggi nel letto della Fani come i vermi di Suspiria) e addirittura fellinian o (l’ incubo della Fani con gli ospiti della pensione in un gazebo sulla spiaggia). Bellissima poi la fotografia di Gualtiero Manozzi, che conferma il talento pittorico di Barilli. Gioiellino.

Visto in versione integrale questo film che con il tempo, vista l’irreperibilità di tale versione e per alcune foto “baviane” tratte dal film, ha avuto la fama di culto. Molto, molto lento soprattutto all’inizio: poi col passare del tempo c’è un miglioramento, grazie a qualche fatto che pare misterioso, ma non è né giallo né horror né thriller: lo definirei drammatico. La Fani è come al solito brava ma, almeno qui, non è al meglio; bravo Merenda in un look insolito. Perdibilissimo, se non addirittura sconsigliato; delusione parziale, perché già se ne parlava male dall’uscita…

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Maggio 18, 2011 Posted by | Drammatico | , , | 6 commenti

Giallo a Venezia

Sulla riva di una darsena della Giudecca, a Venezia, ci sono due corpi privi di vita adagiati su un prato: sono quelli di una giovane coppia di sposi, Flavia e Fabio.
Lui è morto a causa di alcune ferite prodotte da un’arma non identificata dall’ispettore che viene chiamato sul posto (si scoprirà in seguito che sono delle forbici), lei è morta annegata.

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Leonora Fani (Flavia) e Gianni Dei (Fabio)

A seguire le indagini è chiamato l’ispettore De Paul (o De Pol, questo non è dato a sapersi), un bizzarro tutore dell’ordine con un sorrisino ebete stampato in faccia e con la pessima abitudine di mangiare uova sode ad ogni istante.
Le indagini condotte dal fantomatico ispettore porteranno lo stesso a incrociare le strade di Marzia, di una squillo  e quella del disegnatore Bruno, che risulteranno implicati in qualche modo nella vicenda e che faranno una brutta fine.
Si scopre così che l’architetto Fabio era un uomo vizioso oltre ogni limite, affetto però da eiaculazione precoce che costringeva la moglie a rapporti sessuali di ogni tipo con inclusi rapporti occasionali con sconosciuti.

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Identificato il presunto assassino, ovvero un giovane segretamente innamorato di Marzia, De Paul ( o De Pol che nel frattempo ha divorato altre uova sode) ha un lampo di genio, ovvero interrogare l’unico che poteva assistere all’omicidio della coppia di coniugi.
E si, perchè è ovvio che i tre delitti compiuti dal giovane appaiono slegati dall’omicidio misterioso dei due coniugi.
Il lampo di genio di De Paul (o De Pol) si rivela vincente: in realtà è stata Flavia a uccidere il marito con un paio di forbici, dopo essere stata violentata (in pieno giorno, naturalmente) da alcuni muratori presumibilmente ubriachi di primo mattino e poi a scegliere il suicidio mediante annegamento, nonostante il tentativo in extremis di Bruno, anche lui innamorato della ragazza.
Sipario.

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Giallo a Venezia esce sugli schermi italiani nel 1979 per la regia di Mario Landi in passato ottimo regista televisivo di produzioni ormai storiche come quelle sulle gesta del commissario Maigret, del tenente Sheridan e delle prime fiction Canne al vento e Cime tempestose.
Sciaguratamente, Landi percorre le strade del thriller con esiti assolutamente nefasti per lo spettatore per tutta una serie di motivi.
In primis per colpa di una sceneggiatura demenziale, che fatica a stare in piedi credibilmente per l’improbabile intreccio della vicenda che vede un omicidio suicidio e tre omicidi assolutamente slegati fra loro e senza un vero , poi per la scelta assolutamente ridicola del cast nel quale spiccano in totale senso negativo i due protagonisti ovvero l’ispettore De Paul e l’architetto Fabio rispettivamente interpretati da Jeff Blynn all’epoca piccola star dei fotoromanzi Lancio e da Gianni Dei.

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Jeff Blynn, l’ispettore De Paul, alle prese con l’immancabile uovo sodo

Quest’ultimo, che nel corso della sua carriera interpreterà autentiche perle cinematografiche dai titoli emblematici come La cameriera nera, Una vergine in famiglia,  Peccati a Venezia e il terribile Patrick vive ancora, del recidivo Landi, fa a gara con Blynn per contendersi la palma di peggior interprete del film.
Inespressivo, molle e a tratti commovente nella sua staticità, Gianni Dei esce vincitore dal confronto solo perchè si spupazza in più occasioni Leonora Fani, che nel film è sua moglie.
La Fani si ritrova nell’ingrato compito di dover rallegrare  lo spettatore e grazie a Landi si produce in una performance erotica pressochè indimenticabile: nel film, dopo un amplesso insoddisfacente con il marito, si consola con un atto di autoerotismo seguito nei dettagli dal regista.

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Mariangela Giordano è Marzia

Una delle perle del film è la scena in cui Fabio, a tavola con la moglie, inserisce un grissino in una cozza spalancata, in una volgare simulazione ed allegoria del rapporto sessuale.
Ecco, siamo al punto saliente: Landi, alle prese con una sceneggiatura degna del parto di un cervello di una gallina affetta da meningite punta sull’erotismo di bassa lega e su due sequenze slasher molto forti.
La prima vede protagonista la prostituta assassinata con delle coltellate nelle parti intime, la seconda la povera Mariangela Giordano a cui viene segata una gamba da viva.
Come se non bastasse la donna verrà poi surgelata nel frigo dove verrà ritrovata dalla sua cameriera.
Sono scene abbastanza forti e gli amanti del gore si consoleranno almeno con questo.

Sequenza gore

 

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L’assassino amputa la gamba a Marzia, sucecssivamente la rinchiude con l’arto in bella vista nel frigo

Un film assolutamente indecoroso, quindi, che a tratti sembra essere una presa per le natiche dello spettatore, costretto a sorbirsi la recitazione infantile di Blynn a cui deve essere salito il colesterolo di 100 punti, vista la quantità spaventosa di uova trangugiate e a sorbirsi una trama demente.
Il film in pratica dura 5 minuti, quelli iniziali per intenderci; ci sono due corpi morti, nessuno parla e a fare da sottofondo c’è la bella musica di Berto Pisano.
Poi arriva un poliziotto con espressione da ritardato mentale, poi Blynn e scende la notte fonda.
Per rendersi conto dell’assoluta schifezza a cui si rischia di assistere, vi propongo gli unanimi consensi in negativo a questa recensione, tratti dalla “Bibbia” cinematografica degli spettatori Davinotti, che utilizzo spesso proprio per la frequente identità di vedute.Vi accorgerete così che sono stato anche troppo tenero nei confronti del film.
Da vedersi solo se si è autenticamente masochisti.

Il film è ora disponibile su Youtube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=T20uGUaTop8  in una qualità tutto sommato discreta.

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L’omicidio seguito dal suicidio di Flavia

Giallo a Venezia,un film di Mario Landi. Con Leonora Fani, Gianni Dei, Jeff Blynn, Mariangela Giordano, Eolo Capritti
Poliziesco, durata 92 min. – Italia 1979.

 

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Giallo a Venezia banner protagonisti

Jeff Blynn….Ispettore De Paul
Leonora Fani… Flavia
Gianni Dei… Fabio
Mariangela Giordano…Marzia

Giallo a Venezia banner cast

Regia     Mario Landi
Produttore     Gabriele Cristiani
Casa di produzione     Stefano film
Fotografia     Franco Villa
Montaggio     Mario Salvatori
Musiche     Berto Pisano

Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com

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Tremendo giallo sul Canal Grande, che mescola vaporetti stracolmi a turpi effettacci finendo con l’essere un’esperienza strana, di serie Y, ma da fare. Disinibite la Fani e la meno giovane Giordano. Cast secondario preso chissà dove, ma il peggiore di tutti è Jeff Blynn, chiamato scherzosamente “Maigret” da Capritti perché il regista è Mario Landi, che a lungo aveva diretto Cervi per la tv.

Allucinato giallo, che merita d’esser visto per la sua “eccentricità”. Sulla linea di Patrick vive ancora, per intendersi, siglato dallo stesso Mario Landi. L’estremità di contenuti (sul versante sleazy) rimanda ai contemporanei fumetti per adulti (Storie Blu, Terror, Oltretomba). La sceneggiatura delirante passa in secondo piano, di fronte ad una messa in scena povera e confusa, rappresentata da attori ed attrici allo sbando. Il gore eccessivo sfuma, spesso, nel grottesco per via dell’approssimazione di effetti (poco) speciali. Un caposaldo del cattivo gusto della serie “so bad it’s so good”.

Inenarrabile schifezza, che raggiunge vette inarrivate di orrore non tanto negli splatterosissimi delitti quanto nei plurimi e polimorfi accoppiamenti Dei-Fani, e nel vomitevole ingozzamento di uova sode di Blynn. Ovviamente ha tutti gli ingredienti del culto trash (c’è anche Vassili “Spirito Santo” Karis!), per cui sopravviverà a molti migliori. Sigh. Maigret, dal suo appartamento, scuote il testone bofonchiando.

Discontinuo e raffazzonato. Una trama gialla decisamente blanda cede presto il passo ad un erotismo ai limiti dell’hard con protagoniste le nudissime Leonora Fani e Mariangela Giordano. Gli omicidi sono tutti estremamente cruenti: spiazzanti quello con la benzina e soprattutto quello, molto insistito, con la sega elettrica il cui effetto gore rimanda alle pellicole di H.G. Lewis. Trashissimo Gianni Dei, che si atteggia a star.

Ingenuo gialletto che spinge decisamente sul lato erotico. La storia in sé non sarebbe nemmeno malaccio (psicologia spicciola sulle perversioni sessuali a parte) se il ritmo non fosse fin troppo spezzettato dalle tante sequenze di nudo con la Fani e la Giordano. Blynn e Capritti poi sono forse i due poliziotti più improbabili del cinema italiano, ma tra un paio di scene splatter e qualche bell’esterno lagunare si può dire che il film non annoia lo spettatore. Facile dimenticarlo in fretta, in ogni modo.

Film di rara bruttezza e cretineria, costellato di personaggi di una stupidità indicibile. Più che un thriller una sorta di soft-core con parentesi gialle. In ogni caso la noia regna incontrastata. Inoltre gli attori fanno a gara a chi è peggio ma su tutti spiccano un patetico Gianni Dei ed un Jeff Blynn che è semplicemente ridicolo e ripete sempre la stessa battuta: “Peggio per lui o lei” a seconda del sesso della persona cui si riferisce. Porcate così è difficile vederle. Solo per gli amanti del brutto.

Bruttissimo e noiosissimo giallo di fine Anni Settanta. La trama è quasi inesistente e viene presto sostituita da numerosissime scene di sesso (parecchio spinte) e qualche scena splatter (molto violente, ma realizzate malissimo), tra le quali va citata quella dell’omicidio col seghetto. Il protagonista Jeff Blynn (che nel film non fa altro che mangiare uova sode), una specie di clone mal riuscito di Maurizio Merli, non si può vedere, e Gianni Dei ci fa come al solito la figura dello stupido.

Incredibile trashata. Incerto sulla direzione da prendere, soft-core audace o giallo con picchi gore, il regista opta per un mix delle due cose, con una propensione alla lungaggine nelle scene erotiche (noiosissime e tristissime). Le parti gore sono notevoli, ma non bastano a sollevare dalla tremenda mediocrità questo pasticcio. Venezia non è mai stata fotografata in modo così anonimo e gli interpreti sono agghiaccianti, tra un Gianni Dei patetico e una Leonora Fani dal deretano cellulitico (per non parlare degli altri). * 1/2 per il gore.

Film “gemello diverso” di Patrick vive ancora, propone ancora una volta sesso spinto e violenza, qui talmente esagerati da risultare ridicoli (la gamba della Giordano e l’uomo carbonizzato). Ottimo Gianni Dei nella parte di un vizioso tossicomane, perfetta la Fani nel ruolo di vittima sacrificale. Comica la trovata del commissario che gira con delle uova sode nei jeans…

Film davvero deprimente e difficile da vedere fino in fondo. Quando ci si rende conto che le goffe scene di sesso (mal pensate e recitate) prendono quasi tutto il tempo di durata della pellicola, è troppo tardi. Si può quindi cercare di restare a guardare in attesa di qualcosa da salvare, ma è tutto inutile. Il film appare dilettantesco in tutti i suoi aspetti, il direttore della fotografia forse era rimasto a terra quando la troupe aveva preso il vaporetto e le scene di Venezia visibili sembrano tratte da un documentario amatoriale. Repellente.

La classificazione internazionale è già un commento: eurotrash-eurosleazy. La versione visionata (brasiliana) è indicata come la più uncut, indugiando maggiormante sulle scene di sesso (volgarissime) e trovando la massima rappresentazione dello squallore in un breve momento hardcore maschile (all’interno del cinema). Il Dei è scatenato! Un maniaco totale, drogato ed esaltato esibizionista (e alla fine pure vouyeur). Tutto questo film è improntato al profilo del disgusto, massificando i personaggi e le loro azioni. Obiettivo raggiunto**!

Un lungometraggio banale e perverso, da vedere solo per chi ama Venezia e i film lì ambientati (fra l’altro se ne vedono solo scorci), il film è un giallo caratterizzato da punte di una morbosità e di un vuojerismo, non soliti. L’attore protagonista, non nuovo a queste “sconcezze” (vedi Manhattan gigolò) si trova completamente a suo agio in prodotti di tale livello. Alcuni delitti sono feroci, specialmente quello della prostituta a cui vengono infilate le forbici nella vagina. Da vedere e dimenticare.

Non sono amante di questo genere di film (non mi riferisco ai gialli veri, quelli mi piacciono), anche quando sono fatti bene. “Giallo a Venezia” l’ho voluto vedere solo per la presenza di Leonora Fani, che mi era molto piaciuta in Nenè. Se non altro ho avuto una conferma: gli attori (escludendo i mostri sacri) sono più o meno bravi a seconda di come vengono diretti e di quello che sono costretti a fare su certi set. Il film non lo commento, se però lo si guarda con la predisposizione al riso, sono sicuro che il divertimento è assicurato.

Più erotico che thriller, lo si dice di tanti gialli: ma questo è veramente squallido come un porno senza sesso esplicito. Un paio di omicidi particolarmente truculenti non risollevano l’attenzione e si sdrammatizzano da soli per l’improponibilità degli effetti. Venezia è praticamente assente dopo la cartolina dei titoli. Dei e la Fani bisseranno in Peccati a Venezia.

Sia la versione integrale che quella tagliata mi son piaciute. È un film un po’ paradossale, ma non è assolutamente un serie Z. La sorpresa vera è il non collegamento tra i due avvenimenti, mentre ogni personaggio, ad iniziare dal commissario, esprime al meglio i propri sentimenti, tanto che alla fine non ci si accorge di aver visto uno slasher. Eccellente anche Gianni Dei, il quale non è mai normale in alcun film. Abbastanza attendibile il movente… per gente pazza. Superba la colonna sonora. Che dire… per me vale.

Brutto di brutto. Sciatterie e superficialità su ogni fronte, dalla recitazione (e dire che la Fani, pur se giovanissima all’epoca, solitamente è un ottima attrice!) alla storia e alla fotografia (che trasforma la bella Venezia in uno squallido porto marino), creando buffi eccessi di trash. Tutto all’insegna del cattivo gusto, il quale ci è dato soprattutto dall’estremizzare le scene di sesso (comunque softcore) con amplessi e giochi sadomaso a tutto spiano. Lo splatter non è realizzato male, ma stona molto, data la piattezza generale. Voto: *.

Una Venezia irriconoscibile (da sembrare quasi una oscura località affacciata sul Bosforo) fa da sfondo a questo filmaccio immondo. Landi si impegna, con cocciutaggine inspiegata, nel realizzare un prodotto il meno artistico e fine possibile: tecniche registiche e bella recitazione cedono il posto a sciatteria, approssimazione, interpreti ridicoli e tragicomiche morbosità da sottoriviste di quart’ordine. Le scene sanguinose, seppur crudissime, sono imbastite alla meno peggio, mentre le musiche di Pisano risultano totalmente fuori contesto. Escrementizio.

Filmetto che mischia splatter e porno soft in una Venezia irriconoscibile. Gli attori recitano da cani, i poliziotti sono tra i più sgangherati della storia. Anche lo studente-maniaco che non si priva mai di un paio di enormi occhiali scuri fa piuttosto ridere. A cercare di salvare il salvabile numerosi ed evitabili amplessi, un commissario che divora uova sode e il suo vice che a tratti sembra un Kojak di serie Z…

Più soft-core che giallo questo film è un supercult. Avete notato che per essere un “raro” è stato visto da molte persone? Una ragione ci sarà pure, no? La mia è che per gli amanti del trash più trashofilo è da antologia. Il film omaggia i vari generi Anni 70: il poliziottesco (il commissario sorta di cugino alla lontana di Merli), l’erotico (scene erotiche che ricoprono la maggior parte dei tempi del film per sprofondare in un soft-core che si trasformerà in hard negli anni vicini a venire), lo splatter: scene splatter alla Fulci.

Incommentabile “giallo” fine Anni Settanta. Praticamente un lento film porno-thriller che non arriva mai al dunque. Jeff Blynn, il commissario di turno nonché mix tra un tardo Maurizio Merli e un giovane Claudio Caniggia, si limita a sfoderare un umorismo da “La settimana enigmistica”, inframezzato da scorpacciate di uova sode che tiene sempre pronte nel taschino della giacca. Gianni Dei, nella parte dell’erotomane tossicodipendente, raggiunge forse il picco più alto della sua carriera dopo la performance in Patrick vive ancora. Imperdibile.

Oggettivamente è terribile, soggettivamente lo adoro. Vero esempio di “Z-movie” tutto italiano, patetico quanto geniale nel suo saper essere perfettamente ridicolo. I seguaci della Fani e della Giordano, indubbiamente, lo ricorderanno a vita. Dei è la caricatura di se stesso, quindi anche lui è memorabile a prescindere! Ho letto che in Germania è stato bandito per anni, ma in quegli anni è stato fatto comunque di peggio. Cinema popolare, assolutamente “low-cost”… sarebbe impensabile, oggi, fare un film simile!

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Giallo a Venezia locandina 2

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aprile 7, 2011 Posted by | Erotico | , , | 3 commenti