Il trafficone
Per poter mantenere la sua famiglia,Vincenzo Lo Russo è costretto ad improvvisare lavori ingegnosi;Angelina,la moglie e i suoi tre figli lo attendono a casa e Vincenzo raccatta denaro abbordando i passeggeri delle auto che si fermano ai semafori proponendo loro l’acquisto di capi d’abbigliamento.
Un giorno casualmente abborda una affascinante donna con la quale ha una fugace relazione; la donna ha in realtà attirato a casa Vincenzo per compiacere il marito guardone e al termine del rapporto regala a Vincenzo stesso un libro sulla sessualità e sui rapporti di coppia.
Dopo averlo letto l’uomo prende una decisione: si improvviserà medico e aprirà uno studio nel quale cercherà di curare i problemi sessuali delle coppie, che a quanto pare sono molto più diffusi di quanto sembri.
Tina Aumont e Carlo Giuffrè
Rita Calderoni
Cosi con l’aiuto di Gennaro, un suo amico,Vincenzo avvia lo studio che ben presto ottiene uno straordinario successo.
Spesso infatti le coppie che si rivolgono a lui trovano nell’uomo la soluzione ai loro problemi, in particolare le partner femminili che vengono “guarite” dai loro problemi dall’infaticabile Vincenzo.
Ma il super lavoro alla fine sfianca il pur valoroso Vincenzo che nel frattempo ha cambiato il suo cognome in D’Angelo; la prima ad accorgersi dei problemi è la moglie Angelina, trascurata nel talamo nuziale dal marito.
Così, convinta da un amico a rivolgersi all’ormai famoso dottor D’Angelo, Angelina scopre il nuovo lavoro del marito.
Ad un primo attacco d’ira segue una riflessione sul cambiamento che l’attività di Vincenzo ha portato all’economia domestica; così Angelina alla fine convince suo marito ad allargare la società, diventando anch’essa una sessuologa…
Il trafficone è una commedia sexy del 1974,diretta da Bruno Corbucci, non priva di un suo rozzo ma efficace umorismo; l’idea di fondo della sceneggiatura presta infatti il fianco allo sviluppo di una storia sicuramente esile ma ben diretta dal regista romano,uno dei più fecondi sceneggiatori del cinema italiano e regista di una cinquantina di film che spaziano dal western alla commedia.
Adriana Asti
Irina Maaleva
Dopo aver cavalcato in maniera semi seria il filone decamerotico con film come Boccaccio e Il prode Anselmo e il suo scudiero, Corbucci passa alla commedia sexy reclutando per il cast il simpatico e sicuramente affidabile Carlo Giuffrè e affiancandogli nomi di un certo livello del cinema italiano come Lino Banfi e Enzo Cannavale con l’aggiunta di ottime e belle attrici come Tina Aumont, Marilu Tolo e Rita Calderoni, una volta tanto slegata dal suo mentore Polselli.
Per completare, Corbucci affida parti di contorno ad altri nomi importanti del cinema leggero come Gianni Agus,Vincenzo Crocitti e Adriana Asti, rendendo così quanto meno affidabile la parte recitativa.
Marilu Tolo
Anche se nello stretto ambito del cinema di genere Il trafficone risulta alla fine un prodotto ben confezionato,gradevole e quasi esente dalle triviliatà gratuite delle commedie sexy, con scene di sesso e nudo assolutamente castigate e dirette più che altro come degli sketch satirici.
Alla fine vien fuori una commedia che si gusta con piacere,grazie sia alla professionalità del cast sia ad alcune scenette ben costruite (quella iniziale con protagonista la Aumont,quella finale con la Tolo e il siparietto costruito dalla coppia Banfi-Maleeva).
Un’ora e mezza di cinema distensivo ed allegro, senza alcuna pretesa.
Il film è disponibile in una versione più che accettabile su You tube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=CWPPDxCsHV4
Vi ricordo che se usate Chrome è disponibile un’estensione che permette la visione del film off line; il software 4K video downloader permette altresi lo stesso lavoro.
Il trafficone
Un film di Bruno Corbucci. Con Marilù Tolo, Tina Aumont, Carlo Giuffrè, Gianni Agus, Adriana Asti, Enzo Cannavale, Lino Banfi, Elio Zamuto, Rita Calderoni, Irina Maleeva, Massimo Dapporto Commedia, durata 91 min. – Italia 1974.
Carlo Giuffré: Vincenzo LoRusso / dottor Gaetano D’Angelo
Enzo Cannavale: Gennaro, amico di Vincenzo
Rita Calderoni: Angela, moglie di Vincenzo
Lino Banfi: ragionier Luigi Scardocchio
Irina Maleeva: Silvana, moglie di Scardocchio
Elio Zamuto: Barone Vito Macaluso
Marilù Tolo: Rosalia, moglie del barone Macaluso
Tina Aumont: Laura Vitali
Adriana Asti: Virginia, moglie del pretore Filiberto Vettiglia
Gianni Agus: onorevole Rivolta
Renzo Marignano: Conte Everardo
Liuba Subcova: moglie del conte
Regia Bruno Corbucci
Soggetto Bruno Corbucci, Mario Amendola
Sceneggiatura Bruno Corbucci, Mario Amendola
Produttore Galliano Juso
Casa di produzione Cinemaster
Fotografia Guglielmo Mancori
Montaggio Daniele Alabiso
Musiche Ubaldo Continiello
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Il catalogo di inibizioni e bizzarrie sessuali nella vita di coppia si presenta in una veste solare e giocosa e oppone ai possibili rischi di caduta nel cattivo gusto la solida barriera di Giuffrè, che mantiene contegno e professionalità in tutti i pezzi proposti: alcuni sono più riusciti (le esilaranti fregole di Banfi e la cura dell’ipodotato Crocitti), altri meno, perché flosci (Agus e il transgender) o inutilmente reiterati (gli agguati della Asti). Valida spalla Cannavale; bollente la Tolo. Per la colonna sonora Continiello utilizza “Il ballo del qua qua”.
L’opinione di Motorship dal sito http://www.davinotti.com
Una curiosa commedia con protagonista assoluto il grandissimo Carlo Giuffrè nei panni del falso medico che usa la sua farlocca professione per soldi e per concedersi qualche bella occasione in quanto a donne. Giuffrè è esplosivo, divertente e non volgare, confrmando le sue doti di attore e di comico. Ottimi comprimari Enzo Cannavale, sempre all’altezza nei panni del suo sgangherato assistente, le bellissime Marilù Tolo, Tina Amount e Rita Calderoni, un giovane Lino Banfi già divertentissimo. Noioso l’episodio con Agus.
L’opinione di sasso 67 dal sito http://www.filmtv.it
Commedia abborracciata di tematica sessuale (Giuffrè, magliaro napoletano a Roma, si improvvisa sessuologo e fa i soldi), che prende a pretesto il nuovo mestiere del protagonista per avere maggior agio di creare situazioni al confine tra comicità ed erotismo. Con scarsi risultati, va detto, sull’uno e sull’altro versante. Cannavale strappa qualche risataccia, ma l’insieme è quasi deprimente, anche perché si notano errori di montaggio francamente imbarazzanti: per esempio, un attimo prima che il medico riceva i giovani sposini Vincenzo Crocitti e Pamela Villoresi, l’infermiera ha fatto alzare, nella sala d’attesa, una coppia che non somiglia nemmeno lontanamente (i due, per di più, sono vestiti in maniera completamente diversa) a quella che troviamo nello studio del “dottore”.
Tour de force di Carlo Giuffrè che, soldi a parte, avrebbe potuto dedicarsi ad altre attività umanamente più gratificanti.
Seguite il link aggiornamenti per vedere le gallerie ricaricate!
La monaca di Monza
Versione romanzata (un po troppo) dello scandalo che coinvolse Suor Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva y Marino e il suo amante,il conte Gian Paolo Osio e che Alessandro Manzoni avrebbe immortalato nel suo immortale I promessi sposi.
Diretto nel 1969 da Eriprando Visconti, nipote del celebre Luchino, La monaca di Monza racconta in modo sommario e storicamente poco attendibile la vicenda che coinvolse Suor Virginia e Osio, suo amante e nel film suo stupratore prima e innamorato poi.
Una relazione proibita che nei fatti storici durò almeno 10 anni e che vide il conte Osio mantenere la sua relazione peccaminosa con Virginia dapprima e poi con altre tre sorelle poi, relazione dalla quale nacquero due figli, il primo dei quali morto dopo il parto.
Da questi fatti storici Visconti romanza la realtà, immaginando che a madre superiora di un convento di Monza dia rifugio al conte Osio, braccato dalle autorità.
Qui il violento e seduttore Osio stupra la superiora, che però si lega a lui diventando l’amante del conte e mettendo alla luce un figlio con la complicità tacita delle suore.
Visconti riprende quindi lo scandalo scoppiato agli inizi XVII secolo per girare un’opera senza infamia e senza lode, nella quale latitano oltre alla credibilità storica il ritmo e la dinamica.
Tutto il film si riduce infatti ai rapporti controversi tra i due amanti impossibili, mostrandoci un conte Osio stupratore dapprima e convinto innamorato poi e basandosi principalmente sugli aspetti morbosi della vicenda.
Stretto tra la logica commerciale e la necessità di dover creare un prodotto che riuscisse a superare gli scogli della censura, Visconti si barcamena e accontenta i suoi produttori dando un senso morboso all’operazione che compie senza però spingere tantissimo sulle scene erotiche proprio per evitare le forbici censorie.
Siamo nel 1969 e il moralismo dell’ente censorio è pronto ad abbattersi sulle pellicole più scabrose; l’argomento poi è di quelli tosti per cui dal punto di vista dei produttori la paura è ben comprensibile.
Tuttavia Visconti esagera con la travisazione storica:le figure di Virginia e Osio escono completamente differenti dalla realtà storica, così come inventata di sana pianta è il racconto dello stupro.
A questo proposito apro una parantesi.
Dai resoconti storici sappiamo, dagli atti del processo che si tenne contro Marianna de Leyva che la donna, dopo un inizio burrascoso dei suoi rapporti con lo scapestrato conte Osio, allacciò con esso una relazione peccaminosa, che vide coinvolte a vario modo in una torbida partouze due consorelle del convento, Suor Ottavia e Suor Benedetta.
Per ben 11 anni il gruppo si macchiò di crimini orrendi, che probabilmente però vennero perpetrati dal conte Osio; la prima vittima fu suor Caterina, una religiosa che, scoperta la tresca, aveva deciso di parlarne ed in seguito altre persone, coinvolte in vario modo vennero eliminate fisicamente.
Tuttavia alla fine lo scandalo scoppiò con la conseguenza che Virginia venne condannata ad essere murata viva in una cella di un metro per te, con un’unica presa d’aria, nella quale l’ex religiosa visse per 13 anni, fino al perdono che le venne concesso e che le permise di vivere fino alla sua morte da religiosa.
Il conte Osio pagò duramente i suoi misfatti.
Condannato a morte, riuscì a rifugiarsi presso una famiglia, che però lo uccise e lo decapitò.
Tornando alla pellicola,non potendola giudicare in modo troppo severo perchè comunque Visconti mostra doti più che sufficienti, guidando con equilibrio le varie componenti che permettono la realizzazione di un film , quindi fotografia, montaggio ecc. possiamo elogiare senza riserve il cast,composto da ottimi attori che svolgono in modo impeccabile le parti loro assegnate.
Molto brava e sopratutto raffinata Anne Heywood, dai lineamenti aristocratici e dai movimenti altrettanto nobili,bene anche Tino Carraro,Carla Gravina e Antonio sabato e tutti gli atri caratteristi inclusa una giovanissima Rita Calderoni.
Musiche discrete di Ennio Morricone.
La monaca di Monza è un film reperibile, in ottima qualità, sui p2p.
La monaca di Monza – Una storia lombarda
Un film di Eriprando Visconti. Con Luigi Pistilli, Antonio Sabato, Anne Heywood, Hardy Krüger, Caterina Boratto, Giovanna Galletti, Giulio Donnini, Maria Michi, Carla Gravina, Renzo Giovampietro, Tino Carraro, Laura Belli, Michel Bardinet, Rita Calderoni, Francesco Carnelutti Drammatico, durata 102′ min. – Italia 1969.
Anne Heywood … Virginia de Leyva
Hardy Krüger … Padre Paolo Arrigone
Antonio Sabato …Il conte Giampaolo Osio
Anna Maria Alegiani … Suor Ottavia Ricci
Margarita Lozano … Suor Benedetta Homati
Giovanna Galletti …Suor Angela Sacchi
Caterina Boratto … Suor Francesca Imbersaga
Renzo Giovampietro … Vicario Saraceno
Laura Belli … Suor Candida Colomba
Maria Michi … Suor Bianca Homati
Michel Bardinet … Giovanni degli Hortensi
Pier Paolo Capponi … Conte Taverna
Francesco Carnelutti …Cantastorie
Tino Carraro … Monsignor Barrea
Giulio Donnini … Molteno
Carla Gravina … Caterina da Meda
Luigi Pistilli … Conte Fuentes
Regia Eriprando Visconti
Soggetto Eriprando Visconti, Giampiero Bona
Sceneggiatura Eriprando Visconti, Giampiero Bona
Produttore Silvio Clementelli
Casa di produzione Clesi Cinematografica
Fotografia Luigi Kuveiller
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Flavio Mogherini
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Curiosa l’idea di mettere in scena le vicende della monaca di Monza ricostruite attraverso gli atti del processo che vide protagonista la donna, che ricorda l’idea di Dreyer per La passione di Giovanna d’Arco; partendo da quanto riportato nel libro di Mario Mazzucchelli Una storia lombarda e con una sceneggiatura del regista e di Gian Piero Bona, ecco che per l’ennesima volta nel cinema italiano torna sul grande schermo la controversa figura protagonista anche de I promessi sposi manzoniani (ci avevano già pensato in passato Gallone, Pacini e altri ancora). Il problema principale è che il ritmo latita, i dialoghi sono un pochetto artificiosi e – anche per i due motivi appena riportati – la fredda impostazione della narrazione pare più adatta a uno sceneggiato televisivo o a un fotoromanzo che a un film vero e proprio; non sono comunque male le scelte del cast, che vedono impiegata nel ruolo centrale Anne Heywood e, al suo fianco, Hardy Kruger, Antonio Sabato, Margherita Lozano e Caterina Boratto (e in una particina c’è anche la futura diva di Z-movies Rita Calderoni). Non essendo ancora nell’era dello sdoganamento del sesso al cinema, l’erotismo piuttosto forte che la storia sottende è comunque castigato; le scene di Flavio Mogherini funzionano così come la colonna sonora di Ennio Morricone e a completare un cast tecnico di prima qualità troviamo i costumi di Danilo Donati, la fotografia di Luigi Kuveiller e il montaggio di Sergio Montanari.
L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com
Torbido conventuale diretto dal duca di Modrone nipote di Luchino conte di Lonate Pozzolo, lontanissimo dal Manzoni (qui la sventurata risponde sempre e volentieri) ma aderente alla verità storica dell’amour fou fra suor Virginia de Leyva e lo scopereccio Giampaolo Osio. Malgrado le aspirazioni alte e la notevole caratura della compagine tecnica l’insieme, fra pulsioni erotiche e secentesche cupezze ecclesiastiche, è più in zona fotoromanzo nero che affresco in costume. Non è necessariamente un difetto.
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Anche in questa ricostruzione delle sventure di Marianna de Levya e Giampaolo Osio il cinema di Visconti jr. pencola tra logica commerciale e libera autorialità; ovvero, resta incerto tra distendersi sull’epidermide sensazionalistica e morbosa della vicenda (lussurie, intrighi, scandali e supplizi da romanzo d’appendice) o inciderla con il ricorso a fonti storiche dirette e le raffinatezze estetiche ereditate da zio Luchino. Interpretazioni nella media, con balzi di Carraro e della Gravina. Al cantastorie Carnelutti il regista affida il proprio amore per la natia terra lombarda.
L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com
La storia la conosciamo: le debolezze della carne, che si fanno ancora più eclatanti quando si indossa un abito religioso. La pellicola è lenta e lontana dalla perfezione stilistica dello zio Visconti. Non basta mettere in scena torture corporali per placare il desiderio di possedere l’aitante playboy, così come ispirarsi al capolavoro I diavoli di Ken Russell per realizzare un’opera degna di restare nella memoria dello spettatore. Fallisce perfino Morricone con la sua patetica melodia, mentre resta l’erotismo libidinoso. Anticlericale e morboso.
Bibliografia:
Roberto Gervaso, La monaca di Monza. Venere in convento, Bergamo, Bompiani, 1984
Mario Mazzucchelli, La monaca di Monza, Dall’Oglio editore, 1962
G. Farinelli ed E. Paccagnini, Vita e processo di suor Virginia Maria de Leyva, Monaca di Monza, Milano, Garzanti, 1989
Suor Virginia in un dipinto d’epoca
Gian Paolo Osio
Foto d’epoca del Convento delle Grazie a Monza
L’arcivescovo Borromeo,che istituì il processo a Suor Virginia
Un attimo di vita (La sensualità è un attimo di vita)
Difficile da catalogare, difficile da comprendere:La sensualità è un attimo di vita, o anche semplicemente Un attimo di vita di Dante Marraccini assomiglia molto più ad una piece da teatro d’avanguardia che ad un film.
Colpa ( o merito) della mancanza assoluta di una trama, di dialoghi spesso astrusi o al limite del comprensibile e sopratutto oscuri e eccessivamente verbosi.
Un film che è una stranezza completa, fatto di sequenze spesso caotiche e senza logica apparente, eppure con un certo fascino visivo legato proprio al caleidoscopio di immagini che sembrano un non sense, affiancate l’una all’altra e cariche di simbolismi difficilissimi da afferrare.
Per certi versi, Un attimo di vita assomiglia ad alcuni film avanguardistici di fine anni sessanta, quelli in cui si sperimentava liberamente, senza farsi intrappolare da copioni o sceneggiature, girati con due soldi e lasciati spesso volutamente privi di trama, quasi a voler sottolineare, nel loro caos, l’identica situazione della vita sociale, il fervore a anche la confusione di un momento storico dinamico e irripetibile, un coacervo di aspirazioni e lotte che saranno l’impronta lasciata dalla vita e dalla cultura di quegli anni straordinari.
Parlavo di un certo fascino delle immagini, che si lega volutamente agli scenari che il regista utilizza e dei dialoghi spesso incomprensibili anche perchè slegati dalla logica visiva delle immagini che scorrono sullo schermo e che iniziano da subito a calare lo spettatore in una realtà estraneata sin dalle prime sequenze.
Un uomo e una donna corrono nudi sulla spiaggia e si accorgono che in lontananza qualcuno si è avvicinato alla loro jeep; lo raggiungono e lo sconosciuto, senza motivo apparente, colpisce la donna e getta tutto il contenuto della jeep sulla sabbia.
In precedenza la macchina da presa ha indugiato sul volto del giovane nudo e della ragazza stesa accanto a lui, fra piccoli cumuli di rifiuti e copertoni lasciati in bella mostra sulla spiaggia.
Che sia casuale o no, la scena rimanda allo sfacelo della società dei consumi, ma potrebbe trattarsi solo di pura combinazione:fatto sta che il film, da questo momento in poi perde anche la linearità e il dinamismo coordinato per diventare un happening di situazioni assolutamente incomprensibili anche nella loro logica di base.
“E quello da dove salta fuori?”
“Non lo conosco, ma sarà una nostra impressione”
” Forse è un residuato della contestazione”
“Sarà come dici tu,per me è uno che ci vuole fregare”
Queste poche battute sono già paradigmatiche di quello che accadrà successivamente;i due giovani si avvicinano allo sconosciuto che colpisce la ragazza al volto e dice “Guardatemi bene voi, due: io sono uno che prende quanto trova e ciò che gli serve“, mentre la donna, completamente nuda lo guarda con il volto serio e gli risponde ” Nessuno ti impedisce di inventare, fa parte del gioco,ma non sperare di condizionarci, sei troppo emotivo per reggere un confronto”
Il giovane prende le chiavi dell’auto e le consegna allo sconosciuto, che di rimando dice in modo sibillino:”Mi dai le chiavi, dai le chiavi ad uno che non ha il tempo di ascoltare la morale degli altri” e poco dopo “Io sono la vita”
Queste frasi sconnesse, senza apparente logicità temporale saranno d’ora in poi la costante del film, unite a immagini che apparentemente mal si conciliano vista la confusione e lo scoordinamento che le legano le une alle altre.
Così vedremo lo sconosciuto accompagnare i due giovani in un villaggio, dove ci sono altri giovani silenziosi vestiti di bianco:l’uomo incontra nuovamente la ragazza della spiaggia che gli dice “Ti avevo sconsigliato di venire, qui non c’è spazio per gli altri, noi siamo diversi e tu appartieni alla normalità”
Le scene si susseguono l’una dietro l’altra, mostrandoci i giovani alle prese con un gruppo di persone adulte (i loro genitori) e la loro fuga da essi, lo svaligiamento di una boutique con conseguente sottrazione di capi di vestiario che i giovani indosseranno la sera con un rito collettivo sulla spiaggia e via dicendo.
Poichè non c’è una trama, ed apparentemente nemmeno una logica, tutto sembra assolutamente preda del caso e volutamente provocatorio;la fuga dei giovani dagli adulti può simboleggiare l’incapacità storica di dialogo tra le generazioni o anche il rifiuto da parte dei giovani stessi di adeguarsi al conformismo dei genitori o tutte e due le cose al tempo stesso.
Fatto sta che il simbolismo diventa via via sempre più ermetico e lo sforzo dello spettatore per seguire una parvenza di logicità in quello che vede è degno di Tantalo.
Dalla sequenza all’interno di una specie di locale notturno al viaggio in un peschereccio fino all’attacco allo sconosciuto con mazze da baseball, tutto assume i contorni indistinti del simbolismo più esasperato, con rari dialoghi che diventano ancora più ermetici.
Il finale del film, che si veste inaspettatamente di color giallo lascia ancor più attoniti, perchè chiude una storia inespressa in modo assolutamente imprevedibile.
Spiazzante.
E’ il termine che più si avvicina nell’intento di provare a dare una definizione di questo film, che sembra più una slide in movimento di immagini simili a quadri astratti che a qualcosa di coerente.
Ancor più difficile è l’interpretazione di quello che è il “messaggio” del film, la sua tematica di fondo e in ultimi termini la sua logica.
Se fate un giro in rete, alla ricerca di recensioni del film, non ne troverete una sola che accenni in qualche modo ad un sunto lineare del film, proprio per l’impossibilità di riassumere il tutto in poche righe che abbiano il sapore della logica.
Così Un attimo di vita diventa un’esperienza visiva e uditiva di indubbio fascino ma che necessita anche di molta pazienza, così come suggerito da un utente del Davinotti, Fauno, che dice testualmente: “Il miracolo del regista sta nella realizzazione di un film pieno di simbolismi e di concetti astratti impersonato da attori reali più che mai e non con l’uso del solito staticismo ascetico o delle lunghe inquadrature, ma con un dinamismo quasi da film d’avventura. Si vede che è degli anni ’70. La prima volta è molto meglio fissare e interpretare le immagini e i dettagli, senza cadere nel tranello di scervellarsi subito sui dialoghi volutamente arzigogolati e che saranno invece ben afferrati a una visione successiva. Uno dei tre film della mia vita!”
Senza voler sposare la frase finale del commento, suggerisco la visione di questo film ad un pubblico davvero paziente.
Per quanto riguarda il cast,degne di nota le interpretazioni di Gabriele Tinti, forse una delle più intense e difficili dell’attore nella sua carriera,qui nei panni dello sconosciuto, di Gianni Dei, della bellissima e arcigna (in questo film) Margaret Lee e di due brave e affascinanti attrici come Orchidea De Santis (che interpreta una madre!) e di Rita Calderoni.Il film ebbe noie con la censura e venne bloccato prima di essere finalmente dissequestrato (leggere a tal proposito l’articolo di un giornale dell’epoca nella sezione foto)
Il film di Marraccini è praticamente irreperibile, anche se è possibile procurarsi una versione perfetta ridotta dal Dvd del film;seguendo questo link http://wipfiles.net/53r8s6wam8vd.html è possibile accedere alla versione stessa.
Il problema è che si può scaricare solo con un account premium, ovviamente a pagamento.
Sul mulo è presente la stessa versione, ma al momento disponibile per meno del 60%, per cui occorre attendere i tempi tecnici di caricamento dello stesso.
Un attimo di vita
Un film di Dante Maraccini. Con Gabriele Tinti, Margaret Lee, Gianni Dei, Rita Calderoni,Orchidea De Santis Titolo originale La sensualità è un attimo di vita. Drammatico, durata 90 min. – Italia 1976
Margaret Lee: la ragazza
Gabriele Tinti:lo sconosciuto
Gianni Dei.il ragazzo
Rita Calderoni: una ragazza
Orchidea De Santis:una madre
Regia Dante Marraccini
Sceneggiatura Dante Marraccini
Fotografia Aldo Greci
Montaggio Dante Maraccini
L’opinione di Davide Pulici dal sito http://www.nocturno.it
Comincia con Gianni Dei e Margaret Lee, nudi come vermi, su una spiaggia, che incontrano Gabriele Tinti. Chi siano esattamente gli uni e l’altro è difficile capirlo, prima che dirlo. Tinti dovrebbe simboleggiare l’uomo comune, della strada, mentre gli altri due appartengono a una comunità di giovani – vestiti di bianco, in un villaggio anch’esso tutto bianco (Sperlonga); ma poi si vestiranno di nero – che sembrano vivere in una dimensione puramente mentale, fuori dal tempo e dallo spazio comuni: forse un esilio scelto, forse una condanna imposta dalla società. I ragazzi (tra i quali ci sono pure Rita Calderoni e la c.s.c. Ada Pometti) guidano poi l’ospite attraverso una sorta di viaggio iniziatico, declamando strani filosofemi e sperimentando situazioni altamente non-sense. Con finale tragico. Qui sì che si ha davvero l’impressione di aggirarsi in un milieu polselliano. Tra l’altro, anche se Marraccini non ricorda il particolare, uno dei personaggi si chiama proprio Polselli: è una sorta di faccendiere, che incontriamo nel contesto di un campo di finocchi (nel senso di gay), ingaggiato dai genitori di Margaret Lee per riportargli la figlia. Questi ultimi sono borghesi benpensanti, che in privato coltivano il piacere delle ammucchiate e vivono in una casa senza pareti, in mezzo a un prato: la madre è Orchidea De Sanctis! E non è che una delle innumerevoli stranezze che popolano una pellicola indefinibile e inclassificabile, figurativamente non malvagia ma dove l’erotismo, che potrebbe giustificare l’operazione, è minimo – il perché della “sensualità” aggiunta al titolo suonerebbe dunque incoerente, se non fosse che in una scena Marraccini sostiene di avere avuto noie con la censura perché, abbracciando un’attrice, un personaggio le insinuava un dito nel sedere. Il regista, che è un formidabile narratore di se medesimo, racconta che il critico Guglielmo Biraghi, da lui interrogato dopo la visione del film, sostenne sic et simpliciter di non averci capito nulla. Mentre una semplice commessa, fuori dal cinema, ebbe a dire che per lei il messaggio era invece chiarissimo.
L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com
Si parte subito bene, con 5′ di dialoghi incomprensibili ed i mega-capezzoli della bella Margaret Lee. Poi si comincia a capire qualcosa, solo ogni tanto, ma il film resta bizzarro e direi anche forzato; comunque non direi che sia noioso, come invece temevo all’inizio. Purtroppo però la Lee non si spoglia più fino alla fine, a differenza della Calderoni che ci regala una specie di crisi isterica in barca con tentativo di suicidio annesso. Una stramberia che si può vedere, insomma.
L’opinione di iochisono dal sito http://www.davinotti.com
Una sorta di “teatro d’avanguardia” filmato, di cui resta oscura la trama. Inizia oltre qualunque confine del cult: Gianni Dei e Margaret Lee corrono nudi come vermi sulla spiaggia (lui col pistolino ballonzolante). Poi arriva Tinti con una Jeep. Dialoghi polselliani. Poi i due vengono inglobati in una specie di compagnia teatrale errante, corrono, si spogliano e si rivestono, fanno cose strane, viaggiano per terra e per mare. Mah! Da notare la presenza di Rita Calderoni e di un personaggio chiamato “Polselli”. Ma ce l’avranno avuto un copione?
L’opinione di deepred89 dal sito http://www.davinotti.com
Completamente insensato, quasi senza trama (solo un vago intreccio giallo alla fine) e ovviamente senza la minima logica, composto quasi interamente da un insieme di scenette allegoriche (si punta in maniera fin troppo evidente sul colore degli abiti) tra l’erotico e il grottesco. Bellissimo vedere come tutti (e ripeto, tutti!) i dialoghi del film, dal primo all’ultimo, non dicano altro che assurdità. Cast curiosamente ricco, ma con una sceneggiatura del genere serve a poco e orecchiabile colonna sonora. Per amanti del trash e del bizzarro.
L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com
Oscurissima stramberia tardosessantottesca che mischia ambizioni surrealiste alla Cavallone e dialoghi farneticanti alla Polselli conditi con qualche svolazzamento fellineggiante. Girato con mezzi di fortuna, privo di trama e di logica, è un susseguirsi di quadretti da teatro dell’assurdo intercalati da qualche modesto intermezzo erotico. All’inizio incuriosisce, ma doppiata la metà comincia ad annoiare. Intervistato da Nocturno, Marraccini lo considera poco meno di un capolavoro e si atteggia a genio incompreso. Ai posteri l’ardua sentenza.
Le regine dei sogni anni 70 oggi
Nei vari forum o siti che si occupano di cinema capita spesso di imbattersi in domande del tipo “ma che fine ha fatto quell’attrice? ” oppure “ma oggi com’è diventata? ” .
Curiosità legittima specie quando l’attrice, la starlette o la semplice meteora è scomparsa nel nulla, ritirandosi a vita privata o cambiando completamente lavoro.
Paradossalmente di alcune di esse che occupavano le prime pagine dei giornali specializzati o di quelli scandalistici, non solo non si hanno più notizie, ma mancano anche documentazioni fotografiche recenti.
Che fine ha fatto Anita Strinberg, la bellezza nordica dagli occhi di ghiaccio, com’è diventata? Cosa fanno Marilu Tolo, Femi Benussi e Leonora Fani, Lara Wendel e Susan Scott?
Nonostante le mie lunghe ricerche in rete, alcune di loro sembrano davvero essere scomparse nel nulla.
Mancano non solo notizie biografiche, ma anche foto recenti.
Sembrerebbe che alcune abbiano volutamente staccato la spina, quasi che il cinema fosse stato, per loro, solo un passaggio, una tappa; incuranti della curiosità dei loro fans, vivono esistenze lontanissime dai riflettori.
C’è chi come Marco Giusti è riuscito a contattare alcune di loro, riproponendo nella trasmissione Stracult il loro passato cinematografico, con preziose testimonianze su un mondo ormai quasi completamente dimenticato, quello che si muoveva dietro le quinte del tanto celebrato cinema italiano degli anni settanta. Opera meritoria e lodevole, perchè ha fatto riemergere dalle nebbie del passato splendide attrici come Susan Scott o starlette come Rita Calderoni, ottime comprimarie come Gabriella Giorgelli….
E ci sono anche riviste come Nocturno che negli ultimi 10 anni hanno contribuito a far conoscere alle nuove generazioni tutta una serie di attori e attrici ormai confinate nel limbo, riroponendo il tesoro composto da centinaia di film completamente dimenticati.
Questa prima parte di questa galleria è dedicata ad alcune splendide protagoniste di quel cinema: alcune di loro mostrano gli inclementi segni del tempo, altre si sono trasformate in mature e affascinanti signore.
Tutte però conservano quel fascino che ha incantato intere generazioni, che ci ha fatto sognare, commuovere divertire.
Se qualche lettore avesse foto recenti, notizie di alcune attrici di cui da tempo non si parla più, può contattarmi o tramite gli appositi commenti in fondo alla pagina o tramite mail.
Sarà mia premura aggiornare immediatamente questa galleria, che prossimamente avrà una seconda parte.
Questa galleria non può non partire da una delle più belle e affascinanti star degli anni settanta, ancora oggi donna dal gran fascino: Orchidea De Santis
La regina del film sexy anni settanta, ancor oggi donna bellissima: Edwige Fenech
Era una delle più simpatiche e sexy star, interprete di film come Femina ridens: Dagmar Regine Hader, in arte Dagmar Lassander
Un personale mito, forse la più affascinante in assoluto: Nieves Navarro, conosciuta in Italia come Susan Scott
Non conosciutissima, ma interprete di diversi film di genere: Olga Bisera
Divenne famosissima da noi con Operazione San Gennaro e in seguito con Quando le donne avevano la coda: Senta Berger
Era l’interprete di 5 bambole per la luna d’agosto e di tanti altri film; è rimasta una gran bella signora Ely Galleani
Cantante di buon successo, passata poi alla commedia sexy all’italiana, interprete di film come La supplente, Ecco lingua d’argento: ultima a destra, Carmen Villani
Un’altra interprete molto famosa nel decennio settanta; la bionda e ancor oggi affascinante Barbara Bouchet
Esordì come fotomodella e poi come attrice di fotoromanzi; ha lavorato in film western, in commedie sexy e in thriller. Beba Loncar
Sempre bellissima, affascinante, La ragazza dalla pelle di luna, oggi produttrice di successo: Zeudi Araya
Attrice molto brava e preparata, indimenticabile protagonista nel film Novecento di Bertolucci: Stefania Casini
Il fascino e la bellezza intramontabile di una delle più brave attrici del cinema italiano, interprete di film come Profumo di donna: Agostina Belli
Attrice versatile, ha interpretato film di diverso genere, come thriller, western, gialli e alcune commedie sexy: Janet Agren
Sempre invidiabilmente giovane, Martine Brochard
Una delle attrici americane più attive in Italia: Carroll Baker
L’altra reginetta del cinema sexy italiano, Gloria Guida
La reginetta dei decamerotici, Gabriella Giorgelli
Un altro personale mito, l’affascinante Erika Blanc
Una delle attrici più versatili in assoluto, Rosalba Neri
La reginetta della commedia sexy balneare, Annamaria Rizzoli
Riemersa dopo un lunghissimo silenzio, Rita Calderoni
Il commissario Pepe
Siamo nella provincia veneta, a Bassano del Grappa, paese che non viene menzionato mai nel film, ma riconoscibile dalle immagini. Il commissario Pepe, arguto e tranquillo funzionario di polizia, si è adattato in qualche modo ai ritmi della vita di provincia, anche sul lavoro. Routine di ordinaria amministrazione, la sua, in una cittadina in cui sembra non accadere mai nulla, e in cui il massimo della turbativa dell’ordine pubblico sembra essere rappresentato da qualche ubriaco e dalla figura ambigua di un reduce di guerra, privo delle gambe, che sembra essere a conoscenza dei segreti intimi degli abitanti.
Un giorno al commissario arriva l’ordine di indagare su alcuni fatti che hanno a che fare con la morale pubblica; a malincuore Antonio Pepe inizia le indagini, scoprendo che sotto la quiete della cittadina si agitano turpi vizi, storie boccaccesche, prostituzione e persino atti di pedofilia e omosessualità.
Lo sconcertato commissario, che ha una relazione segretissima con Matilde, una bella ragazza del posto, si imbatte in Silvia, una studentessa minorenne legata ad uno squallido personaggio che si prostituisce un pò per noia e un pò per amore, in una suora che ha atteggiamenti lesbici nei confronti di una sua allieva, in una nobildonna che organizza strani festini, nella sorella di un collega della polizia che fa una vita mondana,
industriali che frequentano minorenni e dulcis in fundo, scopre che Matilde, la sua donna, in realtà durante le assenze per lavoro, a Milano, posa per delle foto pornografiche con il soprannome di Yolanda. L’amareggiato commissario, che ha raccolto un sostanzioso dossier sui vizi della cittadina, parla con il suo superiore, che lo invita a fare piazza pulita solo dei pesci piccoli, risparmiando notabili e persone in vista, per non turbare l’ordine sociale e sopratutto per evitare, in campagna elettorale, un grosso scandalo.
Una mattina Pepe, recatosi davanti alla locale chiesa, vede entrare tutti i personaggi coinvolti nello scandalo per partecipare alla messa; appare chiaro che i potenti hanno una vita regolamentata dall’ipocrisia. Commettono i peggiori peccati, salvo poi confessarsi e riprendere tutto come prima. Pepe, che dovrebbe a questo punto mandare sotto processo i piccoli, probabilmente i meno colpevoli, sceglie di non scegliere; brucia il dossier raccolto faticosamente, rassegna le dimissioni e si reca a prendere Matilde dalla stazione.
Ma quando arriva il treno, lui non aspetta la donna: si incammina triste e solitario sul viale della stazione, rivlge un’occhiata alla camera e con sguardo triste e malinconico dice ” E voi? Siete tutti leoni? ”
Il commissario Pepe, film del 1969 diretto da Ettore Scola è uno splendido affresco della vita di provincia, quella provincia italiana laboriosa ma anche viziosa sotto il suo manto di perbenismo; è una denuncia, amara e malinconica, del sistema di potere che garantisce ai forti l’impunità su qualsiasi cosa, che sia un reato morale o più grave.
Antonio Pepe, che ha una dignità, una moralità adattabile si, ma scevra da compromessi, alla fine sceglie la via più difficile, quella di non scegliere, lasciando al suo sostituto il compito di riaprire le indagini o far finta di nulla. Dovrà essere lui, il suo successore a decidere, commenta amaro nel finale: se sarà peggiore di lui dovrà accettare quello che lui non ha voluto subire , incriminerà i pesci piccoli salvando i potenti; se sarà migliore di lui farà quello che lui non ha avuto il coraggio di fare, cioè incriminare tutti senza favoritismi.
Antonio Pepe è interpretato in maniera ineguagliabile da Ugo Tognazzi, che presta il suo volto, la sua recitazione, al malinconico personaggio di Scola; malinconico si, ma anche arguto, ironico ,a tratti sarcastico. Interpretazione tra le migliori in assoluto di un grande attore, capace di cogliere le minime sfaccettature dei personaggi. Altrettanto brava è Silvia Dionisio, giovanissima, che interpreta la equivoca studentessa Silvia, così come brava è Marianne Comtell, che interpreta Matilde, fidanzata all’apparenza perbenista del commissario.
Cameo per Rita Calderoni, la giovane circuita dalla sua superiora, e per Elsa Vazzoler, nel ruolo di una simpaticissima mondana in pensione. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Ugo Facco de La Garda, e a distanza di 40 anni è godibile come quando uscì.
Il commissario Pepe,un film di Ettore Scola. Con Ugo Tognazzi, Giuseppe Maffioli, Silvia Dionisio, Marianne Comtell, Elsa Vazzoler,Pippo Starnazza, Gino Santercole, Dana Ghia, Elena Persiani, Rita Calderoni
Commedia, durata 107 min. – Italia 1969.
Ugo Tognazzi: Antonio Pepe
Giuseppe Maffioli: Nicola Parigi
Silvia Dionisio: Silvia
Tano Cimarosa: agente Cariddi
Marianne Comtell: Matilde Carroni
Dana Ghia: Suor Clementina
Elsa Vazzoler: vecchia prostituta
Véronique Vendell: Maristella Diotallevi
Rita Calderoni: Clara Cerveteri
Elena Persiani: Marchesa Norma Zaccarin
Pippo Starnazza: ubriacone
Gino Santercole: Oreste
Nogara Gervasio: Barista dell’hotel
Regia Ettore Scola
Soggetto Ugo Facco De La Garda, Ruggero Maccari, Ettore Scola
Sceneggiatura Ruggero Maccari, Ettore Scola
Produttore Pio Angeletti, Adriano De Micheli
Fotografia Claudio Cirillo
Montaggio Tatiana Casini Morigi
Musiche Armando Trovajoli
Costumi Gianni Polidori
Nuda per Satana
Parlare di cinema non significa necessariamente parlare di film memorabili, ma anche di pellicole che in qualche modo sono rimaste nella memoria collettiva come autentiche boiate, ovvero film in cui la trama è presso chè inesistente, la commistione tra i generi cinematografici risulta indistinguibile, oppure la recitazione è di così basso livello da far rimpiangere i soldi spesi per il biglietto.
In alcuni casi questi tre elementi si sposano, contribuendo in maniera determinante all’insuccesso di un film. Quando poi questo film è di una bruttezza, squallore e insulsaggine addirittura commoventi, si può assistere, per uno dei frequenti paradossi del mondo della celluloide, ad un suo perdurare nella memoria, fin quasi alla sua elevazione a emblema di un certo tipo di cinema, che in alcuni casi viene battezzato come z movie, ad indicare come il film stesso sia indegno di qualsiasi visione. Nuda per Satana, diretto nel 1974 da Luigi Batzella (ovvero Paolo Solvay) rientra a pieno diritto in questa fascia cinematografica, anzi, in qualche modo è il fiero portabandiera di un genere che pure, incredibilmente, vanta parecchi aficionados.
Tre fotogrammi del film con protagonista Rita Calderoni
Perchè questo film può vantare tanti meriti in negativo? Eccoli elencati brevemente:
– La trama è confusa, scoordinata e la sceneggiatura è imbarazzante; la storia, che vorrebbe riprendere un tema usurato come quello del doppio, finisce per diventare un labirinto in cui lo spettatore ,disorientato, si smarrisce, senza capire dove il regista lo voglia portare, e sopratutto cosa in realtà stia guardando, ossia una storia psicologicamente contorta, oppure la solita fiera di nudità più o meno malcelate ed esposte ad uso e consumo del voyeur di turno;
–La recitazione degli attori ( concessione ardita del genere a cui appartengono i nemmeno volenterosi protagonisti della pellicola) si distingue per la sua sciattezza, per la mancanza assoluta di profondità, sicuramente non agevolata dalle numerose incongruenze del film, che assomiglia più ad un’opera allucinata (anzi, allucinante) derivata dalla mancanza di idee.
-La pessima idea di voler ad ogni costo stupire con atmosfere tipiche del cinema di Polselli, con contrasti violenti di luci, atmosfere degne di un fumatore di hascisc e incongruenze sia in campo visivo che nei dialoghi
-Infine lo squallore dell’ambientazione, con la scena memorabile in cui la nudissima Rita Calderoni, star di questi z movie, viene assalita da un ragno gigante, costruito in maniera così artigianale da far pensare ad un prodotto girato da bambini, o al massimo ad un cartoon mediocre.
Detto questo, addentrarsi nella spiegazione della trama appare davvero esercizio da equilibrista senza rete; la storia parte con un dottore che, mentre sta andando a fare una visita in un casolare che non c’è, incontra una ragazza discinta sulla strada, cosa che provoca lo sbandamento dell’auto sulla quale viaggia il medico e conseguente incidente. Rinvenuto dallo svenimento, il dottore assiste ad un altro incidente in cui è coinvolta un’altra ragazza, che, dopo un vano tentativo di soccorso, lo porta a cercare un luogo dove poter telefonare.
Imbattutosi casualmente in una villa, il medico finirà per avere un’esperienza allucinante, ovvero la visione di se stesso e della ragazza trasformati in docili servi del padrone di casa, che utilizza i due per combattere il più antico nemico dell’uomo, Satana in persona. Sarà una formula evocativa a permettere al dottore di liberarsi del suo padrone e del diavolo, contemporaneamente; ma forse è stato tutto un sogno, perchè il dottore si sveglia nella sua auto, mentre accanto a lui avviene nuovamente l’incidente con protagonista la ragazza.
Capisco che raccontata così la storia sembra assurda; ma è anche vero che ricostruire una trama di per se lacunosa, incredibile e sconclusionata è operazione difficile. Se proprio volete rendervi conto, visionatevi il film e passerete, in questo modo due ore del vostro tempo annoiandovi a morte e bestemmiando come turchi. In fondo, il cinema è anche questo, delirio allo stato puro. In ultimo una segnalazione sulla incredibile orgia finale; fumo, movimenti al rallentatore, protagonisti che sembrano muoversi secondo gli schemi di un incubo reale, girata con tanta e tale approssimazione da diventare l’emblema di cosa non deve essere messo in una pellicola.
Nuda per Satana, un film di Paolo Solvay. Con Rita Calderoni, James Harris, Stelio Candelli, Renato Lupi
Fantastico, durata 93 min. – Italia 1974.
Rita Calderoni … Susan Smith / Evelyn
Stelio Candelli … Dr. William Benson / Peter
James Harris …Il diavolo
Renato Lupi … Butler
Iolanda Mascitti … Cameriera
Regia:Luigi Batzella
Sceneggiatura:Luigi Batzella
Produzione:Remo Angioli
Musiche:Dario Baldan Bembo
Montaggio:Luigi Batzella
Fotografia:Antonio Maccoppi
Rita Calderoni
Rita Calderoni
Ligure di nascita, friulana di adozione, Rita Calderoni è una delle meteore cinematografiche che ha legato indissolubilmente il suo nome a quello di un regista, Renato Polselli o Ralph Brown, come si faceva chiamare negli anni settanta, precursore di un cinema dai confini incerti, fatto di un miscuglio di horror, sesso e trash. La biografia di Rita è avvolta nel mistero, nel senso che di lei si sa veramente poco; da ragazza praticava lo sport agonistico, in particolar modo la pallacanestro, tanto da arrivare fino alla massima serie. Nata nel 1951, Rita esordisce nel modo cinematografico nel 1969, girando tre pellicole:
Rita Calderoni nel film Delirio caldo, nel ruolo di Marcia
–Oh dolci baci,languide carezze, di Mino Guerini, al fianco di Luciano Salce, Isabella Rey e una giovane Gioia Desideri. Il film, una confusa storia che narra dell’infatuazione di un professionista per una hippy, è debole, ma lei ha la prima occasione per farsi notare;
–La monaca di Monza, di Eriprando Visconti, che riprendeva la storia di Suor Virginia e del suo amante, con occhio piuttosto malizioso e morboso;
–Un tranquillo posto di campagna, diretto da Elio Petri, con un ottimo cast, nel quale figuravano anche Franco Nero e Vanessa Redgrave.
Fotogrammi tratti dal film Delirio caldo di Polselli
Sono tre particine, che permettono però alla giovane Rita di ambire a qualche spazio più ampio. Così entra nel cast dell’ottimo Il commisario Pepe, film del 1969 diretto da Ettore Scola, con un grande Ugo Tognazzi. Il film riscuote un notevole successo, grazie anche alla maiuscola prestazione di Tognazzi, un commissario che indaga sui peccati nascosti della provincia italiana. Confinata comunque in ruoli marginali, Rita Calderoni accetta altre parti in film non eccelsi, come Un gioco per Evelyn, di Avallone e Questa libertà di avere le ali bagnate, durante le riprese del quale ha l’incontro fatidico con Renato Polselli, del quale diverrà la musa.
Rita Calderoni in Riti, magie nere e segrete orge nel trecento
Il regista le affida il ruolo principale in La verità secondo Satana, film pretenzioso che mescola il genere horror alle consuete fantasie allucinate, psichedeliche del regista. Il film, mutilato dalla censura, alla fine risulta un pastrocchio incomprensibile, tanto da diventare un’icona del trash. Lei, Rita, mette in mostra il suo bellissimo corpo, ma è penalizzata da dialoghi surreali, e da una recitazione approssimativa. Sempre con Polselli, lavora in Delirio caldo (Delirium), nel quale è Marcia, la moglie di un dottore impotente, assassino e maniaco, coperto dalla moglie nei suoi assassini. Rita è l’unica cosa rilevante del film, anche se, ancora una volta, la sua recitazione non è memorabile. Colpa anche dei soggetti strambi dei film di Polselli.Dopo una comparsata nel film Quando le donne si chiamavano madonne, forse il più scadente dei decamerotici d’autore, in cui è presente il povero Vittorio Caprioli, capitato sul set per chissà quale motivo, ecco il capolavoro trash di Polselli, con Rita protagonista. Si tratta di Riti, magie nere e segrete orge nel trecento, nel quale Rita interpreta il doppio ruolo di Laureen e di Isabella. La storia strampalata della strega bruciata viva nel passato sarebbe insostenibile per chiunque, ma Rita riesce a dare un minimo di credibilità alla sua parte, risultando alla fine l’unica cosa decente del film.
Riti, magie nere e segrete orge nel trecento
Nello stesso anno partecipa, in un ruolo minore, allo semi sconosciuto Number one, e successivamente alla commedia Il trafficone, parata di stelle e di stelline, film del 1974 diretto da Corbucci, con Giuffrè, Banfi, la Aumont e Adriana Asti. L’ultimo film di una certa rilevanza è Nuda per Satana, thriller sconclusionato diretto da Solvay/Batzella nel 1974, una specie di gotico erotico in cui l’attrice interpreta ancora il doppio ruolo di Susan-Evelyn. Il film, un pasticciaccio terribile, vive solo sulle grazie dell’attrice, generosamente esposte. Nonostante la partecipazione ad Anno uno, di Rossellini, Rita Calderoni torna nell’ombra, e i suoi ultimi lavori, ovvero Vieni,vieni amore mio di Vittorio Caprioli, pellicola incolore in cui lavora al fianco di uno dei tanti divetti dei fotoromanzi, Max Delys, il successivo La sensualità è un attimo di vita, fino a Assassino sul ponte non si segnalano che per pura cronaca.
Rita Calderoni nel film introvabile Un attimo di vita
L’ultima parte di rilievo la ottiene in Torino capitale del vizio, vero B movie diretto da Vani ( forse soltanto il prestanome del solito Polselli), film sconclusionato e inconsistente. L’ultima apparizione cinematografica, datata 1983, è nel film di Damiani Amori morbosi di una contessina, che si segnala solo per la presenza della futura porno star Marina Hedman (alias Marina Lotar o Marina Frajese)
Da questo momento in poi della Calderoni non si sente più parlare; non partecipa più a nessuna pellicola, non la si vede in nessuna opera televisiva. Ha solo 27 anni, un’età in cui un’attrice giunge alla piena maturazione. Inspiegabili restano i motivi della sua sparizione dalle scene, anche se una sua intervista è comparsa sul numero 11 di Cine 70 e dintorni, rivista cinematografica edita da Coniglio editore. Un’attrice che è emersa solo in B movie, e che con il passare degli anni è diventata un autentico mito per gli amanti dei film trash.
1969 Un tranquillo posto di campagna
1969 Il commissario Pepe
1969 Oh dolci baci e languide carezze
1970 Un gioco per Evelyn
1971 Questa libertà di avere le ali bagnate
1971 Il vero e il falso
1971 La verità secondo Satana
1972 Riti, magie nere e segrete orge nel ‘300
1972 Quando le donne si chiamavano Madonne (non accreditata)
1972 Delirio caldo
1974 Number one
1974 Nuda per Satana
1974 Anno Uno
1974 Le amanti del mostro
1976 Un attimo di vita
1976 Assassinio sul ponte
1977 Torino centrale del vizio
1977 Amori morbosi di una contessina
Riti, magie nere e segrete orge nel trecento
Riti, magie nere e segrete orge nel trecento
Un gioco per Evelyn
Questa libertà di avere le ali bagnate
Oh dolci baci e languide carezze
Il trafficone
Il commissario Pepe
Fate la nanna coscine di pollo
Anno uno
Un tranquillo posto di campagna
Due fotogrammi da La verità secondo satana
L’introvabile D’improvviso al terzo piano
Dolce pelle di donna
Gradiva
Le guerriere dal seno nudo
Delirio caldo (Delirium)
Una ragazza chiede un passaggio ad un uomo mentre è in un bar; lo segue, e durante il percorso viene aggredita. Riesce a sfuggire ma viene inseguita e uccisa dentro un piccolo corso d’acqua. L’assassino è il dottor Herbert Lyutak, un uomo ossessionato dalla figura femminile, in quanto impotente. Sfoga così le sue perversioni su giovani donne che uccide selvaggiamente.
La polizia, che è sulle sue tracce, grazie anche al riconoscimento da parte del gestore del bar in cui l’ultima vittima è stata vista in compagnia del dottore, viene però sviata dalle indagini da due nuovi e misteriosi omicidi, quello di una ragazza, casulamente inseguita dal dottore e uccisa in una cabina telefonica e da quello di una giovane e bella assistente di polizia.
La polizia indaga : le foto delle vittime precedenti
Rita Calderoni è Marcia, la moglie del dottor Herbert
Poichè il dottore al momento dei due brutali omicidi era sotto interrogatorio, le indagini si focalizzano sul fidanzato della ragazza, un guardiamacchine che era poco lontano dal luogo dell’omicidio. Quest’ultimo decide di smascherare il dottore; penetra in casa sua, trova un coltello insanguinato e sopratutto trova la giovane cameriera di casa Lyutak che sta per morire, asfissiata dalle esalazioni di una bombola di gas.
L’uomo viene aggredito dal dottore, ma si salva, così come si salva la giovane cameriera, che scappa. La polizia, ormai certa della colpevolezza del dottore, vuole però anche l’altro assassino, così fa credere che il guardiamacchine sia morto. La moglie di Herbert, Marcia, a questo punto confessa al marito la verità: a uccidere le ultime due donne è stata lei, che aveva capito la verità, ovvero che il marito, ossessionato, uccideva come in trance le sue vittime. Herbert vorrebbe autodenunciarsi e denunciare la moglie, ma……
Strano film davvero, questo di Polselli. Un film visionario, in cui la trama sembra ben leggibile dall’inizio, in cui tutto è scontato, per poi aviarsi verso l’unico finale possibile. Se la tensione latita, si va alla ricerca delle vere motivazioni degli omicidi, ricavandone, di volta in volta, frammenti di verità, fino al finale sicuramente scontato, ma non privo di logica. Film girato nel 1972, a lungo censurato per le scene di sesso, peraltro caste, a parte il solito rapporto saffico,
Delirio caldo o Delirium, il titolo con cui venne distribuito all’estero è sicuramente un film debole, sopratutto nella recitazione. L’unica a salvarsi è la bella Rita Calderoni, che passerà fulminea attraverso molti B movie, diventando una vera e propria icona di questo genere di cinema. Il resto, francamente, non è memorabile, anche se oggi si assiste ad una certa riabilitazione delle opere del regista.
Delirio caldo ,aka Delirium, di Renato Polselli, ( Ralph Brown). Con Mickey Hargitay, Rita Calderoni, Tano Cimarosa, Stefano Oppedisano
Giallo, durata 90 min. – Italia 1972.
Mickey Hargitay: Herbert Lyutak
Rita Calderoni: Marzia Lyutak
Raul Lovecchio: ispettore Edwards
Carmen Young: Bonita
Christa Barrymore: Joaquine
Tano Cimarosa: John Lacey
Marcello Bonini Olas: Barista
Katia Cardinali: sig.na Heindrich
William Darni: Willy
Stefania Fassio: prima vittima
Stefano Oppedisano: giornalista
Cristina Perrier
Regia: Renato Polselli
Sceneggiatura: Renato Polselli
Produzione: Renato Polselli
Musiche: Gianfranco Reverberi
Fotografia: Ugo Brunelli
Montaggio: Otello Colangeli
Scenografie: Giuseppe Ranieri