Ragazza tutta nuda assassinata nel parco
Madrid,1972
In un vagoncino appena uscito dal tunnel degli orrori del luna park cittadino c’è il corpo riverso di un uomo.
Johannes Wanterburger,questo il suo nome,era un miliardario e al momento dell’ingresso nel tunnel era in possesso di una borsa contenente un considerevole quantitativo di denaro,sottratta dal misterioso assassino.
L’uomo,poco prima di morire,aveva stipulato una polizza sulla vita da un milione di dollari e così la compagnia assicurativa,per indagare sul misterioso omicidio ( e sugli eredi) manda Christopher Buyer,un suo agente a casa Wanterburger,nella speranza che la morte possa essere attribuita a un suicidio.
Con l’aiuto del collega Martin,Christopher aggancia la bellissima figlia dell’uomo d’affari,Catherine;presto tra i due nasce una relazione,mentre Catherine è perseguitata da strane telefonate.
La coppia decide di unire le forze per scoprire cosa si nasconda dietro la morte del padre della donna e dietro le misteriose telefonate.
Mentre la polizia segue la pista di un omicidio a scopo di ricatto,Christopher arriva nella tenuta dei Wanterburger;qui conosce,in successione,la sorella di Catherine,Barbara, la madre Magda,lo stalliere Gunther e la domestica Silvia.
Nel frattempo l’ispettore Huber,indagando sul movente dell’omicidio,scopre che Wanterburger aveva prosciugato il suo patrimonio e che al momento della morte aveva con se oltre mezzo milione di dollari.
Ma se il movente sembra legato a qualcosa di molto simile a un ricatto,la misteriosa mano omicida rimane ignota.
Christopher ha una fugace relazione con Barbara,che però viene ritrovata morta nel parco della villa completamente nuda,mentre stringe in una mano un bottone di una giacca da uomo; subito dopo è la governante Silvia ad essere uccisa.
L’omicida delle due donne viene rapidamente scoperto grazie al bottone;è lo stalliere Gunther il colpevole,che aveva una relazione
con Barbara e che aveva ucciso Silvia che era al corrente della storia.A questo punto per la polizia la storia è chiara,è stato l’uomo a uccidere Wanterburger che si opponeva alla loro storia.
Ma le cose non sono così semplici:con Gunther sotto chiave,le telefonate a Catherine continuano,muore anche Magda,sconvolta dalla presneza,in casa,di quello che sembra suo marito,
La donna precipita dal parapetto del primo piano della sua villa.
Ma allora cosa realmente sta succedendo?
Thriller complicato e risolto da un colpo di scena che però tale non è agli occhi degli spettatori più smaliziati,Ragazza tutta nuda assassinata nel parco esce nella sale nel 1972,in un periodo in cui il genere thriller era sicuramente uno dei più amati dal pubblico.
Diretto da Alfonso Brescia,che nella sua carriera ha girato 50 film e che si era fatto le ossa negli anni 60 con qualche peplum di rozza fattura,il film ha una trama abbastanza contorta ma che alla fine si riesce a seguire discretamente alla luce delle spiegazioni che di volta in volta seguono gli avvenimenti.
La sequenza iniziale,ambientata a Berlino nel 1945 e che vede un ufficiale nazista in compagnia di una donna mettere una bomba a orologeria in una stanza nella quale ci sono una donna e un bambino legati mentre attorno cadono le bombe lanciate dagli aerei alleati assume nel finale un valore decisivo,andando a chiarire le vere motivazioni del misterioso omicida.
Finale che oltre a rivelare il volto del misterioso assassino spiega tutti i retroscena della storia,con una certa logica,senza farraginose arrampicate sugli specchi.
Un buon giallo/thriller,caratterizzato dalla presenza di eccellenti attori,come Adolfo Celi (l’ispettore Huber),Phlippe Leroy (l’agente assicurativo Martin) che avrà un ruolo decisivo nella vicenda,assolutamente imprevisto,il fascinoso Robert Hoffmann (Christopher Buyer) e Howard Ross (Gunther),qui in un ruolo di secondo piano.
Tre bellezze nei ruoli femminili:Patrizia Adiutori (Barbara) in uno dei ruoli più lunghi della carriera,la ragazza nuda assassinata nel parco del titolo;Pilar Velasquez,addirittura stupenda,una vera gioia per gli occhi nel ruolo della fragile Catherine e Teresa Gimpera nel ruolo di Ursi oltre a Irina Demick,forse sopra le righe,nei panni della vedova Wanterburger.
Brescia non era certo uno specialista del genere thriller,al suo attivo aveva solo il debole Il tuo corpo da uccidere dell’anno precedente,ma qui riesce a confezionare quello che è probabilmente il film migliore della sua cospicua filmografia,
della quale cito alla rinfusa Le calde notti di Don Giovanni,Poppea… una prostituta al servizio dell’impero,L’adolescente,un film scorrevole e che non cala mai di tensione,con una trama abbastanza credibile.
Alla sceneggiatura contribuisce Peter Skerl,che aveva lavorato in due pellicole del maestro svedese Bergman e che diresse Bestialità,unica sua regia cinematografica.
Il film è disponibile in rete,anche se in versioni di qualità decisamente mediocri;se invece volete gustare una versione eccellente,vi consiglio il download da questo link,di qualità eccellente:
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Ragazza tutta nuda assassinata nel parco
Un film di Alfonso Brescia. Con Robert Hoffmann, Adolfo Celi, Irina Demick, Howard Ross, Pilar Velasquez, Franco Ressel, Teresa Gimpera, Philippe Leroy, Patrizia Adiutori Giallo, durata 95 min. – Italia 1972.
Robert Hoffmann: Christopher Buyer
Irina Demick: Magda Wanterburger
Pilar Velázquez: Catherine Wanterburger
Howard Ross: Günther
Patrizia Adiutori: Barbara Wanterburger
Adolfo Celi: ispettore Huber
Philippe Leroy: Martin
María Vico: Silvia
Teresa Gimpera: Ursi
Franco Ressel: cameriere
Regia Alfonso Brescia
Soggetto Antonio Fos
Sceneggiatura Gian Antonio Martucci, Peter Skerl
Produttore esecutivo Luigi Mondello
Casa di produzione Dauro Films, Luis Film
Distribuzione (Italia) Florida Cinematografica S.p.A.
Fotografia Alfonso Nieva
Montaggio Rolando Salvatori, Roberto Fandino
Musiche Carlo Savina
Scenografia Cruz Baletzena
Costumi Massimo Bolongaro
… Dopo di che,uccide il maschio e lo divora
Una giovane donna corre disperatamente tra gli alberi,inseguita da alcuni cani;un uomo osserva la scena con un telescopio e interviene.
La raccoglie e la porta in casa.
Lui è Don Miguel,un giovane aristocratico che vive in una lussuosa villa,solo.La mamma è infatti morta,come sua moglie.
La donna dice di chiamarsi Marta e di essere nei guai con la polizia;Marta infatti avrebbe ucciso un uomo che voleva aggredirla.
Miguel è turbato dall’impressionante somiglianza tra Marta e la sua defunta moglie Anna;durante il periodo in cui Marta resta nella villa Miguel scopre di essersi innamorato della donna,ma il passato dell’uomo riaffiora con prepotenza.
Miguel infatti ha sempre subito l’influenza di sua madre,che mal vedeva anche il matrimonio del figlio con Anna.
Così un giorno,preda di allucinazioni che gli avevano fatto scambiare la madre per la moglie,Miguel l’aveva uccisa,sprofondando lentamente nel baratro della follia.
Marta,che in realtà è la sorella di Anna,spinge l’uomo a poco a poco all’estremo limite;d’accordo con la polizia la donna aveva organizzato tutto per spingere l’uomo alla confessione.
Finale tragico.
…Dopo di che uccide il maschio e lo divora,splendido titolo italiano in luogo dell’originale,stringatissimo Marta,riprende dal modo degli insetti l’abitudine della mantide religiosa di uccidere il maschio dopo l’accoppiamento.E in qualche modo è quello che accade nel film,un viaggio attraverso i meandri della follia nei quali ormai si dibatte Miguel,forse non del tutto colpevole dell’accaduto ma destinato a pagare a caro prezzo la sua sudditanza psicologica nei confronti della madre.
Diretto da José Antonio Nieves Conde,il film strizza più di un occhio al dramma di Hitchcock Rebecca,del quale riprende non solo le atmosfere ma anche il titolo femminile.
Un film di buona fattura,caratterizzato principalmente da una lunga introspezione psicologica sui due personaggi principali,l’enigmatica e bellissima Marta e l’ormai psicolabile Miguel.
Una discreta tensione,accompagnata dalle sobrie musiche di Piero Piccioni,unita alla splendida interpretazione della conturbante Marisa Mell danno un valore aggiunto ad una pellicola
come dicevo di pregio,in cui l’atmosfera claustrofobica del rapporto tra i due occasionali amanti è ben resa.
Del resto Condè aveva già diretto un altro thriller psicologico di buona fattura Nel buio del delitto,l’altra opera per cui ha avuto una certa notorietà in Italia.
La Mell,protagonista con la Koscina del film precedente,si mostra misteriosa,seducente e sfuggente.
La sua bellezza,unita ad un’aria enigmatica contribuiscono in maniera determinante alla resa della pellicola,che non annoia mai e che si lascia
guardare fino al finale.
Nonostante si tratti di una pellicola senza scene di nudo (almeno nella versione spagnola) e con blandissime scene di sesso,il film non ha avuto quella distribuzione televisiva che avrebbe sicuramente meritato,
restando nell’ombra anche oggi.Le uniche versioni che circolano in rete infatti sono tutte in lingua originale.
Per quanto riguarda il resto del cast,tutti se la cavano egregiamente,incluso Stephen Boyd; da segnalare la presenza di isa Miranda nel ruolo di Elena,la madre di Miguel.
Buona la fotografia per un film più che discreto.
…Dopo di che, uccide il maschio e lo divora
Un film di José Antonio Nieves Conde. Con Stephen Boyd, Marisa Mell, Howard Ross, Isa Miranda, Jesus Puente,George Rigaud Titolo originale Estado civil: Martha. Drammatico, durata 90 min. – Spagna 1971.
Marisa Mell: Marta & Pilar
Stephen Boyd: Don Miguel
George Rigaud: Arturo
Howard Ross: Luis
Jesús Puente: Don Carlos
Isa Miranda: Elena
Nélida Quiroga: Dona Clara
Regia José Antonio Nieves Conde
Soggetto Juan José Alonso Millán (lavoro teatrale “Estado civil: Marta”)
Sceneggiatura Juan José Alonso Millán, Tito Carpi, Ricardo López Aranda, José Antonio Nieves Conde
Produttore José Frade
Casa di produzione Atlántida Films, Cinemar
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio María Luisa Soriano
Musiche Piero Piccioni
Costumi Anna Maria Tucci
L’immoralità
Incredibile pellicola diretta da Massimo Pirri, uno dei registi più coraggiosi e controversi del panorama italiano degli anni ’70. Se è vero come è vero che gli italiani hanno spesso osato mostrare l’ inosabile qui i temi trattati sono davvero belli pesanti! Si passa con disinvoltura dalla violenza sessuale alla pedofilia e la sequenza iniziale è uno di quei cazzotti nello stomaco che fanno subito capire in che razza di incubo il regista vuole precipitare lo spettatore: un serial killer col vizietto di stuprare e uccidere giovanissime adolescenti tiene tra le braccia la sua ultima vittima esanime, la getta in una buca e poi la ricopre di terreno con estrema freddezza e nonchalance… E non sono ancora partiti i titoli di testa!
La storia è di quelle morbose e malsane tanto spesso rappresentate dal nostro cinema di genere, ambientata nella tranquilla e opulenta provincia del Nord Italia (stavolta siamo a Vigevano) che molto spesso, dietro la sua ipocrita facciata di perbenismo, nasconde torbidi segreti. Mentre tutti in città si affannano per catturare il mostro pluriomicida nessuno può immaginare che il suddetto trovi ospitalità e rifugio in casa di una signora bene di mezza età e che, nonostante si conoscano gli atroci ed efferati crimini di cui si è macchiato, diventi oggetto di desiderio sessuale sia della padrona di casa sia di sua figlia dodicenne! Francamente mi stupisco che un film simile sia scampato alle forbici spietate della censura, anche perchè lo shock è garantito:
Howard Ross impersona magnificamente il suo orribile personaggio e anche l’ ottima Lisa Gastoni, già protagonista di notevoli pellicole ad alto tasso erotico, è perfetta nel ruolo di donna matura e ninfomane già visto altre volte. Ciò che invece nessuno si aspetta è la performance della giovanissima Karin Trentephol, piccola lolita (e autentica meteora poi sparita nel nulla) che in una scena malatissima e disturbante si mostra dapprima in topless per poi regalare la sua verginità al maniaco pedofilo… Roba da non credere! Oggi una scena simile nessuno avrebbe mai il coraggio di girarla…
Insomma dopo il singolare “Càlamo” (del quale si vede nel film una piccola sequenza trasmessa da una tv) Massimo Pirri si conferma un autore interessante, purtroppo poco prolifico. Buona anche la colonna sonora di Ennio Morricone, forse un po’ ripetitiva in alcuni passaggi ma comunque sempre di livello. Un film che non dimenticherete.
Federico Anselmi (Howard Ross) sta fuggendo dopo aver sepolto in una buca una bambina di circa 10 anni che ha stuprato e strangolato: si tratta della sua quarta vittima. Il pulmino azzurro su cui viaggia, già avvistato e segnalato da alcuni genitori nei pressi di una scuola, è ormai nel mirino di polizia e carabinieri e, dopo un inseguimento, l’ uomo viene ferito ad un braccio da un colpo di arma da fuoco. Tuttavia, fuggendo a piedi, riesce a dileguarsi nella fitta vegetazione circostante. A soccorrerlo è Simona (Karin Trentephol), una bambina di 12 anni che vive in una enorme villa isolata con sua madre Vera (Lisa Gastoni) e suo padre paralitico (Mel Ferrer). La ragazzina nasconde l’ orco in una mansarda dove è solita giocare sola e dove nessuno viene mai a cercarla. Intanto alle forze dell’ ordine si aggiungono anche alcuni cittadini armati di fucili e intenzionati a farsi giustizia da soli ma il mostro cui tutti danno la caccia sembra però svanito nel nulla…
Vera, che è una piacente donna di mezza età, ricca, borghese e annoiata, tradisce continuamente l’ anziano marito con amanti occasionali ma lui sembra non accorgersi di nulla, intento a coltivare ossessivamente la sua passione per orologi e fucili da caccia. La donna non tarda a scoprire la presenza particolare del nuovo “ospite” e, pur sapendo perfettamente chi ha di fronte e cosa ha fatto (radio e tv non parlano d’ altro), diventa la sua amante e tenta di sfruttare la cosa a suo vantaggio: vuole fargli uccidere il suo vecchio e malconcio consorte e uscirne così con le mani pulite. Il rapporto carnale tra i due scatenerà la gelosia della piccola Simona con conseguenze tragiche…
L’immoralità
Un film di Massimo Pirri. Con Mel Ferrer, Lisa Gastoni, Howard Ross, Ida Meda,Wolfango Soldati, Andrea Franchetti Drammatico, durata 93 min. – Italia 1978
Lisa Gastoni: Vera
Howard Ross: Federico Anselmi
Karin Trentepohl: Simona
Andrea Franchetti: commissario
Mel Ferrer: marito di Vera
Wolfango Soldati: Antonio
Regia Massimo Pirri
Soggetto Morando Morandini Jr.,Massimo Pirri,Federico Tofi
Sceneggiatura Morando Morandini Jr.,Massimo Pirri,Federico Tofi
Produttore Benedetto Conversi
Casa di produzione Una Cinecooperativa Ducale Film
Fotografia Riccardo Pallottini
Montaggio Cleofe Conversi
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Sergio Palmieri
Costumi Sergio Palmieri
Trucco Stefano Trani
L’opinione di libertàdiparola75 dal sito http://www.filmtv.it
Malvivente in fuga capita nella casa di una donna e della di lei figlioletta. La signora è ninfomane e con l’uomo inizierà una torbida relazione. La ragazzina però finirà per sedurlo finchè non eplode la violenza e le pareti si tingono di sangue…Il film più famoso di Massimo Pirri è anche uno dei massimi capolavori del cinema scandaloso italiano. Già il menage a tre dove c’è una scena di sesso pseudo pedofila (la ragazzina ha 12 anni! Interpreta il ruolo Karin Trentephol, dal visino molto infantile…) merita l’applauso per il coraggio di mostrare (non fraintendete le mie parole, questa è tutta finzione e comunque le storie così sono contro la violenza ai minori. Sono coraggiose opere di denuncia!). Avvincente (da autentico noir classico) la sceneggiatura! Questo è il cinema che in Italia non esiste più, ormai rovinato dalle Mocciate…ma perchè non le “Bocciate”???
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Intricato garbuglio di poliziesco, thriller, erotismo, romanzo psicologico in cui ogni componente del lavoro è trattata in maniera tanto grossolana e superficiale da suscitare perfino più risate che sbadigli. C’è perfino – la prima cosa che sicuramente colpisce lo spettatore – una scena a ridosso del soft-porno pedofilo, il che non volge a favore delle capacità mentali del regista e dei suoi sceneggiatori (Morando Morandini jr. e Federico Tofi, ma c’è anche la firma dello stesso Pirri sul copione); per fortuna si tratta di pochi secondi, ma realmente disturbanti poichè trattati come fosse una scena di sesso qualunque, mentre nei fatti uno dei due partner ha 12 anni e quanto sta accadendo è completamente gratuito, sia l’atto in sè che le inquadrature morbose. In tutto ciò abbiamo pure una trama sgangherata, delirante e piena di falle logiche ed una recitazione approssimativa da parte di tre quarti del cast; dinanzi a tanto canile, Lisa Gastoni e Mel Ferrer che ci azzeccano? Probabilmente solo una questione economica può averli convinti a prendere parte ad un simile lavoraccio, come si spera sia avvenuto per il buon vecchio Morricone, che elabora una colonna sonora nemmeno tanto ispirata (e un po’ va biasimato). Un sottoprodotto del cinema nostrano che non ha nulla da dire, e lo dice pure male
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Fauno
Un ambiente tetro, ove odio, violenza interiore e disperato spirito di rivalsa fanno implodere i suoi eroi… come introspettore Pirri ne ha veramente pochi al suo livello. Le falle inevitabili dello scarso budget e dei limitati mezzi tecnici sono tappate dal disprezzo e dalla spregiudicatezza della Gastoni, nonchè dalla faccia d’angelo e dal fisico da spaccapietra di un Ross pervaso da morbosità maniacali. Tanti personaggi, tutti negativi, ma per non cadere nella banalità o nell’ovvio bisogna essere davvero bravi e Pirri lo è, eccome se lo è…
Lucius
L’immoralità è nella mente di chi giudica, di chi considera “eccessivo” lo stile di vita altrui, di una donna, la protagonista del film, che non sa vivere, che non sa più come sfuggire a una situazione che le sta troppo stretta e di una ragazzina, sua figlia, che non ha mai avuto attenzioni e che per questo ha fretta di crescere. Un film in grado di coniugare il thrilling con l’erotismo senza mai perdere il proprio realismo pur sovvertendo le regole della logica. Incentrato su una grandiosa performance attoriale delle Gastoni. E’ un crimine amare?
Trivex
Dolcemente accompagnato da uno struggente motivo musicale, si fa strada un film inguaribilmente malato e moderatamente disturbante. Non siamo nell’exploitation fisico, ma la masturbazione sostituita precomente dal rapporto sessuale, con il criminale pedofilo di turno, porta la traccia verso la patologia. Poi, lo stabilire se c’è l’arte o solo il commerciale gusto del perverso, spetta a soggetti dotati di maggiore dimestichezza con la filosofia. Resta inevitabilmente un film scandaloso, dotato di una discreta tecnica e con un doppiaggio molto discutibile.
Undying
Lontano da atmosfere poliziesche (Italia: Ultimo Atto?) Pirri dirige una pellicola in bilico tra erotismo esplicito/veniale (garantito dalla presenza della Gastoni e dalla sensuale Karin Trentephol) e cifra stilistica autoriale (impostata sull’analisi della incomunicabilità generazionale). Il film s’inserisce nel (de)genere familiare, narrando d’un maniaco sessuale macchiatosi di atroci delitti e recluso nella mansarda da una assatanata, sposata con un anziano paralitico. Sarà, però, la figlia della ninfomane a condurre il gioco, che mira all’inevitabile eredità. Ottimo lo score di Morricone.
5 donne per l’assassino
Giorgio è uno scrittore di successo sposato con Erica, in attesa di partorire.
Al ritorno da un viaggio, l’uomo viene avvisato da una parente che la moglie ha le doglie; ma appena arrivato nella sua villa di Pavia, Giorgio apprende con dolore da Lidia, un’amica di famiglia che è anche la dottoressa che ha assistito Erica durante il travaglio,che la moglie è morta per i postumi del parto.
Il bambino però è nato, e Giorgio, pur affranto, organizza i funerali della moglie.
Lidia informa Giorgio che è sterile, gettando l’uomo nella costernazione; il dubbio sulla fedeltà della moglie inizia a serpeggiare in lui.
Mentre Giorgio è in preda ai suoi dubbi, il bambino appena nato è affidato alle cure di sua zia e del professor Aldo Betti, rinomato pediatra dalla doppia vita ; Betti infatti, pur sposato, non si fa scrupolo nel tradire sua moglie che dal canto suo non sembra essere particolarmente interessata alla vita del marito.
Intanto in città, in curiosa concomitanza con questi avvenimenti, un misterioso serial killer semina il terrore tra le donne in stato di gravidanza, alcune delle quali vengono orrendamente uccise con un taglio che va dal pube all’ombellico.
Lo stesso killer lascia sui corpi delle sventurate vittime un misterioso segno di riconoscimento, un simbolo raffigurante la fertilità.
Una dopo l’altra vengono uccise Tiffany, Oriana e Sofia, tutte in qualche modo legate alla clinica dov’è avvenuta la tragica moglie di Giorgio.
Il quale, dal canto suo, diventa il primo sospettato dei delitti. Ma ben presto si capisce che Giorgio è estraneo alla storia, anche perchè è il primo a soccorrere Lidia, anch’essa vittima di una aggressione.
Ma la vicenda sta per ingarbugliarsi; il commissario che segue le indagini decide di tendere una trappola al killer, usando la collaborazione di Giorgio e scoprendo che Erica non è morta di parto, ma è stata uccisa e che anche sul suo pube il misterioso assassino ha tracciato un rudimentale simbolo di fertilità.
L’assassino sarà scoperto grazie anche a questo particolare, ma le sorprese non sono finite…
Il genere thriller non è nelle corde di Stelvio Massi, uno dei migliori registi di genere del cinema italiano, autore di discreti prodotti riconducibili al poliziesco all’italiana come La legge violenta della squadra anticrimine ,Mark il poliziotto spara per primo,Mark il poliziotto, Un poliziotto scomodo, Poliziotto senza paura,Il commissario di ferro.
Ilona Staller
Pur dotato di una buona sceneggiatura, 5 donne per l’assassino è un thriller modesto penalizzato da un’incredibile mancanza di tensione e da una recitazione estremamente approssimativa, nonostante nel cast figuri nientemeno che Giorgio Albertazzi.
Un vero peccato, perchè in mano ad uno specialista questo film avrebbe potuto avere ben altro risultato e sopratutto ben altro esito ai botteghini.
Siamo nel 1974, e il genere thriller, pur abbondantemente sfruttato continua a tirare anche se di li a poco il filone si sarebbe andato lentamente esaurendo; Massi, reduce dal discreto successo di Squadra volante, allestisce alla bene e meglio un cast fatto essenzialmente di comprimari, in cui l’unico nome di sicuro spicco è proprio quello di Albertazzi .
La miscela scelta da Massi privilegia più la brutalità delle scene, peraltro girate in maniera approssimativa, con abbondanti scene di nudo, facendo spogliare a turno Ilona Staller, che nelle poche sequenze in cui resta in vita il suo personaggio sembra essere allergica ai tessuti e le altre starlet che compongono il cast.
Si spogliano tutte, da Pascale Rivault (la dottoressa amica di Erica e Giorgio) e Gabriella Lepori cosi come Catherine Diamant; inutile dire che le attricette appaiono espressive solo senza vestiti, perchè la recitazione latita in maniera preoccupante contribuendo non poco alla scarsa credibilità della pellicola stessa.
Stelvio Massi non riesce in nessun momento a creare tensione, limitandosi a snocciolare sequenza da sbadigli, intervallate dagli omicidi abbastanza feroci ma racchiusi in pochi minuti di proiezione, lasciando il resto del film a galleggiare nell’anonimato; il finale riscatta in qualche modo il film, riuscendo a salvare dalla bocciatura totale il prodotto stesso.
Howard Ross
Pascale Rivault
In quanto alle varie componenti del film, le musiche sono imbarazzanti, la fotografia appena sufficiente e tutto il resto assolutamente dimenticabile.
Fra i tanti thriller del periodo d’oro, questo è uno dei più anonimi e deludenti; agli amanti del cinema anni settanta ricordo che la pellicola è di difficile reperibilità e che le uniche versione ridotte dal 35 mm sono riconducibili a vecchie VHS, mentre non sono riuscito a trovare versioni digitali o ricavate da rippaggi via satellite. Il che è attribuibile anche alla presenza nel film, come già accennato, di scene abbastanza forti anche per il genere thriller.
Cinque donne per l’assassino
Un film di Stelvio Massi. Con Giorgio Albertazzi, Howard Ross, Ilona Staller, Katia Christine,Francis Matthews, Pascale Rivault, Lorenzo Piani, Catherine Diamant, Gabriella Lepori, Carla Mancini, Edmondo Sannazzaro Giallo, durata 95′ min. – Italia 1974.
Francis Matthews …Giorgio Pisani
Pascale Rivault … Dottoressa. Lidia Franzi
Giorgio Albertazzi … Professor Aldo Betti
Howard Ross …Commissario
Katia Christine … Alba Galli
Catherine Diamant … Oriana
Gabriella Lepori … Sophia
Maria Cumani Quasimodo …Zia Marta
Tom Felleghy …Editore
Ilona Staller … Tiffany
Regia Stelvio Massi
Soggetto Roberto Gianviti, Gianfranco Clerici
Sceneggiatura Roberto Gianviti, Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino
Produttore Carlo Maietto
Casa di produzione Thounsand Cin.ca (Roma); Les Film La Boétie (Paris)
Distribuzione (Italia) Alpherat
Montaggio Maurizio Bonanni
Musiche Giorgio Gaslini
Scenografia Sergio Palmieri
Costumi Sergio Palmieri
Trucco Bianca Verdirosi
L’assassino ha riservato nove poltrone
Nove persone e una decima che si nasconde nell’ombra di un teatro, all’apparenza vuoto, di proprietà di uno dei 9.
Patrick Devenant invita otto suoi amici (ma il termine è decisamente eccessivo) a trascorrere una serata in un suo teatro, completamente vuoto.
Così i 9 arrivano a destinazione; immediatamente ci si rende conto che tra di essi non regna l’armonia, anzi.
Sembrano esserci antipatie e anche odio, oltre ad asti dovuti a svariati motivi.
Cè’ Patrick che ha una relazione con Vivian, Rebecca Davenant che ha una relazione lesbica con Doris, Lynn Davenant con Duncan Foster, c’è Kim che ha una relazione con Russell e infine c’è Albert; un gruppo assolutamente eterogeneo di persone, che ben presto però verrà coinvolto in una spirale di morte.
La prima a cadere è la giovane Kim, uccisa mentre recita davanti al gruppo; subito dopo tocca a Doris, schiacciata tra due pesanti porte.
Paola Senatore
E’ poi la volta di Rebecca, straziata a pugnalate e corcefissa, poi toccherà a Russell, impiccato…..
Uno dopo l’altro gli sventurati ospiti di Davenant cadono vittime del misterioso assassino; dal teatro non è possibile uscire in alcun modo, perchè l’assassino ha inchiodato le porte.
Riuscirà qualcuno a sopravvivere?
L’assassino ha riservato nove poltrone , film del 1974 diretto da Giuseppe Bennati su sceneggiatura dello stesso unitamente a Paolo Levi è un thriller con connotazioni soprannaturali.
Un film decisamente in tono minore, sopratutto per lo stanco espediente di ricalcare per l’ennesima volta la trama di 10 piccoli indiani della Christie e sopratutto penalizzato da una sceneggiatura assolutamente ostica, in cui è difficile districarsi nonostante il finale in qualche modo cerchi di spiegare ciò a cui abbiamo assistito.
La lunga teoria di morti non da tensione al film, che appare molto slegato; tuttavia l’efferatezza delle scene rende quanto meno poco soporifero il film, afflitto da ua cronica mancanza di tensione.
Tra un morto ammazzato e l’altro troppe pause, che il regista cerca di colorare di sexy mostrando le varie protagoniste in abiti succinti, risparmiando solo la Schiaffino.
Eros e tanatos, quindi, presenti in ogni buon thriller anni settanta ma in un amalgama davvero imperfetto.
Poca colpa va attribuita agli attori, che appaiono spaesati più dal dover recitare in un luogo vuoto in cui non è presente una minaccia visibile (l’assassino sembra un’ombra dell’aldilà, cosa che rende ancor più increibile il film) che per colpe specifiche o mancanze proprie.
Nel cast c’è Eva Czemerys, che interpreta Rebecca, alle prese con una relazione lesbica con Dorys, interpretata da Lucrezia Love; se la prima mostra qualche imperfezione recitativa, la seconda appare davvero svagata e fuori parte.
C’è ancora la bella Janet Agren, nei panni di Kim, la prima a morire ammazzata quindi poco giudicabile nel complesso; cè la bella Rosanna Schiaffino, che interpreta Vivian, l’unica delle protagoniste femminili a restare abbottonata e con i vestiti ben calzati addosso.
C’è Paola Senatore, che quanto meno si fa perdonare per la sua bellezza esplosiva e generosamente mostrata, che intepreta una stravagante Lynn, donna dagli ambigui costumi; tra gli uomini vanno segnalati Howard Ross (Russell) e Cris Avram (Patrick), che fanno la loro parte con relativa sufficienza.
Lucretia Love
Janet Agren
Quello che disturba principalmente, nel film, è l’isterismo di cui sembra preda il cast femminile, costretto a usare grida e espressioni di paura per sopperire alla assoluta mancanza di tensione nel film, che alla fine risulta essere l’arma in meno dello stesso.
Un thriller decisamente mediocre, mal diretto e poco attraente.
L’assassino ha riservato nove poltrone ,un film di Giuseppe Bennati. Con Rosanna Schiaffino, Lucretia Love, Howard Ross, Andrea Scotti, Chris Avram, Janet Agren, Paola Senatore, Eva Czemerys,Gaetano Russo
Giallo, durata 92 min. – Italia 1974.
Janet Agren e Lucretia Love
Howard Ross e Rosanna Schiaffino
Eva Czemerys
Rosanna Schiaffino … Vivian
Chris Avram … Patrick Davenant
Eva Czemerys … Rebecca Davenant
Lucretia Love … Doris
Paola Senatore … Lynn Davenant
Gaetano Russo … Duncan Foster
Andrea Scotti … Albert
Eduardo Filipone … L’assassino misterioso
Luigi Antonio Guerra … Caretaker (credit only)
Renato Rossini … Russell (come Howard Ross)
Janet Agren … Kim
Regia di Giuseppe Bennati
Prodotto da Dario Rossini
Sceneggiato da Giuseppe Bennati,Paolo Levi
Musiche di Carlo Savina
Editing di Luciano Anconetani
“L’intreccio narrativo è poca cosa, trattandosi dell’ennesima versione di “Dieci piccoli indiani” adagiata all’interno di un teatro frequentato da gente non proprio esemplare e – come morale “horror” vuole – passabile pertanto di punizione. Ma il folto gineceo femminile attira l’attenzione e dona un plus all’estetica del film: dei gialli questo è forse l’unico esemplare che raduna siffatte bellezze. Né è parco di delitti, prospettati in maniera assai feroce ed intervallati a sequenze d’erotismo (per l’epoca) spinto. Thrillerotico
Interessante pellicola, che incomincia come un classico giallo gotico, incrociato con “Dieci Piccoli Indiani”, ma che presto vira verso il fantastico e il mystery-tale, con risulati originali e border-line. Memorabili gli omicidi, tutti efferati, e il finale nei sotterranei del lugubre teatro.
Partendo da una situazione trita e ritrita (alcune persone che restano intrappolate in luogo chiuso e cominciamo a morire una dopo l’altra sotto i colpi di una mano misteriosa), il regista Bennati è incerto su quale strada prendere e dà così vita ad un film debolissimo e noioso, che si trascina avanti tra situazione viste e riviste, fino ad arrivare ad uno sconcertante finale, che lascia più che interdetti per la sua inconcludenza.
Spesso sottovalutato, è invece uno dei migliori gialli ambientati in luoghi chiusi che io abbia mai visto, che può contare su un nutrito cast di buoni attori (Avram, Ross) e alcune delle migliori bellezze femminili del nostro cinema (Agren, Senatore, Czemerys, Love), che però si spogliano moderatamente. L’atmosfera è assicurata dall’ambientazione nel vecchio teatro e dalle musiche di Carlo Savina (parzialmente riprese da Contronatura). Coraggioso e riuscito lo svolgimento finale.
Buon giallo di vecchio stampo. Lento quanto basta, come deve essere un giallo doc, gode dell’ottima ambientazione teatrale, decisamente efficace e a tratti claustrofobica. L’effetto “siamo in trappola e non ci sono vie di uscita” è formidabile e funzionale al racconto. Rivisto oggi è un film piuttosto invecchiato, forse destinato solo agli aficionados del cinema settantiano italico, ma d’altronde chi altri può avere il desiderio di rivedere questo film?
Grande, grandissimo giallone anomalo e suggestivo. Unica pecca: il ritmo non altissimo e qualche momento di noia (caratteristica quasi insita nel genere!). Per il resto solo cose positive: l’atmosfera malsana, il riuscito incipit di cui avevo letto su Nocturno, l’inquietante maschera dell’assassino, la brutalità degli omicidi. Eppoi il finale, che proprio nel suo crossover di generi (dal thriller al gotico nel breve volgere di una sequenza, come se gli attori, scendendo nei sotteranei, entrassero in un altro film) riesce a spiazzare lo spettatore. Sorprendente.
Interessante anche se molto tardivo rispetto al suo genere, molto più in voga nel decennio precedente. La presenza di Janet Agren e il duo lesbico Czemerys-Love giustificano appieno il ritardo. Non mancano la suspense e neppure le disinibizioni erotiche, almeno a livello concettuale. Una claustrofobia poetica, non fastidiosa e ossessiva. Siamo lontani dai thriller più lugubri di altri registi contemporanei, ma merita di essere visto.
Curiosa ambientazione teatrale, che ispirerà altri registi in seguito. Il film mescola il giallo classico (alla Dieci piccoli indiani) con i toni più maliziosi e violenti del thrilling all’italiana. Come spesso accade in questo tipo di cinema, la regia interrompe la narrazione per indugiare (piacevolmente) sulle grazie femminili, raffreddando però il phatos del racconto. Gli attori se la cavano e l’assassino è molto fantasma del palcoscenico”
La ragazza dal pigiama giallo
La vicenda inizia in Australia, sulla spiaggia cittadina di Sidney.
Sul bagnasciuga viene rinvenuto il cadavere di una ragazza, spaventosamente sfigurato dal fuoco.
Il corpo è quasi irriconoscibile, fatto salvo il particolare che indossa un pigiama giallo.
Le indagini di rito vengono affidate agli ispettori Ramsey e Morris, i quali devono accettare, loro malgrado, l’interesse dell’ispettore Thompson, ormai in pensione che si affianca ai due non richiesto.
Mentre Ramsey sceglie una pista sbagliata, facendo arrestare un ubriacone innocente, Thompson indaga su alcuni immigrati, fra i quali Antonio, un cameriere italiano.
Attraverso alcuni sbalzi temporali, apprendiamo la storia della sua relazione con la splendida e conturbante Glenda, una donna dal passato turbolento.
Antonio sposa la ragazza, che però mantiene relazioni proibite con il professor Douglas, un eminente e ricco uomo d’affari di Sidney e contemporaneamente con Roy che è un operaio irlandese amico proprio di Antonio.
Le cose sono destinate a diventare ancor più complicate quando Glenda scopre di essere rimasta incinta.
Dopo aver tentato un impossibile riavvicinamento con Antonio e sopratutto dopo aver perso il bambino che aspettava, Glenda entra in crisi.
Tenta di riconquistare il ricco Douglas che però deluso dalla donna la respinge.
Nel frattempo Thompson, con le sue indagini, è arrivato ad un passo dalla verità; ma è destino che non possa godersi il frutto del suo lavoro, perchè viene ucciso.
L’uomo però ha lasciato scritto tutto ciò che ha scoperto, così la polizia risolve comunque il caso.
Glenda era fuggita da casa di Douglas decisa a lasciare tutti, ma nella sua fuga era stata raggiunta da suo marito Antonio e dall’altro suo amante, Roy, che durante un furibondo litigio l’aveva ferita mortalmente colpendola con un crick.Appartiene dunque a lei il corpo rinvenuto sulla spiaggia, ed è stato proprio Roy a bruciarlo.
Antonio, deciso a piegare la genesi dell’omicidio, si rivolge all’ispettore Ramsey, ma spaventato dall’arrivo delle auto della polizia, scappa per finire tragicamente investito e ucciso.
La ragazza dal pigiama giallo, film del 1977 diretto da Flavio Mogherini è un buon prodotto che si eleva di parecchio su molti film simili girati negli anni settanta.
Anche perchè non è propriamente un thriller, quanto un film che mescola diversi generi, caratterizzandosi anche per il buon uso degli sfalsamenti temporali.
Buona l’idea, per esempio, di raccontare la storia dalla fine, senza arrivare a palesare da subito l’identità della misteriosa ragazza dal pigiama giallo.
Certo, appare chiaro che l’identità della donna coincide con quella della turbolenta Glenda, ma per lo spettatore il tutto resta un’ipotesi.
Mentre il film si dipana con una certa eleganza, assistiamo alle indagini di Thompson, vediamo la vita disordinata di Glenda, conosciamo suo marito e i suoi amanti.
Il ritmo non è frenetico, c’è molta attenzione ai dialoghi, per una volta.
E se manca la tensione, ci si consola con la sapiente scelta di mescolare passato e presente.
Il film ha diversi difetti, consistenti sopratutto nella lentezza del film stesso e in una recitazione non sempre convincente, ma tutto sommato riesce a catturare l’attenzione dello spettatore, intriso com’è di una malinconia di fondo che generalmente non è presente nei film gialli.
Tra le scene da segnalare, quella curiosa in cui il corpo di Glenda viene esposto nudo per permettere alla gente di vederlo e identificarlo.
Anche se La ragazza dal pigiama giallo non è un noir vero e proprio, ha dalla sua una location finalmente lontana dalle sponde italiche e un cast che assicura al film una certa dignità.
Discrete le prove di Ray Milland che interpreta il caparbio ispettore Thompson, che pagherà con la vita la sua ostinazione, così come una garanzia è Michele Placido a suo agio nel ruolo di Antonio Attolini; anche Howard Ross, che interpreta Roy è una garanzia, mentre la Di Lazzaro, pur affascinante come sempre, risulta alla fine la meno convincente del gruppo, con una recitazione che spesso eccede la drammaticità del suo ruolo, che andava interpretato con più malizia e mistero.
Nel cast compare anche Mel Ferrer, il maturo prof. Henry Douglas, amante di Glenda.
Un film che non piacque moltissimo quando uscì, forse perchè dopo la metà degli anni settanta il giallo non aveva molti seguaci; colpa anche della realtà quotidiana, che presentava storie e vicende sociali drammatiche, degne davvero di un film thriller.
La ragazza dal pigiama giallo, un film di Flavio Mogherini. Con Michele Placido, Dalila Di Lazzaro, Ray Milland, Mel Ferrer, Howard Ross, Eugene Walter, Rod Mullinar
Giallo, durata 105 min. – Italia 1977.
Ray Milland … Ispettore Thompson
Dalila Di Lazzaro … Glenda Blythe
Michele Placido … Antonio Attolini
Mel Ferrer … Professor Henry Douglas
Howard Ross … Roy Conner
Ramiro Oliveros … Ispettore Ramsey
Rod Mullinar … Ispettore Morris
Giacomo Assandri … Quint
Eugene Walter … Dorsey
Fernando Fernán Gómez
Antonio Ferrandis … Nottingham
Vanessa Vitale … Evelina
Mónica Rey … Patricia Clark Dorsey
“Già scopritore sullo schermo di Renato Pozzetto e iniziatore di una vena calligrafica della commedia all’italiana, l’architetto Flavio Moghemi cambia genere e continente. Sfruttando in Australia un’insolita cornice ambientale e i servizi di una cinematografia in ascesa, si affida a un thrilling articolato con abilità su due binari: l’inchiesta della polizia intorno a una ragazza dal pigiama giallo trovata semicarbonizzata sulla spiaggia, e le disavventure di una bella emigrata olandese mal maritata con un cameriere italiano e divisa fra molti uomini. I due motivi si fondono, sulla dirittura finale, in maniera da riservare al pubblico una piccola sorpresa. Ma se Mogherini sa inquadrare e tagliare come i registi americani, scegliendo fra l’altro interni ed esterni con gusto avvertito, anche stavolta non riesce a scandire la qualità formale su autentici ritmi di racconto. Se all’autore interessava rappresentare l’ambiente degli emigranti, come la drammatica scena finale di Placido nel cimitero marino farebbe supporre, bisogna constatare che se n’è dimenticato per la strada; e anche l’approccio ai personaggi rimane freddo, distaccato e spesso decorativo. Con tanto nitore contrasta la deliberata volgarità di certe battute e situazioni, che attestano un cinico proposito dl mercificare il film. Perfino un gentiluomo come Ray Milland si abbassa al livello delle parolacce e dei gesti osceni.
Da Tullio Kezich, Il nuovissimo Mille film. Cinque anni al cinema 1977-1982, Oscar Mondadori”
Non male questo lavoro, più noir che giallo, di un regista più a suo agio con la commedia. L’ambientazione estera e la tematica della solitudine e lo spaesamento ricorda Blue nude (molto piu bello). Il montaggio alternato tra la vicenda e le indagini della polizia crea un po’ di confusione e la sceneggiatura ha diversi buchi, ma l’atmosfera molto triste è resa con efficacia. La Di Lazzaro è stupenda e anche piuttosto brava.
Se fosse solo un giallo, come recita il genere scritto nella locandina, probabilmente sarebbe un ottimo giallo e basta. Invece c’è molto altro. In primo luogo una tragedia umana di forte impatto sociale, fatta di povertà e di stenti, in secondo un’impostazione dei tempi narrativi che, ancora prima di incidere positivamente sul versante tecnico, risulta essere emotivamente coinvolgente. Complici sono indubbiamente le atmosfere, i silenzi usati per sconfinare nell’indicibile, un cast a prima vista quasi inconciliabile, ma in verità di gran lunga indovinato.
La bravura di Ray Milland e i concetti investigativi da lui rappresentati sono veramente sopra le righe e il vero piatto forte del film. Geniale il regista nel parallelismo dell’antefatto con la diretta. Io lo vidi quando uscì e ne rimasi molto toccato. Oggi gli riconosco anche il merito di aver saputo estrarre le migliori qualità di allora della Di Lazzaro e di Amanda Lear nella colonna sonora, allora al massimo del successo. Quasi odioso Michele Placido, che rappresenta gli emigrati italiani come una massa di zoticoni, analfabeti e terroni…
Terribile esempio di cinema, nel senso peggiore del termine: mal diretto, mal interpretato, mal montato, sceneggiatura inesistente, più o meno siamo ai livelli di Rose rosse per una squillo. Squallido nel suo presunto erotismo. Resta solo la bellezza della Di Lazzaro, che da sola non risolleva minimamente le sorti del film. Penoso.
Bizzarro melodramma erotico tinto di giallo: operazione curiosa ma dai risultati mediocri. C’è un colpo di scena che per quanto leggermente prevedibile possiede una certa originalità, ma la storia, per quanto ben strutturata, scorre un po’ troppo lentamente. Non manca qualche scena di sesso (di cui una piuttosto squallida) ma non viene mostrato nulla di che. Ottimo il cast ma mediocri le musiche di Ortolani, fatta eccezione per l’azzeccatissima canzone (cantata da Amanda Lear) che accompagna molte scene del film (come quella iniziale).
Interno di un convento
Dalla prima inquadratura, un giovane robusto che trasporta a spalle un quarto di bue destinato alle suore di un convento umbro, appare chiaro il tema di quest’opera di Borowczyk: furia iconoclasta anti religiosa, confortata dall’esposizione di preziose tazzine per il cioccolato, the e tutto il necessario per una sontuosa colazione. Un convento? Si, popolato da bellissime suore, quasi tutte di buona famiglia, probabilmente contro la loro volontà; l’interno del convento, la sua vita quotidiana, regolata dalle rigide regole della mortificazione dei desideri e dei piaceri, si mostra in tutta la sua contraddittorietà attraverso le pulsioni sessuali delle suore,
represse da una badessa che cerca disperatamente di dirigere quello che solo esternamente sembra un luogo di meditazione e preghiera. Le estasi mistiche di alcune suore fanno da contraltare ad atti di autoerotismo, relazioni saffiche e incontri con uomini esterni al convento. La naturale sessualità, repressa dalle circostanze, si esalta attraverso lettere scritte da una suora da un immaginario amante, dalla masturbazione con un fallo di legno con su un’ immagine sacra da parte di un altra, dal suono quasi orgiastico di un violino, il tutto condito da auto palpeggiamenti, sguardi al proprio corpo che pulsa per la sessualità repressa. Il convento è quindi un ricettacolo più che di vizi, di desideri carnali inespressi.
Mortificare la carne, costringere ragazze nel fiore degli anni a una vita di reclusione e di privazione di quelle che sono le necessità fisiologiche del corpo è sintomo di crudeltà. In parte, è questo il messaggio che il regista lancia, imbastendo attorno a questo tema la storia di Clara, sorpresa dalla badessa mentre è con il suo amante. Il tutto finirà nel sangue e con uno scandalo prontamente messo a tacere, come racconta la stringata nota finale, facendo riferimento anche ad un’opera di Stendhal.
Se le intenzioni di Borowczyk sono quelle della denuncia dl potere religioso capace di soffocare anche i primari istinti umani, va detto che in questo film rimangono puramente nelle intenzioni. Pur non essendo un film erotico, proprio per la mancanza di situazioni atte a generare u interesse di questo tipo, il regista punta troppo sui piaceri sessuali, quelli auto erotici delle suore, anche se va detto che non indulge mai troppo nelle scene, salvo nella già descritta sequenza della masturbazione della suora. Il film scivola lentamente, e anche in maniera abbastanza noiosa, verso la parte finale, che invece accelera troppo il ritmo, con il risultato di rendere l’opera inorganica a sfilacciata.
Certo, le immagini sono al solito raffinatissime, nel consueto stile di Borowzik, con il classico effetto flou sparato ad ogni scena. Ma il risultato finale è abbastanza deludente, e il film rimane per la maggior parte un’incompiuta. In alcuni casi l’estasi mistica delle religiose è poco credibile, e si esplicita in immagini che lasciano il dubbio, concreto, di un’attenzione voyeuristica sospetta. Ben altre per aveva girato Borowczyk per non sospettare un’operazione meramente commerciale, destinata più che ad una denuncia dell’oppressione religiosa, presente per esempio in ben altro stile nel film La bestia, ad una bassa speculazione sul solito tabù del sesso, argomento quasi principe nella produzione del regista.
Molte più ombre che luci, quindi. Anche se qualche sequenza è al solito un piccolo gioiello: le scene iniziali nel giardino sono raffinate, così come di grande impatto è l’intera sequenza del funerale della badessa con la scoperta dei cadaveri di altre due religiose. Ma non bastano a salvare il film da un’aurea mediocrità; opinione largamente condivisa dai censori, che mutilarono il film proprio da quelle che sono le scene forse più illuminanti per capire il discorso fatto dal regista. Alla fine l’esercizio di stile è apprezzabile solo in quanto tale, così come del film si possono salvare le interpretazioni di Marina Pierro e Olivia Pascal e sopratutto di Gabriella Giacobbe,
che interpreta con gran misura il personaggio della badessa Orsini, vittima sia del suo zelo religioso sia della lussuria di Suor Clara, una misurata Ligia Branice. Si segnala anche Howard Ross nel ruolo di Rodrigo Landiani e dell’ottimo Mario Maranzana in quello dello sventurato padre confessore, l’unico a non capire per intero quale sia davvero il problema delle suore, e che simboleggia la religiosità stupida e ottusa, quella che attribuisce al demonio ogni atto fatto in contrapposizione ai dettami della chiesa.
Interno di un convento,un film di Walerian Borowczyk. Con Marina Pierro, Howard Ross, Mario Maranzana, Licia Branice, Gabriella Giacobbe, Gina Rovere, Loredana Martinez, Paola Morra, Stefania D’Amario, Olivia Pascal, Romano Puppo
Erotico, durata 95 min. – Italia 1978. –
Ligia Branice: suor Clara
Howard Ross: Rodrigo Landriani
Marina Pierro: suor Veronica
Gabriella Giacobbe: badessa Flavia Orsini
Rodolfo Dal Pra: vescovo
Loredana Martínez: suor Martina
Mario Maranzana: padre confessore
Alessandro Partexano: Silva
Regia Walerian Borowczyk
Fotografia Luciano Tovoli
Montaggio Walerian Borowczyk
Musiche Sergio Montori
La lupa mannara
Daniela, giovane e bella donna, è affetta da gravi problemi psichici, in seguito alla violenza subita quando era ancora un’adolescente. Inoltre è affetta da una grave forma di licantropia, ereditata da una sua antenata, che una sera lei sogna mentre viene braccata e infine catturata dai contadini inferociti dalla perdita di molti di loro, assaliti dalla donna per soddisfare la brama di sangue.
Il giorno dopo a casa di Daniela e di suo padre, un conte, arriva Irene, la bellissima sorella appena convolata a nozze con il giovane Fabian. La ragazza, la sera, spia i due mentre consumano un amplesso, si fa seguire dal giovane Fabian e nel bosco prima lo seduce e poi lo sbrana, gettandolo infine giù da una rupe.
Ricoverata in un ospedale psichiatrico, Daniela viene curata da un dottore, convinto che le turbe psichiche della ragazza siano frutto dell’immedesimazione della stessa con la sua antenata, fatto acuito dal ritrovamento, da parte di Daniela, di vecchi scritti e di un medaglione raffigurante la sua antenata nel quale il volto della nobile è praticamente identico al suo. Con l’aiuto di una ricoverata nell’istituto, Daniela riesce a fuggire, subito dopo averla uccisa.
Appena libera la ragazza uccide anche due amanti in un casolare, e subito dopo un uomo che aveva cercato di usarle violenza. Sarà accanto ad un giovane stunt man che Daniela ritroverà la speranza di poter vivere una vita normale, ma una sera, mentre è sola in casa, viene stuprata da tre uomini che poi uccidono il giovane che nel frattempo era tornato a casa. La ragazza, sconvolta, si metterà alla ricerca dei tre assassini, li ucciderà tutti, e si troverà alla fine alla resa dei conti con la polizia, che ormai le è alle costole.
Film del 1976, diretto da Rino Di Silvestro che si firma Alex Berger, La lupa mannara è un curioso mix di vari generi; si passa dall’horror, peraltro limitato fortemente dal trucco di Annyk Borel, l’attrice che impersona Daniela, un trucco abbastanza ingenuo, fatto con pochi peli e qualche rivolo di bava alla bocca, al thriller, che è poi l’impianto del film; il finale è il classico violenza/vendetta, e per tutto il film abbondano scene di nudo, anche se va detto che no ci sono mai immagini davvero esplicite. Le due protagoniste, la sconosciuta Annyk Borel, che interpreta Daniela e la splendida Dagmar Lassander, qui in un ruolo marginale,
quello della sorella di Daniela, Irene, se la cavano discretamente, così come appare convincente la prova di Howard Ross. Va segnalato che questo film, fino all’anno scorso, era oggetto di una ricerca forsennata da parte degli amanti del genere, e che oggi è finalmente disponibile la sua versione in dvd. Un film di valore accettabile, non di certo trash, come segnalato da qualcuno, anche se di sangue ne scorre poco, e le scene memorabili sono praticamente inesistenti. Si segnala anche la presenza del grande Tino Carraro nel ruolo del conte padre delle due sorelle.
La lupa mannara,un film di Rino Di Silvestro. Con Tino Carraro, Dagmar Lassander, Howard Ross, Annik Borel,Andrea Scotti, Salvatore Billa, Frederick Stafford, Elio Zamuto, Osvaldo Ruggeri, Renata Franco, Giuliana Giuliani, Pietro Torrisi
Horror, durata 92 min. – Italia 1976.
Annik Borel: Daniela Neseri
Howard Ross: Luca Mondini
Dagmar Lassander: Elena Neseri
Tino Carraro: conte Neseri
Elio Zamuto: psichiatra
Pietro Torrisi: Alvaro
Andrea Scotti: sig. Arrighi
Frederick Stafford: ispettore Modica
Regia Rino Di Silvestro
Sceneggiatura Rino Di Silvestro, Howard Ross
Produttore Diego Alchimede, Mickey Zide
Casa di produzione Dialchi Film
Fotografia Mario Capriotti, Dennis Kull
Montaggio Alys Chalmers, Angelo Curi
Musiche Coriolano Gori, Susan Nicoletti
L’opinione del sito http://www.splattercontainer.com
La parte migliore sono sicuramente gli ultimi venti minuti, dove la storia comincia finalmente un po’ ad evolversi fino ad arrivare al finale amaro ed azzeccato.
La Lupa Mannara si può definire come un horror particolare, con tutto ciò che ne consegue. Senza dubbio con molti difetti e lontano dall’essere un bel film, ma se non altro dotato di qualche buona idea che riesce a farlo stare un po’ a galla. Gli appassionati potrebbero anche farci un pensierino.
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
Leggiamo cosa dice il regista: “La protagonista del film doveva essere una donna realmente in grado di calarsi in una licantropa… Annick Borel, non truccata, era incredibilmente simile a un lupo (complimentoni!). La trovai in Svizzera, era un’aspirante attrice amica di un produttore. Le feci un provino e scrissi la sceneggiatura apposta su di lei. Non credo che nessuno abbia mai trattato il tema della licantropia col mio stesso rigore scientifico. Io non sono caduto nel tranello di portare sullo schermo gli ululati. Ho preso il passato ancestrale del personaggio, una condizione di vita frustrante nella sessualità, in più ho voluto inserire l’elemento naturalistico: la luna piena”* Messa giù così sembra di trovarsi davanti ad un capolavoro, in verità La lupa mannara è troppo intriso di elementi poveristici e sessuali per poter essere preso sul serio, anche se, va detto, l’approccio psicodinamico/medico al posto di quello puramente folkloristico non è malaccio. Ma è una goccia nel mare. Il film passa dall’essere all’inizio un horror, sconfina nel thriller/drama, per poi approdare al rape&revenge, in quest’ultimo frangente rendendosi anche interessante. Il “vero” sangue si limita a poche scene (un’accettata, una forbiciata, qualche morso) mentre il resto della pellicola si assesta sul nudo di varie attrici, sulle urla disumane della Borel (forse erano meglio gli ululati), sulla musica funky da pornazzo. Non si offre molto altro allo spettatore per poter tenere desta la sua attenzione e anche la paura (se di paura si può parlare) si limita ad una sola scena in cui in una stanza appare una donna sderenata. Pessimo il trucco da lupa mannara applicato alla protagonista: naso da cane sulla faccia e mammelle pelose. Imperdibile. La sequela di disgrazie che perseguita Daniela Nasseri è inverosimile e il film finisce in una maniera davvero insoddisfacente. Se volete vedere un bel film sui lupi mannari questo non è quello che fa per voi e se voleste vedere un film erotico La lupa mannara non offre “abbastanza”. Qualcosa si salva, ok, ma anche se non sconsigliato, questo film rimane una chicca per i trash-seekers.
L’opinione del sito http://www.antrodellorco.wordpress.com
Della serie: “poche idee, ma confuse”, questa pellicola è uno strano mixer di generi che spaziano dall’horror, all’erotico, al poliziottesco nel tentativo di riunire in un unico calderone le pellicole più in voga in quel degli anni ’70.
Di certo l’azione e la violenza non mancano, come pure l’erotismo (coadiuvato dalle procaci forme della Lassander e la sensualità della Borel), ma la venatura orrorifica è vagamente delineata e lasciata scivolare quasi con distrazione confusa nella storia. Allo spettatore non sarà mai dato di capire se Daniela è solo una povera folle assassina segnata dai traumi subiti o se invece è veramente affetta da licantropia e sotto l’influsso dell’antenata strega/lupa mannara (le trasformazioni a cui assistiamo sono solo quelle della ava durante gli incubi della ragazza).
Dopo anni di latitanza la pellicola è stata recuperata dalla RAROVIDEO in un discreto formato audio/video.
Anche se lascia il tempo che trova il film scorre e si lascia vedere, proprio come tanti altri prodotti dell’epoca.