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Jesus Christ Superstar

Jesus Christ Superstar locandina

Jesus Christ Superstar, celebre opera rock di Tim Rice (autore dei testi) e di Andrew Lloyd Webber (autore delle musiche) venne portata sullo schermo nel 1973 da Norman Jewison, uno dei più grandi registi di sempre.
Il regista canadese, quarantasettenne all’epoca del film, aveva già alle spalle alcune pietre miliari del cinema, come La calda notte dell’ispettore Tibbs (premio Oscar) e Il violinista sul tetto.
Una solida fama quindi, che il regista non esitò a giocarsi con un’opera che apparve da subito coraggiosa e provocatoria.
A cominciare dalla trasposizione delle figure di Gesù e di tutti i protagonisti della storia evangelica, viste in un’ottica assolutamente diversa dal consueto.
Quello che Jewison porta sullo schermo non è certo il Gesù del Rei dei re, polpettone hollywoodiano di grande effetto ma sicuramente copia conforme dei Vangeli canonici, bensì un Gesù umanizzato fino alle estreme conseguenze, principalmente un uomo che ha paura sia del suo compito che appare davvero troppo pesante sia della morte che fatalmente concluderà il suo cammino sulla terra.

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Per contro troviamo la figura di Giuda, l’apostolo “traditore”, così dipinto dall’iconografia cristiana calato in un ruolo che sembra preso proprio dal Vangelo apocrifo scritto dallo stesso Giuda.
Un uomo tormentato, che si rende conto di essere la comparsa e non il protagonista di una storia già scritta, in cui il suo destino è fatalmente segnato.

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Così come sarà segnato per sempre il suo nome, macchiato dall’onta del tradimento.
Due figure quindi umanizzate al massimo e inserite in un contesto che non ha nulla a che vedere con quello raccontato dai Vangeli; Gesù, Giuda e marginalmente gli altri apostoli si muovono in un paesaggio post moderno, in cui c’è spazio per carri armati e armi moderne, caschi da minatori e impalcature in tubo Innocenti.
Il tutto rigorosamente scandito dalle stupende musiche di Webber che accompagnano il film dal suo inizio fino alla conclusione, con la celebre sequenza del ballo di Giuda che canta Superstar.
JCS, acronimo utilizzato ormai universalmente per indicare l’opera rock e il film è uno dei capolavori assoluti della cinematografia.
Jewison riesce a creare attorno alla figura di Gesù un paesaggio e un clima assolutamente asettici, portando in scena pochi personaggi e quindi scegliendo volutamente un tono dimesso per illustrare la più grande storia mai raccontata, termine magniloquente con il quale Hollywood rese omaggio alla figura di Gesù con un altro celebre polpettone.
Qui però siamo di fronte a qualcosa di completamente diverso; se Gesù è “bianco” e verrebbe voglia di definirlo wasp, Giuda è nero come la Maddalena. Un riequilibrio storico assolutamente innovativo, come doveva essere nella realtà il personaggio non solo di Giuda ma anche degli apostoli e dello stesso Messia.

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Essendo di origine giudaica, perlomeno dovevano avere la pelle molto più scura di quanto mostrato fino ad allora in tutte le opere che avevano trattato la figura del Salvatore: un Giuda nero è una novità assoluta, così come una novità è la figura dell’apostolo prediletto, quella Maria Maddalena che in seguito l’iconografia cristiana ( e sopratutto la chiesa post Concilio di Nicea) dipingerà come prostituta redenta e che in realtà era una donna culturalmente superiore ai suoi compagni di vicissitudini e che finanziò la predicazione del Messia.

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Mentre quest’ultima serie di cose nel film non compaiono, vediamo però Maria Maddalena turbata da un’amore che è si trascendente e spirituale ma che sconfina in quello terreno verso un uomo che sente non può appartenerle, che sente investito da una missione al di sopra delle passioni umane.
Quando la bellissima voce di Yvonne Elliman intona I Don’t Know How To Love Him, quel “non so come volergli bene” indica il tormento interiore della donna, combattuta tra l’amore terreno e quello spirituale, trascendentale verso un uomo che è tale solo nell’involucro e non certo nella sua essenza.

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Jewison trasporta lo spettatore in una visione straordinaria del percorso terreno di Gesù tra hippy e sinistri sacerdoti che tramano contro di lui per sete di potere e per paura, tra figure indistinte di Apostoli tra le quali l’unica a prendere corpo e anima è quella di Giuda e gente comune che ascolta il messaggio di un uomo straordinario che però sembra davvero solo tale.
Ovvero un uomo, con paure e fobie, con speranze e disillusioni, tipiche dell’umanità dolente fra la quale si muove.
JCS è anche, anzi, sopratutto, un musical.
Bellissimo, raffinato, straordinariamente capace di sintetizzare momenti e situazioni con musiche eccellenti.
Dalla Overture iniziale, che ci mostra l’arrivo del camioncino della troupe, passando per  Heaven On Their Minds nel qule proprio Giuda è protagonista,

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con il suo timore che le rivoluzionarie parole di Gesù possano provocare la dura reazione dei Romani fino a What’s The Buzz, Strange Thing Mystifying ,Hosanna, Superstar ecc. assistiamo ad un trionfo di musiche corali e per solista che celebrano in qualche modo gli avvenimenti che sfilano sotto i nostri occhi.
Così l’ultima settimana di vita del Messia condensa l’intera esistenza dello stesso, quasi che il suo messaggio possa essere compreso in un arco temporale che va dall’Hosanna dell’entrata in Gerusalemme fino alla crocefissione del Calvario.

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Se è vero che JCS non è totalmente esente da pecche ( scena molto discutibile quella del gay aggindato come una volgare checca che balla in maniera effeminata), tuttavia resta opera di estremo fascino.
Il musical ha donato autentiche perle al cinema; basti pensare a West side story, Cabaret, Cantando sotto la pioggia, Hair e My Fair Lady solo per citarne alcuni.
Tuttavia JCS ha qualcosa che lo rende “superiore” agli altri, se mi passate il termine.
Ovvero quella carica innovativa, trasgressiva e coraggiosa di sfrondare la figura storica di Gesù così come raccontata dai Vangeli dalla retorica che nei secoli successivi il cristianesimo ha ritagliato su di lui.
In qualche modo il nostro più grande poeta, Fabrizio De Andrè, aveva anticipato la visione di Jewison musicando La buona novella, opera fondamentale per chiunque voglia avvicinarsi ad un Gesù visto anche e sopratutto come uomo e non solo come figlio di Dio.

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In questo i due grandi artisti, pur in campi differenti, si congiungono.
Fabrizio De Andrè chiude il suo concept album con un Laudate hominem che racchiude una visione laica e dubitativa sulla divinità di Gesù, preferendo esaltarne le qualità umane in particolare “la pietà che non cede al rancore”.
Jewison si ferma un attimo prima, perchè aldilà dei tanti meriti il film resta comunque una trasposizione di un musical teatrale: geniale quanto si vuole, ma anche poco profondo non per demeriti del regista, ma per la diversa struttura dell’opera.

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E’ la solita vecchia storia: raffigurare e condensare in due ore un libro o un tema è operazione quasi impossibile.
Tuttavia siamo di fronte ad un’opera bellissima, poetica e sentita.
E sicuramente oggi si può anche sorridere dell’ondata di sdegno che travolse il film in virtù della sua presunta iconoclastia.
Le reazioni velenose, i crucifige e gli anatemi scagliati sul regista, accusato di essere blasfemo, mostrano la totale miopia non solo di certi ambienti culturali ma anche una sospetta astiosità, tipica di colui che giudica e critica senza probabilmente sforzarsi minimamente di comprendere il messaggio di fondo.

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Personalmente, dovessi scegliere due momenti topici del film, quelli che restano nella memoria in maniera imperitura, opterei per la drammatica sequenza racchiusa dal brano Judas’ Death, in cui Giuda ha ormai capito che i sacerdoti non vogliono assolutamente limitare l’azione di Gesù, bensì eliminarlo fisicamente, cosa che provocherà la sua morte mediante suicidio che avviene con un’impiccagione drammatica su un isolato albero in collina.
L’altro momento è quello già descritto in cui c’è il tema più famoso del film, quel Superstar cantato e ballato perfettamente da Carl Anderson.
L’attore presta la sua voce e il suo volto a Giuda, così come Ted Neeley interpreta Gesù.
Biondo, bello e anche non espressivo al massimo: ma è un vantaggio, perchè da corpo ad un Gesù che sembra spaesato.
Meravigliosa Yvonne Elliman.

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Jesus Christ Superstar,un film di Norman Jewison. Con Ted Neely, Carl Anderson, Yvonne Elliman, Barry Dennen, Bod Bingram,Robert LuPone, Joshua Mostel, Bob Bingham, Larry T. Marshall, Kurt Yaghjian, Philip Toubus, Pi Douglass, Jonathan Wyne, Thommie Walsh, Richard Molinaire, David Devir, Jeffrey Hyslop, Richard Orbach, Shooki Wagner
Musical,  durata 103 min. – USA 1973.

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Jesus Christ Superstar banner personaggi

Ted Neeley: Gesù Cristo
Carl Anderson: Giuda Iscariota
Yvonne Elliman: Maria Maddalena
Barry Dennen: Ponzio Pilato
Bob Bingham: Caifa
Larry Marshall: Simone Zelota
Josh Mostel: Re Erode
Kurt Yaghjian: Anna
Paul Thomas: Pietro

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Regia     Norman Jewison
Soggetto     Tim Rice (musical)
Sceneggiatura     Norman Jewison, Melvyn Bragg
Produttore     Norman Jewison, Patrick J. Palmer, Robert Stigwood
Fotografia     Douglas Slocombe
Montaggio     Antony Gibbs
Musiche     Andrew Lloyd Webber
Scenografia     Richard McDonald


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Lato uno

* Overture – 5:26
* Heaven on Their Minds – 4:22
* What’s the Buzz? – 2:30
* Strange Things Mystifying – 1:50
* Then We Are Decided – 2:32
* Everything’s Alright – 3:36
* This Jesus Must Die – 3:45

Lato due

* Hosanna – 2:32
* Simon Zealotes – 4:28
* Poor Jerusalem – 1:36
* Pilate’s Dream – 1:45
* The Temple – 5:26
* I Don’t Know How to Love Him – 3:55
* Damned for All Time / Blood Money – 4:37

Lato tre

* The Last Supper – 7:12
* Gethsemane (I Only Want to Say) – 5:39
* The Arrest – 3:15
* Peter’s Denial – 1:26
* Pilate & Christ – 2:57
* King Herod Song – 3:13

Lato quattro

* Could We Start Again, Please? – 2:44
* Judas Death – 4:38
* Trial Before Pilate – 6:47
* Superstar – 3:56
* Crucifixion – 2:40
* John Nineteen: Forty-One – 2:20


Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Migliore trasposizione possibile dello splendido musical di Al Webber, si rivela un magnifico film, che aggiunge, agli ottimi numeri musicali già noti, una bellissima ambientazione ed un carattere ibrido tra storico e moderno che, a oltre trent’anni dalla sua realizzazione, lungi dall’essere superata, mantiene indatta la sua attualità. Alcune scene (come la crocifissione) sono di fortissimo impatto emotivo. Bravi gli interpreti, specialmente Anderson (tormentato Giuda), vero protagonista del film.

Destinato a diventare un cult, per via della poderosa messa in scena e per la cura delle scenografie. Anche le musiche, che costituiscono l’ossatura dell’intera pellicola, sono destinate a superare – con risultati ottimali – il trascorrere degli anni: e questi sono i pregi. Noiosetto, semplice, ruffiano ed imbastito sulla semplice operazione di somma aritmetica con numeri primi – che complessi non ve n’è ombra – quali musica + affascinanti attori + una spruzzatina di catto-mania. I difetti in(somma) annullano i meriti. Da vedere comunque.

Posto che nessuno (vero?) è più in grado di prendere sul serio l’idea di mostrare Giuda come un agit-prop deluso che Gesù non diventi il subcomandante Jesus contro quei fascistoni di romani guidati dal console Nixon, cosa rimane? Parecchio kitschume, e tuttavia della musica ancora notevole, con qualche pezzo memorabile, anche se rispetto alla prima versione discografica si perde molto nel ruolo di Cristo, originariamente affidato alla devastante ugola di Ian Gillan dei Deep Purple (!). Invecchiato male.

Gli ultimi giorni della vita di Gesù nel bellissimo musical di Rice e Webber, ben sostenuto dalla straordinaria interpretazione di Carl Anderson (Giuda). La regia di Jewison è molto Anni Settanta, con zoomate e fermi immagine, con apostoli post-hippy e anacronismi. Ma l’impatto rimane notevole e Giuda che nel deserto è inseguito dai carri armati crea un emozionante cortocircuito con il purtroppo sempreverde conflitto israelo-palestinese.

Sarà che non impazzisco per i musical, ma non mi ha entusiasmato più di tanto. Ho però trovato straordinario Carl Anderson. Non è certo un brutto film, ma ha qualche pacchianeria di troppo. Apprendo da IMDb che l’attore che interpreta Pietro (e che nella realtà si chiama Paolo: Paul Thomas, qui accreditato come Philip Toubus), paradossalmente ha poi avuto una chilometrica carriera nel cinema pornografico. Lavora, non accreditato, nel massaccesiano Emanuelle – perché violenza alle donne? Incredibile.

Deludente trasposizione dello splendido musical di Weber che a suo tempo fece scandalo e storia. Il problema fondamentale è che la pellicola risulta ormai troppo datata e legata al tempo in cui fu girata. In ogni caso le belle trovate non mancano (e poi ci sono le splendide e trascinanti canzoni che continuano a mantenere ancor oggi intatta tutta la loro bellezza).

L’umanità del Cristo viene esaltata dal crogiolo emotivo di Giuda che vede l’uomo che ama farsi, agli occhi della gente, più importante del messaggio che comunica. Larga parte della riuscita calibratura tra rivisitazione e ortodossia deriva da una lungimirante e coraggiosa definizione dei comprimari (l’impotenza di Pilato, la passione materna di Maddalena), perché la storia di una Star è il suo pubblico a raccontarla. L’idea della rappresentazione (lo show) che dà cornice al film, riconnette la novella tanto all’urgenza di ritualizzare il sacro quanto ad una sana, destabilizzante iconoclastia.

Ottima trasposizione cinematografica della celeberrima rock opera di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber. Molto interessante la scelta effettuata dagli autori di mostrare il punto di vista di Giuda Iscariota e le motivazioni del suo tradimento. Le musiche sono bellissime e la loro trasposizione in immagini molto ben riuscita. Uno dei musical più belli mai realizzati, da vedere assolutamente.

Un film dei suoi tempi a cui non si può rinfacciare la mancanza di forza nella messinscena. E la colonna sonora, una volta tanto, è veramente di alta qualità senza le menate dei musical ma quasi vero rock. Gli interpreti sono azzeccati; oggi molte cose possono sembrare ingenue (tipo Giuda nero, ma era un’idea forte al tempo) però resta migliore della Passione di Mel Gibson, libertario qui dove là c’è solo fanatismo. Non parliamo del Gesù di Zeffirelli poi…

Visione molto datata che si avvale di splendide musiche e coreografie trascinanti, anche se talvolta sembra di stare dalle parti di Hair. Il film è discontinuo e poi, lo devo dire, Erode mi sembra il cugino grasso di Al Bano Carrisi: ogni volta che vedo quella scena mi viene da ridere. Ok, torno seria: è un film figlio del suo tempo, con un finale che commuove ogni volta.

Anche a distanza di anni, il celebre musical fra sacro e profano non perde il suo smalto, grazie al valore intrinseco delle musiche e ad un soggetto intrigante, che non dissacra la figura del Cristo, pur insistendo comunque sulla sua umanità. Penso e spero che sia un film per credenti e non credenti, proprio perchè valorizza aspetti di una comune umanità, e svolge un discorso non banale sul rapporto col sacro.

Se si fosse impossibilitati per qualsiasi ragione a vedere almeno una volta nella vita “Jesus Christ Superstar” a teatro, allora questa versione cinematografica risulta davvero utile: riesce a trasferire in maniera ottimale l’atmosfera del musical originale. Sicuramente la migliore performance è quella di Giuda, bravissimo sia come cantante che in generale come attore.

Ottima trasposizione cinematografica dell’opera rock teatrale di Lloyd Webber. La figura di Cristo viene mostrata durante la sua ultima settimana di vita. Lo sguardo della narrazione è quello di Giuda che, attraverso la messa in discussione delle parole del Messia, mostra la figura di Gesù come “umana” più che divina (Gesù nn compie alcun miracolo). Le location israeliane sono spettacolari e d’impatto. Un musical evergreen che lascia stampate nella mente i bellissimi brani e le suadenti voci che le interpretano: tra tutti Anderson e Neeley.

La più bella caratteristica del film è la mancanza di parti recitate a favore di un totale scorrimento di canzoni. Ottimo cantante Carl Anderson (tra l’altro morto qualche anno fa), che stupisce con un’interpretazione originale e più umana di Giuda. In generale il film mi sembra attempato e certe musiche sono abbastanza scontate, nonostante il grande successo del musical.

I don’t know how to love him.
What to do, how to move him.
I’ve been changed, yes really changed.
In these past few days, when I’ve seen myself,
I seem like someone else.
I don’t know how to take this.
I don’t see why he moves me.
He’s a man. He’s just a man.
And I’ve had so many men before,
In very many ways,
He’s just one more.
Should I bring him down?
Should I scream and shout?
Should I speak of love,
Let my feelings out?
I never thought I’d come to this.
What’s it all about?
Don’t you think it’s rather funny,
I should be in this position.
I’m the one who’s always been
So calm, so cool, no lover’s fool,
Running every show.
He scares me so.
I never thought I’d come to this.
What’s it all about?
Yet, if he said he loved me,
I’d be lost. I’d be frightened.
I couldn’t cope, just couldn’t cope.
I’d turn my head. I’d back away.
I wouldn’t want to know.
He scares me so.
I want him so.
I love him so.

dicembre 22, 2010 Pubblicato da: | Capolavori | , , , | 3 commenti

Novecento

Novecento locandina 1

Un gigantesco affresco, che copre quasi 50 anni della storia italiana, dal 1900 alla fine della seconda guerra mondiale, con la liberazione dal fascismo.

Questo è Novecento, uno dei capolavori assoluti della storia del cinema italiano, uno dei primi cinque, senza dubbio.Un’opera corale, che racconta attraverso le vite di Alfredo Berlinghieri, figlio di Giovanni e nipote di Alfredo, grande proprietario terriero dell’Emilia e Olmo Dalcò, figlio di Rosina e di nessun padre, o di cento, racconta dicevo le loro vite ma sopratutto racconta la miseria e le difficoltà di vita dei contadini agli inizi del secolo, le sperequazioni, le prime lotte operaie e le prime rivendicazioni sindacali, insomma tutto il contesto storico politico dell’Italia pre fascista.

Novecento 1Burt Lancaster è il  Nonno Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero

Novecento 2

Una storia che inizia appunto con l’amicizia impossibile tra il ricco Alfredo e il contadino Olmo, i loro sogni e le loro vite parallele ma inevitabilmente e indissolubilmente legate , i loro amori, le loro delusioni.

In mezzo, tante vite parallele e contingenti: quella di Alfredo Berlinghieri , l’uomo che da il via alla saga, duro ma giusto, ricco ma rispettoso dei sacrifici dei suoi contadini. Quella di Giovanni, figlio minore di Alfredo , bramoso di ricchezza, assolutamente contrario a qualsiasi concessione ai contadini di una parvenza di dignità, quella di Attila Melanchini, il fattore crudele, bieco, come l’ideologia che finirà per rappresentare.

Novecento bRomolo Valli: Giovanni, figlio minore di Alfredo

Novecento cRoberto Maccari è Olmo da ragazzo

Sono solo alcuni dei personaggi che si muovono nel film, i più rappresentativi, ma che si collegano ad altri ugualmente importanti in una storia che li coinvolge tutti, comparse o protagonisti di primo piano di una tragedia, che allo stesso tempo è semplicemente la semplice vita di gente che si è trovata a vivere un’epoca di grandi cambiamenti storico politici.

Così prendono vita personaggi sullo sfondo di uno scenario grandioso, come Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo, giovane idealista innamorata del marito, che però lascerà incolpandolo di essere indifferente di fronte alla brutalità del fascismo, o come quello di Anita Furlan, moglie di Olmo donna istruita, una rarità per la civiltà contadina dell’epoca, che dedica il suo tempo all’istruzione dei piccoli, ma anche dei grandi, che cerca di spiegare ai contadini, che accettare supinamente il volere dei padroni significa consegnarsi allo sfruttamento e all’ignoranza.

Novecento dStefania Sandrelli è Anita, Gerard Depardieu è Olmo

Novecento eAl centro, Robert De Niro è Alfredo

Ci sono poi i personaggi negativi, cattivi in assoluto, incapaci del minimo senso di umanità, vere e proprie Erinni, come Regina, figlia di Amelia , sorella di Eleonora moglie di Giovanni, il padre di Alfredo e quindi sua cugina, vittima ma anche complice dello spietato e abietto Attila, del quale diverrà complice nei più odiosi delitti.

Tanti personaggi, legati l’un l’altro da vincoli di parentela, di amicizia , di semplice conoscenza, che si muovono in quel mondo rurale primitivo, che vive a contatto della natura, che segue l’evolversi delle stagioni, retto da un’ordine quasi feudale, con il ricco destinato ad una vita facile e il povero costretto secolarmente a vivere solo di quel poco che la terra da lui lavorata produce.

Novecento 8Stefania Casini è Neve, la lavandaia

Novecento 0

Bertolucci intreccia tutte queste vite, creando, attraverso 320 minuti di gran cinema, una storia potente come poche, magnificamente illustrata da una fotografia che sembra seguire l’alternanza delle stagioni; ma l’indubbio talento, il saper dirigere con mano svelta, l’aiuto di una sceneggiatura di prim’ordine, a cui collaborarono lo stesso Bernardo, suo fratello Giuseppe e Franco Arcalli, da soli non sarebbero bastati se lo stesso regista non avesse scelto un cast assolutamente straordinario per mettere in scena una rappresentazione credibile.

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Novecento 11Dominique Sanda è Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo

Così sceglie con acume e affida il compito più difficile, quello di interpretare Alfredo e Olmo, a un giovane Robert De Niro e a Gerard Depardieu. I due lavorano talmente bene che ben presto i personaggi che interpretano divenatno, per lo spettatore, quasi dei volti amici. Si parteggia per loro e si arriva ad odiare i perfidi Attila e Regina, due splendidi attori come Donald Sutherland e Laura Betti.

Novecento hLaura Betti è Regina, figlia di Amelia

Novecento iDonald Sutherland è Attila Melanchini, il fattore

Accanto a loro Burt Lancaster e Sterlin Hayden, credibilissimo nel ruolo del contadino dei Berlinghieri, Leo Dalcò, il bravissimo Romolo Valli nel ruolo di Giovanni e Alida Valli Stefania Sandrelli, la maestrina che sposerà Olmo e la bellissima, seducente Dominique Sanda, Ada, la moglie di Alfredo. Un cast strepitoso,; così come di grandissimo livello è la fotografia di Storaro.Alla fine, dopo oltre 5 ore di film, si resta con il rimpianto che tutto sia finito con quella scena finale dei due amici che, ormai anziani, continuano a litigare come quando erano bambini.

Novecento, un film di Bernardo Bertolucci. Con Gérard Depardieu, Robert De Niro, Burt Lancaster, Sterling Hayden, José Quaglio, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Donald Sutherland, Romolo Valli, Alida Valli, Stefania Casini, Francesca Bertini, Paul Branco, Anna Maria Gherardi, Paolo Pavesi, Tiziana Senatore, Liu Biosizio, Roberto Maccanti, Allen Midgette, Laura Betti, Ellen Schwiers, Maria Monti, Antonio Piovanelli, Anna Henkel, Werner Bruhns, Giacomo Rizzo  Drammatico, durata 315 min. – Italia 1976.

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Robert De Niro: Alfredo Berlinghieri, figlio di Giovanni e Eleonora
Gérard Depardieu: Olmo Dalcò, figlio di Rosina
Burt Lancaster: Nonno Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero
Donald Sutherland: Attila Melanchini, il fattore
Dominique Sanda: Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo
Alida Valli: Ida Cantarelli Pioppi
Sterling Hayden: Leo Dalcò, contadino dei Berlinghieri
Stefania Sandrelli: Anita Furlan, moglie di Olmo
Werner Bruhns: Ottavio, figlio maggiore di Alfredo
Laura Betti: Regina, figlia di Amelia
Ellen Schwiers: Amelia, sorella di Eleonora
Anna Henkel: Anita, figlia di Olmo
Romolo Valli: Giovanni, figlio minore di Alfredo
Stefania Casini: Neve, la lavandaia
Francesca Bertini: Suor Desolata, sorella di Alfredo
Anna Maria Gherardi: Eleonora, moglie di Giovanni
Paolo Pavesi: Alfredo da ragazzo
Tiziana Senatore: Regina da bambina
Paulo Branco: Orso, figlio maggiore di Leo
Giacomo Rizzo: Rigoletto, il servo gobbo
Antonio Piovanelli: Turo Dalcò
Liù Bosisio: Nella Dalcò
Maria Monti: Rosina Dalcò, nuora di Leo
Roberto Maccari: Olmo da ragazzo
José Quaglio: Aranzini, un proprietario
Pippo Campanini: Don Tarcisio
Patrizia De Clara: Stella
Fabio Garriba: Contadino all’esecuzione di Attila
Sergio Serafini: Un giovane fascista
Carlotta Barilli: Una contadina
Allen Midgette: Vagabondo che scagiona Olmo
Odoardo Dall’Aglio: Oreste Dalcò
Salvatore Mureddu: Capo delle guardie rege
Catherine Kosac: Tondine
Mimmo Poli: Fascista alla riunione in chiesa
Clara Colosimo: La donna che accusa Olmo
Angelo Pellegrino: Il sarto
Pietro Longari Ponzoni: Pioppi

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Regia Bernardo Bertolucci
Soggetto Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci
Sceneggiatura Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci
Produttore Alberto Grimaldi
Casa di produzione Produzioni Europee Associati, Les Productions Artistes Associees, Artemis Film
Distribuzione (Italia) 20th Century Fox
Fotografia Vittorio Storaro
Montaggio Franco Arcalli
Effetti speciali Bruno Battistelli, Luciano Byrd
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Maria Paola Maino, Gianni Quaranta, Ezio Frigerio
Costumi Gitt Magrini
Trucco Paolo Borselli, Iole Cecchini, Giannetto De Rossi, Fabrizio Sforza, Maurizio Trani

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Olmo Dalcò, il figlio di Rosina (Gérard Depardieu)
I fascisti non sono mica come i funghi, che nascono così, in una notte. No. I fascisti sono stati i padroni a seminarli: li hanno voluti, li hanno pagati. E coi fascisti i padroni hanno guadagnato sempre di più, al punto che non sapevano più dove metterli, i soldi. Così hanno inventato la guerra , ci hanno mandato in Africa, in Russia, in Grecia, in Albania, in Spagna…ma chi paga siamo sempre noi.

Alfredo Berlinghieri, il figlio di Giovanni e Eleonora (Robert De Niro)
Dei contadini ce n’è bisogno, se no la terra va in malora. Ma il padrone? A cosa serve il padrone?

Ada Fiastri Paulhan, la moglie di Alfredo (Dominique Sanda) e Alfredo Berlinghieri, il figlio di Giovanni e Eleonora (Robert De Niro)
Mio padre ha disegnato la testa del re sui biglietti da dieci: così abbiamo sempre vissuto tra i soldi senza mai averne. Sono orfana. Tre anni fa i miei ebbero la bella idea di organizzare una spedizione alpinistica per milionari e sono scomparsi in un crepaccio sul Monte Bianco. Morti com’erano vissuti: al di sopra dei loro mezzi

Anita Foschi (Stefania Sandrelli)
Donne, l’avete sentito il padrone? La colpa è dei nostri uomini perché sono andati in guerra a farsi accoppare. La colpa è dei braccianti perché non solo lavorano, ma vogliono anche farsi pagare. La colpa è tutta nostra, che abbiamo fame, e ci viene il gozzo e la pellagra. Ed è ancora colpa nostra se ci muoiono due figli su tre. Al padrone gli va ancora bene se prendiamo un po’ del nostro grano e gli lasciamo il resto, per il momento.

Leo Dalcò, il contadino dei Berlinghieri (Sterling Hayden) e Olmo Dalcò, il figlio di Rosina (Gérard Depardieu)
Dalcò Olmo! Olmo, adesso che sei grande..vieni avanti! Ricordati questo: imparerai a leggere e a scrivere, ma resterai sempre Dalcò Olmo, figlio di paesani, andrai a fare il soldato, girerai il mondo, e dovrai anche imparare ad ubbidire, prenderai moglie, eh? ..E faticherai per tirare su i figli… Ma cosa resterai sempre?
Dalcò Olmo!
Dalcò Olmo, paesano! Avete sentito? Niente preti in questa casa.

Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero (Burt Lancaster)
Quando la festa sta per finire, di’ che sono morto. Digli che sono morto, ma che continuino a ballare.

Leo Dalcò, il contadino dei Berlinghieri (Sterling Hayden) e Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero (Burt Lancaster)
Forse la verità è che quando un uomo non fa niente per tutta la vita, ha troppo tempo per pensare.

Novecento banner recensioniL’opinione del Morandini

Atto I: in una fattoria dell’Emilia crescono insieme Olmo, figlio di contadini, e Alfredo, erede del padrone, nati nello stesso giorno del 1900. Dopo i primi scioperi nei campi e la guerra 1915-18, il fascismo agrario dà una mano ai padroni. I due giovani si sposano. Atto II: negli anni ’30 le strade di Olmo e Alfredo si separano. Il primo, vedovo, fa il norcino e continua la lotta; il secondo si rinchiude nel privato. Il 25 aprile 1945 si processano i padroni, e i due si ricongiungono. Fondato sulla dialettica dei contrari: è un film sulla lotta di classe in chiave antipadronale finanziato con dollari americani; cerca di fondere il cinema classico americano con il realismo socialista sovietico (più un risvolto finale da film-balletto cinese); è un melodramma politico in bilico tra Marx e Freud che attinge a Verdi, al romanzo dell’Ottocento, al mélo hollywoodiano degli anni ’50. Senza evitare i rischi della ridondanza, Bertolucci gioca le sue carte sui due versanti del racconto.
L’opinione di Tony Montana dal sito http://www.mymovies.com

Al ritiro del premio Oscar al miglior attore non protagonista, per la sua interpretazione del boss mafioso Don Vito Corleone, Robert De Niro, non è presente. Corre l’anno 1974, e il giovane attore italoamericano, fra la lavorazione del secondo episodio de Il padrino e quella di un altro capolavoro del cinema, Taxi Driver si pone un film più impegnativo, serio e difficile, ovvero 1900, del regista Bernardo Bertolucci, appena uscito dallo scandalo di Ultimo tango a Parigi con un magistrale Marlon Brando nei panni di un uomo di mezza età sessualmente frustrato. Le riprese di Novecento avvennero in Emilia Romagna, nello stesso periodo in cui Pier Paolo Pasolini stava girando Salò e le 120 giornate di Sodoma. L’impresa di Bertolucci era colossale, difficilissima, a tratti umanamente impossibile, centrata sul tentativo di raccontare cinquant’anni di storia italiana vista con gli occhi di due uomini, uno, Alfredo ( De Niro ), figlio di ricchi proprietari terrieri, e l’altro, Olmo ( Depardieu ), umile contadino, partigiano e infine liberatore comunista dei contadini. Il film, originariamente pensato per la televisione, raggiunse infine una durata eccessiva di oltre cinque ore e venti, proiettato in America in versione ridotta a tre ore e mezza e non ben accolto, e in Italia diviso di due puntate da due ore e quaranta ciascuna, con enormi consensi da parte di critica e pubblico. Il cast rende ancora più ambizioso il film, a parte Depardieu e De Niro si contano Stefania Sandrelli, Alida Valli, Donald Sutherland, Dominique Sanda e altri. I vari contrasti con il regista e la troupe, portarono De Niro ad una recitazione media, che gli impedì di mostrare le sue doti attoriali al massimo livello. Caso diverso per Depardieu che si dimostra un’autentica rivelazione e firma così una delle migliori performance della sua carriera. Il film, in tutta la sua complessiva lunghezza, riesce tuttavia ad essere di grande e incisivo impatto. La trama, come già detto, ripercorre i primi cinquant’anni italiani del Novecento, raccontando le lotte proletarie, la Grande Guerra, il ventennio e la violenza fascista, la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza e la Liberazione. A questa trama complessa si intrecciano anche le storie personali dei personaggi a cui si legano anche le loro storie d’amore tra Olmo e Anita, Alfredo e la bellissima Ada, la perversa passione fra la cugina di Alfredo, Regina e il diabolico squadrista Attila, oltre che l’amore-odio fra i due protagonisti. Oltre che la lunghezza – però non si poteva raccontare una storia come questa senza sfiorare la durata da kolossal -, il film è ricordato per picchi di regia di altissimo livello, e le scene da antologia, come il ballo di Dominique Sanda che si finge cieca, il lavoro dei contadini, oppure il lunghissimo processo finale ( 15 minuti di pellicola! ), passando per scene emotivamente più cruente che fecero scattare l’occhio vigile della censura come quella in cui il fascista Attila, dopo aver violentato un bambino, lo scaraventa contro un muro spezzandogli la testa, la scena in cui il medesimo personaggio fa strage dei comunisti sotto una pioggia fangosa, passando per la scena quasi pasoliniana, in cui Depardieu e De Niro vengono masturbati da una prostituta epilettica, senza alcuna censura visiva oltre ad altre scene di violenza. Tutto il film è un affresco grandioso. Straordinario uso delle stagioni che accompagnano gli eventi storici in parallelo alle stagioni della vita: inverno, pioggia e gelo nel periodo del fascismo più torbido e ostile con i protagonisti in balìa dei problemi della vita adulta e una primavera solare e rigogliosa nel giorno della sospirata liberazione così come per la loro infanzia, e la colonna sonora di Ennio Morricone che con tratti da melodramma verdiano sottolinea i passaggi più drammatici della sceneggiatura, permette a Bertolucci di tratteggiare un film unico e per certi versi straordinario. Si rivela con forza espressiva il gusto del regista per l’immagine filmata su modello di opere pittoriche. Il fascismo per Bertolucci è la violenza al servizio dei padroni, una bestia feroce al guinzaglio della borghesia o -meglio ancora usando le parole con cui Regina presenta Attila -: “il cane da guardia” del padronato. Uno degli ultimi fuochi del cinema italiano che conta, troverà pochi anni dopo il suo doppio speculare nell’Albero degli zoccoli di Olmi. Lunghissimo (ma non poteva essere altrimenti), vale soprattutto per i momenti in cui racconta la storia attraverso la collettività; nei momenti intimi tende più al Bertolucci decadente, forse morboso, certamente borghesissimo. Oltre che grande rievocazione storica, comunque, è anche un ottimo esempio di come il cinema possa descrivere il suo tempo: nelle cornici iniziali e finali, se guardate con attenzione, si trovano tutti gli anni Settanta, e forse il finale conciliatorio è spiaciuto per questo. Al di là del discorso ideologico, c’è il miracoloso equilibrio tra la ricchezza spettacolare e quella ideologica, con buona pace di quelli che credono invano di capire qualcosa di cinema e poi si liquefanno per Fulci.
L’opinione di bradipo68 dal sito http://www.filmtv.it
Il film venne diviso in due parti per esigenze commerciali ma è innegabile che tra prima e seconda parte ci siano delle differenze ben tangibili.A mio parere mentre per la prima parte possiamo tranquillamente parlare di capolavoro qui la situazione è diversa perchè pur avendo iniziato nel sentiero tracciato dalla prima parte poi in questa seconda parte il lirismo che prima attenuava le istanze politiche viene irrimediabilmente meno in favore della drammatizzazione.L’ideologia diventa protagonista di un processo al padrone che diventa un vero e proprio gioco al massacro,una lotta senza quartiere il cui esito sarà una sconfitta per tutti.Ma qui proprio per affannarsi a spiegare le ragioni delle parti in causa il film arriva a essere didascalico.Nella seconda parte accanto a De Niro e Depardieu assumono importanza fondamentale i personaggi di Attila e Regina(Sutherland e Betti) autori di azioni diaboliche e che incarnano con feroce parossismo due figure di malvagi assoluti lontani da qualsiasi tipo(e volontà) di redenzione.Dopo l’ideologia nel finale si apre al sogno,al canto popolare, alle sequenze di massa che sembrano prese dal cinema russo degli anni d’oro del muto.Comunque sia l’atto secondo è una chiusura degnissima di una saga familiare raccontata con grande partecipazione perchè se Bertolucci non riesce a ripetere quel miracolo narrativo della prima parte è per eccesso di zelo filologico, è per generosità illustrativa,è per rendere perfettamente comprensibile tutto quello che gli si è agitato dentro per decenni.L’Emilia riportata da Bertolucci è parente stretta con quella reale pur non sentendo Bertolucci il bisogno insopprimibile di verosimiglianza.Bertolucci esplora vari generi dal racconto corale contadino fino al melodramma lacerante.E comunque ci regala una delle prove autoriali italiane più impressionanti.

“Metafora d’un mezzo secolo, con cui Bertolucci esercita il diritto di trasfigurare in visione l’idea che a torto o a ragione se ne è fatta, non importa molto se ‘Novecento’ è meno fedele alla storia di quanto si potrebbe pretendere da un documentario. Preme invece che abbia una sua tenuta fantastica, una sua magnificenza di romanzo fiume per immagini, una potenza di chiaroscuro che esprime la drammaticità degli eventi, e sia pure melodrammaticità, vista la destinazione popolare dell’opera.” (Giovanni Grazzini – Cinema ’76).”Gratificato di un budget favoloso (10 miliardi, si dice), questo film-fiume si presenta con l’appariscenza di risultati tecnici proporzionali all’accolta di interpreti e di specialisti dei vari rami: la fotografia, l’interpretazione, l’ambientazione, la musica, e così via, sono perciò di notevole livello. Ciò nonostante, prescindendo dalle carenze tematiche, si ha l’impressione che la colossale impresa ecceda di molte ore le sue possibilità di presa. Infatti, se efficaci risultano alcune pagine di pittura villereccia o di spaccato borghese, la reiterazione delle stessa sa di pleonasmo, di didatticismo ad oltranza, di sproloquio comiziale e persino di furbizia commerciale. Assai più deludente, poi, è l’esame contenutistico dell’opera che, in definitiva, riteniamo mancare a qualsiasi ipotetico obiettivo per totale mancanza di equilibrio. Se vuol essere soltanto la descrizione del mondo contadino della Bassa Emilia, lo coglie nelle deteriori manifestazioni di un folklore rude e sboccato; ma lo trascura nelle ricchezze di genuinità, genorosità, spessore umano e pudore. (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 82, 1977)”Un film di rilievo, ma non riuscito. Un film dove ci sono delle pagine molto belle, di un lirismo e di un’umanità singolari ma dove, nel contempo, non si sente l’empito della sinfonia nibelungica, l’assieme armonico di un tessuto narrativo corale, senza sbavature”. 

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ottobre 17, 2009 Pubblicato da: | Capolavori | , , , , , , , , , , , | 5 commenti

Il buono, il brutto e il cattivo

Il buono, il brutto e il cattivo locandina

Nel 1966 Sergio Leone chiude la trilogia del dollaro con Il buono, il brutto e il cattivo, la sua opera, almeno fino a quel momento, più ambiziosa e sopratutto girata con più mezzi a disposizione. I due fortunatissimi precedenti, Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più gli avevano permesso di poter finalmente disporre di finanziamenti cospicui; così Leone sceglie un cast di più largo respiro, sceglie di girare il film con tempi cinematografici più lunghi e sopratutto esce dai temi trattati nei due film precedenti per parlare della guerra di secessione americana, guardando sia alla storia in se stessa, sia ad un discorso di più ampio respiro, la denuncia degli orrori della guerra, simboleggiata in vari punti del film, da alcuni episodi chiave, come il famoso attacco al ponte, oppure dal campo di concentramento sudista o ancora dalla morte del povero soldatino a cui Biondo porge l’ultima sigaretta.

Il buono, il brutto e il cattivo è la summa dell’arte di Leone, un film bellissimo in larghi tratti, supportato dalla sontuosa recitazione dei tre protagonisti, Eastwood, Van Cleef e il possente Eli Wallach, da una colonna sonora semplicemente stupefacente e da un ritmo che affascina lo spettatore portandolo attraverso gli orrori della guerra in una pazza corsa ad un tesoro rappresentato da 200.000 dollari sepolti dallo sconosciuto soldato Jackson in un cimitero Confederato.

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Clint Eastwood, Biondo

Leone bada molto alla caratterizzazione dei personaggi, e questa volta sceglie due attori con cui ha già lavorato, il solito Clint Eastwood a cui affida il ruolo di Biondo e Lee Van Cleef, a cui affida il ruolo del crudele sergente Sentenza. Il terzo protagonista è uno strepitoso Eli Wallach, che si immedesima così tanto nei panni di Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez da risultare, alla fine, il più bravo dei tre, ammesso che si possa fare una scala di valori di interpretazioni così intense.

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Lee Van Cleef, Sentenza

Per la sceneggiatura del film Leone si era affidato al duo Age e Scarpelli, ma deluso dal risultato, la rimaneggiò totalmente, sostituendo i dialoghi scritti dal duo con altri di suo pugno; è per questo che Il buono il brutto e il cattivo, alla fine, diventa un film assolutamente ascrivibile a Leone, che è libero di modellare la pellicola a suo gusto e piacimento.

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Eli Wallach, Tuco

Anche la selezione degli attori non protagonisti rivela una sapiente, profonda conoscenza dei caratteristi del mondo del cinema: basti pensare alla presenza del solito, bravissimo Luigi Pistilli, che interpreta alla perfezione Padre Pablo Ramirez, fratello di Tuco, oppure alla presenza di Aldo Giuffrè, un intenso Capitano Clinton, l’uomo che morirà con il sorriso sulle labbra dopo aver finalmente visto il maledetto ponte saltare per aria. Ma sono altri i caratteristi degni di menzione: c’è Rada Rassimov, che interpreta Maria, la prostituta; c’è l’immancabile Mario Brega, che è il caporale Wallace….

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I 180 minuti di durata del film, che si apre con Tuco e Biondo soci in una truffa ai danni degli sceriffi, e che si chiude con il famoso Triello, lo scontro finale tra Sentenza, Tuco e il Biondo e successivamente con la splendida sequenza di Tuco con il cappio al collo in bilico su un barile, salvato da un colpo di fucile di Biondo, che lascia all’ex socio metà del bottino, sono tre ore di grande cinema, di grande spettacolo e di grande divertimento.

Wallach gigioneggia per tutto il film, mentre, per una volta, Eastwood e in secondo piano; come racconterà Leone, i rapporti tra i due si deteriorarono per la pretesa di Eastwood di interpretare la parte di Tuco, che in effetti era assolutamente inadatta per Eastwood:
Ci mancò poco che non facesse la parte del Biondo. Dopo aver letto il copione ,trovò in effetti che il ruolo di Tuco fosse troppo importante, che fosse il migliore dei due ruoli. Tentai dunque di ragionarci: “Il film è più lungo degli altri due. Non puoi essere tutto solo. Tuco è necessario per la storia, e resterà come ho voluto che fosse. Devi capire che è il comprimario… e il momento in cui appari tu, è la star che fa la sua apparizione.”[ Eastwood però non fu convinto, dunque Leone, insieme con la moglie, dovette andare in California per tentare una mediazione. La moglie del regista, Carla, ricorda perfettamente: “Clint Eastwood con sua moglie Maggie venne al nostro albergo… io spiegai che il fatto che avesse al suo fianco altri due grandi attori non avrebbe potuto che rafforzare la sua statura. A volte anche una grande star che interpreta un ruolo più piccolo insieme ad altri grandi attori può trarre vantaggio dalla situazione. A volte fare un passo indietro voleva dire farne due avanti.” Mentre le due mogli parlavano, Eastwood e Leone si scontrarono duramente, e il loro rapportò iniziò a incrinarsi. Leone disse: “Se interpreta la parte ne sarò felicissimo. Ma se non lo fa – beh, visto che sono stato io a inventarlo, domani dovrò inventarne un altro come lui.”Dopo due giorni di trattative l’attore accettò di fare il film e volle essere pagato 250.000 $ più il 10% dei profitti dei botteghini in tutti i territori occidentali,un accordo che non trovò contento Leone.”

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A Van Cleef spetta il ruolo più antipatico, quello del crudele Sentenza; l’intepretazione dell’attore è eccellente, e riesce credibile così com’era credibile nei panni del colonnello Douglas Mortimer.
Parlare della trama del film, in fondo, è inutile; chi non ha visto questo capolavoro in una delle tantissime riproposizioni televisive, quello che più conta, nel film, è l’armoniosità della storia, che regge le tre ore di proiezione senza grossi cedimenti, attraverso lo sviluppo delle storie a volte parallele, a volte come destini incrociati, di Tuco, Sentenza e Biondo; Leone si diverte a mostrare le carriere di Biondo e Tuco mentre truffano gli sceriffi con la loro eccezionale abilità con pistole e fucili, mentre Sentenza in effetti è un pò trascurato. La vita di Tuco, gaglioffo si, ma per necessità, come racconterà a suo fratello, padre Ramirez, “dalle nostre parti o muori di fame, o diventi prete oppure bandito: Io ho scelto la via più difficile” viene vista con sguardo ironico ma in fondo affettuoso dal grande regista.

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A completare l’armonia del film, la grandissima colonna sonora, opera di Morricone, questa volta, a differenza delle due produzioni precedenti, preparata in anticipo; come disse Leone, “Ennio non è solo un musicista: è il miglior sceneggiatore dei miei film. Sul set giro con la sua musica, e questo aiuta gli attori ad entrare nell’atmosfera del film, a capire meglio i propri personaggi: ogni tema rappresenta perfettamente le caratteristiche d’un personaggio, il suo spirito. Che sia un sistema vantaggioso, per girare, lo conferma il fatto che anche Kubrick, dopo aver parlato con me, lo abbia adottato; ma non è la musica in generale, a permetterlo: è la musica di Ennio.”

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Mi si consenta un appunto personale.
Tra i western girati da Sergio Leone, Il buono il brutto e il cattivo è quello, a mio personalissimo giudizio, praticamente esente da difetti; Leone, finalmente libero di poter disporre di soldi e mezzi, si diverte a ricostruire scenari e situazioni di largo respiro: basti pensare alla scena epica del ponte, che diventa cruciale per capire anche la psicologia dei due personaggi Tuco e Biondo, che rischiano la vita anche per salvare quella di migliaia di incolpevoli soldati. Se i due lo fanno principalmente per loro tornaconto (Leone bonariamente lascia intendere questo), è indubbio che l’intera scena poteva essere tranquillamente eliminata dal film, senza per questo sminuirlo; al contrario, Sergio Leone intendeva mostrare la brutalità, l’idiozia della guerra, e puntò moltissimo proprio su quelle sequenze.

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Per questo il film lo si ama alla follia, per quella sua commistione perfetta di umorismo nero, di ironia, di avventura che permea, pervade il film dalle prime alle ultime battute, con quella scena finale di Tuco che urla “Biondo, sai di chi sei figlio tu? Di una grandissima puttana” con l’ultima sillaba che scompare sulla scia della magica musica di Morricone.
Il film venne accolto bene dalla critica; l’unica eccezione fu rappresentata da Moravia:
Il film western italiano è nato non già da un ricordo ancestrale bensì dal bovarismo piccolo borghese dei registi che da ragazzi si erano appassionati al western americano. In altri termini il western di Hollywood nasce da un mito; quello italiano dal mito del mito. Il mito del mito: siamo già nel pastiche, nella maniera.”

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Parole di un mediocre scrittore, tra i più sopravvalutati della storia della letteratura e di un pessimo recensore cinematografico.

Il buono, il brutto e il cattivo, un film di Sergio Leone. Con Clint Eastwood, Lee Van Cleef, Eli Wallach, Aldo Giuffré, Luigi Pistilli, Rada Rassimov, Mario Brega, Enzo Petito, Claudio Scarchilli, John Bartha, Livio Lorenzon, Antonio Casale, Sandro Scarchilli, Benito Stefanelli, Angelo Novi, Antonio Casas
Western, durata 176 (148) min. – Italia, Spagna 1966.

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Il buono il brutto il cattivo banner protagonisti

Clint Eastwood: “Il Biondo”, il buono
Eli Wallach: Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramírez, il brutto
Lee Van Cleef: Sentenza, il cattivo
Mario Brega: Caporale Wallace
Aldo Giuffré: Capitano Clinton
Luigi Pistilli: Padre Pablo Ramírez
Antonio Casale: Jackson, alias Bill Carson
Rada Rassimov: Maria, la prostituta
Maurizio Arena: uomo della banda di Tuco
Luigi Ciavarro: uomo della banda di Tuco
Saturno Cerra: uomo della banda di Tuco
Antonio Molino Rojo: Capitano Harper
Enzo Petito: Milton, il proprietario dell’emporio
John Bartha: sceriffo
Al Mulock: Elam, il cacciatore di taglie monco
Livio Lorenzon: Baker
Antonio Casas: Stevens
Claudio Scarchilli: membro della banda di Sentenza n° 1
Sandro Scarchilli: membro della banda di Sentenza n° 2
Benito Stefanelli: membro della banda di Sentenza n° 3
Lorenzo Robledo: membro della banda di Sentenza n° 4
Aldo Sambrell: membro della banda di Sentenza n° 5
Angelo Novi: monaco giovane
Frank Braña: cacciatore di taglie ad inizio film
Saturno Cerra: cacciatore di taglie ad inizio film
Sergio Mendizábal: cacciatore di taglie biondo
Manuel Boliche Bermudez: cacciatore di taglie
Chelo Alonso: moglie di Stevens
Víctor Israel: Sergente della Confederazione
Josè Terron: Thomas Larsen
Antonito Ruiz: Figlio di Stevens
Jesùs Guzmàn: proprietario dell’albergo
Rafael López Somoza: Vecchio sergente
Romano Puppo: Israel
William Conroy: Giovane Confederato

Il buono il brutto il cattivo banner cast

Regia Sergio Leone
Soggetto Sergio Leone, Luciano Vincenzoni
Sceneggiatura Sergio Leone, Luciano Vincenzoni, Age & Scarpelli, Sergio Donati (non accreditato)
Produttore Alberto Grimaldi
Casa di produzione PEA (Produzioni Europee Associate), Arturo González Producciones Cinematográficas, S.A, Constantin Film Produktion GmbH
Distribuzione (Italia) PEA (Produzioni Europee Associate)
Fotografia Tonino Delli Colli
Montaggio Eugenio Alabiso, Nino Baragli
Effetti speciali Eros Bacciucchi, Giovanni Corridori
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Carlo Simi, Carlo Leva
Costumi Carlo Simi
Trucco Rino Carboni, Rino Todero

Il buono il brutto il cattivo banner doppiatori

Enrico Maria Salerno: Il Biondo, Il buono
Carlo Romano: Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez, il brutto
Emilio Cigoli: Sentenza, il cattivo
Renato Turi: Wallace, cacciatore di taglie biondo
Pino Locchi: Capitano Clinton, Jackson
Nando Gazzolo: Padre Pablo Ramirez
Giuseppe Rinaldi: Capitano Harper
Rita Savagnone: Maria
Nino Pavese: Sceriffo
Luigi Pavese: Stevens
Mario Pisu: Baker
Oreste Lionello: Sergente Sudista
Lauro Gazzolo: Milton
Bruno Persa: Sergente della Confederazione
Glauco Onorato: Elam
Sergio Tedesco: Cacciatore di taglie calvo
Massimo Turci: Tenente Nordista
Gianfranco Bellini: Monaco giovane
Gino Baghetti: Frate
Giorgio Capecchi: Prete nel deserto
Luciano De Ambrosis: Uomo di Tuco
Stefano Sibaldi: Mezzo-soldato
Cesare Barbetti: Fotografo

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Il buono il brutto il cattivo banner recensioni

Il parere del Morandini
Durante la guerra di Secessione (1861-65) il Biondo, bounty-killer un po’ romantico, Tuco, vendicativo fuorilegge messicano, e Sentenza, cinico assassino a pagamento, si associano, senza alcuna fiducia reciproca, per recuperare un tesoro nascosto in un cimitero. Profanatore del western, il più tipico genere del cinema USA, ma anche risolutamente critico perché quasi sempre ha tradito la vera storia della nazione, trasformandola in mito, Leone chiude la “trilogia del dollaro” con il suo film più ambizioso e costoso, più ironico e beffardo. Non a caso l’ha scritto con Luciano Vincenzoni e Age & Scarpelli, grandi specialisti della commedia: il tema del denaro è sempre legato alla morte violenta, ai cadaveri; la guerra è un banditismo organizzato; non c’è differenza tra nordisti e sudisti: tutti e 3 i protagonisti (uno nel 1°, due nel 2° della trilogia) sono mossi dalla rapacità, pur in modi diversi.
L’opinione di piernelweb dal sito http://www.mymovies.it
Magistrale epilogo della “trilogia del dollaro”, con il quale Leone ridisegna i confini del genere western; confessato e assoluto riferimento per numerosi cineasti di successo delle nuove generazioni. Nei suoi tempi dilatati, nell’esilarante intensità ed efficacia dei dialoghi, nel coinvolgente meccanismo di un’avida caccia al tesoro, Leone esalta l’epica del racconto incasellando a ripetizione sequenze e battute che sono entrate di prepotenza nella storia del cinema. Intrecciando i destini convergenti dei tre protagonisti, “Il buono, il brutto, il cattivo” eleva i personaggi a icone cinematografiche in grado di suscitare un’impatto emotivo e un coinvolgimento nello spettatore di rara frequenza. Il messicano Tuco, interpretato da un favoloso Eli Wallach, miscela esplosiva di simpatia e brutalità, è una prova evidente della potenza che il cinema può avere nel segnare l’immaginario e creare leggenda. Leone impreziosisce la sua opera contestualizzandola nel tragico scenario della guerra civile americana, ingigantendo il contrasto, che si ripete nella storia, tra l’egoismo/spirito di sopravvivenza individuale e le ideologie collettive. Superfluo citare l’indimenticabile colonna sonora di Morricone. Per tecnica e perfezione visiva resta indelebile nella memoria l’intero finale, dall’amaro episodio del ponte, alla forsennata ricerca nel cimitero, al mitico duello a tre fino all’ irresistibile controfinale. Cosa chiedere di più?
L’opinione di Bluebaster dal sito http://www.filmtv.it
Bellissimo, un capolavoro western senza tempo del grande Sergio Leone!
L’avrò visto decine di volte in tempi passati ma stasera me lo sono gustato nuovamente alla tv ed ora posso dargli il voto che merita…
L’odissea di due fuorilegge, tallonati da un terzo, che si ritrovano sbattuti tra le due fazioni della Guerra di Secessione Americana…un buddy movie western come quello che rivedremo in “Lo chiamavano Trinità” ma qui serio e cinico, nonostante qualche incursione di ironia qua e la!
Regia magistrale ma sopratutto delle interpretazioni, da parte di tutti persino le comparse, che meritano di essere nella storia del Cinema (Eli Wallach a mio avviso il migliore).
Inutile spendere altre parole sulla famosissima colonna sonora di Morricone o sulla deliziosa fotografia di quei tempi.
Tanti ma tanti morti, la crudeltà di quella guerra è mostrata limpida (toccante il capitano che vede esplodere il ponte prima di morire) con gli occhi di chi l’ha vissuta, suo malgrado, dal dentro ,ma senza combatterla!
Moltissime le scene memorabili, molte anche divertenti, gli sguardi e sopratutto i dialoghi senza tempo.

L’opinione di cheftony dal sito http://www.filmscoop.it
E’ considerato il più grande film western della storia; non credo di poterlo confermare per il semplice fatto di aver visto ben pochi western, ma Il buono, il brutto, il cattivo è decisamente qualcosa di epico.
Clint Eastwood interpreta il solito avventuriero senza nome, soprannominato Biondo, ed è “il buono” del titolo, nonostante sia completamente privo di scrupoli. Pistolero abilissimo con l’immancabile sigaro in bocca, il biondo è in società con un’autentica canaglia da western, il bandito Tuco Ramirez, vale a dire “il brutto”: Tuco, ricercato per 2000 $, si lascia catturare per farsi portare alla forca e poi farsi liberare in extremis dal biondo, con la sua classe al fucile. E intanto, la taglia su Tuco aumenta sempre più, con i due che dividono a metà i soldi…
Intanto, un mercenario, “il cattivo” (ma detto Sentenza), è alla ricerca del soldato confederato sotto falso nome Bill Carson, il quale avrebbe nascosto da qualche parte ben 200.000 $; sulle tracce di Carson si ritrovano per caso anche il biondo e Tuco, ma ognuno dei tre possiede informazioni imprescindibili da quelle degli altri e devono allearsi per arrivare a scoprire l’ubicazione dei 200.000, mentre imperversa la Guerra di Secessione americana e quindi i tre, oltre ad essere impegnati in un personale scontro in cui nessuno può fidarsi di nessuno, devono guardarsi le spalle dai soldati e dagli orrori della guerra…
La durata del film può sembrare eccessiva, ma le tre ore volano, grazie all’innumerevole numero di scene e battute memorabili e all’impeccabile caratterizzazione dei tre protagonisti, che ci porta ad essere indecisi sul tifo fra il biondo e Tuco, continuamente soci ed ex-soci, ugualmente bastardi e simpatici.
Eli Wallach e Lee Van Cleef sono eccellenti, persino Clint mostra notevoli miglioramenti, mentre la tecnica di Leone si è decisamente affinata e regala inquadrature perfette, toccando l’apice con un finale perfetto in ogni fotogramma, aiutato, come in tutta la durata del film, dalle musiche di Ennio Morricone, che coronano alla grande il “triello” finale nel cimitero, in cui Leone infila primissimi piani sugli intensi sguardi dei protagonisti e dà lezioni di montaggio, creando una suspense degna di un thriller.
L’opinione di herrkinski dal sito http://www.davinotti.com
Capolavoro della “trilogia del dollaro” di Leone. Si può davvero parlare di “grande epopea western”, per uno di quei rari film in cui non si vorrebbe mai arrivare al finale, tanto sono belli e appassionanti (e dire che dura già tre ore!). Tre interpreti perfetti, uno più bravo dell’altro, fotografia eccellente, narrazione scorrevole e ricca di continue trovate spettacolari, sprazzi d’umorismo mai fuori luogo, momenti di tensione ben congegnati.. Un capolavoro indiscusso del cinema, da gustare e rigustare all’infinito. Imprescindibile.

Il buono il brutto il cattivo banner citazioni

* Quando cerco qualcuno lo trovo sempre. Per questo mi pagano. (Sentenza)

* Chi mi frega e poi non mi ammazza, vuol dire che non ha capito niente di Tuco. (Tuco)

* Non basta una corda a fare un impiccato. (Sentenza)

* Ecco, questi sono i tuoi cinquecento dollari. Ah già, dimenticavo. Lui me ne ha dati mille, sai… Voleva che io ti ammazzassi… Il guaio è che quando uno mi paga gli porto sempre a termine il lavoro e tu dovresti saperlo. (Sentenza)

* Di tutte le più luride fetenti porcate che… (Tuco)

* Che ingrato, dopo tutte le volte che t’ho salvato la vita. (Il buono) [Il buono abbandona Tuco nel deserto]

* Sto cercando un mezzo sigaro, con dietro la faccia di un gran figlio di cagna alto, biondo e che parla poco. (Tuco) [Parlando del buono]

* Gli speroni si dividono in due categorie: alcuni passano dalla porta, altri dalla finestra. (Tuco)

* Io dormirò tranquillo perché so che il mio peggior nemico veglia su di me. (Il buono)

* Non lo conosci e lo chiami al buio? (Sentenza) [Parlando di Bill Carson, riferendosi alla sua donna]

* Eh certo che anche per uno come me è una gran cosa sapere che pioggia o vento, da qualche parte c’è un piatto di minestra calda che ti aspetta. (Tuco)

* I tipi grossi come te mi piacciono, perché quando cascano, fanno tanto rumore. (Tuco)

* Non vorrei essere nei panni del tuo amico, sai; più forte canta il coro, più forte pesta Wallace. (Un detenuto) [Parlando al buono, riferendosi a Tuco]

* Quando si spara, si spara, non si parla. (Tuco)

* Ogni pistola ha la sua voce, e questa la conosco. (Il buono) [riferendosi a Tuco]

* Vado, l’ ammazzo e torno. (Tuco) [riferendosi a Sentenza]

* Chi possiede più bottiglie per ubriacare i soldati e mandarli al macello, quello vince. Noi e quelli dall’altra parte del fiume abbiamo solo una cosa in comune: la puzza dell’alcool. (Il capitano nordista alcolizzato)

* Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica, e chi scava. Tu scavi. (Il buono) [riferendosi a Tuco]

* Levati la pistola e mettiti le mutande. (Il buono)

* È un bel tipo mio fratello… Ah sì, perché non te l’avevo detto, ma il capo qui è mio fratello. Insomma, a Roma c’è il Papa e qui c’è mio fratello. (Tuco)

* Riconosci quest’occhiello biondo? Mettici dentro il collo! (Tuco) [Mostrando al “buono” un cappio] Deve reggere il peso di un maiale. (Tuco)

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settembre 14, 2009 Pubblicato da: | Capolavori | , , , | 11 commenti

I cannibali

Milano è una città le cui strade sono disseminate di corpi che giacciono riversi sull’asfalto e sui marciapiedi; il regime totalitario che domina crudelmente il paese, vuole che i corpi dei dissidenti, di coloro che protestano contro il regime siano lasciati a marcire per le strade, come monito per coloro che nutrono sentimenti anti potere. Ma Antigone, giovane borghese, non ci sta e si ribella al diktat delle autorità;

Pierre Clementi e Britt Ekland

vorrebbe seppellire il corpo di suo fratello, ma nella lotta è sola. A darle una mano non c’è nessuno; i suoi famigliari hanno paura, sono pavidi, Emone, il suo fidanzato, è un esponente di quel potere che tanti lutti ha seminato. E la gente, per strada, si abitua ben presto all’orrida visione di quei corpi abbandonati, e sfila di fianco con indifferenza, quasi fossero un arredo urbano. Ma ad aiutare Antigone arriva un misterioso giovane,


Britt Ekland è Antigone

Tiresia, comparso misteriosamente sulle rive del mare,che parla una strana lingua, ma che sembra condividere le idee della ragazza. I due, sfidando il potere costituito, iniziano a raccogliere i corpi per dare loro degna sepoltura; ma la loro attività, alla fine, diviene sospetta, e i due vengono catturati. Pestata a sangue, la ragazza resiste all’interrogatorio, mentre Tiresia, munito di una sua foto, si aggira sperduto nella città mostrando la foto di Antigone ai passanti indifferenti, seguito come un’ombra dalla polizia che cerca eventuali contatti dei due sovversivi. Portata in piazza, scortata da camionette della polizia e da cittadini,

Antigone scorge tra la folla Tiresia e gli va incontro. I due vengono falciati da una raffica di mitra; ma la loro non è stata una morte vana. Alcuni giovani, caricati i corpi dei caduti in spalla, portano i morti verso il bosco, per una degna sepoltura. Il potere ha perso, alla fine “Sicchè, signorina, lei fa parte di un gruppo rivoluzionario fuori dal nostro controllo“, chiedono i potenti alla ragazza, mentre sorseggiano alcolici e la guardano come fosse un raro esemplare. Un potere cieco, arrogante, come del resto lo è sempre. Un potere che perde anche il briciolo di umanità individuale, e che si riduce ad un’ostentazione della forza come supremo atto di oppressione. Liliana Cavani modernizza il mito dell’Antigone sofoclea e attraverso un complesso simbolismo, spesso difficile da interpretare, lo modernizza e lo trasporta ai giorni nostri, con un attacco violento al potere, visto come un sistema ottuso guidato da ottusi.

Se il messaggio è chiaro e forte, altrettanto non lo sono alcuni passaggi del film, che comunque matiene una carica corrosiva molto forte. Bravissimi gli attori impegnati, Pierre Clementi, assolutamente perfetto nel ruolo di Tiresia e la bella Britt Ekland nel ruolo di Antigone, così come davvero bravo e sobrio è Thomas Milian nel ruolo di Emone.

Film difficile,bandito ormai da tantissimi anni dagli schermi, venne contestato da larga parte dei soliti critici, che peccarono non solo di superbia, ma anche di un’insopportabile spocchia; il film non è astruso, anzi, nei suoi temi di fondo è fin troppo chiaro.

Ma la Cavani, avolte, ricorre ad un complesso simbolismo, e allora il critico saccente, non sapendo che pesci prendere, stronca la pellicola come velleitaria. In effetti non è così, come già detto; le chiavi di lettura sono quelle esposte, e se poi la Cavani usa ogni tanto immagini o situazioni criptiche, fa un peccato veniale davanti alla gran forza del film, alla sua denuncia del potere, che nel cinema viene (diciamo anche più veniva) messo alla berlina con l’ironia piuttosto che con il vigore e con la forza che usa la Cavani.

Un grande film, complesso, bello, intelligente; purtroppo assolutamente introvabile e sopratutto mai trasmesso dalle tv.

I cannibali, un film di Liliana Cavani. Con Britt Ekland, Tomas Milian, Delia Boccardo, Marino Masé, Pierre Clémenti, Sergio Serafini, Antonio Piovanelli, Carla Cassola, Francesco Leonetti, Cora Mazzoni, Francesco Arminio, Giancarlo Caio, Alessandro Cane, Massimo Castri, Giampiero Frondini
Drammatico, durata 87 min. – Italia 1969.

Britt Ekland: Antigone
Pierre Clémenti: Tiresia
Tomas Milian: Emone
Francesco Leonetti: primo ministro
Delia Boccardo: Ismene

 

Regia Liliana Cavani (Aiuto regista Gianni Amelio)
Soggetto Antigone di Sofocle
Sceneggiatura Liliana Cavani, Italo Moscati, Fabrizio Onofri
Produttore Doria, Bino Cicogna per Doria San Marco Film
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Giulio Albonico
Montaggio Nino Baragli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Ezio Frigerio
Costumi Ezio Frigerio

settembre 4, 2009 Pubblicato da: | Capolavori | , , , | 1 commento

L’ultimo spettacolo

L'ultimo spettacolo locandina

Per parlare di L’ultimo spettacolo, di Peter Bogdanovich, film del 1971, parto dalle considerazioni finali. Siamo di fronte ad uno dei capolavori assoluti del cinema, un film di straordinaria bellezza, che unisce il lirismo delle immagini ad una visione nostalgica, commossa ma anche irriverente e critica di un mondo dissolto, quello della frontiera americana, vista nelle vite comuni di un gruppo di persone che abitano una cittadina del Texas.

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Un film che per una volta tratteggia con sicurezza, con commossa partecipazione, le vite ordinarie degli abitanti, attraverso ritratti a volte impietosi, ma sempre delicatamente commossi, di persone che in fondo hanno fatto la storia e la vita di quella complessa,a volte icomprensibile realtà che sono gli states. Un omaggio nostalgico anche ad un certo cinema, definitivamente tramontato come l’ultimo spettacolo a cui assistono i due protagonisti pricipali del film, gli amici Douane e Sonny, sibolo di un legame forte, tenuto assieme anche dalle piccole cose della vita, come la visione di un film.

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Girato in bianco e nero, con un uso magistrale della camera, che spesso indugia sui primi piani, e con dissolvenze delicate, mai brusche. Il lirismo di Bogdanovich, la sua straordinaria capacità di parlare per immagini si esplicita in numerose scene, alcune delle quali di livello eccelso, come la sequenza finale della morte di Billy, o il dialogo tra Sonny e Lois, con l’onnipresente vento che spazza impetuoso il paesino, quasi un evento cosmico che trascina, con se, speranze,illusioni e vite dei protagonisti, in un malinconico revival di quello che era e non c’è più, ma anche di quello che poteva essere e non è stato.

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Texas, anni 50. In un piccolo centro di frontiera, si intrecciano le vite dei vari abitanti, tutti legati da rapporti di amicizia più o meno profondi. I giovani del paese, tra i quali i due amici Sonny e Douane, sognano improbabili avventure erotiche con le donne. Mentre Sonny è legato a Charlene, una ragazza che ha l’unico scopo di farsi sposare, Douane è legato sentimentalmente a Jacy, una bella e ricca ragazza, la più desiderata del paese.

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La vita dei due giovani ruota attorno alla sala da biliardo di Sam, che è anche proprietario della tavola calda e della sala cinematografica, unico divertimento che offra la cittadina. L’uomo è anche il padre del giovane Billy, un ragazzo ritardato, legato però profondamente a Sonny, che ricambia la sua amicizia. Le giornate della cittadina passano con pigrizia, così come le serate: sono le vite dei protagonisti a mostrare l’unico segno di vivacità; così vediamo Lois, la madre di Jacy, stringere una relazione adulterina con l’unico uomo interessante del paese, e assistiamo alle sue lezioni di comportamento alla figlia.

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Un giorno proprio Lois metterà in guardia la ragazza dal suo legame con Douane, un ragazzo simpatico ma povero: Jacy farà debito tesoro dei consigli della madre, recandosi dapprima ad una festa in piscina, dove supererà l’imbarazzo die ssere nuda davanti ad altri giovani, e intrecciando relazioni con altri uomini. Mentre il tempo scorre lentamente, Sonny intreccia una relazione con Ruth, la quarantenne moglie del suo allenatore di football, mentre Jacy, dopo aver avuto un rapporto con Douane, decide di lasciarlo per andare a studiare in un college.

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La morte di Sam priva Sonny di uno dei suoi punti fermi; l’uomo lo lascia proprietario della sala da biliardo, e Sonny, supinamente, finisce per far ruotare la sua vita attorno al piccolo universo che ha sempre conosciuto. Douane, dopo la delusione subita da Jacy, si arruola per la guerra di Corea, mentre Jacy seduce Sonny e cerca di farsi sposare durante un viaggio in un altro stato. ma non sarà così, perchè il padre di Jacy la riporterà indietro, mentre Sonny si troverà costretto a litigare con Douane che lo considera un tarditore.

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Ma l’amicizia prevale, nonostante Douane ferisca l’amico in una rissa; mentre proprio Douane sta per partire per la Corea, i due si concedono una visione dell’ultmo film proiettato in paese: Il giovane parte verso il destino ignoto della guerra, e a Sonny capita di dover assistere alla morte casuale dell’unico amico rimasto, Billy, travolto da un camion mentre al solito, spazzava la strada. a Sonny non resta altro che rifugiarsi dalla sua amante Ruth, qasi a cercare rifugio in qualcosa di conosciuto.

Film, come già detto, di straordinaria intensità, con momenti di grandissimo cinema. Il bianco e nero infonde al film il sapore della malinconia, dell’era così, del come eravamo;tutto ruota attorno ad un cast di ottimi attori. Bravissimi Jeff Bridges (Douane), Timothy Bottoms( Sonny), la bellissima Cybill Shepherd  ( l’arrivista Jacy),  Ben Johnson (Sam il leone), Ellen Burstyn (Lois Farrow, la madre di Jacy). Qua e la, dalla radio dello scassatissimo furgone di sonny, capita di ascoltare nostalgiche canzoni d’epoca, come  Cold, Cold Heart cantata da Tony Bennett, Give Me More, More of Your Kisses ,cantata da Lefty Frizzell, Wish You Were Here (cantata da Eddie Fisher,Blue Velvet  cantata da Tony Bennett,You Belong To Me  cantata da Jo Stafford.

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Il film vinse 2 Premi Oscar 1972: per il miglior attore non protagonista (Ben Johnson) e la miglior attrice non protagonista (Cloris Leachman), che nel film è Genevieve, la donna della tavola calda. E’ stato scelto con altre 500 pellicole per essere conservato nel National Film Registry, che conserva film culturalmente, storicamente o esteticamente significativi.

L’ultimo spettacolo, un film di Peter Bogdanovich. Con Jeff Bridges, Ellen Burstyn, Cloris Leachman, Timothy Bottoms, Ben Johnson.Cybill Shepherd, Sam Bottoms
Titolo originale The Last Picture Show. Drammatico, durata 118 min. – USA 1971.

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Timothy Bottoms: Sonny Crawford
Jeff Bridges: Duane Jackson
Cybill Shepherd: Jacy Farrow
Ben Johnson: Sam the Lion
Cloris Leachman: Ruth Popper
Ellen Burstyn: Lois Farrow
Eileen Brennan: Genevieve
Clu Gulager: Abilene
Sam Bottoms: Billy
Sharon Ullrick: Charlene Duggs
Randy Quaid: Lester Marlow
Joe Heathcock: lo sceriffo
Bill Thurman: Coach Popper
Gary Brockette: Bobby Sheen

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Regia Peter Bogdanovich
Soggetto Larry McMurtry (romanzo)
Sceneggiatura Peter Bogdanovich e Larry McMurtry
Produttore Stephen J. Friedman
Produttore esecutivo Bert e Harold Schneider
Casa di produzione Columbia Pictures
Fotografia Robert Surtees
Montaggio Donn Cambern, Peter Bogdanovich (non accred.)
Musiche Musiche non originali
Scenografia Polly Platt e Walter Scott Herndon

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agosto 6, 2009 Pubblicato da: | Capolavori | , , , , , , | 6 commenti

Il commissario Pepe

Il commissario Pepe locandina

Siamo nella provincia veneta, a Bassano del Grappa, paese che non viene menzionato mai nel film, ma riconoscibile dalle immagini. Il commissario Pepe, arguto e tranquillo funzionario di polizia, si è adattato in qualche modo ai ritmi della vita di provincia, anche sul lavoro. Routine di ordinaria amministrazione, la sua, in una cittadina in cui sembra non accadere mai nulla, e in cui il massimo della turbativa dell’ordine pubblico sembra essere rappresentato da qualche ubriaco e dalla figura ambigua di un reduce di guerra, privo delle gambe, che sembra essere a conoscenza dei segreti intimi degli abitanti.

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Un giorno al commissario arriva l’ordine di indagare su alcuni fatti che hanno a che fare con la morale pubblica; a malincuore Antonio Pepe inizia le indagini, scoprendo che sotto la quiete della cittadina si agitano turpi vizi, storie boccaccesche, prostituzione e persino atti di pedofilia e omosessualità.

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Lo sconcertato commissario, che ha una relazione segretissima con Matilde, una bella ragazza del posto, si imbatte in Silvia, una studentessa minorenne legata ad uno squallido personaggio che si prostituisce un pò per noia e un pò per amore, in una suora che ha atteggiamenti lesbici nei confronti di una sua allieva, in una nobildonna che organizza strani festini, nella sorella di un collega della polizia che fa una vita mondana,

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industriali che frequentano minorenni e dulcis in fundo, scopre che Matilde, la sua donna, in realtà durante le assenze per lavoro, a Milano, posa per delle foto pornografiche con il soprannome di Yolanda. L’amareggiato commissario, che ha raccolto un sostanzioso dossier sui vizi della cittadina, parla con il suo superiore, che lo invita a fare piazza pulita solo dei pesci piccoli, risparmiando notabili e persone in vista, per non turbare l’ordine sociale e sopratutto per evitare, in campagna elettorale, un grosso scandalo.

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Una mattina Pepe, recatosi davanti alla locale chiesa, vede entrare tutti i personaggi coinvolti nello scandalo per partecipare alla messa; appare chiaro che i potenti hanno una vita regolamentata dall’ipocrisia. Commettono i peggiori peccati, salvo poi confessarsi e riprendere tutto come prima. Pepe, che dovrebbe a questo punto mandare sotto processo i piccoli, probabilmente i meno colpevoli, sceglie di non scegliere; brucia il dossier raccolto faticosamente, rassegna le dimissioni e si reca a prendere Matilde dalla stazione.

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Ma quando arriva il treno, lui non aspetta la donna: si incammina triste e solitario sul viale della stazione, rivlge un’occhiata alla camera e con sguardo triste e malinconico dice ” E voi? Siete tutti leoni? ”

Il commissario Pepe, film del 1969 diretto da Ettore Scola è uno splendido affresco della vita di provincia, quella provincia italiana laboriosa ma anche viziosa sotto il suo manto di perbenismo; è una denuncia, amara e malinconica, del sistema di potere che garantisce ai forti l’impunità su qualsiasi cosa, che sia un reato morale o più grave.

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Antonio Pepe, che ha una dignità, una moralità adattabile si, ma scevra da compromessi, alla fine sceglie la via più difficile, quella di non scegliere, lasciando al suo sostituto il compito di riaprire le indagini o far finta di nulla. Dovrà essere lui, il suo successore a decidere, commenta amaro nel finale:  se sarà peggiore di lui dovrà accettare quello che lui non ha voluto subire , incriminerà i pesci piccoli salvando i potenti;  se sarà migliore di lui farà quello che lui non ha avuto il coraggio di fare, cioè incriminare tutti senza favoritismi.

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Antonio Pepe è interpretato in maniera ineguagliabile da Ugo Tognazzi, che presta il suo volto, la sua recitazione, al malinconico personaggio di Scola; malinconico si, ma anche arguto, ironico ,a tratti sarcastico. Interpretazione tra le migliori in assoluto di un grande attore, capace di cogliere le minime sfaccettature dei personaggi. Altrettanto brava è Silvia Dionisio, giovanissima, che interpreta la equivoca studentessa Silvia,  così come brava è Marianne Comtell, che interpreta Matilde, fidanzata all’apparenza perbenista del commissario.

Cameo per Rita Calderoni, la giovane circuita dalla sua superiora, e per Elsa Vazzoler, nel ruolo di una simpaticissima mondana in pensione. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Ugo Facco de La Garda, e a distanza di 40 anni è godibile come quando uscì.

Il commissario Pepe,un film di Ettore Scola. Con Ugo Tognazzi, Giuseppe Maffioli, Silvia Dionisio, Marianne Comtell, Elsa Vazzoler,Pippo Starnazza, Gino Santercole, Dana Ghia, Elena Persiani, Rita Calderoni
Commedia, durata 107 min. – Italia 1969.

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Ugo Tognazzi: Antonio Pepe
Giuseppe Maffioli: Nicola Parigi
Silvia Dionisio: Silvia
Tano Cimarosa: agente Cariddi
Marianne Comtell: Matilde Carroni
Dana Ghia: Suor Clementina
Elsa Vazzoler: vecchia prostituta
Véronique Vendell: Maristella Diotallevi
Rita Calderoni: Clara Cerveteri
Elena Persiani: Marchesa Norma Zaccarin
Pippo Starnazza: ubriacone
Gino Santercole: Oreste
Nogara Gervasio: Barista dell’hotel

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Regia Ettore Scola
Soggetto Ugo Facco De La Garda, Ruggero Maccari, Ettore Scola
Sceneggiatura Ruggero Maccari, Ettore Scola
Produttore Pio Angeletti, Adriano De Micheli
Fotografia Claudio Cirillo
Montaggio Tatiana Casini Morigi
Musiche Armando Trovajoli
Costumi Gianni Polidori

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Maggio 26, 2009 Pubblicato da: | Capolavori | , , , | 5 commenti

Per qualche dollaro in più

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Se Ombre rosse è passato alla storia del cinema per l’assalto alla diligenza,Per qualche dollaro in più deve la sua eterna fama alle sequenze conclusive del film,quelle del famoso duello tra Mortimer, un Lee Van Cleff duro come il profilo di pietra della sfinge e la maschera nervosa,psicopatica di Indio,il personaggio immortalato da Gian Maria Volontè. E sopratutto alla sequenza del carillon,con quella musica ipnotica composta da Morricone,mentre i protagonisti del duello si guardano e mentre la macchina da presa di Leone indugia sui volti dei protagonisti,lentamente,come in un thriller.

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Nel solito,sperduto paese ai confini con il Messico arrivano due personaggi,il primo è un pistolero senza nome (come quello di Per un pugno di dollari,chiamato il monco,perchè spara con una mano e tiene l’altra costantemente coperta dal poncho;il secondo è un colonnello dell’esercito,anche lui un cacciatore di taglie,il colonnello Douglas Mortimer,infallibile con la pistola che usa con un calcio aggiuntivo,che gli permette di sparare quasi avesse tra le mani un fucile.

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Gian Maria Volontè è Indio

I due sono sulle tracce di Indio,un pericoloso bandito,psicopatico e assassino,che si è ricongiunto con la sua banda con l’intento di rapinare la banca di El Paso, la più fornita del New Mexico.

Monco e Mortimer, entrambi sulle tracce di Indio,si sfidano in un epico duello senza spargimento di sangue,in seguito al quale decidono di diventare soci.Monco si infiltra nella banda di Indio il giorno prima della rapina alla banca,che ha successo,con la conseguente fuga della banda verso Agua Caliente,un posto sperduto al confine con il Messico.

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Lee Van Cleef è il Colonnello Douglas Mortimer

I due soci,Mortimer e Indio,si impadroniscono del bottino della banda,ma Indio,che aveva capito il gioco dei due li fa cattuare e sottoporre ad un pestaggio brutale. Nel frattempo Indio, che ha deciso di non dividere il bottino con i suoi uomini,li uccide ad uno ad uno,con la mira di far ricadere la colpa della rapina sui due soci.

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Clint Eastwood è Il monco

Nelle scene finali,Mortimer e Monco riescono a liberarsi,e si arriva al duello finale tra Indio e il colonnello;quest’ultimo uccide Indio,e rinuncia sia alla sua parte di taglia su tutti i componenti della banda,sia al frutto della rapina.Lui aveva inseguito Indio non per i soldi,ma per vendicare la morte della sorella,uccisa durante un tentativo di rapina dal bandito.Si riprende il medaglione con la foto della sorella,che Indio aveva custodito,e dopo aver salutato Monco,si allontana velocemente a cavallo. Il secondo western di Leone,comprendente la famosa e indimenticabile trilogia del dollaro,è opera matura,equilibrata e affascinante.Le psicologie dei personaggi diventano un alibi per mostrare le varie motivazioni dei due soci,Monco,pratico e sbrigativo,interessato principalmente al denaro e Mortimer,più riflessivo e astuto,che insegue il sogno tanto cullato della vendetta.Una vendetta che però non avrebbe se alla fine non fosse proprio il suo socio temporaneo a offrirgliela su un vassoio d’argento,nella memorabile scena del duello finale,scandito dai rintocchi del carillon,con la foto della sorella di Mortimer,morta per mano dell’Indio.

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Un film di una bellezza eccezionale,diventato immediatamente un culto,al pari dei celebrati western americani,che però non avevano mai avuto una simile caratterizzazione dei personaggi,nè una cura cos’ maniacale dei dettagli.

Grandissimo merito del successo del film va alle maschere dei protagonisti; Clint Eastwood tratteggia da par suo il ruolo di Monco,bounty killer con un cuore,spietato con i banditi,ma fermo sulla parola data.Lee van Cleff,nel ruolo di Mortimer,è implacabile,duro e spietato nella sua ricerca di vendetta.Sembra un idolo di ossidiana,con quella faccia scolpita nella pietra,che mostrerà la sua umanità,tuttavia,quando rinuncerà volontariamente,alla sua parte di bottino.E infine Gian Maria Volontè,nel ruolo di indio,con quel volto in cui brillano due occhi pervasi dalla follia,quelli del killer psicopatico che non esita a uccidere la moglie e i figli di un suo antico compare solo per vendicarsi di un vecchio  tradimento.

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Straordinarie le musiche di Morricone,che con i western di Leone ebbe fama e successo,assolutamente meritati e confermati poi in una carriera strepitosa.


Per qualche dollaro in più,un film di Sergio Leone. Con Gian Maria Volonté, Luigi Pistilli, Klaus Kinski, Lee Van Cleef, Clint Eastwood, Mario Brega, Dante Maggio, Benito Stefanelli, Roberto Camardiel, Aldo Sambrell, Rosemarie Dexter, Tomas Blanco, Mara Krupp, Joseph Egger, Panos Papadopulos, Luis Rodríguez, Mario Meniconi, Sergio Mendizábal, Lorenzo Robledo, Diana Rabito, Giovanni Tarallo
Western, durata 130 min. – Italia 1965.

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Clint Eastwood: il Monco
Lee Van Cleef: colonnello Douglas Mortimer
Gian Maria Volontè: el Indio
Mario Brega: el Niño
Mara Krupp: Mary
Luigi Pistilli: Groggy
Klaus Kinski: Wild, il gobbo
Joseph Egger: il vecchio profeta
Benito Stefanelli: Luke
Aldo Sambrell: Cuchillo
Lorenzo Robledo: Fred, il traditore
Sergio Mendizábal: direttore della banca di Tucumcari
Roberto Camardiel: uomo alla stazione di Tucumcari
Tomas Blanco: addetto al telegrafo
Panos Papadopulos: Sancho Perez
Dante Maggio: Carpentiere nella cella
Giovanni Tarallo: addetto al telegrafo di Santa Cruz
Mario Meniconi: addetto ai biglietti del treno
Antonito Ruiz: Fernando
Rosemarie Dexter: sorella di Mortimer
Diana Rabito: ragazza che fa il bagno
José Terrón: Guy Callaway
Josè Marco: Baby Cavanage
Rafael López Somoza: barista di El Paso
Enrique Santiago: Sceriffo di Tucumcari
Francisco Brana: membro della banda dell’Indio
Josè Canalejas: membro della banda dell’Indio
Antonio Molino Rojo: membro della banda dell’Indio
Werner Abrolat: membro della banda dell’Indio
Eduardo Garcìa: membro della banda dell’Indio
Nazzareno Natale: membro della banda dell’Indio
Manuel Boliche Bermudez: membro della banda dell’Indio
Luis Rodriguez: membro della banda dell’Indio
Carlo Simi: direttore della banca di El Paso
Kurt Zips: portiere albergo
Guillermo Mendez: sceriffo di White Rock
Peter Lee Lawrence: cognato di Mortimer
Diana Faenza: moglie di Fred
Raffaella Leone: figlia di Fred
Ricardo Palacios: pianista del saloon di Tucumcari

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Regia Sergio Leone
Soggetto Sergio Leone, Fulvio Morsella
Sceneggiatura Sergio Leone, Luciano Vincenzoni, Sergio Donati
Produttore Alberto Grimaldi
Casa di produzione P.E.A. (Produzioni Europee Associate),
Constantin Film Produktion GmbH, Arturo González Producciones Cinematográficas S.A.
Distribuzione (Italia) P.E.A. (Produzioni Europee Associate)
Fotografia Massimo Dallamano
Montaggio Eugenio Alabiso, Adriana Novelli, Giorgio Serrallonga
Effetti speciali Giovanni Corridori
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Carlo Simi
Costumi Carlo Simi
Trucco Rino Carboni

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Enrico Maria Salerno: Joe “il Monco”
Emilio Cigoli: colonnello Douglas Mortimer
Nando Gazzolo: el Indio
Renato Turi: el Niño
Lydia Simoneschi: Mary
Vittorio Sanipoli: Groggy
Bruno Persa: Wild, il gobbo
Sergio Graziani: Luke
Pino Locchi: Cuchillo
Gualtiero De Angelis: Fred, il traditore
Lauro Gazzolo: il vecchio profeta
Carlo Romano: Benito Martinez
Oreste Lionello: passeggero del treno, barista di El Paso
Giorgio Capecchi: Sceriffo di Tucumcari
Luigi Pavese: uomo alla stazione di Tucumcari
Manlio Busoni: Sancho Perez
Gianfranco Bellini: direttore della banca di Tucumcari
Nino Pavese: sceriffo di White Rock
Mario Feliciani: Baby Cavanage
Massimo Foschi: Guy Calloway
Rita Savagnone: ragazza che fa il bagno
Mario Besesti: addetto al telegrafo di Santa Cruz
Rosetta Calavetta: donna che sta con lo sceriffo di White Rock
Gianni Bonagura: Blackie
Glauco Onorato: pistolero amico di Cavanage
Vinicio Sofia: portiere albergo
Sandro Acerbo: Fernando
Gino Baghetti: controllore biglietti, direttore della banca di El Paso
Arturo Dominici: barista di Tucumcari
Miranda Bonansea: moglie di Fred
Sergio Tedesco: Uomo dell’Indio

 

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Abitualmente fumo dopo mangiato. Perché non torni tra dieci minuti?”. “Tra dieci minuti fumerai all’inferno“.

“Ci sono molte taglie su voi galantuomini e le taglie significano denaro. E io sul denaro non ci sputo mai sopra.”

Le domande non sono mai indiscrete, le risposte a volte lo sono a volte.”

“Quei due piuttosto che averli alle spalle è meglio averli di fronte, in posizione orizzontale… possibilmente freddi.”

“Lee Van Cleef chiede: “Qualcosa non va, ragazzo?”. E Clint Eastwood risponde: “Niente vecchio… non mi tornavano i conti. Me ne mancava uno”.

“Dove vai?”. “A dormire. Quando devo sparare, la sera prima vado a letto presto…”

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luglio 20, 2008 Pubblicato da: | Capolavori | , , , , , | 5 commenti

C’era una volta il west

C’era una volta il west, quarto film in tema western diretto da Sergio Leone, è un’epopea che celebra in un certo senso la fine di un’epoca, quella del cinema western e ne canta il de profundis,attraverso un’opera straordinaria di gran respiro pur molto dilatata nei tempi cinematografici.

E’ anche un’opera ambiziosa, la prima nella quale Leone ha un budget all’altezza, la possibilità di schierare un cast di livello eccelente ma non solo; vengono chiamati attori di grido,come Henry Fonda,Claudia Cardinale e Charles Bronson che interpreterà il ruolo più intenso della sua carriera.

Un film in cui tutto sembra studiato per ore, fin nei minimi particolari; dagli sguardi dei protagonisti,una delle fissazioni di Leone,all’ambientazione, passando per una colonna sonora che è possibile definire sontuosa,composta dal solito, grande Morricone. Un film che celebra un genere moribondo e che rivolge lo sguardo con nostalgia ad un’epoca ormai irrimediabilmente chiusa, ad un west selvaggio e crudele; ci sono tutti gli ingredienti delle storie classiche, dal cattivo Frank (Fonda), alla bella Jill (Cardinale), dall’uomo della vendetta, Armonica (Bronson), al bandito dal cuore d’oro, Cheyenne.

Personaggi che si mescolano e si integrano in una storia dal canovaccio classico, ormai collaudato.

Una stazione di un paesino del west; tre uomini sono uccisi da Armonica,un misterioso individuo chiamato così per la sua abitudine di suonare lo strumento a bocca. I tre sono in attesa di Frank, un crudele e spietato killer al soldo di Morton, industriale affetto da una tubercolosi ossea,che sogna di congiungere il west da una costa all’altra.Armonica resta ferito leggermente,e si rifugia in una taverna. Qui incontra Jill,una donna completamente spaesata in un ambiente tipicamente maschile (memorabile la scena della tinozza d’acqua, considerata buona solo da bere dal proprietario della taverna) e incontra anche Cheyenne, un fuorilegge che ha una banda con un segno distintivo,uno spolverino. Armonica racconta a Cheyenne di avere ucciso tre uomini con lo spolverino, ma il fuorilegge nega che i tre fossero della sua banda.

Nel frattempo Frank e i suoi uomini sterminano la famiglia McBrain,il padre e i suoi tre figli; McBrain si era da poco sistemato nella zona,dove aveva acquistato dei pezzi di terra e aveva invitato a vivere nel suo ranch Jill che aveva accettato. La donna si fa accompagnare alla fattoria e trova i corpi della famiglia Mc Bain; decide comunque di restare e durante la notte sente,in lontananza, il suono di un’armonica.

Intanto la storia si ingarbuglia; alla fattoria arriva Cheyenne,convinto che qualcuno voglia far incolpare lui e i suoi uomini dell’eccidio;apprende così da Jill le vere motivazioni dell’arrivo della donna,che in realtà è una ex prostituta,convinta da Mc Bain a venire a vivere al ranch. L’uomo le aveva raccontato di essere in procinto di diventare molto ricco. In realtà nel ranch non c’è il becco di un quattrino e la donna che ha già sposato in segreto McBain è la legittima erede del ranch. Nel frattempo Armonica uccide altri due killer di Frank,che erano venuti nella fattoria per eliminare la donna.

 

Frank irretisce Jill e cattura Armonica,che però viene liberato da Cheyenne,che svela all’uomo dall’armonica il piano originario di McBain;acquistare i terreni la attorno,più tutto il necessario per costruire una stazione di posta.McBain era convinto,infatti,che sui suoi terreni sarebbe passata la ferrovia di Morton.

Gli uomini di Cheyenne,usando il materiale che l’irlandese aveva previdentemente acquistato,costruiscono la stazione di posta;nel frattempo lo sceriffo mette all’asta i terreni,che diventerebbero,per soli 500 dollari,di proprietà di Frank,se all’ultimo istante non arrivasse Armonica ad offrire 5000 dollari.I soldi sono quelli della taglia sulla testa di Cheyenne,che viene così catturato dagli uomini dello sceriffo.

Morton corrompe gli uomini di Frank,per sbarazzarsi del killer,ormai fuori controllo;ma inaspettatamente è proprio Armonica a salvarlo.Ma è un espediente,perchè Armonica rivela a Frank di essere il fratello di un uomo costretto a stare sulle spalle di Armonica proprio mentre,con un cappio al collo,ascoltava il suono dello strumento.

Il duello si conclude con la morte del killer,Frank;così Armonica può consegnare a Jill la stazione di posta,proprio mentre arriva il primo treno.La donna è ormai ricca,e invita Armonica a restare con lui.

Ma l’uomo va via con Cheyenne,che nel frattempo si è liberato; ma per Cheyenne non c’è futuro,perchè Morton gli ha sparato e Cheyenne spira tra le braccia di Armonica,proprio mentre il suono della locomotiva, simbolo del progresso, lacera l’aria.

Nelle scene finali,le più alte e liriche dell’intero cinema di Leone, c’è il rimpianto per un mondo in dissoluzione;è proprio la locomotiva,che sostituisce in qualche modo il cavallo,il simbolo della fine di un’epoca, sottolineato dalle struggenti note della mitica colonna sonora di Morricone.

Un film straordinario,epico,grandissimo.Un sogno che dura tre ore,attraverso la violenza tipica del west,genetica e strettamente legata a quel mondo ormai scomparso.I volti di Armonica e di Frank,di Cheyenne e di jill sembrano mescolarsi in una saga che mostra la commozione del regista nel desrivere un mondo selvaggio,con leggi dure,ma in cui i ruoli sono rispettati.E ancora una volta il finale è amaro,ma allo stesso tempo in linea con il racconto.Armonica va via,anche se al fianco di jill potrebbe trovare la felicità e la tranquillità.Ma il richiamo della prateria,dell’avventura,è per lui troppo forte,come per l’uomo senza nome di Per un pugno di dollari,o di Monco,o di Biondo………

C’era una volta il West

Un film di Sergio Leone. Con Charles Bronson, Henry Fonda, Claudia Cardinale, Jason Robards, Gabriele Ferzetti, Paolo Stoppa, Woody Strode, Jack Elam, Keenan Wynn, Enzo Santaniello, Salvatore Basile, Spartaco Conversi, Marco Zuanelli, Al Mulock, Fabio Testi, Frank Wolff, Conrado Sanmartin, Renato Pinciroli, Benito Stefanelli, Aldo Berti, Lionel Stander, Dino Mele, Bruno Corazzari Western, Ratings: Kids+13, durata 167′ min. – Italia 1968.

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C'era una volta il west banner personaggi

Charles Bronson: Armonica
Henry Fonda: Frank
Claudia Cardinale: Jill McBain
Jason Robards: Manuel “Cheyenne” Gutiérrez
Gabriele Ferzetti: Morton
Paolo Stoppa: Sam
Woody Strode: Stony
Jack Elam: Snaky
Al Mulock: Knucles
Marco Zuanelli: Wolbers
Benito Stefanelli: 1° tenente della banda di Frank
Michael Harvey: 2° tenente della banda di Frank
Fabio Testi: membro della banda di Frank
Spartaco Conversi: membro della banda di Frank
Saturno Cerra: membro della banda di Frank
Claudio Scarchilli: membro della banda di Frank
Bruno Corazzari: membro della banda di Frank
Francisco Brana: membro della banda di Frank
Antonio Molino Rojo: membro della banda di Frank
John Frederick: membro della banda di Frank
Salvatore Basile: membro della banda di Frank
Aldo Berti: membro della banda di Frank
Keenan Wynn: Sceriffo
Frank Wolff: Brett McBain
Enzo Santaniello: Jimmy
Simonetta Santaniello: Maureen
Lionel Stander: Barista
Aldo Sambrell: uomo Cheyenne
Lorenzo Robledo: uomo Cheyenne
Luana Strode: donna indiana
Don Galloway: uomo di Frank nel flashback
Claudio Mancini: fratello di Armonica
Dino Mele: Armonica(piccolo)
Tullio Palmieri: carpentiere
Robert Spafford: costruttore
Rafael López Somoza: bigliettaio stazione
Francesca Leone: Donna alla stazione
Raffaella Leone: Donna alla stazione

C'era una volta il west banner cast

Regia Sergio Leone
Soggetto Sergio Leone, Dario Argento, Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura Sergio Leone, Sergio Donati
Produttore Bino Cicogna
Produttore esecutivo Fulvio Morsella
Casa di produzione Paramount Pictures, Rafran Cinematografica, San Marco Film
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Tonino Delli Colli
Montaggio Nino Baragli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Carlo Simi
Costumi Carlo Simi

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Giuseppe Rinaldi: Armonica
Nando Gazzolo: Frank
Rita Savagnone: Jill McBain
Carlo Romano: Manuel “Cheyenne” Gutiérrez
Bruno Persa: Snaky
Oreste Lionello: Wolbers
Stefano Sibaldi: Sceriffo
Corrado Gaipa: Brett McBain
Cesare Polacco: Barista
Lauro Gazzolo: uomo alla stazione
Roberto Chevalier: Patrick
Anna Rita Pasanisi: Maureen
Sandro Acerbo: Jimmy
Sergio Graziani: uomo Cheyenne
Pino Locchi: 1° tenente della banda di Frank
Glauco Onorato: 2° tenente della banda di Frank
Sergio Tedesco: Uomo della banda di Franl
Vinicio Sofia: Uomo all’asta
Mario Milita: Uomo al funerale

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Chi ne ha accoppati quattro ci mette poco a fare cinque. (Cheyenne)
Come si fa a fidarsi di uno che porta insieme cinta e bretelle… di uno che non si fida nemmeno dei suoi pantaloni? (Frank)
Sai niente di uno che gira soffiando in un’armonica? Se lo vedi te lo ricordi; invece di parlare, suona… e quando dovrebbe suonare, parla! (Cheyenne) [a Jill, parlando di Armonica]
Sai Jill, mi ricordi mia madre. Era la più grande puttana di Alameda e la donna più in gamba che sia mai esistita. Chiunque sia stato mio padre, per un’ora o per un mese è stato un uomo molto felice. (Cheyenne)
Ho visto tre spolverini proprio come questi tempo fa. Dentro c’erano tre uomini. E dentro agli uomini tre pallottole. (Armonica)
Sai solo suonare o sai anche sparare? (Cheyenne)
La calma è la prima qualità per un uomo d’affari. (Armonica)
Suona qualcosa A tuo fratello! (Frank) [mettendo in bocca l’armonica al piccolo Armonica, costretto nel flashback a reggere sulle spalle il fratello sulla forca]
Sai Jill se fossi in te gli porterei da bere a quei ragazzi. Tu non immagini quanta gioia mette in corpo di un uomo una donna come te, anche solo vederla… e se qualcuno di loro ti tocca il sedere, tu fai finta di niente, lasciali fare. (Cheyenne)

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luglio 15, 2008 Pubblicato da: | Capolavori, Western | | 7 commenti

Per un pugno di dollari

Per un pugno di dollari è un’opera fondamentale per il cinema.I motivi sono diversi,e sono legati a quell’alchimia magica che fa di un prodotto cinematografico nato senza grosse pretese,con un budget ridottissimo,con attori semi sconosciuti,uno dei capisaldi del cinema,un’opera diventata immortale ben aldilà dei pur rilevanti meriti che possiede.

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Sergio Leone reinventa un genere,il western,che era in grossa crisi e lo rilancia,eliminando l’equivoco dei famigerati indiani cattivi,e sostituendo il personaggio dello sconosciuto senza nome che porta la libertà la dove c’è la tirannia del più forte agli stereotipi sepolti dalla polvere di un cinema datato,quello che voleva i prodi cowboy quasi sempre alle prese con feroci e cattivi pellerossa.

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Stereotipi,appunto. In questo film un pistolero senza nome ( del quale non sapremo mai nulla,nè da dove viene,nè come si chiama,nè il suo passato) arriva a San Miguel,un polveroso e malandato paese di provincia ai confini con il Messico e per prima cosa va a sistemarsi nella locanda del burbero Silvanito,del quale,alla fine,diverra’ amico.

 

Da lui apprende la situazione del paese,stretto tra la morsa della famiglia Royo,capitanata dal crudele e feroce Ramon (un grandissimo Gian Maria Volontè) e quella dello sceriffo Baxter,venditore di alcool,al contrario della famiglia Royo,che traffica in armi.

 

L’uomo senza nome decide di vendersi,per un pugno di dollari,prima ai Baxter e poi ai Royo,in un doppio gioco molto pericoloso;mette ripetutamente le due famiglie contro,ricavandone denaro che darà a Marisol,una bellissima donna prigioniera di Ramon,separata da suo figlio e da suo marito per salvare loro la vita.E’ un gesto di grande generosità;lo straniero senza nome permette alla donna,a suo marito e al piccolo Jesus di lasciare il paese,grazie anche ai soldi che ha ricavato dalle due famiglie. Ma la buona stella che lo ha sorretto fino ad allora sembra abbandonarlo;l’uomo senza nome viene scoperto,e torturato selvaggiamente.si salva,e grazie al becchino del paese,si rifugia al sicuro,in attesa di guarire e di compiere la sua vendetta.

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Ramon e i Royo,convinti che lo straniero senza nome si sia rifugiato dai Baxter,ne approfittano per liquidare i conti,e sterminano tutti i Baxter,compresi la moglie e il figlio.

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E’ arrivata però l’ora della resa dei conti;l’uomo senza nome,rimessosi dalle ferite,affronta ad uno ad uno gli uomini dei Royo,uccidendoli tutti,prima di affrontare Ramon in un duello entrato nella storia del cinema.Ramon spara al cuore dell’uomo senza nome,ma quest’ultimo ha provvidenzialmente indossato una lastra di ferro,e rimane in piedi sotto i colpi di Ramon,che cadrà dopo la famosissima frase;

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto”.Vediamo se è vero”

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Così come è arrivato,l’uomo va via,in silenzio.Le musiche di Morricone,l’atmosfera carica di tensione nel film,la recitazione senza sbavature,la location spagnola che sembra davvero il Messico,il carsima magnetico di Eastwood sono solo alcune delle componenti di un film che ha segnato un’epoca,quella che spregiativamente venne definita degli spaghetti western,e che invece dette nuova linfa al cinema di genere,scatenando una valanga di epigoni non solo in Italia,ma anche in Usa.Leone,che riprese un soggetto originale di Akira Kurosawa,Yojimbo,creò un un nuovo modo di interpretare il western,basandolo sulla personalizzazione dei vari soggetti,come lo straniero senza nome,una specie di vendicatore dalle buone motivazioni di fondo,un cavaliere della valle solitaria anni sessanta,ma ben lontano dal personaggio impomatato interpretato da Alan Ladd.

La scelta di Eastwood si rivelò intelligente,e contribuì in maniera determinante alla carriera dell’attore.Ecco cosa disse Leone a proposito della sua scelta:

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« Ciò che più di ogni altra cosa mi affascinò di Clint, era il modo in cui appariva e la sua indole. Nell’episodio ‘’Incident of the Black Sheep’’ Clint non parlava molto… ma io notai il modo pigro e rilassato con cui arrivava e, senza sforzo, rubava a Eric Fleming tutte le scene. Quello che traspariva così chiaramente era la sua ‘’pigrizia’’. Quando lavoravamo insieme lui era come un serpente che passava tutto il tempo a schiacciare pisolini venti metri più in là, avvolto nelle sue spire, addormentato nel retro della macchina. Poi si srotolava, si stirava, si allungava… L’essenza del contrasto che lui era in grado di creare nasceva dalla somma di questo elemento con l’esplosione e la velocità dei colpi di pistola. Così ci costruimmo sopra tutto il suo personaggio, via via che si andava avanti, anche dal punto di vista fisico, facendogli crescere la barba e mettendogli in bocca il cigarillo che in realtà non fumava mai.Quando gli fu offerto il secondo film, ‘’Per qualche dollaro in più’’, mi disse:”Leggerò il copione, verrò a fare il film, ma per favore ti imploro solo una cosa: non mi rimettere in bocca quel sigaro!” E io gli risposi:”Clint, non possiamo tagliare fuori il sigaro. È il protagonista!”

Il debito di Leone a Kurosawa c’è,ed è evidente; in realtà Leone utilizza Goldoni,in particolare Arlecchino,ponendo il suo straniero senza nome tra i Baxter e i Royo “I Baxter da una parte,i Royo dall’altra,e io nel mezzo…”,come dice lo straniero senza nome all’inizio del film.

Ma il grande successo di Per un pugno di dollari è anche dovuto all’alter ego di Eastwood,il cattivo di turno,che ha la maschera diabolica,dura e impenetrabile di un magnifico Gian Maria Volontè nei panni di Ramon.

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Per finire va citato ancora una volta Leone,che una volta,in un’intervista,disse;Il cinema dev’essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito” E cosa c’è di più mitologico,di più vero e allo stesso tempo di più attraente del giustiziere che uccide i cattivi in un’orgia di sangue e morte e riporta la giustizia la dove non c’era più? In fondo il grande fascino di Per un pugno di dollari è anche questo.

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Per un pugno di dollari,un film di Sergio Leone. Con Clint Eastwood, Gian Maria Volonté, Marianne Koch, Wolfgang Luschky, Sieghardt Rupp, Antonio Prieto, José Calvo, Margarita Lozano, Daniel Martin, Benito Stefanelli, Bruno Carotenuto, Joseph Egger, Mario Brega, Aldo Sambrell, Umberto Spadaro
Western, durata 100 min. – Italia 1964

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Clint Eastwood: Joe, lo straniero
Gian Maria Volonté: Ramón Rojo
Marianne Koch: Marisol
José Calvo: Silvanito
Joseph Egger: Piripero
Antonio Prieto: Don Benito Rojo
Sieghardt Rupp: Esteban Rojo
Wolfgang Lukschy: John Baxter
Margarita Lozano: Donna Consuelo Baxter
Bruno Carotenuto: Antonio Baxter
Mario Brega: Chico
Daniel Martín: Josè
Fredy Arco: Jesus
Benito Stefanelli: Rubio
Aldo Sambrell: Dougy
Raf Baldassarre: Juan De Dios
Lorenzo Robledo: Uomo dei Baxter
Antonio Molino Rojo: Uomo dei Baxter
William Thompkins: Uomo dei Baxter
Luis Barboo: Uomo dei Baxter
Francisco Brana: Uomo dei Baxter
Julio Perez Taberneiro: Uomo dei Baxter
Nazzareno Natale: Uomo dei Rojo
Fernando Sanchez Polak: Uomo dei Rojo
Umberto Spadaro: Uomo dei Rojo
Alvaro De Luna: Uomo dei Rojo
Josè Halufi: Uomo dei Rojo
Antonio Pica: Uomo dei Rojo
Manuel Boliche Bermudez: Uomo dei Rojo
Nosher Powell: Cow-Boy
Juan Cortes: Capitano di cavalleria
Edmondo Tieghi: Soldato

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Regia Sergio Leone
Soggetto Sergio Leone, Akira Kurosawa (La sfida del samurai)
Sceneggiatura Sergio Leone, Duccio Tessari, Fernando Di Leo
Produttore Arrigo Colombo, Giorgio Papi
Produttore esecutivo Franco Palaggi
Casa di produzione Jolly Film (Roma) Ocean Film (Madrid), Constantin Film Produktion GmbH (Monaco di Baviera)
Distribuzione (Italia) Unidis
Fotografia Massimo Dallamano, Federico G. Larraya
Montaggio Roberto Cinquini, Alfonso Santacana
Effetti speciali Giovanni Corridori
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Carlo Simi, Sigfrido Burmann
Costumi Carlo Simi
Trucco Rino Carboni, Dolores Clavel (truccatrice)

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Enrico Maria Salerno: Joe, lo straniero
Nando Gazzolo: Ramón Rojo
Rita Savagnone: Marisol
Luigi Pavese: Silvanito
Lauro Gazzolo: Piripero
Mario Pisu: Don Benito Rojo
Bruno Persa: Esteban Rojo
Giorgio Capecchi: John Baxter
Anna Miserocchi: Consuelo Baxter
Franco Chillemi: Antonio Baxter
Renato Turi: Chico
Nino Pavese: Josè
Pino Locchi: Rubio
Sergio Graziani: Dougy
Oreste Lionello: Juan De Dios
Ferruccio Amendola: Uomo dei Baxter, Uomo dei Rojo
Glauco Onorato: Uomo dei Baxter
Massimo Foschi: Uomo dei Baxter
Arturo Dominici: Capitano cavalleria
Corrado Gaipa: Uomo nella diligenza
Massimo Turci: Tenente
Dhia Cristiani: Donna messicana

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” Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto! “

” Vuoi diventare ricco eh? Allora sei arrivato nel posto adatto, se sarai furbo; perchè qui tutti sono o molto ricchi o morti.”

” Quando si vuole uccidere un uomo bisogna colpirlo al cuore. ”

” Sono una donna abbastanza ricca per apprezzare gli uomini che si possono comprare. ”

” Devo ancora trovare un posto dove non ci siano padroni. ”

” Fate molto male a ridere: al mio mulo non piace la gente che ride. Ha subito l’impressione che si rida di lui. ”

” Starete come a casa vostra ” ” Spero di no, a casa mia stavo malissimo ”

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luglio 15, 2008 Pubblicato da: | Capolavori | | 5 commenti

I più belli di sempre

E’ il capolavoro scritto, prodotto, diretto ed interpretato da Orson Welles nel 1941,Quarto potere, il film più importante nella storia del cinema americano; questo il responso pronunciato dai 1.500 membri dell’American Film Institute, che hanno compilato una classifica delle cento migliori pellicole americane di sempre. La classifica completa è stata rivelata nel corso di uno show televisivo andato in onda sulla CBS il 20 giugno e presentato da Morgan Freeman, in occasione del decimo anniversario da un’analoga classifica redatta dall’AFI nel 1997; anche in quel caso, Quarto potere era risultato il film più votato in assoluto.
Una classifica,una delle tante,che sembra strizzare l’occhio più alla popolarità,che all’effettivo valore,fatto salvo il meritato primo posto per Quarto potere.
Alcune scelte sono molto discutibili,come la posizione di Toro scatenato davanti ad autentici capolavori della storia del cinema.
Questa la classifica finale per le prime 20 posizioni.

1) Quarto potere,di Orson Welles (1941)


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con Everett Sloane, Paul Stewart, Joseph Cotten, Alan Ladd

Solo una persona può decidere il mio destino, e quella persona
sono io. (Orson Welles in “Quarto potere”)

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2) Il padrino,di Francis Ford Coppola,(1972)


2 Il padrino locandina

con Marlon Brando, Al Pacino, James Caan, Richard S. Castellano, Robert Duvall, Diane Keaton

La droga deve essere controllata come un’industria per mantenerla rispettabile! Non la voglio vicino alle scuole. Non la voglio in mano ai bambini! Questa è un’infamità. Nella mia città limiteremo il traffico ai negri e alla gente di colore. Tanto sono bestie, anche se si dannano peggio per loro.(da Il Padrino)

2 Il padrino foto

3) Casablanca,di Michael Curtiz (1942)

Casablanca locandina

con Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Paul Henreid, Claude Rains, Conrad Veidt, Sydney Greenstreet

“Vi faccio notare che il revolver è puntato al cuore”. “E’ il posto meno sensibile che io ho”. (Humphrey Bogart e Claude Rains in “Casablanca”)

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4) Toro scatenato,di Martin Scorsese (1980)

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con Robert De Niro, Joe Pesci, Cathy Moriarty, Coley Wallace

Per cui datemi un’arena giacchè il Toro si scatena,perchè oltre al pugilato
sono attore raffinato!!Questo è spettacolo!”(da Toro scatenato)”

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5) Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen (1952)

con Gene Kelly, Donald O’Connor, Debbie Reynolds, Jean Hagen, Millard Mitchell, Cyd Charisse

“Non è questo, siete molto cari voi due ma io stasera finalmente ho capito. Io… beh tutto quello che mi avevi detto era vero. Non sono un attore, non lo sono mai stato, sono un buffone, me ne accorgo ora!”

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6) Via col vento,di Victor Fleming (1939)

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con Olivia De Havilland, Clark Gable, Thomas Mitchell, Vivien Leigh,Trevor Howard

“Aspetta, Rhett… Rhett… Se te ne vai, che sarà di me, che farò?
Francamente me ne infischio.”

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7) Lawrence dArabia di David Lean (1962)


con Anthony Quinn, Anthony Quayle, José Ferrer, Peter O’Toole

“La speranza è una cosa buona, forse la migliore”da Lawrence d’Arabia

8 ) Schindler’s List di Steven Spielberg (1983)


con Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Liam Neeson, Jonathan Sagalle

“Chiunque salvi una vita salva il mondo intero.” da Schindler list

9 ) Vertigo,La donna che visse due volte un film di Alfred Hitchcock

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con James Stewart, Kim Novak, Barbara Bel Geddes, Henry Jones

“C’è ancora un’ultima cosa che devo fare, e poi, sarò libero dal passato.” dal film Vertigo

10 ) Il mago di Oz,regia di Victor Fleming (1939)

con Judy Garland, Frank Morgan, Ray Bolger, Billie Burke

“Toto, credo che non siamo più in Kansas”,dal film il Mago di Oz

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11) Luci della città,un film di Charles Chaplin (1931)

con Charles Chaplin, Virginia Cherril, Harry Myers, Florence Lee

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12) Sentieri selvaggi,un film di John Ford (1953)

con John Wayne, Natalie Wood, Ward Bond, Jeffrey Hunter

“Li troveremo alla fine! Questo è sicuro come il sorgere del sole.” dal film Sentieri selvaggi

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13) Guerre stellari,un film di George Lucas (1977)

con Harrison Ford, Peter Cushing, Carrie Fisher, Alec Guinness

“La forza scorre potente in questo ragazzo” dal film Guerre stellari

14) Psycho,un film di Alfred Hitchcock (1960)

con Janet Leigh, Anthony Perkins, Vera Miles, John Gavin

“Un hobby serve a passare il tempo, non a riempirlo” dal film Psycho

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15 ) 2001: Odissea nello spazio ,un film di Stanley Kubrick (1968)

con Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter

“Nessun calcolatore 9000 ha mai commesso un errore o alterato un’informazione. Noi siamo senza possibili eccezioni di sorta a prova di errore, incapaci di sbagliare”dal film 2001 odissea nello spazio

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16) Viale del tramonto un film di Billy Wilder (1950)

con William Holden, Erich von Stroheim, Nancy Olson, Gloria Swanson

“Voi siete Norma Desmond. La famosa attrice del cinema muto. Eravate grande. – Io sono sempre grande. E’ il cinema che è diventato piccolo.” dal film Viale del tramonto

17) Il laureato,un film di Mike Nichols (1967)

con Anne Bancroft, Dustin Hoffman, William Daniels, Murray Hamilton

“Signora Robinson, lei… sta cercando di sedurmi…” dal film Il laureato

18 ) Fronte del porto,di Elia Kazan (1954)

con Marlon Brando, Eva Marie Saint, Karl Malden, Lee J. Cobb, Rod Steiger, Pat Henning

“Tu non capisci! Avrei potuto essere rispettato, avrei potuto essere un lottatore. Avrei potuto essere qualcuno invece di essere un buono a nulla che è quello che sono!”dal film Fronte del porto

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19) La vita è meravigliosa,un film di Frank Capra (1946)

con Gloria Grahame, Thomas Mitchell, Lionel Barrymore, James Stewart

“La vita di un uomo è legata a tante altre vite. E quando questo uomo non esiste lascia un vuoto”,dal film La vita è meravigliosa

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20) Chinatown,regia di Roman Polanski (1974)

con Burt Young, Bruce Glover, John Huston, Jack Nicholson, Faye Dunaway

“Lascia stare, Jake… è Chinatown”dal film Chinatown

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luglio 13, 2008 Pubblicato da: | Capolavori | , | 3 commenti