Enrico Maria Salerno
Estate violenta
L’assedio di Siracusa
Saffo venere di Lesbo
La bellezza di Ippolita
Le stagioni del nostro amore
Tre pistole contro Cesare
Vedo nudo
Nell’anno del signore
L’uccello dalle piume di cristallo
Noi donne siam fatte così
La polizia ringrazia
La polizia è al servizio del cittadino?
Bisturi la mafia bianca
No,il caso è felicemente risolto
La polizia sta a guardare
Il corpo
Un uomo una città
L’ultimo treno della notte
A tutte le auto della polizia
La polizia interviene:ordine di uccidere
Bestialità
Una donna di seconda mano
Scuola di ladri
Amori miei
Orgoglio e pregiudizio (1957)
Umiliati e offesi (1958)
La spada di Damocle (1957)
Mastro Don Gesualdo (1964)
Le troiane (1967)
Gli ultimi 5 minuti (1968)
La famiglia Benvenuti (1968-1970)
Tre donne 1943-Un incontro (1973)
Doris una diva di regime 1991
Fango bollente
Ovidio,Giacomo e Pepe.
Tre giovani,con un impiego tranquillo in un’azienda che produce calcolatori elettronici.
Ma che genera,nella loro psiche,un’alienazione dovuta ad una molteplicità di fattori.
Sopratutto in Ovidio,il più inserito socialmente,ma anche il più nevrotico dei tre amici;ha una famiglia,ma la moglie è più
un fantasma (spocchioso e supponente fra l’altro) troppo preoccupata nel fare carriera mentre sul lavoro il giovane è costretto a subire le angherie del suo capufficio.
Ben presto la mente del giovane raggiunge un punto di saturazione che esplode in comportamenti sociopatici;i tre in seguito ad un incidente stradale uccidono a coltellate un camionista.
E’ l’inizio di un’escalation del terrore che coinvolge innocenti vittime,mentre la polizia,che non riesce a trovare un legame nella serie di omicidi dei quali i tre si rendono responsabili,brancola nel buio.
Sarà il commissario Santaga a capire il nesso casuale delle cose e a indagare nella giusta direzione…
Diretto da Vittorio Salerno nel 1975,Fango bollente è un ottimo noir,bollato spregiativamente e frettolosamente come “poliziottesco” da buona parte della critica dell’epoca.
Un film teso e ottimamente diretto da Salerno,regista capace e invece inspiegabilmente autore di sole quattro regie,peraltro tutte di livello superiore come Libido (1965),No il caso è felicemente risolto (1973),Fango bollente e Notturno con grida (1981).
Incentrato sulla disumanizzazione della società dei consumi,sull’alienazione lavorativa,capace di creare nevrosi estreme nell’individuo,Fango bollente riprende la tematica di Arancia meccanica di Kubrick portandola in un’area metropolitana,quella di Milano,che per certi versi è l’emblema della società estraneante,quella che isola l’individuo rendendolo un automa sul lavoro e un essere invisibile fuori.
Attraverso una regia lucida,rigorosa,Salerno segue le imprese criminali dei tre giovani,che sembrano agire irrazionalmente,spinti solo da un confuso malessere che genera una violenza cieca e incontrollabile.
Che è poi quella che spingeva Alex De Large.
Ma le similitudini tra i due film finiscono quà.
Alle spalle di Fango bollente non c’è un robusto,splendido romanzo come A clockwork orange e ovviamente Salerno non è Kubrick;tuttavia il risultato è un film equilibrato,senza fronzoli e che centra perfettamente gli obiettivi che si era prefisso.
Ottima la prova attoriale,sopratutto quella di Enrico Maria Salerno,fratello del regista impegnato ancora una volta nel ruolo del commissario disilluso,ma anche lucido e intelligente.
Bene Joe Dalessandro,attore forse poco espressivo ma capace,in questo caso,di rendere perfettamente il personaggio dello psicotico Ovidio.
Ottima la Brochard e tutti gli altri attori del cast.
Film sottovalutato alla sua uscita,è oggi diventato un cult tanto da essere ricordato come uno dei prodotti migliori degli anni settanta.
Per chi volesse visionare il film,in rete c’è una riduzione dvix di discreta qualità (solo download) agli indirizzi http://fboom.me/file/5a5158739f917/S7v5ge.part1.rar
e http://fboom.me/file/18fd874a5d186/S7v5ge.part2.rar
Fango bollente
Un film di Vittorio Salerno. Con Enrico Maria Salerno, Carmen Scarpitta, Joe Dallesandro, Martine Brochard, Gianfranco De Grassi. Drammatico, durata 93 min. – Italia 1975.
Enrico Maria Salerno: Commissario Santagà
Carmen Scarpitta: Moglie del politico
Joe Dallesandro: Ovidio Mainardi
Martine Brochard: Alba
Gianfranco De Grassi: Giacomo
Guido De Carli: Pepe
Enzo Garinei: Direttore del Centro Ricerche
Sal Borgese: Il custode
Luigi Casellato: Questore di Torino
Umberto Ceriani: Commissario Tamaroglio
Claudio Nicastro:Primario clinica privata
Regia Vittorio Salerno
Soggetto Vittorio Salerno, Ernesto Gastaldi
Sceneggiatura Giovanni Balestrini, Ernesto Gastaldi, Lucille Laks, Vittorio Salerno
Produttore esecutivo Angelo Iacono
Casa di produzione La Comma 9
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Giulio Albonico
Montaggio Enzo Meniconi
Musiche Franco Campanino
Scenografia Emilio Baldelli
L’amore attraverso i secoli
Le plus vieux métier du monde,ovvero Il mestiere più vecchio del mondo,chiara allusione alla prostituzione diviene nella distribuzione italiana, per motivi inspiegabili L’amore attraverso i secoli.Ora,la prostituzione sta all’amore come un sasso sta ad un diamante per cui la scelta dei distributori italiani è assolutamente fuorviante,non lasciando immaginare il vero argomento trattato nel film.
Che è una pellicola “collettiva”,diretta cioè da 6 registi di alterna fama internazionale.
Claude Autant-Lara, Mauro Bolognini, Philippe De Broca, Jean-Luc Godard, Franco Indovina e Michel Pfeghaar dirigono nel 1967 un film con sullo sfondo il meretricio, definito “mestiere più antico del mondo“,come del resto popolarmente e universalmente indicata la prostituzione.
Con esiti modesti se non deludenti.
Discontinuo,con ambizioni di satira e riflessione sull’argomento,L’amore attraverso i secoli è invece pellicola anonima,piatta,ravvivata solo dall’esperimento dell’episodio “L’amore nel 2000” di Godard che si distingue per l’ardita operazione fotografica e l’utilizzo quasi sperimentale del colore,un episodio però fine a se stesso più che organico ad un tema che è trattato in maniera dissimile dai sei registi.
La trama:
– primo episodio,L’età della pietra:Brit è una bella cavernicola,che smania d’amore per un misterioso uomo venuto da molto lontano.Per affascinare e ammaliare il giovane,Brit si rivolge a Rak,specie di stregone della tribù il quale crea per lei l’antenato del trucco.
Ottenuto grazie alla seduzione il risultato sperato,la bella Brit decide di sfruttare “commercialmente” l’invenzione…
-secondo episodio,Notti romane:Flaiano,imperatore romano,cerca di arricchire la sua collezione di “donne allegre” andando nei lupanari,dove si congiunge con una affascinante prostituta esotica,che paga profumatamente.La donna altri non è che sua moglie Domitilla…
– terzo episodio,La ghigliottina:Mimi,prostituta francese,ha un appartamento che utilizza per i suoi incontri che si affaccia sulla piazza
dove avvengono le esecuzioni capitali.Quando tra i suoi clienti arriva Philibert,giovane squattrinato che non può pagarla,Mimi finge di concedersi gratuitamente.In realtà la donna ha visto che tra i condannati a morte c’è lo zio del giovane,un uomo ricchissimo di cui Philibert è l’unico erede.
-quarto episodio,La belle epoque:con abilità e intelligenza,usando però sopratutto le arti della seduzione,la prostituta parigina Nini
riesce a farsi sposare da un ricco banchiere semplicemente lusingandolo e facendogli credere di essere un irresistibile Casanova;
-quinto episodio,Oggi: due giovani prostitute scoprono che utilizzando un’ambulanza,che marcia a sirene spiegate,possono evadere i ferrei controlli della polizia,che addirittura le scortano durante i loro incontri amorosi;
-sesto episodio,L’amore nel 2000:in un prossimo futuro un viaggiatore scopre che l’unico modo per eccitarsi è pagare una donna…
Molto discontinuo,più insipido che brutto,sopratutto molto deludente:il tentativo di ricavare una commedia brillante e ironica affidando un tema “serio” da affrontare in maniera leggera ma intelligente da parte dei produttori del film (ben 6 importanti case europee,ovvero Athos Films, Franco London Films, Francoriz, Les Films Gibé, Rialto Film e Rizzoli Film) naufraga sia come risultato finale del film in se sia come ricavato al box office.
Il gran cast assoldato,che include star del calibro di Michèle Mercier,Enrico Maria Salerno,Gastone Moschin,Elsa Martinelli,Jeanne Moreau ecc.riesce solo a dare un pò di smalto ad un film che mostra come sia impossibile un’operazione che coinvolga registi di diversa estrazione e cultura, atutto scapito dell’omogeinità della pellicola stessa.
Gli episodi boccacceschi finiscono per essere troppo brevi e scontati,senza alcuna ricerca che coinvolga psiche,motivazioni,location storico/culturale,tutte quelle componenti cioè che sono l’ossatura di un film di livello.
Dei sei episodi,l’unico a mostrare un qualche interesse è quello citato di Godard che include un incredibile nudo integrale (per l’epoca) di Marilù Tolo,discreto quello di Autant Lara mentre gli altri raggiungono a mala pena la sufficienza.
Il film è ormai da tempo introvabile in versione italiana,mentre è di difficile reperibilità in lingua originale.
L’amore attraverso i secoli
Un film di Jean-Luc Godard, Mauro Bolognini, Philippe De Broca, Claude Autant-Lara, Michael Pfleghar, Franco Indovina. Con Enrico Maria Salerno, Anna Karina, Jean-Claude Brialy, Michèlle Mercier, Elsa Martinelli ,Jeanne Moreau,Raquel Welch,Marilù Tolo.Titolo originale Le plus vieux métier du monde. Commedia, durata 110 min. – Francia, Italia, Germania 1967
Michèle Mercier: Brit
Enrico Maria Salerno: Rak
Gabriele Tinti: L’uomo venuto dal mare
Gastone Moschin: L’imperatore Flavio
Elsa Martinelli: Domitilla
Jeanne Moreau: Mimi
Jean-Claude Brialy: Philibert
Jean Richard: Il commissario del popolo
Albert Rémy: uomo francese con due donne
Raquel Welch: Nini
Martin Held: Édouard
Nadia Gray: Nadia
France Anglade: Cathérine
Francis Blanche: Il dottore
Jacques Charrier: John Dimitrios
Anna Karina: Eléonore Roméovitch
Marilù Tolo: Marlène
Regia Claude Autant-Lara, Mauro Bolognini, Philippe De Broca, Jean-Luc Godard, Franco Indovina, Michel Pfeghaar.
Sceneggiatura Jean Aurenche, Daniel Boulanger, Ennio Flaiano, Jean-Luc Godard, André Tabet, Georges Tabet
Produttore Joseph Bercholz, Horst Wendlandt
Casa di produzione Athos Films, Franco London Films, Francoriz, Les Films Gibé, Rialto Film, Rizzoli Film
Distribuzione (Italia) Cineriz
Fotografia Pierre Lhomme, Alessandro D’Eva, Dario Di Palma, Heinz Hölscher
Montaggio Agnès Guillemot, Nino Baragli, Susanne Paschen
Musiche Michel Legrand
L’età della pietra: Franco Indovina
Notti romane: Mauro Bolognini
La ghigliottina: Philippe De Broca
La Belle Époque: Michael Pfeghaar
Oggi: Claude Autant-Lara
L’amore nel 2000: Jean-Luc Godard
Michele Mercier è Brit
Elsa Martinelli è Domitilla
Jeanne Moreau è Mimi
Jean Claude Brialy è Philibert
Raquel Welch è Nini
France Anglade è Cathérine
Anna Karina è Eléonore Roméovitch
Marilù Tolo è Marlene
Ingrid sulla strada
La giovane e bella Ingrid è diretta a Roma,dopo aver subito violenza da suo padre.
Sul treno che dalla finnica Rovaniemi porta in Italia,la ragazza si lascia sedurre da un uomo accettandone la ricompensa in denaro.
Dopo l’arrivo nella città eterna,Ingrid girovaga per la città,affascinata dalla sua bellezza e incontra casualmente la prostituta Claudia che
la carica su una carrozzella.
Tra le due c’è subito amicizia e complicità;Claudia la introduce nel suo ambiente,facendogli conoscere un pittore con il quale ha una relazione.
Alcune esperienze singolari attendono le due compagne di avventura,come l’incontro con un degenerato,Urbano,che con la complicità della moglie
instaura un improbabile rapporto a 4 a sfondo necrofilo.
Successivamente Ingrid fa la conoscenza del pappone di Claudia,il brutale e psicopatico Renato che,per vendicarsi dell’evidente disprezzo che da subito la ragazza mostra per lui,la fa violentare dai suoi uomini,con Claudia che perde la vita nel tentativo disperato di aiutarla.
Sconvolta,Claudia si uccide.
Brutto senza appello questo Ingrid sulla strada,diretto da Brunello Rondi nel 1973.
Ad un inizio anche lirico,con Ingrid che raggiunge la stazione tra candidi paesaggi innevati,si oppone il sordido e violento mondo romano,descritto dal regista come coacervo di tutti i peggiori vizi.
La parte centrale del film poi rasenta la narcosi profonda,sopratutto nell’episodio che vede le due donne partecipare ad una grottesca orgia con un degenerato e maturo cliente.
Il finale è sin troppo violento,un vero colpo di frusta che nelle intenzioni vorrebbe stigmatizzare l’ipocrita ambiente della capitale,all’apparenza elegante e nella realtà sordida e viziosa.
Invece il tutto appare come un ibrido mal amalgamato,in perenne bilico fra la farsa e la tragedia,con personaggi caricati all’inverosimile di vizi e sopratutto moralmente abietti e disadattati,asociali.
In equilibrio assolutamente precario tra il Pasolini delle borgate e la Roma da cartolina,il film deraglia quasi subito per eccesso di cinismo e per l’irrealtà dei personaggi mostrati.
La Agren, che interpreta la finnica Ingrid,è solo un bel volto gelido e algido mentre la Coluzzi (Claudia) dovrebbe essere un personaggio che ispira simpatia e che nella realtà,invece,appare ancor più censurabile degli altri,fatta eccezione per l’improponibile Citti,descritto come un satanasso senza morale e senza umanità.
Un sadico pervertito che maschera la propria carica di violenza con atteggiamenti da folle nazista nascosto nemmeno bene da intellettuale dei poveri.
Un film senza capo e sopratutto senza coda,un ritratto inverosimile e non credibile di una realtà che forse potrebbe anche appartenere agli anni settanta e alla capitale,ma che viene resa con un linguaggio e con una filmica inverosimili.
Rondi per l’ennesima volta cicca clamorosamente la palla e fa autogoal;accadrà con il pretenzioso I prosseneti scendendo ancora più in basso con Valeria dentro e fuori e sopratutto con Velluto nero.
Un cinema,il suo,molto arrogante e poco concreto.
Non bastano le buone intenzioni e una discreta tecnica per creare opere degne di essere ricordate;Rondi è poco più che un artigiano,peraltro presuntuoso.
Mescolare la poesia espressa dal paesaggio selvaggio con la brutalità dell’urbano richiede una sapiente opera alchemica,ovvero la capacità di passare da una realtà all’altra con discrezione e non ex abrupto.
Film quindi di scarso o nullo valore,nonostante l’esaltazione di qualche critico e di una manciata di adoratori del regista valtellinese,del quale non salverei nemmeno gli attori,fatta eccezione forse per Enrico Maria Salerno,alle prese con un personaggio odioso e ridicolo,che però esprime con la consueta bravura ed eleganza.
Buona la fotografia,innocue e dimenticabili le musiche di Carlo Savina
Il film è presente su Youtube in una splendida versione all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Gvp-cj3bmIY
Ingrid sulla strada
Un film di Brunello Rondi. Con Janet Agren, Enrico Maria Salerno, Franco Citti, Francesca Romana Coluzzi,Marisa Traversi, Bruno Corazzari, Fred Robsham, Luciano Rossi Drammatico, durata 92 min. – Italia 1974
Janet Agren: Ingrid
Franco Citti: Renato
Francesca Romana Coluzzi: Claudia
Bruno Corazzari: il pittore
Luigi Antonio Guerra: uomo della gang di Renato
Fulvio Mingozzi: padre di Ingrid
Alessandro Perrella: giornalista
Luciano Rossi: il traditore
Enrico Maria Salerno: Urbano
Regia Brunello Rondi
Sceneggiatura Brunello Rondi
Produttore Carlo Maietto
Casa di produzione Thousand Cinematografica
Fotografia Stelvio Massi
Montaggio Marcello Malvestito
Musiche Carlo Savina
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Luchi78
Dalla Lapponia con furore, alle botticelle con i coatti che fanno battute in tipico stile romanesco. Il salto è troppo ardito e il film perde subito la verve acquisita con
l’ottimo inizio. Non bastano poi le scene di violenza sostenute da un Citti non troppo nella parte, per non parlare di Salerno decisamente fuori luogo. Neanche le due protagoniste,
la Agren e la Coluzzi, riescono ad esprimersi a buoni livelli: la prima troppo trattenuta, la seconda troppo “alla romana”. Insomma, un film non riuscito.
Daidae
Mediocrissimo film che parte in quinta (la sequenza sul treno è favolosa) ma si sfalda appena Ingrid arriva a Roma. Assurdi i personaggi della Coluzzi ma sopratutto di Citti che, nonostante reciti bene,
è poco credibile nel ruolo del capo di una banda di neonazi-papponi-terroristi. In particolar modo la politica sembra una forzatura; “stupenda” la battuta del compagno che indica in papa Giovanni XXIII
il mandante dell’attentato! Totalmente fuori posto anche Enrico Maria Salerno. Film molto mediocre che, forse, ha come unico pregio i primi 5 minuti e gli ultimi 3.
Schramm
Chissà dove ha battuto la testa Rondi prima di mettersi a girare questo non plus ultra dello scultissimo coabitato da un sordido Citti -fisionomicamente beniano, in quest’occasione- che lo risolleva un pochino,
ma cinto d’assedio dalle armate del ridicolo a ogni minuto: bastino per tutti i dialoghi cacciati in bocca a Salerno, naufragante in situazioni che sono un inno all’umorismo involontario.
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Si tratta di un film senz’altro ‘alla Rondi’: intento di denuncia, sguardo rivolto alle problematiche sociali, ma poca fantasia e un’attrazione irrisolvibile verso le morbosità. Già dal titolo si intuisce che quella di Ingrid non sarà una storia felice;
brava la protagonista Agren (che è in realtà svedese e non finlandese), affiancata da un tris di ottimi nomi come Salerno, che ha poco più che un cameo, la Coluzzi e Citti (Franco), doppiato fra l’altro da Oreste Lionello. Soggetto e sceneggiatura di Rondi,
con apice della storia nella scena-shock del taglio della lingua di un ‘infame’. Echi di Pasolini (complice anche la presenza di Citti)? Ma Pasolini aveva una leggerezza nella narrazione che non sfiora neppure l’apparato grottesco e macchinoso di Rondi.
Brogliaccio d’amore
Un momento che sembra all’improvviso spazzare via certezze e punti fermi, una vita tranquilla e probabilmente monotona, senza acuti.
E’ quello che sta vivendo l’ingegner Giacomo, un maturo uomo senza legami, abituato alla routine di una vita da scapolo in cui si muovono delle figure senza però incidere nel presente.
Stanco di tutto questo, Giacomo decide di dare un taglio netto al passato recidendo i legami con il quotidiano fatto di lavoro, amici e di donne; una roulotte, una penna e un diario è in effetti quello che gli serve e caricata un po di roba ecco che inizia l’avventura di Giacomo.
Ha deciso di scrivere, di raccontare se stesso e la sua vita e per farlo si stacca da tutto e si dirige verso il sud.
Ma ha anche bisogno di capirsi e per farlo ha bisogno di qualcuno che lo stia a sentire, che possa in qualche modo essere uno specchio vivente che ascolti e possibilmente non giudichi.
Questo specchio si incarna in Roberta, una donna con un passato da prostituta e ora diventata una escort al servizio di uomini maturi in crisi di identità come Giacomo.
Il viaggio verso sud diventa rivelatore e si mostra sotto una luce diversa da quanto preventivato dall’uomo;Roberta è una donna complessa, intelligente e sensibile e ben presto è l’amore a far capolino.
Lui si innamora di lei, lei si innamora di lui.
Nel frattempo il suo diario cresce in dimensioni e un giorno Giacomo decide di leggere a Roberta quello che ha scritto; con la sensibilità di un elefante Giacomo ha però espresso giudizi sprezzanti sulla donna e Roberta, ferita da tanto egoismo e supponenza lo lascia a meditare sui suoi errori.
Brogliaccio d’amore è un film del 1976 ormai completamente dimenticato e non senza ragione; ampolloso, verboso e caratterizzato principalmente da un andamento lento come una lumaca, il film diretto da Decio Silla che trasporta sullo schermo una sceneggiatura in cui lo stesso Silla ha messo mani con l’aiuto di altri quattro collaboratori (Gilberto Squizzato, Luisa Montagnana, Tullio Nemi Cheli) è un prodotto ben recitato ma nulla più.
La storia trita del maturo borghese in crisi è uno degli espedienti più usati del cinema anni 70 e questo film nulla aggiunge ai tanti ritratti di uomini al bivio che sono stati disegnati in quel periodo.
Come generalmente avviene in prodotti dalle tematiche simili, Silla cerca di intellettualizzare la storia, finendo per rendere il film pesante e indigesto, mitigato da un finale amaro che quanto meno ci risparmia il lieto fine.
Il regista di Tortona, qui alla sua prima e ultima opera cinematografica non lascia alcun segno, nonostante abbia avuto per le mani, in quest’opera, due attori bravissimi e espressivi come Enrico Maria Salerno e Senta Berger.
Che nonostante la fragilità del soggetto ce la mettono tutta, ammortizzando l’effetto noia che deriva dalla verbosità eccessiva dei dialoghi, dalla mancanza di movimento di cui il film soffre e dalla prevedibilità di quanto scorre sullo schermo.
La coppia Salerno-Berger funziona, indubbiamente, quello che non funziona è l’atmosfera da road movie autobiografico che non solo non ha fascino, ma che diventa con il passare dei minuti una palude di noia e di già visto, il tutto condito da musiche assolutamente inadeguate e da conversazioni che stimolano (più che un eventuale dialogo post film) una bella dormita sul divano, rimpiangendo il tempo passato a guardare un’opera francamente barbosa oltre il limite consentito.
Motivo per il quale il film non ebbe nessun successo e sparì letteralmente dallo schermo per essere riesumato raramente da qualche tv in cerca di tappi per riempire la programmazione notturna.
Film da dimenticare, quindi, a meno che non si voglia assistere ad una prova maiuscola di recitazione, fornita da due grandi interpreti come Enrico Maria salerno e Senta Berger.
Troppo poco però per valere una visione.
Film praticamente introvabile in rete; esiste però una versione decente sul mulo, con una buona qualità audio video.
Brogliaccio d’amore
Un film di Decio Silla. Con Enrico Maria Salerno, Senta Berger, Paolo Carlini, Marisa Valenti, Lorenzo Fineschi Drammatico, durata 94 min. – Italia 1976.
Enrico Maria Salerno … Giacomo
Senta Berger … Roberta
Paolo Carlini … Pierino
Marisa Valenti … Patrizia
Regia: Decio Silla
Sceneggiatura:Gilberto Squizzato, Luisa Montagnana, Tullio Nemi Cheli, Decio Silla
Musiche:Giuseppe Cremante
Fotografia:Lamberto Caimi
Montaggio:Enzo Monachesi
Art Direction : Mimmo Scavia
Costume Design :Lia Francesca Morandini
L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com
Esiziale quanto misconosciuto detrito del filone sentimental-borghese, con dialoghi di inenarrabile ampollosità recitati (non senza convinzione, va ammesso) da un Salerno sdrucito in cerca di sè stesso (il guaio è che si trova) e una Senta Berger (laudata semper) improbabilissima ex-mignotta, fra musiche terrificanti (che vanno da “Marina” a una pantomima di “Europa”) e preoccupantissime mises del buon Enrico Maria. Fantastica, fra le varie amenità, la scena coi tossici moribondi raccattati sul ciglio della strada.
L’opinione di Markus dal sito http://www.davinotti.com
Il film è palloso e non ha ritmo (cosa più grave), con la presenza di ottimi attori che risollevano la pellicola. Il film si fa fatica a seguire, sostanzialmente perché è un guazzabuglio di conversazioni lunghe ed estenuanti, che oserei definire “parapsicologiche” nel senso barboso del termine. Ottima la musica di Giovanni Cremante, in cui spicca il pezzo funky che accompagna la Berger nella scena del mercato. Una pellicola rara.
L’opinione del sito http://www.gentedirispetto.com
Ho visto questo film di genere sentimentale-psicologico.
A mio avviso, il film resta in piedi grazie alla bravura del grande Salerno e alla bellezza della Berger.
La storia risulta piuttosto ingarbugliata e difficilmente credibile ed un po’ di ritmo in piu’, non avrebbe guastato: infatti nell’insieme risulta piuttosto noioso, forse per questo, al cinema nel 1976, passò quasi inosservato.
Contratto carnale
Nella città di Accra, in Ghana, converge un gruppo di persone inviate da Franco Donati, un industriale italiano; sono là per eliminare la concorrenza di Wilkinson, un altro industriale interessato ad una fornitura di legname.
Il gruppo è composto dall’ ingegnere James McDougal, da sua moglie Eva,da Antonio di Borgoparuta e da Silvia che è anche l’amante di Franco Donati; quest’ultima ha il compito di sedurre con le sue grazie Kofi, industriale ghanese al centro dell’intrigo.
Quando Kofi scopre che Donati non si è degnato di venire personalmente in Ghana per trattare l’affare, decide di approfittare di un banale equivoco per spacciarsi per Ruma, un dirigente della società di export.
Silvia, che dovrebbe sedurre Kofi, finisce per innamorarsi dell’uomo suscitando contemporaneamente il risentimento di Eva, che ha a cuore la conclusione dell’affare.
Contemporaneamente Antonio di Borgoparuta fa picchiare Ruma mentre James McDougal tenta di corromperlo con una grossa somma per favorire l’industriale inglese Wilkinson.
L’arrivo di Donati in Ghana costringe Kofi a scoprirsi; l’uomo confessa la sua vera identità scoperchiando il vaso colmo di inganni di cui si sono resi protagonisti i dipendenti di Donati.
Kofi così chiude ugualmente il contratto con l’italiano, spuntando però condizioni nettamente migliori; in quanto a Silvia, l’uomo la rispedisce con il suo amante in Italia.
Film non inquadrabile in un genere specifico,questo Contratto carnale, diretto da Giorgio Bontempi nel 1973; un film con un andamento drammatico venato di giallo,con un ambientazione esotica che ricalca quello delle pellicole Bora Bora di Liberatore o La ragazza dalla pelle di luna di Scattini.
Questa volta il centro dell’azione è il Ghana, in cui si svolge la storia di un gruppo di bianchi sempre pronti a usare le armi della furbizia nei confronti della locale gente di colore con però una variante finale in cui, per citare un classico proverbio, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Bontempi crea un film di buona atmosfera, in cui le sordide manovre dei bianchi vengono stigmatizzate senza alcun furore, anzi, con una sottile vena di umorismo nero che diventa più esplicito nel finale, quando il buon Kofi farà fare una figura barbina agli eredi dei colonizzatori, dimostrando di aver ben compreso la lezione impartita purtroppo dai precedenti dominatori.
Il film mantiene un buon equilibrio, grazie al mestiere di Bontempi qui al suo secondo e penultimo lavoro alla regia; un vero peccato che questo valido regista non abbia poi trovato spazio perchè Contratto carnale è un buon film, che miscela sapientemente la tensione ad un minimo di discorso storico sulla colonizzazione dell’Africa.
Il tutto condito da un filo di erotismo mai sopra le righe.
Il cast è davvero buono e comprende le solite sicurezze rappresentate da George Hilton e Enrico Maria Salerno mentre le due star femminili sono Anita Strindberg e Yanti Somer.
La stessa Strindberg era entusiasta della pellicola.Ecco cosa dichiarò proprio nel 1973:
E’ un’opera abbastanza impegnata. Anche se priva di quei fumismi intellettuali che affliggono il cinema cosiddetto d’autore. Insomma, è un film che vedi con piacere, ti interessa, e al tempo stesso ti mette in testa delle idee, ti fa pensare. Proprio come dovrebbe sempre fare il cinema, secondo me, ma come invece tende a fare sempre più di rado. Perché la regola madre oggi è l’evasione. La trama, comunque, immagina che un grosso uomo d’affari bianco debba concludere un vantaggioso contratto con un altro grosso affarista negro in una nazione africana. Pur di realizzare questo colpo a lui vitale, l’uomo d’affari bianco non esita a ricorrere ad ogni sorta di espedienti, tra cui quello di gettare con assoluta indifferenza la sua donna tra le braccia della controparte, sperando che a letto certe cose si impostino meglio…” mentre a proposito di Bontempi dichiarò:
“Bontempi sa come trattare gli attori. Insomma, non ti fa sentire giusto una rotellina in un misterioso, quasi incomprensibile ingranaggio che solo lui ha nella testa. No, assolutamente. Invece ti aiuta, ti assiste, ti lascia anche quel giusto margine di libertà nel quale puoi apportare il tuo contributo alla strutturazione del personaggio. Insomma, a me pare che questo sia il modo ideale di lavorare, almeno dal punto di vista dell’attore. E infatti credo di avere risposto alla fiducia concessami con un’interpretazione che è senz’altro la più riuscita della mia pur breve carriera. Anzi, forse questo ruolo costituirà proprio una sorpresa per quelli che mi hanno sempre ritenuta giusto un corpo e basta.”
Contratto carnale è un film di difficilissima se non impossibile reperibilità.
Non ho nemmeno segnalazione di suoi passaggi televisivi mentre in rete manca qualsiasi riduzione da VHS o da DVD.
Contratto carnale
Un film di Giorgio Bontempi. Con Enrico Maria Salerno, George Hilton, Anita Strindberg, Franco Giornelli, Calvin Lockhart, Yanti Somer Drammatico, durata 90 min. – Italia 1973
George Hilton … James McDougall
Calvin Lockhart … Ruma / Kofi
Anita Strindberg … Eva McDougall
Yanti Somer … Silvia
Franco Giornelli … Antonio di Borgoparuta
Enrico Maria Salerno … Franco Donati
Regia: Giorgio Bontempi
Sceneggiatura: Giorgio Bontempi ,Marino Onorati
Produzione: Alfredo Ascalone,Guy Luongo
Musiche: Riz Ortolani
Fotografia: Erico Menczer
Montaggio:Franco Fraticelli
Candy e il suo pazzo mondo
Una timida e ingenua ragazza americana, Candy, durante una pallosa lezione scolastica si addormenta di botto.
La ragazza, che ha una fantasia spigliatissima e un candore disarmante a metà strada esatta tra la Alice nel paese delle meraviglie di Carroll e la versione femminile del Candido di Voltaire, sogna così di avventurarsi nel mondo degli adulti.
E’ per lei l’inizio di una serie di travolgenti esperienze senza respiro, durante le quali finisce per conoscere persone stravaganti, come lo scrittore MacPhisto che tenta di approfittare di lei nella sua limousine nera per passare nelle braccia di un giardiniere dai parenti del quale viene denunciata. Arrestata dalla polizia, riesce a fuggire in maniera rocambolesca quando l’auto con i due poliziotti che l’hanno fermata finisce dentro la vetrina di un club nel quale un illusionista sta ultimando un numero di magia. Fuggita su un aereo, viene nuovamente fatta oggetto delle voglie del comandante, dal quale fugge per ritrovarsi tra le mani di un chirurgo, il quale a sua volta vuol farle la festa.
L’infermiera del dottore, gelosa come una pantera, la costringe nuovamente alla fuga e a riparare in un bar dove però, ancora una volta, deve guardarsi dalle losche attenzioni di un regista.
Di avventura in avventura, sempre in fuga da uomini che da lei vogliono una sola cosa facilmente immaginabile, Candy continua le sue peregrinazioni difendendosi di volta in volta da un autotrasportatore che le ha dato un passaggio, da uno strano fachiro e buon ultimo da un santone che la porta in un tempio.
Qui Candy….
Candy e il suo pazzo mondo, diretto da Christian Marquand è tratto da un libro di un certo successo uscito negli Usa sul finire degli anni 50, scritto da Terry Southern e Mason Hoffenberg e intitolato semplicemente Candy.
Il film è una produzione francese con partecipazione italiana e americana e venne girato tra Fort Wadsworth e New York dal regista francese Marquand, più noto come attore che come regista.
In questa veste infatti girò solo due film, dei quali Candy è l’opera finale.
E visti i risultati vien da dirsi anche per fortuna.
Candy infatti è un incredibile guazzabuglio di situazioni e di scene girate a velocità folle, con improvvise perdite di ritmo e sopratutto senza una linearità di percorso.
Eva Aulin e Richard Burton
La giovane studentessa dall’immaginazione fervida viene trasportata in un mondo quasi reale, almeno come personaggi, a differenza dal modo fantastico di Alice nel paese delle meraviglie popolato da strane e incredibili creature.
Candy è bella e sexy, e suscita evidentemente incontrollabili e lussuriosi desideri in tutti gli uomini che incontra, nessuno escluso.
Lei è un’anima candida, pulita, che difende senza troppa convinzione la sua “purezza”; ma in un modo o nell’altro ogni volta che qualcuno tenta di farle la festa ecco un provvidenziale accadimento che le permette la fuga, fino al finale assolutamente logico e altrettanto deludente.
Un film psichedelico che ricorda alla lontana le gag di Questo pazzo, pazzo, pazzo mondo del quale condivide il cast stellare.
Raramente si è visto in un’opera cinematografica un cast così imponente dal punto di vista dei nomi utilizzati, se non in alcuni film a sfondo bellico o in qualche kolossal.
Marlon Brando
Si va da Marlon Brando a Richard Burton, da James Coburn a John Houston, da Walter Matthau a Ringo Starr e Charles Aznavour, affiancati da un cast femminile che include Marilu Tolo e Anita Pallenberg, Elsa Martinelli e Florinda Bolkan, Lea Padovani e Nicoletta Machiavelli.
Poi naturalmente c’è lei, la biondissima e minuta Eva Aulin, la diciottenne (all’epoca) attrice svedese di Landskrona che un anno prima si era fatta una certa fama con La morte ha fatto l’uovo e l’anno prima ancora con Col cuore in gola di Tinto Brass, recitato accanto a Trintignant.
La Aulin ha tutto per riuscire in questo film; ha un’aria candida e sperduta che la caratterizzano particolarmente, ha buone doti recitative e sopratutto non ha il fisico della vamp.
Quindi è perfetta per un personaggio lindo e pulito contrapposto ai lascivi personaggi che incontra.
Il cast è stellare, l’attrice principale è perfettamente calata nel ruolo, la storia c’è anche.
Allora cosa non funziona nel film?
Praticamente quasi tutto.
Se in Alice nel paese delle meraviglie la presenza di personaggi illogici è giustificata dalla fantasia della protagonista che incontra personaggi non umani e quindi appartenenti al mondo della fantasia come il Bianconiglio o lo Stregatto, Candy incontra personaggi umani che di strano hanno tutto.
A cominciare dai nomi, che possono essere quello di Hunchback juggler oppure del Dottor. A.B. Krankheit, di Zero o Grindl per finire alle loro professioni che non sono strane ma che sono svolte quasi fossero appartenenti ad un mondo alieno.
I personaggi sembrano tutti avere dei profondi problemi psicologici, delle specie di sdoppiamenti tra il reale e il fantastico quasi vivessero su un pianeta che non è la terra.
Se Marquand tenta di avvalorare questa tesi, lo fa nel peggiore dei modi; l’umano/fantastico/alieno ha però comportamenti troppo vicini a quelli quotidiani e tutti sembrano attirati da una cosa sola facilmente comprensibile.
Candy infatti suscità desiderio di possesso e l’umanità che incontra sembra farsi pregio del tentativo di infangare la sua purezza.
Vero è che tutto nasce nella fantasia della ragazza, ma allora perchè trasportarla in mille avventure caotiche e riportala al presente senza aver incontrato un solo esempio di umanità in positivo?
Questa e altre domande sorgono spontanee dopo pochi minuti di film, una volta compreso che il film purtroppo andrà a parare in una direzione precisa, cosa che avviene con puntualità mortale.
Nicoletta Machiavelli
Florinda Bolkan
La povera Candy attraversa mille posti e scampa a mille pericoli per poi rendersi conto che è stato tutto un sogno.
Noi lo sappiamo già, visto che il regista improvvidamente non usa nessun espediente per nascondercelo.
Dopo pochi minuti un senso di malcelata sopportazione invade lo spettatore che dopo metà film prende coscienza di una tragica realtà: il cast faraonico, il battage pubblicitario che ha preceduto il film altro non sono che una gigantesca nuvola di fumo negli occhi.
Non fosse per Child of the Universe cantata dai Byrds o per Magic Carpet Ride e Rock Me degli Steppenwolf l’abbiocco sarebbe in agguato pronto a far capolino nelle numerose pause del film.
Quelle in cui Candy guarda disarmata i palazzi di New York, in cui passeggia su uno dei ponti della grande mela, o quando segue il fachiro nel deserto….
Deprimente è vedere artisti del calibro di Brando e di Burton alle prese con personaggi distanti anni luce dalle loro corde così come è mortificante vedere poco più che comparsate fatte da Enrico Maria Salerno e Umberto Orsini.
Insomma, un film lanciato come un capolavoro che alla fine lascia stupefatti solo per il presappochismo dilettantistico con cui il film è girato.
Costato un pozzo di dollari, ricavò pochissimo al box office.
Charles Aznavour
Candy e il suo pazzo mondo
Un film di Christian Marquand, Giancarlo Zagni. Con Enrico Maria Salerno, James Coburn, Marilù Tolo, Ringo Starr,Richard Burton, Charles Aznavour, Marlon Brando, Ewa Aulin, Sugar Ray Robinson, Walter Matthau, Lea Padovani, Enzo Fiermonte, Christian Marquand, Elsa Martinelli, Umberto Orsini, Micaela Pignatelli, Peter Dane, John Huston, Florinda Bolkan, John Astin, Anita Pallenberg, Nicoletta Machiavelli, Joey Forman, Julian Beck
Fantastico, durata 115 min. – USA, Italia, Francia 1968.
Ewa Aulin: Candy Christian
Charles Aznavour: Hunchback juggler
Marlon Brando: Grindl
Richard Burton: MacPhisto
James Coburn: Dr. A.B. Krankheit
John Huston: Dr. Arnold Dunlap
Walter Matthau: Gen. R.A. Smight
Ringo Starr: Emmanuel
John Astin: T.M. Christian / Jack Christian
Elsa Martinelli: Livia
Sugar Ray Robinson: Zero
Anita Pallenberg: Nurse Bullock
Lea Padovani: Silvia Fontegliulo
Florinda Bolkan: Lolita
Marilù Tolo: Conchita
Nicoletta Machiavelli: Marquita
Umberto Orsini: The Big Guy
Enrico Maria Salerno: Jonathan J. John
Neel Noorlag (con il nome Neal Noorlac): Harold
Enzo Fiermonte: Al Pappone
Peter Dane: Luther
Peggy Nathan: Miss Quinby
Anthony Foutz (con il nome Tony Foutz):
Tom Keyes:
Mark Salvage: Dottor Harris
Micaela Pignatelli: Ragazza
Joey Forman: Charlie, il poliziotto
Fabian Dean: sergente di polizia
Ragni Malcolmsson: ragazza
Eva Aulin legge il libro da cui è tratto il film
Regia Christian Marquand
Soggetto Mason Hoffenberg, Terry Southern
Sceneggiatura Buck Henry
Produttore Robert Haggiag
Produttore esecutivo Selig J. Seligman, Peter Zoref
Casa di produzione American Broadcasting Company, Corona Cinematografica, Dear Film Produzione, Selmur Productions
Distribuzione (Italia) 20th Century Fox Home Entertainment
Fotografia Giuseppe Rotunno
Montaggio Giancarlo Cappelli, Frank Santillo
Effetti speciali Augie Lohman, Harold E. Wellman
Musiche Dave Grusin
Scenografia Dean Tavoularis
Costumi Mia Fonssagrives, Enrico Sabbatini, Vicki Tiel
Eva Aulin con Marlon Brando durante le prove
La Aulin con Elsa Martinelli in una foto pubblicitaria
Varie lobby card del film
La città gioca d’azzardo
Un giocatore professionista di poker, nonchè abile baro di nome Luca Altieri sbanca un tavolo al Club 72 di proprietà di un boss soprannominato Il Presidente.
Quest’ ultimo, pur consapevole del fatto che Luca ha vinto usando trucchi, decide di tirarselo dalla sua parte e di ingaggiarlo per spennare gli incauti giocatori che frequentano il suo club.
Luca accetta, ma dopo poco finisce per entrare in contrasto con il crudele figlio del Presidente, Corrado, per la sua donna ovvero la bella Maria Luisa che ha accettato la corte di Corrado per paura e sopratutto perchè quest’ultimo le fa fare la bella vita.
Tra i due ben presto inizia una relazione che finisce per arrivare sotto gli occhi di Corrado, che decide di punire in maniera esemplare Luca; dopo averlo fatto pestare a sangue, gli fa rompere le mani.
Nel frattempo Corrado ha provveduto a sbarazzarsi del padre, simulando un incidente domestico in cui l’uomo, che viveva su una sedia a rotelle, precipitando dalla lunga scala di casa per un presunto guasto al meccanismo di sollevamento della sedia finisce per rompersi il collo.
Corrado però non ha la stoffa del padre e gli altri boss che controllano sia il gioco d’azzardo che il traffico di droga decidono di allontanarlo dal loro giro, sopratutto quando Corrado attira su di se gli occhi della polizia.
Il giovane imprudentemente ha fatto uccidere un commissario di polizia corrotto per non dovergli pagare la tangente; nel frattempo Luca, che si è nascosto con Maria Luisa, riprende faticosamente l’uso delle mani ma è costretto a fuggire in Francia per evitare di essere raggiunto dagli sgherri di Corrado.
Qui riprende la vita di un tempo, sognando il colpo grosso che gli permetta di cambiare vita.
La lunga mano di Corrado però lo insegue e grazie al tradimento del nuovo socio di Luca anche il nascondiglio francese viene individuato.
Duante un rocambolesco inseguimento sulla costa francese, Luca riesce a far precipitare l’auto con a bordo Corrado e i suoi uomini giù per una scarpata.
Ma è una vittoria che pagherà a duro prezzo, perchè Maria Luisa che era con lui sulla moto viene colpita a morte.
La corsa in ospedale non serve e la donna muore assieme al bambino che portava in grembo.
La città gioca d’azzardo è un rarissimo caso di noir italiano, genere molto più diffuso nella sua patria d’origine, la Francia.
Visto l’esito finale, è davvero un peccato che altri registi non abbiano seguito la strada intrapresa da Sergio Martino, regista del film girato nel 1975, ultimo degli anni d’oro del cinema italiano.
Il film ha una trama scorrevole, sorretta da una sceneggiatura non particolarmente originale ma ben equilibrata; lo stasso Martino, con la collaborazione di Ernesto Gastaldi bada al sodo, prediligendo la scorrevolezza della pellicola alla complessità dei temi che potevano essere ampliati in fase di trattazione.
Nel film infatti si fa accenno al traffico di droga nelle metropoli, accostandolo al gioco d’azzardo, ovvero due dei problemi più gravi che incombevano sulla società italiana degli anni settanta e che contribuivano a rendere ancor più opprimente l’atmosfera che si respirava, vista anche la concomitante ascesa del fenomeno del terrorismo politico.
La punizione di Maria Luisa (Dayle Haddon)
Inevitabilmente Martino è costretto a scegliere un raggio d’azione che non appesantisca il film e il regista decide così di puntare più sulla dinamicità che sulla profondità dei temi trattati; vien fuori alla fine un film non particolarmente violento, come invece stigmatizzato incredibilmente da molti recensori in cui la storia d’amore tra Luca e Maria Luisa assume preponderanza specifica sullo sfondo di una città violenta e preda di bande contrapposte tese al controllo delle attività criminali.
“Non lo devi toccare, è un ordine”, intima il Presidente e Corrado
La cosa appare però, come già detto, più in sfondo che in primo piano; il vero fulcro diventa la lotta all’ultimo sangue tra il crudele Corrado e Luca, una lotta originata un po dalla rivalità tra i due e sopratutto per il “possesso” dell’affascinante Maria Luisa.
Nella prima mezz’ora giganteggia la figura del Presidente, un vero capo d’organizzazione astuto e intelligente, che predilige l’uso del cervello in luogo della forza bruta caratteristica viceversa dell’inetto Corrado.
Che infatti verrà allontanato dall’organizzazione criminale che faceva capo al padre, vera mente degli affari loschi che gravitavano nella città.
Le temtiche del film quindi diventano molteplici e ci fanno seguire questo contrasto tra padre e figlio e contmporaneamente lo sviluppo della storia d’amore tra Luca e Maria Luisa, prima del cruento finale e della resa dei conti tra i due rivali in affari e in amore.
Luca e Maria Luisa sfuggono ai sicari di Corrado
Come dicevo prima, il film non è particolarmente violento come altri che più o meno raccontavano di fatti di sangue o gesta criminali a sfondo sociale, come lo splendido Cani arrabbiati di Bava in cu davvero si assiste ad un’esplosione di violenza sporca e sudata, ad una violenza psicologica intollerabile o come a tanti altri film inquadrabili nel genere poliziottesco.
La città gioca d’azzardo finisce per ritagliarsi un ruolo specifico che alla fine risulta vincente.
Scorrendo il cast, troviamo i due interpreti migliori in Corrado Pani, quasi diabolico nella sua caratterizzazione di Corrado, il figlio del boss tenuto da questi in disparte perchè considerato troppo violento e comunque inadatto alla gestione del complesso equilibrio del crimine, che richiede intelligenza e astuzia in par dose.
La morte del commissario corrotto
L’altro grande è Enrico Maria Salerno, Il Presidente, che dirige l’organizzazione con sagacia, pagando tangenti e usando l’intelligenza invece delle armi; l’attore milanese è protagonista di una recitazione asciutta e convincente che da dignità ad un personaggio che nel film, ad onta del ruolo criminale che riveste, alla fine suscita anche simpatia.
Luc Merenda è Luca, un simpatico gaglioffo che vorrebbe vivere ai margini di quella società del crimine che in fondo disprezza e che frequenta solo perchè, come dice nel film, “ha imparato a usare le carte fin dalla culla”; l’ex fotomodello Merenda fa il suo, pur nei limiti delle sue capacità artistiche, limitate fortemente in carriera dalla scarsa flessibilità facciale e mimica.
La fine di Corrado e dei suoi uomini
Decisamente opaca la pur bella Dayle Haddon, che ebbe una carriera sicuramente agevolata dalla gran bellezza posseduta non sorretta però da altrettanto spiccate doti di recitazione.
Menzioni infine per Vittorio Fantoni , Fulvio Mingozzi e Lino Troisi.
Buona la fotografia e buone le musiche di Michelini.
La città gioca d’azzardo
Un film di Sergio Martino. Con Enrico Maria Salerno, Luc Merenda, Corrado Pani, Piero Palermini, Carlo Gaddi, Dayle Haddon, Lino Troisi, Giovanni Javarone, Salvatore Puntillo- Drammatico, durata 98 min. – Italia 1974
Corrado Pani è il crudele Corrado
L’abilità di Luca con le carte
La drammatica morte del Presidente
Colpita a morte durante l’inseguimento
Maria Luisa in sala operatoria
Luc Merenda: Luca Altieri
Dayle Haddon: Maria Luisa
Corrado Pani: Corrado
Lino Troisi: baro complice di Corrado
Giovanni Javarone: Lisander
Salvatore Puntillo: cameriere della bisca
Carlo Alighiero: commissario di polizia
Enrico Maria Salerno: il Presidente
Piero Palermini: direttore della bisca
Carlo Gaddi: boss
Vittorio Fanfoni: scagnozzo di Corrado
Riccardo Petrazzi: scagnozzo di Corrado (non accreditato)
Loris Perera Lopez: medico
Giuseppe Terranova:
Bruno Arié: guardia del corpo del Presidente
Artemio Antonini: Guardia del corpo del Presidente (non accreditato)
Regia Sergio Martino
Soggetto Ernesto Gastaldi
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Sergio Martino
Produttore Luciano Martino
Casa di produzione Dania Film, Medusa Distribuzione
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Luciano Michelini
Scenografia Giorgio Bertolini
Costumi Renato Ventura
Trucco Stefano Trani
Una donna di seconda mano
Firenze, anni 50. Luca, uno studente orfano di entrambi i genitori, vive con suo zio Augusto, un donnaiolo cinquantenne, proprietario di un negozio di scarpe. L’uomo è legato sentimentalmente a Clelia, una sua dipendente. La donna ha una figlia, Simona, che è la ragazza di Luca. Un giorno suo zio, per svezzarlo sessualmente, lo porta in un bordello, dove il ragazzo conosce Nerina, una matura ma seducente prostituta.
Enrico Maria Salerno è Augusto
Il giorno dopo, in seguito all’ennesimo rifiuto di Simona di avere rapporti con lui, la violenta. La ragazza racconta tutto alla madre, che decide di vendicarsi. Istruisce la figlia a dovere, con l’incarico di sedurre il maturo Augusto. Il piano riesce, e Simona circuisce Augusto. Un amico di Luca scopre la ragazza mentre è in auto con il suo amante e informa il giovane, che reagisce male. Ritorna al bordello e si fa consolare da Nerina. Nerina però ha un suo piano: è stufa di essere una donna di seconda mano, come si definisce durante un colloquio con una collega, e medita di farsi sposare.
Senta Berger
Nel frattempo Simona si sposa con Augusto, e il giovane per un pò riesce a consolarsi tra le braccia di Nerina. Ma un giorno la donna scompare, e sarà un amico camionista di Luca a scoprirla casualmente a Venezia: la donna è riuscita nel suo intento, ha sposato un ricco uomo d’affari. Luca, dopo aver respinto la corte di Simona, segue Nerina a Venezia, dove riesce a riallacciare la relazione. Ma la donna non vuol perdere quanto faticosamente conquistato, dichiara al giovane di non amarlo e lo lascia, prende un vaporetto e guarda in direzione del giovane, con uno sguardo appena velato dalla nostalgia, mentre Luca urla dal ponte che non la ama.
Nonostante l’ottimo cast, che include Enrico Maria Salerno (Augusto), Senta Berger (Nerina), Macha Meril ( Clelia), Rena Niehaus (Simona), Stefano Satta Flores (l’autista amico di Luca), Stefano Amato (Luca), Una donna di seconda mano, film del 1977 diretto da Pino Tosini e sceneggiato da Renato Izzo, scorre sullo schermo nella più assoluta indifferenza dello spettatore. Colpa principalmente di una trama scontata sin dall’inizio, di una sceneggiatura raffazzonata e sopratutto della scarsa volontà mostrata dal cast, che sembra svogliato e impigrito, quasi anestetizzato da ruoli senza spessore.
Luca alla ricerca di Nerina nel bordello
A salvarsi è il solito Salerno, in parte la deliziosa Niehaus e parzialmente anche Senta Berger, troppo sorridente e poco incisiva. Un film che penzola tra il dramma e la commedia e che forse aveva l’ambizione di mostrare uno squarcio del mondo dei bordelli prima della legge Merlin. Alla fine tra qualche casto nudo, qualche amplesso una volta tanto mostrato con pudore, si arriva senza scossoni alla parte finale, che forse è la più interessante, non fosse per la fretta e per la scarsa incisività degli attori, tra i quali spicca in senso negativo proprio il protagonista principale, Stefano amato, che piattamente interpreta Luca.
Poca roba, alla fine, forse l’unica cosa da rimarcare è la location, parzialmente ambientata a Firenze nelle parti iniziali e a Venezia in quelle finali. Un’altra nota dolente è il fiorentino di Augusto-Enrico Maria Salerno, davvero poco credibile anche nel doppiaggio.
Una donna di seconda mano, un film di Pino Tosini con Stefano Amato, Senta Berger, Macha Meril, Rena Niehaus, Enrico Maria Salerno, Stefano Satta Flores, Bruno Valente, Italia 1977
Senta Berger- Nerina
Enrico Maria Salerno:Augusto
Macha Meril:Clelia
Stefano Amato:Luca
Rena Niehaus:Simona
Stefano Satta Flores:l’autista
Regia Pino Tosini
Soggetto Sergio Perillo
Sceneggiatura Renato Izzo
Casa di produzione Boxer Films
Fotografia Tonino Nardi
Montaggio Massimo Ferlicco
Musiche Michele Francesio
Scenografia Massimo Lentini
La polizia ringrazia
A Roma un’ondata di violenza vede il commissario Bertone e i suoi uomini impegnati in una lotta impari contro la criminalità dilagante; per quanto lui e i suoi uomini si diano da fare, ai loro arresti segue spesso un’indulgenza della magistratura che vanifica il lavoro fatto.
Accade così che Bertone debba assistere alla scarcerazione del Bettarini, un delinquente accusato di aver ucciso un uomo durante una rapina,e di essere anzi messo sotto accusa per i suoi metodi, considerati violenti. Un giorno due balordi, dopo una rapina in una gioielleria, uccidono due persone, e uno di loro, in fuga, rapisce una ragazza e la porta con se i una casa vicino al mare.
Bertone, nonostante sia stato messo sotto accusa dal procuratore Ricciuti, individua uno dei responsabili, che però viene giustiziato da una misteriosa anonima associazione, che fa ritrovare il suo cadavere, quello di Bettarini, quello di una prostituta e quello di un frequentatore di omosessuali sotto dei manifesti che raffigurano uno spazzino con su la scritta Aiutaci a tenere Roma pulita.
L’ondata di omicidi paradossalmente vede l’opinione pubblica e tutti gli uomini del commissario schierati dalla parte della misteriosa banda di giustizieri. Ma Bertone, ligio al suo dovere, decide di indagare, scoprendo, con l’aiuto di una giornalista, alla quale è legato, Sandra, che l’anonima omicidi è finanziata da industriali, magistrati, funzionari di polizia ed è composta da ex agenti congedati per motivi disciplinari.
Gli uomini e i loro capi sono quindi un potenziale pericolo per le istituzioni, che rischiano di essere infiltrate da gente pronta a derive autoritarie. Bertone si reca da quello che considera il capo dell’organizzazione, l’ex questore Stolfi per arrestarlo, ma all’interno del circolo viene assassinato a colpi di fucile dall’anonima. Sarà l’acerrimo nemico di Bertone, il procuratore Ricciuti, ad andare avanti per scoprire le finalità dell’organizzazione.
Bello, asciutto, interessante, La polizia ringrazia, diretto da Steno nel 1972 è forse il più bel poliziesco all’italiana degli anni settanta, sia per la trama, innovativa, sia per la magistrale interpretazione degli attori impiegati, fra i quali spiccano una grande Enrico Maria Salerno nel ruolo di Bertone,Mariangela Melato in quella di Sandra, di Franco Fabrizi, bravissimo a recitare il ruolo del viscido Bettarini.
Enrico Maria Salerno e Cyril Cusack
Una colonna sonora sontuosa, firmata dallo specialista Stelvio Cipriani, mai invadente, rende ancor più attraente questo film, amaro apologo quanto mai attuale, della violenza privata che vuole sostituirsi a quella dello stato per motivi abietti, non certo per amore della giustizia.
Laura Belli
Il film è disponibile in un’ottima versione su Youtube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=U2_Dy49Y91w
La polizia ringrazia,un film di Steno. Con Mario Adorf, Enrico Maria Salerno, Franco Fabrizi, Mariangela Melato, Valentino Macchi.Sergio Serafini, Ezio Sancrotti, Laura Belli, Corrado Gaipa, Cyril Cusack, Gianfranco Barra, Ferdinando Murolo, Fortunato Cecilia, Jurgen Drews, Luciano Bonanni, Gianni Solaro
Drammatico, durata 99 min. – Italia 1972.
Enrico Maria Salerno … Commissario Bertone
Mariangela Melato … Sandra
Mario Adorf … Procuratore distrettuale Ricciuti
Franco Fabrizi … Bettarini
Cyril Cusack … Stolfi
Laura Belli … Anna Maria Sprovieri
Jürgen Drews … Michele Settecamini
Corrado Gaipa … L’avvocato Armani
Ezio Sancrotti … Commissario Santalamenti
Ferdinando Murolo … Capo squadra giustizieri
Gianfranco Barra … Agente Esposito
Regia Steno
Soggetto Steno, Lucio De Caro
Sceneggiatura Steno, Lucio De Caro
Casa di produzione Primex Italiana
Distribuzione (Italia) PAC
Fotografia Riccardo Pallottini
Montaggio Roberto Perpignani
Musiche Stelvio Cipriani