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L’immoralità

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Incredibile pellicola diretta da Massimo Pirri, uno dei registi più coraggiosi e controversi del panorama italiano degli anni ’70. Se è vero come è vero che gli italiani hanno spesso osato mostrare l’ inosabile qui i temi trattati sono davvero belli pesanti! Si passa con disinvoltura dalla violenza sessuale alla pedofilia e la sequenza iniziale è uno di quei cazzotti nello stomaco che fanno subito capire in che razza di incubo il regista vuole precipitare lo spettatore: un serial killer col vizietto di stuprare e uccidere giovanissime adolescenti tiene tra le braccia la sua ultima vittima esanime, la getta in una buca e poi la ricopre di terreno con estrema freddezza e nonchalance… E non sono ancora partiti i titoli di testa!

La storia è di quelle morbose e malsane tanto spesso rappresentate dal nostro cinema di genere, ambientata nella tranquilla e opulenta provincia del Nord Italia (stavolta siamo a Vigevano) che molto spesso, dietro la sua ipocrita facciata di perbenismo, nasconde torbidi segreti. Mentre tutti in città si affannano per catturare il mostro pluriomicida nessuno può immaginare che il suddetto trovi ospitalità e rifugio in casa di una signora bene di mezza età e che, nonostante si conoscano gli atroci ed efferati crimini di cui si è macchiato, diventi oggetto di desiderio sessuale sia della padrona di casa sia di sua figlia dodicenne! Francamente mi stupisco che un film simile sia scampato alle forbici spietate della censura, anche perchè lo shock è garantito:

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Howard Ross impersona magnificamente il suo orribile personaggio e anche l’ ottima Lisa Gastoni, già protagonista di notevoli pellicole ad alto tasso erotico, è perfetta nel ruolo di donna matura e ninfomane già visto altre volte. Ciò che invece nessuno si aspetta è la performance della giovanissima Karin Trentephol, piccola lolita (e autentica meteora poi sparita nel nulla) che in una scena malatissima e disturbante si mostra dapprima in topless per poi regalare la sua verginità al maniaco pedofilo… Roba da non credere! Oggi una scena simile nessuno avrebbe mai il coraggio di girarla…

Insomma dopo il singolare “Càlamo” (del quale si vede nel film una piccola sequenza trasmessa da una tv) Massimo Pirri si conferma un autore interessante, purtroppo poco prolifico. Buona anche la colonna sonora di Ennio Morricone, forse un po’ ripetitiva in alcuni passaggi ma comunque sempre di livello. Un film che non dimenticherete.
Federico Anselmi (Howard Ross) sta fuggendo dopo aver sepolto in una buca una bambina di circa 10 anni che ha stuprato e strangolato: si tratta della sua quarta vittima. Il pulmino azzurro su cui viaggia, già avvistato e segnalato da alcuni genitori nei pressi di una scuola, è ormai nel mirino di polizia e carabinieri e, dopo un inseguimento, l’ uomo viene ferito ad un braccio da un colpo di arma da fuoco. Tuttavia, fuggendo a piedi, riesce a dileguarsi nella fitta vegetazione circostante. A soccorrerlo è Simona (Karin Trentephol), una bambina di 12 anni che vive in una enorme villa isolata con sua madre Vera (Lisa Gastoni) e suo padre paralitico (Mel Ferrer). La ragazzina nasconde l’ orco in una mansarda dove è solita giocare sola e dove nessuno viene mai a cercarla. Intanto alle forze dell’ ordine si aggiungono anche alcuni cittadini armati di fucili e intenzionati a farsi giustizia da soli ma il mostro cui tutti danno la caccia sembra però svanito nel nulla…

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Vera, che è una piacente donna di mezza età, ricca, borghese e annoiata, tradisce continuamente l’ anziano marito con amanti occasionali ma lui sembra non accorgersi di nulla, intento a coltivare ossessivamente la sua passione per orologi e fucili da caccia. La donna non tarda a scoprire la presenza particolare del nuovo “ospite” e, pur sapendo perfettamente chi ha di fronte e cosa ha fatto (radio e tv non parlano d’ altro), diventa la sua amante e tenta di sfruttare la cosa a suo vantaggio: vuole fargli uccidere il suo vecchio e malconcio consorte e uscirne così con le mani pulite. Il rapporto carnale tra i due scatenerà la gelosia della piccola Simona con conseguenze tragiche…

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Un film di Massimo Pirri. Con Mel Ferrer, Lisa Gastoni, Howard Ross, Ida Meda,Wolfango Soldati, Andrea Franchetti Drammatico, durata 93 min. – Italia 1978

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Lisa Gastoni: Vera
Howard Ross: Federico Anselmi
Karin Trentepohl: Simona
Andrea Franchetti: commissario
Mel Ferrer: marito di Vera
Wolfango Soldati: Antonio

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Regia Massimo Pirri
Soggetto Morando Morandini Jr.,Massimo Pirri,Federico Tofi
Sceneggiatura Morando Morandini Jr.,Massimo Pirri,Federico Tofi
Produttore Benedetto Conversi
Casa di produzione Una Cinecooperativa Ducale Film
Fotografia Riccardo Pallottini
Montaggio Cleofe Conversi
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Sergio Palmieri
Costumi Sergio Palmieri
Trucco Stefano Trani

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L’opinione di libertàdiparola75 dal sito http://www.filmtv.it

Malvivente in fuga capita nella casa di una donna e della di lei figlioletta. La signora è ninfomane e con l’uomo inizierà una torbida relazione. La ragazzina però finirà per sedurlo finchè non eplode la violenza e le pareti si tingono di sangue…Il film più famoso di Massimo Pirri è anche uno dei massimi capolavori del cinema scandaloso italiano. Già il menage a tre dove c’è una scena di sesso pseudo pedofila (la ragazzina ha 12 anni! Interpreta il ruolo Karin Trentephol, dal visino molto infantile…) merita l’applauso per il coraggio di mostrare (non fraintendete le mie parole, questa è tutta finzione e comunque le storie così sono contro la violenza ai minori. Sono coraggiose opere di denuncia!). Avvincente (da autentico noir classico) la sceneggiatura! Questo è il cinema che in Italia non esiste più, ormai rovinato dalle Mocciate…ma perchè non le “Bocciate”???

L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it

Intricato garbuglio di poliziesco, thriller, erotismo, romanzo psicologico in cui ogni componente del lavoro è trattata in maniera tanto grossolana e superficiale da suscitare perfino più risate che sbadigli. C’è perfino – la prima cosa che sicuramente colpisce lo spettatore – una scena a ridosso del soft-porno pedofilo, il che non volge a favore delle capacità mentali del regista e dei suoi sceneggiatori (Morando Morandini jr. e Federico Tofi, ma c’è anche la firma dello stesso Pirri sul copione); per fortuna si tratta di pochi secondi, ma realmente disturbanti poichè trattati come fosse una scena di sesso qualunque, mentre nei fatti uno dei due partner ha 12 anni e quanto sta accadendo è completamente gratuito, sia l’atto in sè che le inquadrature morbose. In tutto ciò abbiamo pure una trama sgangherata, delirante e piena di falle logiche ed una recitazione approssimativa da parte di tre quarti del cast; dinanzi a tanto canile, Lisa Gastoni e Mel Ferrer che ci azzeccano? Probabilmente solo una questione economica può averli convinti a prendere parte ad un simile lavoraccio, come si spera sia avvenuto per il buon vecchio Morricone, che elabora una colonna sonora nemmeno tanto ispirata (e un po’ va biasimato). Un sottoprodotto del cinema nostrano che non ha nulla da dire, e lo dice pure male

Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

Fauno

Un ambiente tetro, ove odio, violenza interiore e disperato spirito di rivalsa fanno implodere i suoi eroi… come introspettore Pirri ne ha veramente pochi al suo livello. Le falle inevitabili dello scarso budget e dei limitati mezzi tecnici sono tappate dal disprezzo e dalla spregiudicatezza della Gastoni, nonchè dalla faccia d’angelo e dal fisico da spaccapietra di un Ross pervaso da morbosità maniacali. Tanti personaggi, tutti negativi, ma per non cadere nella banalità o nell’ovvio bisogna essere davvero bravi e Pirri lo è, eccome se lo è…

Lucius

L’immoralità è nella mente di chi giudica, di chi considera “eccessivo” lo stile di vita altrui, di una donna, la protagonista del film, che non sa vivere, che non sa più come sfuggire a una situazione che le sta troppo stretta e di una ragazzina, sua figlia, che non ha mai avuto attenzioni e che per questo ha fretta di crescere. Un film in grado di coniugare il thrilling con l’erotismo senza mai perdere il proprio realismo pur sovvertendo le regole della logica. Incentrato su una grandiosa performance attoriale delle Gastoni. E’ un crimine amare?

Trivex

Dolcemente accompagnato da uno struggente motivo musicale, si fa strada un film inguaribilmente malato e moderatamente disturbante. Non siamo nell’exploitation fisico, ma la masturbazione sostituita precomente dal rapporto sessuale, con il criminale pedofilo di turno, porta la traccia verso la patologia. Poi, lo stabilire se c’è l’arte o solo il commerciale gusto del perverso, spetta a soggetti dotati di maggiore dimestichezza con la filosofia. Resta inevitabilmente un film scandaloso, dotato di una discreta tecnica e con un doppiaggio molto discutibile.

Undying

Lontano da atmosfere poliziesche (Italia: Ultimo Atto?) Pirri dirige una pellicola in bilico tra erotismo esplicito/veniale (garantito dalla presenza della Gastoni e dalla sensuale Karin Trentephol) e cifra stilistica autoriale (impostata sull’analisi della incomunicabilità generazionale). Il film s’inserisce nel (de)genere familiare, narrando d’un maniaco sessuale macchiatosi di atroci delitti e recluso nella mansarda da una assatanata, sposata con un anziano paralitico. Sarà, però, la figlia della ninfomane a condurre il gioco, che mira all’inevitabile eredità. Ottimo lo score di Morricone.

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aprile 19, 2016 Posted by | Drammatico | , , , | Lascia un commento

Le regine dei sogni anni 70 oggi parte seconda

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Uno degli articoli più seguiti su Filmscoop riguarda certamente la gallery di foto delle attrici più belle e famose degli anni 60 e 70 ai giorni odierni https://filmscoop.wordpress.com/2010/11/05/le-regine-dei-sogni-anni-70-oggi/

Ecco una nuova galleria di altre attrici. Sono donne bellissime,sensuali alle prese con il passare degli anni; oggi sono tutte delle mature signore,ancora belle e affascinanti.Alcune di loro hanno proseguito regolarmente l’attività cinematografica,altre sono diventate manager,lavorano nel cinema ma non più come attrici, altre non hanno più avuto a che fare con il grande schermo.Questi sono i loro volti,oggi.

 Cinzia MonrealeSempre bellissima e affascinante,comprimaria in molte commedie sexy: Cinzia Monreale

Carole AndrÞ

La celebre Marianna del Sandokan televisivo,attrice di talento: Carole Andrè

Carla Gravina

Sempre affascinante: Carla Gravina

Barbara Magnolfi

Barbara Magnolfi

Barbara De Rossi

Reginetta dei fotoromanzi,buona attrice di film e fictionBarbara De Rossi

Ania Pieroni

L’indimenticabile volto di Inferno: Ania Pieroni

Claudine Auger

L’ex Bond girl Claudine Auger

Stella carnacina

Sempre bellissima,l’attrice e cantante Stella Carnacina

 Olga Karlatos

E’ stata una delle protagoniste del cinema 70, Olga Karlatos

Nadia Cassini

Il posteriore più ammirato del cinema sexy, Nadia Cassini

Monica Zanchi

Protagonista dei film della serie Emanuelle, Monica Zanchi

Maria Grazia Buccella

Reginetta di bellezza nella commedia anni 70, Maria Grazia Buccella

Lisa Gastoni

Bellissima e sensuale, Lisa Gastoni

Lilli Carati

Una storia personale travagliata, Lilli Carati

Ines Pellegrini

L’attrice preferita da Pasolini, Ines Pellegrini

Haydee Politoff

Inconfondibile il sorriso di Haydee Politoff

Francoise Fabian

Splendida: Francoise Fabian

Florinda Bolkan

Un autentico mito: Florinda Bolkan 

Florence Guerin

Sempre affascinante la reginetta dei soft core anni 80, Florence Guerin

Elke Sommer

La protagonista dei film di Bava, Elke Sommer

Dominique Sanda

L’indimenticabile Dominique Sanda

Daria Nicolodi

La regina del thriller, Daria Nicolodi

Daniela Giordano

Sempre bella, l’ex reginetta Daniela Giordano

Seguite il link aggiornamenti per vedere le gallerie ricaricate!

https://filmscoop.wordpress.com/2014/09/01/aggiornamenti/

settembre 18, 2014 Posted by | Miscellanea | , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Maddalena

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Una Lisa Gastoni bella e sensuale, qualche paesaggio marino peraltro non particolarmente affascinante e una storia abbastanza improbabile di una passione cieca e incontrollata che porta una donna sposata e insoddisfatta a cercare in tutti i modi di sedurre un giovane prete di per se già alle prese con una vocazione traballante.
Questi gli scarni ingredienti sui quali Jerzy Kawalerowicz, regista polacco poco conosciuto in Italia, scomparso nel 2007,imbastisce una storia poco interessante incentrandola sul personaggio di Maddalena, classica moglie pruriginosa che cerca al di fuori del matrimonio di soddisfare le proprie pruderie in un crescendo di eccessi che la portano dapprima ad imbottirsi di alcool per poi passare alla trasgressione sessuale
La vita dissoluta però crea anche dei problemi psicologici nella donna, che si rende conto di essere avviata verso l’abisso della perdizione; conosciuto un giovane sacerdote ad una festa, la donna, colpita dalla genuinità dell’uomo, decide di affidarsi spiritualmente all’uomo.

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Così Maddalena inizia un percorso di redenzione che però ben presto si trasforma in un’autentica ossessione.
Il giovane prete è turbato da quella donna magneticamente sensuale e starebbe quasi per cedere; tuttavia quando vede Maddalena concedersi ad un pescatore, riesce a tirarsi indietro; nel frattempo vediamo attraverso dei flashback Maddalena assistere impassibile alla morte del marito, durante un incidente stradale nel quale i due coniugi restano coinvolti.
Maddalena prosegue la sua opera di seduzione nei confronti del prete fino al drammatico finale: su una spiaggia sulla quale i due si sono incontrati ….
Girato da Kawalerowicz nel 1971, Maddalena è un film senza anima che parte con un vizio capitale: quello di non avere il coraggio di approfondire le due personalità attorno alle quali si sviluppa il film, una specie di tragedia che ha un andamento saltellante.

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Momenti tutto sommato felici si alternano a parti decisamente inutili o prive di un senso compiuto.
La figura della dissoluta Maddalena appare guidata solo da un istinto primario di soddisfazione dei sensi, mentre il personaggio del sacerdote, la sua crisi vocazionale e i suoi dubbi sono lasciati, man mano che la pellicola scorre, all’intuizione dello spettatore.
Gioca contro anche l’uso perseverante del rallenty, del flash back e la scarsa attitudine del regista ad andare oltre l’epidermide della storia.
In pratica, manca il coraggio.
Il coraggio di indagare sui sentimenti di Maddalena e del prete, sulle loro vere motivazioni, sulle loro crisi spirituali;tutto invece finisce per assumere un’aria morbosa nella quale annaspano le due figure.
Per fortuna Lisa Gastoni, attrice di razza e splendida e sensuale donna, riesce a tenere a galla il tutto, grazie alla sua aria inquietante e ad una interpretazione volitiva, che lascia intuire i lati oscuri della personalità di Maddalena, altrimenti mossa da sentimenti poco comprensibili.

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Piatta la recitazione di Eric Woofe, il giovane prete tormentato, che porta a spasso per il film un’espressione stereotipata che mostra come l’attore sia incapace di dare profondità al personaggio.
Film poco interessante quindi,che inizia con la drammatica sequenza dell’incidente per poi mostrarci una Maddalena impegnata in uno sfrenato ballo sensuale e introdurre successivamente i personaggio centrale del sacerdote.Il tutto con poca originalità e sopratutto con poco interesse da parte dello spettatore.
Il film è disponibile in una versione passabile e in italiano su You tube, all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=vZ4S1XY7fP8

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un film di Jerzy Kawalerowicz, con Lisa Gastoni,Eric Woofe, Ivo Garrani, Paolo Gozlino, Barbara Pilavin, Ezio Marano, Lucia Alberti, Pietro Fumelli, Ermelinda De Felice, Paolo Bonacelli Durata 116 minuti Drammatico Italia 1971

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Lisa Gastoni: Maddalena
Eric Woofe: il sacerdote
Ivo Garrani: marito di Maddalena

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Regia: Jerzy Kawalerowicz
Sceneggiatura:Jerzy Kawalerowicz
Fotografia:Gábor Pogány
Montaggio:Franco Arcalli
Musiche:Ennio Morricone
Produzione:UNITAS (ROMA) BOSNA (SARAJEVO)

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L’opinione di Segnalazioni cinematografiche

Nel tentativo di riprendere il tema della peccatrice evangelica (qui presentata nelle vesti di una donna che cerca di redimersi tentando, con tutti i mezzi a propria disposizione, sia fisici che ideologici, un giovane prete tormentato e dubbioso), il film scade, per la insulsaggine dei e la conseguente incredibilità psicologica dei personaggi, al livello di un banale fotoromanzo. Inoltre, presenta il sacerdozio come una “deminutio hominis”, uno stato di inferiorità esistenziale, una scelta che rende chi lo esercita incapace di andare, nell’amore del prossimo, al di là delle parole pronunciate dal pulpito o nel confessionale

L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com

Anche questo regista dal cognome impronunciabile, come altri prima e dopo, ha sfruttato appieno il fisico e l’aspetto della Gastoni, nonchè l’estrema caparbietà e spregiudicatezza per soddisfare le sue bramosie. I risultati ci sono, spesso nella prima mezz’ora i flashback danno al film una parvenza quasi metaforica. Nel seguito non dico ci sia un calo, ma non vi è neppure la progressione necessaria o la linfa vitale che possa giustificare un titolo così provocatorio. Alla fine non emerge, ma una visione la merita.

L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com

Affascinante e dissoluta signora borghese si insinua con esiti tragici nella vita di un giovane prete dubbioso e tormentato. Opera “maledetta” del polacco Kawalerowicz in trasferta in Italia, il film procede a singhiozzo, alternando momenti di suggestione a cadute nel fumettistico e a risibili estetismi esasperati dall’uso eccessivo del rallenty e dalla splendida ma debordante musica di Morricone. Lisa Gastoni è brava e molto sensuale ma il suo personaggio è, come quello del prete e come tutto il contesto, privo di qualunque crebilità.

 

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Maggio 15, 2014 Posted by | Drammatico | , | Lascia un commento

Grazie zia

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Esordio alla regia per Salvatore Samperi, regista padovano morto nel 2009 a 65 anni.
Grazie zia è un film importante, ad onta del titolo che sembrerebbe anticipare il florido filone delle commedie sexy parentali che negli anni settanta esplorarono, con molta pruriginosità e poca inventiva, il dramma reale dell’incesto che è sempre stato vissuto come uno dei tabù più oscuri e meno esplorati della sessualità umana.
Il film di Samperi in realtà ha ben poco di scabroso, almeno dal punto di vista visivo perchè si limita all’illustrazione di un rapporto sado masochistico che si sviluppa tra una zia e suo nipote;tuttavia è un film importante proprio perchè la parte scabrosa viene edulcorata a tutto vantaggio della rappresentazione drammatica di uno scontro morale che vediamo illustrato, man mano che il film avanza, tra due diversi personaggi che finiscono per diventare emblemi della società che rappresentano.

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Da un lato troviamo una donna matura, placidamente adagiata in una vita senza grosse scosse e quindi borghese e un tantino annoiata, con tanto di amante intellettuale (ovviamente di sinistra) e dall’altro un giovane ribelle che sente un confuso e anarcoide sentimento di ribellione verso l’ordine costituito, verso i totem della borghesia e in ultima analisi in perfetta simbiosi con quello che avviene in Europa in quegli anni ovvero la contestazione studentesca che sfoceranno nel maggio francese.
Samperi quindi dirige Grazie zia proprio nel momento di massima crisi e di massima tensione che la società si ritrova a vivere, scossa dalle fondamenta dai suoi stessi figli che non si riconoscono nel mondo degli adulti e che verrà sintetizzato con l’ormai trito slogan della “fantasia al potere“.
Il film quindi per certi versi è anticipatore di tematiche importanti, pregnanti: con molto coraggio e con molta incoscienza Samperi, che non dimentichiamolo aveva appena 24 anni porta sullo schermo una vicenda scabrosa raccontandola con un rigore e una sobrietà assolutamente sorprendenti in un esordiente.
Il bianco e nero assoluto in cui viene girato il film estremizza la storia, quasi volesse rappresentare, con i due colori antitetici, l’assoluta impossibilità di dialogo e di comprensione tra i due mondi, quello borghese appunto e quello giovanile.
Proprio l’andamento della storia e il suo tragico finale propongono infatti una visione auto distruttiva della società;quel’eutanasia chiesta dal protagonista alla sua amante e succube zia altro non è che la rappresentazione di una società che incapace di comprendere alla fine fagocita e distrugge.

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Grazie zia è un bel film, caratterizzato da un ritmo solo all’apparenza indolente, retto invece da una coerenza e da una drammaticità che il futuro regista di opere più smaccatamente erotiche non raggiungerà più, come dimostreranno i vari Malizia, Fotografando Patrizia ecc., con le dovute eccezioni di film particolari e a tratti incompresi come Nenè.
Ma qui siamo al Samperi ancora arrabbiato, al Samperi “sessantottino”, che disseziona il sociale proponendo una sua visione estremamente coerente del presente, una visione in cui gli ideali del sessantotto sono rappresentati visivamente con ardore forse confusionario ma di sicuro interesse.
Grazie zia racconta la parabola discendente della società, attraverso due personaggi che vengono a trovarsi casualmente a contatto:Lea e suo nipote Alvise.
Tra i due nascerà una storia proibita, un incesto però più portato e votato alla distruzione che al compimento del mero atto sessuale, un atto di rivolta di un giovane verso i pilastri della società borghese.

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Alla quale appartiene Lea, donna matura ma dal fascino sensuale, che un giorno si vede affidare suo nipote dal padre del ragazzo; Alvise soffre di una forma di paralisi agli arti che in realtà non è nemmeno psico somatica, visto che il giovane è sanissimo e che ha scelto quella forma estrema di protesta per evitare di essere incanalato, irrigimentato dal padre alla direzione dell’industria di famiglia.
Alvise viene quindi affidato, complice anche l’allontanamento dei suoi distratti e indaffarati genitori alle cure di zia Lea, che nn slo è un medico ma che ha da sempre un rapporto di simpatia e affetto con il ragazzo.
Alvise però ha troppa rabbia dentro:è offuscato nella mente dal suo velleitarismo libertario e anarcoide e dal momento del suo arrivo inizia una sottile e perversa opera di seduzione di sua zia.Una seduzione che, come dicevo prima, non è tanto sessuale quanto psicologica.Il giovane sembra infatti utilizzare Lea come bersaglio della sua rabbia e lo dimostra schiavizzando e umiliando, in più occasioni, la troppo passiva Lea.
Tra i due nasce un rapporto di dominazione completa ed esclusiva, con Alvise che trascina Lea, nella sua lucida follia, in un rapporto ai confini scuri del sadismo e del masochismo.
Lea accetta supinamente il tutto finendo per sacrificare all’ambiguo rapporto con il ragazzo sia la sua vita sentimentale sia la sua vita professionale.
Il rapporto di sudditanza di Lea raggiunge l’apice nel finale, quando cioè Alvise chiederà a sua zia di porre fine alla sua vita, vita che il giovane non riesce più a sopportare preda com’è delle sue frustrazioni e delle sue angosce esistenziali.
E Lea lo farà, senza esitare, perchè ormai è solo un docile strumento sopraffatto dalla imperiosa e dominante volontà di Alvise…
L’uscita del film fu caratterizzata da polemiche senza fine che si tramutarono in un formidabile battage pubblicitario per il film che difatti divenne uno dei più visti dell’annata.
Due fazioni contrapposte si schierarono pro e contro la buona fede di Samperi :ci fu chi vide nel film analogie con I pugni in tasca di Bellocchio e quindi una pellicola tesa a mostrare la rabbia giovanile ,le psicosi e le manie che serpeggiavano in modo malatissimo all’interno della classe borghese e chi invece considera il regista veneto un furbetto che era riuscito a cavalcare l’onda giusta, quella della rabbia e della contestazione giovanile per ricavare qualche soldo e un po di fama.
Probabilmente questo tipo di appunto andrebbe fatto al successivo Cuore di mamma, decisamente più furbetto e meno candido di questo esordio.

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Fondamentale per l’economia del film la presenza nel cast della bellissima e sensuale Lisa Gastoni, che aldilà dell’interpretazione magistrale del personaggio di Lea si trasformò per Samperi, esordiente e poco padrone ancora del mezzo, in una guida anche tecnica come ammesso dal regista in una delle sue ultime interviste.
L’attrice ligure, che aveva 33 anni all’inizio delle riprese, era di una bellezza e di una sensualità addirittura imbarazzanti;nel 1968 aveva già alle spalle decine di film dei più svariati generi e si può dire che era una delle più apprezzate interpreti del cinema nostrano.
Molto bravo anche il venticinquenne Lou Castel, che nel film interpreta il nevrotico Alvise; il personaggio da lui interpretato in realtà avrebbe diciassette anni, ma il volto quasi adolescenziale dell’attore riesce a rendere credibile il personaggio.
Grazie zia è un film che riveste quindi una grande importanza per il nostro cinema pre settanta, aldilà anche degli effettivi meriti.
Va da se che oggi appare pesantemente datato ma resta un utile documento per chiarire aspetti di quell’epoca irripetibile.

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Grazie, zia

Un film di Salvatore Samperi. Con Gabriele Ferzetti, Lisa Gastoni, Lou Castel, Nicoletta Rizzi, Massimo Sarchielli Drammatico, durata 94′ min. – Italia 1968

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Lisa Gastoni: zia Lea
Lou Castel: Alvise
Gabriele Ferzetti: Stefano
Luisa De Santis: Nicoletta la cantante
Massimo Sarchielli: Massimo
Nicoletta Rizzi: segretaria del padre di Alvise

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Regia Salvatore Samperi
Soggetto Salvatore Samperi
Sceneggiatura Salvatore Samperi, Sergio Bazzini, Pier Luigi Murgia
Produttore Enzo Doria
Casa di produzione Doria G. Film
Fotografia Aldo Scavarda
Montaggio Silvano Agosti (accreditato come Alessandro Giselli)
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Giorgio Mecchia Madalena
Costumi Claudio Cordaro

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L’opinione di Outsider dal sito http://www.filmscoop.it

Or dunque, “Grazie,Zia” è un film molto interessante che merita una riflessione e un riconoscimento.
L’opera, caratteristico prodotto del periodo in cui è girato, abilmente ricostruisce l’alienazione e l’amarezza ( stati d’animo su cui si soffermarono vari registi particolarmente nel decennio ’58-’68).
Viene trattato il tema della persona disabile, peraltro inquadrata in un periodo difficile e pesante per la condizione.
L’attore infatti fa la parte di un 17 enne ( anche se di anni ne dimostra almeno una decina in più, almeno dico) e inoltre recita molto bene in quello stile che al tempo avevano cucito addosso molti ricchi scontenti, con in più l’afflizione ed il degrado dato dall’incattivimento per la malattia.
Altri due attori meravigliosi, Gabriele Ferzetti, praticamente perfetto, recitazione ed espressività da premio Oscar e Lisa Gastoni, fantastica (una delle mie attrici preferite da notti insonni e convulsioni dall’eccitazione) i cui due occhi verdi da cerbiatta, (quasi fosse il suo sguardo antesignano dell’azzurrina Crescentini, ma più conturbante nel calore) non spiccano causa il bianco e nero. La Gastoni era un’attrice che recitava meravigliosamente con movenze da sapiente attrice di teatro, la ricordo in un film di Totò all’epoca schernito dalla critica, demolito e definito filmetto “totò monaco di monza”, con Macario ed il grandissimo nino taranto. Donna capacissima, ligure di nascita, padre torinese e madre irlandese, Lisa Gastoni ha interpretato da fuoriclasse tutti i ruoli più difficili, ovvero quelli in cui l’attrice deve incarnare momento per momento i sobbalzi dati da situazioni torbide causate da sentimenti che conducono all’instabilità e alla sofferenza, come la passione e l’attaccamento all’uomo sbagliato o disonesto.
Il cinema ha saputo vedere queste qualità e la sua filmografia, un po’ sottovalutata, è stata costruita sul valore interpretativo e non solo sull’apparenza di bella donna (che nulla aveva da invidiare alle altre) cosa a dire il vero difficile anche allora.
Grazie Zia è un film sapientemente costruito e diretto, che, dopo aver descritto alienazione, infelicità e scontentezza, lascia spazio all’amarezza, di cui anche lo spettatore è invaso. Anche la bellissima Gastoni, Dottoressa in clinica, intelligente, giovanile, piena di stile e fascino, diviene un giocattolo nelle mani del ragazzo e si abbandona al torbido gioco.
I limiti della sceneggiatura portano il film a non decollare mai, quello che sembrerebbe dover accadere si trascina in un morboso gioco al massacro, in un vortice realistico a tratti ma successivamente improbabile.
Tre sono i momenti del cambio di rotta:
la sparizione di Ferzetti che esce dalla vita della dottoressa, ma che recava seco solo abitudinarietà ed egoismo, anche se in qualche momento sembra sublimarsi, in realtà è un uomo che non ama davvero e/o da cui la Nostra non si sente amata
la scena delle domestiche che si allontanano mentre Lisa e il nipote “giocano” agli innamorati sul tappeto, ( singolare poi la tortura psicologica del giovane;
il “non ritorno” in clinica ( cosa veramente improbabile) della dottoressa, la cui non raggiungibilità viene annunciata ai sanitari che telefonano, dal nipote, cosa davvero poco realistica, semi demenziale, forse il regista ha voluto sottolineare il delirio psicopatologico, davvero improbabile, anche vista la professione medica di Lisa.
La trama nella seconda parte si avvita su se stessa, rallenta, annoia. Tuttavia Sampietri ci conduce dove vuole, allo stato d’animo che vuole destare, ovvero fa sì che lo spettatore si compenetri nell’improbabile delirium.
Tecnicamente alcune inquadrature tradiscono davvero una mancanza tecnica che, evidentemente, al tempo non poteva essere corretta mancando la moltitudine direzionale delle riprese che il digitale ha portato. Primi piani traballanti, da cine amatore poco esperto, in un dialogo fra la Gastoni e Ferzetti.
L’ultima scena, invece, l’inquadratura che posteriormente alla scena si allontana, ci fa capire come la cultura delle riprese di scena il regista l’avesse eccome, l’ispirazione c’era. Con quell’inquadratura si dice tutto. Resta l’amaro in bocca, con l’unico sapore zuccheroso di aver visto uno splendido fondoschiena in bianco e nero, che ha fatto leccare i BaFFi anche e soprattutto al Vecchio Outsider. Scena da urlo, quella dello specchio. Pollice su.

L’opinione di Gordiano Lupi dal suo sito cinetecadicaino.blogspot.it

(…) Il leitmotiv della pellicola è il suicidio, che in un finale da thriller erotico diventa eutanasia, come per significare che non c’è scelta per chi vorrebbe vivere in un mondo diverso. Non basta l’erotismo, non serve il sadismo e la perversione, neppure far soffrire chi ci ama è la soluzione. La morte è la decisione finale, quasi scontata, l’ultima forma possibile di ribellione nei confronti della vita.
Gli attori sono molto bravi, specie i tre protagonisti (Castel, Gastoni e Ferzetti), ma stendiamo uno pietoso velo su Nicoletta Rizzi, la cantante che prova a intonare Auschwitz – Canzone del bambino nel vento, che fa rimpiangere non poco l’originale di Guccini. La Rizzi ricopre il ruolo della coetanea che dovrebbe far ingelosire la zia quando si apparta con Alvise e insieme ridono di lei.
Il film è girato a Padova, in grande economia, tra ville di campagna e alberghi, producendo molti imitatori negli anni Settanta, persino a livello di ambientazione. Grazie zia fa nascere un sottogenere, quello dei Peccati in famiglia, che darà vita a una serie interminabile di opere classificabili come commedia sexy. In questa sede ricordiamo il satirico Grazie nonna (1975) di Marino Girolami, interpretato da Edwige Fenech, ma anche La nipote (1974) di Nello Rossati e Cugini carnali (1974) di Luciano Martino. Salvatore Samperi anticipa in versione drammatica molti temi erotico – voyeuristici che torneranno in Malizia (1973) in chiave prettamente comica. I titoli di testa, introdotti da un gustoso cartone animato, ingannano sul tenore della pellicola che non ha niente di umoristico. Fotografia perfetta in un bianco e nero livido e suggestivo, di Aldo Scavardo, una scelta e non una necessità, che merita un Nastro d’Argento. La Gastoni non è da meno come interprete, premiata ai David di Donatello.(…)
L’opinione di gianleo 67 dal sito http://www.mymovies.it

Alvise, rampollo viziato e ribelle di una ricca famiglia di industriali veneti, finge una paraplegia per attrarre le attenzioni di genitori distratti. Finisce accudito in casa della bella e matura zia materna. Tra una nevrosi e l’altra il rapporto tra i due si fa sempre più morboso e malato. Epilogo tragico. Dramma psicologico giocato sul registro ironico di una di una poco convincente satira anti-sociale e su quello ancor meno riuscito di pruriginosa e iconoclasta commedia di costume. Gli elementi che vorrebbero definire il clima di contestazione sociale e politica (correva l’anno 1968!) paiono ingenuamente abbozzati in una cornice ideologica superficiale e spesso irritante, risolvendosi talvolta con ridicole soluzioni figurative (il plastico che riproduce un classico scenario di guerra in Vietnam, la demenziale contabilità degli ‘offesi’ sul campo, la reazionarietà retriva del falso intellettuale ‘liberal’ impegnato in un reportage sulla tragedia degli alluvionati, persino un primo piano di un ritratto di Stalin!). Vale più come tragica messa a fuoco di una certa disgregazione dei valori sociali tradizionali (la famiglia, la repressione sessuale, il rigetto di convenzioni piccolo-borghesi) e più sul piano teorico che pratico. Un esordiente e acerbo (ancorchè abile) Samperi si cimenta con un soggetto difficile e dal fascino morboso, ma sbaglia sovente il registro e pare più interessante nel filmare il dettaglio di un disagio esistenziale attraverso la gestualità ed il linguaggio non verbale che nella insistita prolissità declamatoria di certe scene. Non giova alla causa nemmeno un ritmo frammentato e discontinuo (ancorchè sostenuto da una ossessiva litania fanciullesca del maestro Morricone), nè la scialba prova degli attori: un Lou Castel gigione e un pò sopra le righe ed una Lisa Gatoni di algida staticità. Di routine la prova del sempre bravo Ferzetti. Finale un pò fiacco, dove le pulsioni autodistruttive e la morbosità dell’incestuoso rapporto sado-masochistico tra i due protagonisti non raggiungono un climax di tragica credibilità. Una buona occasione mancata.

L’opinione di silenzio dal sito http://www.davinotti.com

Il serpentino, capriccioso, impertinente Alvise e l’annoiata, sensuosa, protettiva Lea reagiscono alla fissità borghese che li circonda instaurando un rapporto ludico-erotico che non può che consumarsi sotto l’ala di Thanatos. Dotato di una genuina carica politica, il film di Samperi funziona a tutt’oggi come ritratto impietoso e sentito di due “vittime” della noia e del malessere sociale. Castel ricalca il suo Alessandro de I pugni in tasca. Funzionali le neniose e bambinesche note di Morricone.

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marzo 12, 2014 Posted by | Drammatico | , | Lascia un commento

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Ely e Marco hanno in comune esperienze personali infantili molto simili; entrambi infatti sono stati traumatizzati da due eventi che hanno finito per condizionare pesantemente le loro psiche.
Ely ha assistito a rapporti sessuali fra i genitori mentre Marco ha dovuto subire un’iniziazione sessuale voluta dal padre che si è trasformata in un incubo.
Divenuti adulti i due hanno sviluppato una sessualità distorta; Ely si è trasformata in una ninfomane mai (e mal) appagata mentre Marco ha finito per orientare la sua sfera sessuale verso l’omosessualità.
I due decidono così di sposarsi, cercando contemporaneamente l’uno nell’altro un sostegno alle proprie insicurezze oltre che tentare un’impossibile via d’uscita per quelle che sono le loro ambiguità sessuali.

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L’esperimento non funziona, anche per l’arrivo di George, un antiquario che in passato ha avuto una relazione omosex con Marco, che continua a vivere con fortissimi sensi di colpa e senza equilibrio emotivo i propri problemi psicologici.
I due continueranno la propria personale discesa all’inferno non risolvendo in alcun modo i problemi; mentre Ely dice addio ad uno scrittore che con pazienza aveva tentato (inutilmente) di avvicinarla al vero amore, marco si avvierà sul personale sentiero della tragedia…
Drammone datato 1975, Labbra di lurido blu è un film diretto da Giulio Petroni che all’epoca della sua uscita suscitò molto scalpore per i temi sessuali affrontati, la sessualità esasperata e distorta che sconfina nella ninfomania simboleggiata dal personaggio di Ely) e l’omosessualità di origine traumatica che sviluppa Marco a seguito della prima esperienza sessuale deprimente e castrante subita per colpa del padre.

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Su questi due temi che finiscono per allacciarsi nel destino delle vite di due personaggi che non hanno alcuna possibilità di aiutarsi, Petroni costruisce un film elegante ma abbastanza uniforme nel suo svolgimento, che spesso indugia in dialoghi troppo lenti e poco appassionanti.
Sullo sfondo di una provincia bigotta e moralista, le due vite dei personaggi principali scivolano lentamente verso il destino che li attende dietro l’angolo, attraverso la descrizione di irrisolti problemi psicologici che si acuiranno man mano che il film si avvicina al tragico epilogo.
Se la confezione è elegante forse le tante citazioni letterarie finiscono per rendere un po indigesto l’assieme, che però ha comunque una buona resa finale.
Grazie anche alla bella colonna sonora di Morricone, i drammi delle due esistenze appaiono facilmente percepibili dallo spettatore; le critiche dei moderni spettatori sono del tutto ingenerose perchè non tengono conto del contesto sociale dell’epoca in cui il film fu girato, un’epoca in cui i temi della sessualità erano tabù, in particolare quelli dell’omosessualità maschile.

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Petroni utilizza al minimo le scene scabrose confermando l’intento di fare un film psicologico e non visivo sul piano scandalistico o peggio voyeuristico; intento perfettamente suffragato dal risultato finale, che consegna al pubblico una pellicola equilibrata anche se, come già detto, un tantino indigesta.
Gli attori del film danno buona prova di se, a partire dalla bellissima Lisa Gastoni, che recita nella parte di Ely e Corrado Pani, ambiguo quanto basta in quelli di Marco.
A corredo del film in parti secondarie troviamo il bravo Silvano Tranquilli nel ruolo di Davide Levi, lo scrittore che inutilmente tenterà di strappare Ely ai suoi fantasmi e Jeremy Kemp in quelli di George Stevens, l’uomo che appartiene al passato di Marco e che tenterà di strappare proprio Marco alla narcosi del suo matrimonio con Ely.
Divenuto un vero e proprio “invisibile” nel tempo, il film di Petroni è stato fino a poco tempo fa uno dei film più osteggiato di sempre; un po per il tema trattato, un po per una fama assolutamente immeritata di film erotico,Labbra di lurido blu è circolato solo in versioni ricavate da vecchie e malandate VHS.
Oggi esiste una versione digitale del film, che però e irrintracciabile sul web, cosa che rende ancora una volta il film praticamente invisibile, mentre c’è una versione di buona qualità all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=GInqxa86n88

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Labbra di lurido blu
Un film di Giulio Petroni. Con Silvano Tranquilli, Lisa Gastoni, Corrado Pani, Hélène Chanel, Gino Santercole, Armando Brancia, Jeremy Kemp, Alberto Tarallo Drammatico, durata 120′ min. – Italia 1975.

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Lisa Gastoni … Ely Alessi
Corrado Pani … Marco Alessi
Jeremy Kemp … George Stevens
Hélène Chanel … La madre di Ely
Silvano Tranquilli … Davide Levi
Antonio Casale … Il barista
Daniela Halbritter … Laura
Gino Santercole … Alberto
Margareta Veroni … Nora

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Regia: Giulio Petroni
Sceneggiatura: Franco Bottari, Giulio Petroni
Musiche: Ennio Morricone
Fotografia: Gábor Pogány
Montaggio:Franco Bottari
Distribuzione:Agora
Aiuto regista: Guido Volpato
Costumi: Angela Parravicini

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Opinione del Morandini, tratta dal sito http://www.trovacinema.repubblica.it

Soffrono quasi tutti in questo drammaticissimo film il cui titolo è tolto da un mal tradotto verso di P.B. Shelley (ma lurid significa fosco) , ma specialmente i coniugi borghesi Alessi. Lui, docente universitario, s’è sposato per stornare la propria omosessualità; lei è una ninfomane con tendenze masochistiche, frutto di traumi infantili. E un inferno coniugale al cui confronto quelli di Strindberg sanno di rosolio. Sfocia nel sangue. Quasi sempre sofferente, L. Gastoni si cimenta in continui coiti e denudamenti. E un film che si prende molto sul serio come rivela la puntigliosa cura nell’ambientazione, l’arredamento (Franco Bottari), la fotografia (Gabor Pogany), la musica (Ennio Morricone).

L’opinione dell’utente Undijng tratta dal sito http://www.davinotti.com
Elli (Lisa Gastoni) e Marco (Corrado Pani) sono una coppia decisamente atipica. A causa d’un trauma infantile Marco còva pulsioni omoerotiche, che reprime nella vita di coppia. Elli è, invece, una ninfomane incontenibile. Il matrimonio dovrebbe servire all’uno e all’altra per rientrare nella norma di vita sociale, stabilita nei confini di un bigotto paese provinciale. La presenza di una ragazza riporta alla luce le deviazioni di Marco, inducendolo al punto di macchiarsi d’un delitto. Eccezionale erotico, con sfumature gialle, forse ispirato dal romanzo “Il Demone del Mondo” di Mary Shelley.

L’opinione dell’utente Cotola tratta dal sito http://www.davinotti.com
Saranno i quasi quarant’anni che ha sulle spalle ad avergli parzialmente tolto smalto e interesse. Certamente è un film ben fatto, con una confezione curata ed una buona colonna sonora di Morricone. Ma difetta, a mio avviso, sia nel coinvolgimento emotivo dello spettatore sia sotto il profilo “scandalistico” o del “messaggio” (che brutta parola!). Oggi non credo possa sconvolgere più nessuno ed anche certe considerazioni lasciano il tempo che trovano così come le tante (belle) citazioni letterarie. Forse meriterebbe una seconda occasione.

luglio 9, 2013 Posted by | Drammatico | , , | 3 commenti

La seduzione

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Giuseppe Laganà è un giornalista che vive da anni in Francia; ma il richiamo della sua terra, la nostalgia e sopratutto il ricordo di Caterina, la donna che amava, lo spingono inesorabilmente a tornare nella sua terra d’origine, in Sicilia. Ovviamente la prima cosa che fa è andare a trovare la sua ex donna, che ora è una piacente vedova con una figlia poco più che adolescente.

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Maurice Ronet

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Lisa Gastoni

Ben presto tra Giuseppe e Caterina riesplode l’antica passione,e l’uomo inizia a frequentare la casa della sua amante, dove la donna vive con la giovane e disinibita figlia Graziella. La ragazza, incuriosita dal maturo giornalista, e in competizione con la madre, inizia a provocare dapprima sottilmente, poi apertamente Giuseppe. Così, a furia di maliziosi inviti nemmeno tanto velati, tra i due si arriva alla fattaccio.

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Jenny Tamburi

Caterina finisce per rendersi conto della situazione, affronta la figlia ma decide, per non perdere l’uomo di dividere lo stesso con la ragazza. Inizia così un pericoloso menage a trois, che si interromperà drammaticamente su una spiaggia. Un’amica di Graziella, altrettanto disinibita, seduce il fedifrago giornalista, proprio davanti agli occhi della ragazza, del tutto involontariamente, però.Quando Graziella racconta alla mamma del doppio tradimento subito da madre e figlia, Caterina prende una pistola, aspetta l’amante all’uscita di casa e lo uccide.

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Classico triangolo amoroso, questo La seduzione, film di Fernando Di Leo datato 1973; a cambiare, per una volta, sono i protagonisti della stria. Difatti lui, lei l’altra diventano lui lei e la ragazzina minorenne. A ben vedere non è certo una novità, così come prevedibile è la storia e il suo svolgimento. Ma questa volta c’è un’ambientazione che non è morbosa, ci sono attori che recitano diligentemente la loro parte, c’è la magnifica Sicilia e ci sono le bellissime Lisa Gastoni e Jenny Tamburi.

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Barbara Marzano

Il seduttore è Maurice Ronet, e tenendo conto del fascino che esercitava all’epoca sul gentil sesso, va detto che alla fine i conti tornano; per un uomo con tanto charme si può peccare anche in famiglia.Di Leo usa il suo mestiere, senza eccedere nella parte più lubrica, evitando i nudi a tutto spiano e girando quindi un’opera pervasa da un sottile erotismo, di classe. Segnalo nel film la presenza del siciliano Doc Pino Caruso, mentre Rosina, l’amica traditrice di Graziella e la splendida Barbara Marzano, che fa un figurone, sul finire del film, con un topless molto apprezzato dal pubblico maschile.

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Il film è tratto discretamente tra l’altro, da Graziella, romanzo datato 1970 scritto da Ercole Patti

La seduzione, un film di Fernando Di Leo, con Lisa Gastoni, Maurice Ronet, Jenny Tamburi, Giorgio Dolfin, Graziella Galvani, Pino Caruso, Barbara Marzano
Drammatico, durata 102 min. – Italia 1973.

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Maurice Ronet     …     Giuseppe Lagana
Lisa Gastoni    …     Caterina
Jenny Tamburi    …     Graziella
Pino Caruso    …     Alfredo
Graziella Galvani    Luisa
Barbara Marzano           Amica di Graziella

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Regia Fernando Di Leo
Soggetto Ercole Patti (romanzo)
Sceneggiatura Luisa Montagnana, Ercole Patti, Marino Onorati, Fernando Di Leo
Produttore Armando Novelli
Casa di produzione Cineproduzioni Daunia 70
Fotografia Franco Villa
Montaggio Amedeo Giomini
Musiche Luis Enriquez Bacalov
Scenografia Francesco Cuppini
Costumi Roberto Ranucci
Trucco Giulio Natalucci

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novembre 14, 2009 Posted by | Drammatico | , , , , | Lascia un commento

Scandalo

Scandalo, film del 1976 diretto da Salvatore Samperi, è un’operazione unica nel suo genere nella produzione del regista veneto, recentemente scomparso; si tratta di un film con componenti noir, anche se si discosta dal genere per l’ambentazione e per la storia. Un film cupo in maniera quasi eccessiva, nichilista sia nella trama che nella conclusione, amarissima, con personaggi che appaiono privi di anima e di umanità, fatta salva la giovane e virginale Justine, vittima innocente delle perversioni altrui, in particolare della madre e del suo amante.

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Franco Nero, Armand

Il film è ambientato in un piccolo centro della Francia, agli inizi del 1940, in prossimità dell’invasione nazista. Elaine è la farmacista del paese, sposata con un professore sempre in viaggio, uomo colto ma assorto nel suo mondo, sidinteressato a quello che gli accade attorno Nella farmacia, con Elaine, ci sono Armand, un comesso factotum e Marie, una commessa-cassiera che è anche l’amante di Armand. L’uomo ha una personalità contorta, è rabbiosamente preso da confusi ideali che sfociano, ben presto, in una forma di persecuzione di Eliane. Che, agli inizi, non tollera l’uomo, ma che ben presto finirà per cedergli, iniziando con lui un complesso rapporto quasi sado masochistico. Anzi, togliamo il quasi, perchè in effetti la dipendenza di Eliane, dapprima appena accennata, diviene ben presto totale.

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Andrea Ferreol, Marie

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Lisa Gastoni, Eliane

Armand, che ha in spregio i valori borghesi che la donna incarna, obbliga Eliane a rapporti sessuali sempre più degradanti, arrivando ben presto a umiliare la donna come quando ha un rapporto sessuale con Marie nella farmacia, sotto gli occhi di Eliane, umiliandola ancor più quando costringe le due donne a denudarsi e toccarsi. La relazione tra i due diventa sempre più morbosa, così come conteporaneamente il film vira ancor più verso un pessimismo palpabile: Eliane non è pù la vittima ricattata, ma è partecipe del crudele gioco del suo amante, che una sera la costringe a denudarsi e ad uscire dalla farmacia, dove verrà vista , per sua fortuna, solo da un ubriacone.

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La relazione tra i due prosegue fino agli estremi, ovvero fino a quando Armand non chiederà alla donna di avere rapporti con Justine: la ragazza, accusata dalla madre di essere l’amante di Armand, in realtà assolutamente innocente, finirà per immolarsi agli osceni desideri dell’uomo, la classica rivincita dell’uomo comune nei riguardi della borghesia. Consumato l’atto, Eliane, preda dei rimorsi e ormai convinta di aver valicato tutti i confini della morale, inghiotte un grosso quantitativo di sonniferi e va a sdraiarsi nel letto con il marito. Non si sa se morirà, perchè comunque la casa viene centrata da una bomba sganciata da un aereo, con conseguente olocausto finale.

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L’umiliazione di Elaine

Come già detto, il film vira decisamente sul nero, mostrando personaggi che sembrano presi da una tragedia, come Elaine, moglie insoddisfatta, è vero, tuttavia plagiata  e modificata da Armand, luciferino prodotto di una classe proletaria che in questo caso potremmo definire sporca e cattiva. Anche il professor Michou non ci fa una bella figura, distratto com’è dalle sue opere letterarie, dai suoi vasi e caratterizzato da un quasi patologico disinteresse per il quotidiano. Unico personaggio positivo è Justine, la fragile adolescente che finirà, succube della madre, per diventare la vittima sacrificale di Armand, cedendo la propria verginità come olocausto purificatore, lei che è l’unica vera vittima della storia. Il finale, assolutamente cattivo, mescola però le carte, unificando i destini di tutti, buoni e cattivi, che periranno nello stesso modo.

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A parte la solita tendenza di Samperi a privilegiare la parte morbosa del racconto, questa volta siamo di fronte ad un prodotto ben realizzato, grazie sopratutto alla concomitante presenza di una sceneggiatura finalmente comprensibile, ad una fotografia assolutamente fondamentale, con quel suo passare attraverso i chiaro/scuri di Vittorio Storaro, con musiche in sottofondo di Riz Ortolani. Gli attori sono ad un livello egregio: bene Andrea Ferreol nel ruolo di Marie, bene la Gastoni, che a 41 anni riesce a mostrare ancora il suo corpo senza grandi paure. Discreto Franco Nero, nel ruolo del cattivissimo e arrabbiato Armand, mentre Justine è interpretata dalla graziosa Claudia Marsani. Il professor Michou è Raymond Pellegrin, in un ruolo molto marginale, e in fin dei conti anche poco funzionale alla storia.

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Scandalo, un film di Salvatore Samperi, con Franco Nero, Lisa Gastoni, Raymond Pellegrin, Andréa Ferréol, Claudia Marsani, Antonio Altoviti, Carla Calò, Franco Patano, Laura Nicholson, 1976 Drammatico

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Franco Nero … Armand
Lisa Gastoni … Eliane Michoud
Raymond Pellegrin … Professor Henri Michoud
Andréa Ferréol … Juliette
Claudia Marsani … Justine Michoud
Antonio Altoviti … Colonello
Carla Calò … Carmen
Franco Patano … Charles

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Regia: Salvatore Samperi
Sceneggiatura: Ottavio Jemma,Salvatore Samperi
Produzione: Silvio Clementelli
Musiche:Riz Ortolani
Montaggio:Sergio Montanari
Fotografia:Vittorio Storaro

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agosto 26, 2009 Posted by | Drammatico | , , , , , | 5 commenti