Dimmi che fai tutto per me
“Gotta Get Rich Quick”, “devi diventare ricco in fretta” canta Lally Stott e viene subito voglia di cantare con lui.
Quanti di noi non l’hanno già fatto questo pensiero almeno una volta?! Certo che sentirlo cantato, quindi, espresso ad alta voce, porta forse un po’ di redenzione sia per le anime che si sono arricchite a discapito di tutto e di tutti sia per quelle che pur avendo ambito al benessere economico non hanno dato sfogo all’istinto predatorio.
Nella storia che si dipana sullo schermo la ricchezza arriva dagli Stati Uniti d’America, con quel parente benestante di cui molti aspetterebbero volentieri l’arrivo anche in una giornata torrida, afosa, nel clima estivo caratteristico della Laguna veneziana.
Atterra, infatti, a Venezia, l’aereo che ricongiunge ai suoi cari Dodo Spinacroce (Jacques Dufilho), d’ora innanzi “il nonno”. Con lui, in una bara, giunge anche la salma della defunta madre il cui ultimo desiderio, a detta del nonno, è stato quello di essere sepolta all’interno della casa ove da giovane aveva svolto servizio.
Ad attenderli sono: la figlia, Miriam (Andréa Ferréol), il genero, dottor Francesco Salmarani (Johnny Dorelli) e il nipote, Mimo (Stefano Amato). Ma i sentimenti che animano l’attesa e il ricongiungimento familiare non sono tra quelli più nobili. Infatti, Francesco Salmarani esprime vive preoccupazioni circa il ritorno del suocero e l’investimento di tutti i risparmi per l’anticipo versato per la “Villa degli oleandri”, luogo destinato alla cerimonia funebre.
A differenza di Francesco, Mimo, ragazzo sensibile e ingenuo, è sinceramente contento di fare la conoscenza del nonno. Anche Miriam, nonostante il lutto, è lieta di accogliere il padre nella città ove tutti conoscono e rispettano la famiglia Salmarani: Treviso.
Infatti, Miriam riferisce al nonno che Francesco è uno tra i più stimati medici del paese veneto.
Dall’aeroporto, si dirigono tutti in macchina seguendo il carro funebre sul Terraglio. Raggiungono, quindi, un’imponente villa palladiana a Piazzola sul Brenta.
Il nonno pare soddisfatto della sistemazione funebre. E chi non lo sarebbe?! Il luogo destinato all’eterno riposo per la defunta rimpatriata è la Villa Contarini.
Molti sono i conoscenti della famiglia che si sono premurati a porgere le condoglianze agli addolorati. Tra questi anche l’amante di Francesco, Paola Signorini (Maria Grazia Spina).
Ma è proprio il funerale l’occasione che getta le prime ombre sulla persona del nonno. Francesco viene a scoprire che il patrimonio dell’anziano sarebbe proveniente da attività di stampo mafioso poste in essere nel paese oltre oceano, patrimonio che, inoltre, sarebbe stato bruciato in un incidente. Lo stimato professionista vede nella sciagura la sua morte economica.
Pur avendo il beneficio di un cospicuo introito garantito dalla professione medica, il pagamento effettuato per la villa rappresenta una spesa insostenibile.
In questo scenario confuso fa la sua comparsa un angelo della salvezza: Mary (Pamela Villoresi), giovane giunta dall’America come governante e amante del nonno. Con la sua freschezza e spontaneità la ragazza conquista l’animo di Francesco il quale si dichiara disposto perfino a una rapina pur di reperire il denaro che gli permetterebbe di condurre una nuova esistenza, lontano dall’accomodante realtà trevigiana.
I piani, però, si complicano poiché i milioni del nonno fanno gola a tutti.
Conviene arrestare qui il racconto della trama per dare la possibilità a chi avrà la curiosità della visione di scoprire da sé il giallo in questa storia.
Infatti, il film, pur sviluppandosi come una commedia dell’azione e della parola, sorprende lo spettatore con una misurata dose di poliziesco. In seguito, ci sarà spazio per la figura del commissario di polizia, interpretato con abilità e simpatia da Pino Caruso.
La vicenda portata sullo schermo da Pasquale Festa Campanile non è tra le più originali ma la sceneggiatura (Castellano e Pipolo) è veramente ben congegnata. Sorprendentemente, la pellicola mantiene un ritmo di buon livello dalle prime alle ultime battute. A questa qualità aggiunta contribuisce indubbiamente la bravura degli attori: l’irresistibile Johnny Dorelli è quasi sempre in scena; l’intrigante Pamela Villoresi
stuzzica i sensi di tutti e l’affascinante Maria Grazia Spina pone equilibrio anche alle situazioni surreali.
La trama trova origine nel racconto di Piero Chiara, “Parlami d’amore Mariú”.
Pasquale Festa Campanile si iscrive nella lunga lista dei registi italiani che hanno portato sullo schermo racconti o romanzi di Chiara: nel 1970, Alberto Lattuada ha diretto “Venga a prendere il caffè da noi” tratto da “La spartizione”; nel 1971, Marco Vicario si è occupato di “Homo Eroticus”; nel 1974, Paolo Nuzzi ha diretto “Il piatto piange”; Francesco Massaro si è ispirato a all’omonimo racconto per “La banca di Monate”(1976); nel 1977, Dino Risi ha diretto “La stanza del vescovo”, e molti altri ancora fino al contemporaneo “Il pretore”(2014) tratto dal romanzo “Il pretore di Cuvio”, diretto da Giulio Base.
“Dimmi che fai tutto per me” è un film in cui va apprezzata la suggestiva ambientazione veneta, con la splendida villa palladiana all’interno della quale si sviluppa buona parte della vicenda.
Meno apprezzabile risulta il vocabolario dialettale sfoggiato dagli attori che, in più di un’occasione, sarà percepito come una forzatura.
Dimmi che fai tutto per me
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Johnny Dorelli, Andréa Ferréol, Jacques Dufilho, Pamela Villoresi, Enzo Robutti, Pino Caruso, Nanni Svampa, Stefano Amato Commedia, durata 100 min. – Italia 1976
Johnny Dorelli: Francesco Salmarani
Pamela Villoresi: Mary Mancini
Andréa Ferréol: Miriam Salmarani
Pino Caruso: il commissario
Jacques Dufilho: Spinacroce
Grazia Maria Spina: Paola
Nanni Svampa: il “biondino”
Ferdinando Murolo: Roberto Mancuso detto Robbie
Stefano Amato: Mino
Enzo Robutti: Felegatti
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Piero Chiara (racconto), Suso Cecchi d’Amico
Sceneggiatura Castellano e Pipolo
Produttore Leonardo Pescarolo
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Antonio Siciliano
Effetti speciali Marcello Fuga / Riccardo Vernier
Musiche Armando Trovajoli
Scenografia Guido Josia
– Papà, tu lo conosci il nonno?
– No, non l’ho mai visto.
– Ma la mamma lo conosce il nonno?
– Mino, non dire stupidaggini, vuoi che non conosca il suo padre?!
– Beh, domandavo… .
– Nonno, tua mamma com’è morta?
– Ah, un colpo… .
– Eh, naturale, alla sua età.
– Ma no! Un colpo de rivoltella.
– Cinque milioni di dollari aveva e si sono bruciati tutti nel fiume col motoscafo dell’irlandese, quello delle bombe! E io dovrei stare calmo, con i gangsters che vanno e vengono scassinando le bare?! Ma chi è tuo padre?! Un boss, Al Capone, Dillinger?!
– Adesso basta, Francesco, tu hai visto troppi film gialli, spegni la luce,vieni a dormire.
– Ma sai che sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita?! Sarebbe proprio fantastico fuggire insieme. Pensa poter dire a tutti arrivederci e grazie. No, anzi, niente arrivederci e niente grazie. Ma chi devo ringraziare?! Ma che vita è stata la mia? Una continua faticata. Ho faticato a prendere la laurea, ho faticato per crearmi una clientela e ho faticato ancor di più per far capire alla gente che non avevo sposato mia moglie per i soldi. Intanto il tempo è passato, ho visto il mondo e non ho fatto pazzie. Adesso il momento è arrivato, Mary. La facciamo una pazzia insieme? Fuggiamo. Partiamo subito.
– Se è per questo, stiamo già partendo.
– Porco Giuda… .
Dio li fa e poi li accoppia
Don Celeste è un brav’uomo, dalla moralità specchiata che fa il parroco in un paesino situato da qualche parte nell’Italia centrale.
Si occupa con diligenza della sua parrocchia e dei suoi fedeli, fra i quali spicca la figura caciarona ma romantica di Dario Ricciotti,un commerciante gay che sogna di poter sposare il suo partner e che assilla Don Celeste con le sue richieste.
Il prete sembra non aver alcun problema;si occupa di musica,la sua passione e svolge il suo magisterio con umanità;ma il giorno di Carnevale qualcosa cambia definitivamente la sua vita.
Mentre è in bicicletta per stradine di campagna,il parroco viene circondato da quattro ragazze in bicicletta e violentato da una di esse.
Turbato più che sconvolto dall’accaduto,Don Celeste inizia a cercare la sua violentatrice e alla fine la rintraccia;è Paola Di Pietro,una bella ragazza del paese.
La ragazza non nega l’accaduto ma rivela a Don Celeste una verità sconvolgente;è incinta del parroco ma non intende proseguire la gravidanza.
La decisione di Paola mette in crisi Don Celeste,che deve fare i conti con la sua coscienza e con la sua fede;deciso ad impedire ad ogni costo un traumatico aborto,il parroco decide di denunciare per stupro la ragazza.
La notizia suscita sconcerto fra i parrocchiani e reazioni contrastanti tra i tutori della legge e i superiori del parroco.
Agli sghignazzi delle forze dell’ordine si sovrappongono le legittime preoccupazioni dei superiori ecclesiastici;l’impossibilità di concedere la dispensa matrimoniale a Don Celeste,disposto a portare all’altare Paola,crea un problema irresolubile alle alte sfere vaticane.
La soluzione dell’intricato caso avverrà quasi casualmente;Paola si innamorerà di un bravo giovane e Don Celeste potrà tenere il bambino allevandolo ed educandolo secondo i suoi principi.
Gradevole e garbata commedia all’italiana,ormai defunta da tempo, Dio li fa e poi li accoppia è un film diretto nel 1982 da Steno,in una delle sue ultime regie cinematografiche.
I temi dell’aborto e del celibato dei preti sono affrontati dal regista romano con il con il consueto garbo ed ironia;la pellicola scorre tranquillamente grazie anche alla simpatia dei due principali protagonisti,in primis Johnny Dorelli,qui in una delle sue classiche apparizioni in cui la simpatia e il magnetismo umoristico del cantante attore vengono esaltate dal ruolo principale affidatogli,poi il bravo e versatile Lino Banfi, straripante nel ruolo del gay follemente innamorato del suo compagno che vorrebbe sposare in barba alle leggi della chiesa e dello stato.
Due personaggi, quelli di Don Celeste e di Dario molto ben delineati nonostante la leggerezza degli stessi.
Inevitabilmente i contorni delle loro figure finiscono per sfumare, vista la leggerezza con cui vengono descritti ma in realtà il film non intende approfondire più di tanto le tematiche abbozzate, non rientrando nel disegno di Steno un approfondimento sia del celibato dei preti sia dell’aborto.
Il film quindi si mantiene correttamente sui binari del politicamente corretto,badando più alla scorrevolezza dello stesso che a temi che francamente sarebbe stato impossibile affrontare nell’ambito di una commedia leggera.
Steno,al secolo Stefano Vanzina, nel corso della carriera girerà circa 80 film e stenderà più di 130 sceneggiature; questo è il quint’ultimo lungometraggio e con lui collabora Bernardino Zapponi per una sceneggiatura lineare e ben equilibrata.
Nel film compare anche,nel ruolo di Paola, la bella Marina Suma,che l’anno successivo otterrà un grande successo personale con Sapore di mare,con la regia del figlio di Steno, Carlo Vanzina.
Per quanto bella la Suma appare un po impacciata;un anno dopo il folgorante esordio con Le occasioni di Rosa di Piscitelli, Marina mostra di avere doti ma di essere ancora acerba.
Tuttavia, nell’ambito di questo film appaiono un po ingenerose le critiche mosse all’attrice napoletane da molti citici.
In fondo parliamo di una commedia leggera,dove non era richiesta un’interpretazione da Oscar.
In definitiva un film gradevole, divertente in maniera soft ma che non annoia.
Dio li fa e poi li accoppia
Un film di Steno. Con Johnny Dorelli, Lino Banfi, Marina Suma, Venantino Venantini, Adriana Giuffré,Giuliana Calandra, Enzo Rinaldi, Franco Caracciolo Commedia, durata 100 min. – Italia 1982
Johnny Dorelli: Don Celeste Restani
Lino Banfi: Dario Ricciotti
Marina Suma: Paola Di Pietro
Venantino Venantini: Occhipinti, il proprietario della discoteca
Giuliana Calandra: Clara, la perpetua
Graziella Polesinanti: l’avvocato di Paola
Max Turilli: Anselmo Marcucci, il testimone
Stefano Altieri: il giudice del processo
Loris Zanchi: il Vescovo
Annabella Schiavone: una pettegola del paese
Renzo Rinaldi: il pubblico ministero
Franco Bracardi: il sindaco di Brisignano
Enio Drovandi: il carabiniere alla macchina da scrivere
Guerrino Crivello: l’assessore comunale di Brisignano
Franco Caracciolo: uno dei due gay olandesi
Geoffrey Copleston: il sindaco di Kellemborg
Adriana Giuffrè: una donna del paese
Dino Cassio: il vigile Urbano
Mimmo Poli: il tassista di Roma
Valentino Simeoni: un uomo in Chiesa
Carlo Demi: il cancelliere al processo
Regia Steno
Soggetto Bernardino Zapponi
Sceneggiatura Enrico Vanzina
Bernardino Zapponi
Produttore Pio Angeletti
Adriano De Micheli
Casa di produzione International Dean Film S.r.l.
Distribuzione (Italia) Medusa Film
Panarecord
Fotografia Sandro D’Eva
Montaggio Raimondo Crociani
Effetti speciali Studio Sound Coop
Musiche Gianni Ferrio
Tema musicale Dio c’è
Scenografia Giuseppe Mangano
Costumi Silvio Laurenzi
Trucco Giulio Mastrantonio
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Homesick
Steno dirige con perizia, non c’è che dire, ma il copione di suo figlio Enrico e di Bernardino Zapponi, pur toccando un tema di cui oggi molto si discute (le adozioni gay), fa acqua ovunque: la storia è insulsa e facilona, e con quella “Dio c’è” declamata sui titoli di coda tocca davvero il fondo del patetico. Pur diligente e misurato nella parte, Dorelli non è molto credibile come prete serio, mentre Banfi riesce sempre a travolgere con la sua carica irrefrenabile di comicità anche quando circoscritta nel macchiettismo. Tremenda la Suma.
Markus
L’idea in sè non è male, ma gli interpreti principali (particolarmente istrionici) portano avanti un loro discorso senza quasi mai incontrarsi. La comicità è limitata a qualche battuta di Lino Banfi e al sarcasmo del confidenziale Johnny Dorelli, ma tutto appare francamente buttato lì: è evidente che fu un prodotto commerciale senza il desiderio di approfondimento. Pruriginosa (almeno per me) la presenza dell’allora giovane e seducente Marina Suma, qui munita di mascherina da diavolessa. Valse il prezzo del biglietto!
Fabbiu
Commedia italiana, impegnata (con i suoi soliti mezzi) ad approfondire diversi temi, in cui Dorelli (nei panni del prete) se la cava piuttosto bene (riesce a convincere abbastanza) e il merito maggiore va in assoluto a Lino Banfi che, se forse stereotipizza troppo la figura dell’omosessuale, per lo meno riesce a risollevarla con l’umorismo nei momenti in cui le riflessioni tendono al patetico. Steno riesce bene a raccontare la storia in modo rilassante e poco macchinoso, sebbene l’ultima porzione di film giri un po’ a vuoto. Odiose la Suma e la canzone a tema.
Giuan
Commedia di Steno che per qualche criptico motivo cinematografico ho sempre scambiato per un film di Festa Campanile. Sviste registiche a parte, si tratta di uno di quei film che motivi affettivi ci fan amare ben al di là dei suoi specifici meriti. La fascinazione (personale s’intende) nasce presumo dal carisma pretesco e agée di Dorelli, unito ad un Lino capace di costruire un personaggio da una macchietta e alla Marina che ai tempi tutti ci concupiva. Stefano dirige un copione di Enrico e Zapponi, di cui era effettivamente difficile trovar il registro.
Opinioni tratte dal sito http://www.filmscoop.it
Woodman
Squisita e sorprendente commediola nostrana, decisamente sopra la media del periodo.
Con una regia tiepidina del pur bravo Steno, la storia si snoda acquistando sempre più interesse. Esempio di commedia dalle ambizioni sociologiche ancora seguito (nel bene e soprattutto nel male), specie nel disegno parossistico e colorato dei personaggi di fianco e nella tendenza a prendersi poco sul serio.
Qui le frecciatine volano più in alto del solito, c’è una certa cura descrittiva, le gag sono genuinamente divertenti.
Audace, aguzza, leggera.
La carta vincente e il prezzo del biglietto lo vale peró l’irrefrenabile, strepitoso Banfi, che ruba la scena a chiunque.
Da recuperare.
Kimmy
Commedia che, quotando il morandini(purtroppo), sarebbe potuta essere più grande. Temi importanti trattati con leggerezza eccessiva. Omofobia, Ipocrisia, Vandalismo, Rapporti proibiti… In salsa di commedia all’italiana, con guizzo di denuncia mai troppo evidenziata, sempre una riga più sotto.. Banfi eccezionale, vale il prezzo del biglietto. Era ancora Steno, comunque, uno imponente, uno intelligente, uno che sapeva il fatto suo, fatto di un’altra pasta.. e si vedeva.
Pak 7
Buona commedia di inizi anni 80 che sa leggermente distinguersi dal trend del periodo con una storia quantomeno originale. Banfi si ” stacca” dal filone trash e si diletta in altri ambiti, entrando sicuramente nel suo miglior periodo produttivo.
Qui, in veste omosessuale, è assolutamente delizioso. Buona la prova della Suma, mentre Dorelli in qualsiasi film mi sembra avere sempre quella faccia un pò così..
Cara sposa
In una giornata plumbea,in una Milano immersa nella pioggia Alfredo esce dal carcere dove ha scontato quattro anni di galera per aver percosso la moglie;è un piccolo ladruncolo,Alfredo, con poca voglia di lavorare ma ora che è uscito dal carcere medita di tornare da sua moglie e dal suo piccolo Pasqualino.
Ma all’uscita dal carcere, sotto la pioggia,c’è sua moglie Adelina che gli comunica che, stanca delle sue botte, lo lascia.
Ad Alfredo, che comunque è innamorato della moglie, non resta altro da fare che accettare, almeno in apparenza la decisione di Adelina; così torna a casa sua per scoprire che la moglie ha portato via tutto, lasciando la casa desolatamente vuota.
Ritornare alla vita normale presenta dei problemi, per Alfredo;ma grazie anche ad una vicina di casa, Liliana, anche lei una piccola ladruncola riesce in qualche modo a ricominciare.
Ma Alfredo è sempre innamorato della moglie che,mentre Alfredo era in galera, ha allacciato una relazione con Giovannino, un tassista per il quale Adelina forse non prova una passione travolgente, ma che rappresenta un porto sicuro, una figura tranquillizzante.
L’uomo decide allora di ricostruire un rapporto almeno con il figlio con il doppio scopo di avere informazioni sulla moglie;nel frattempo riprende la vita di prima, occupandosi di piccoli furti e occasionali truffe.
Ricopre Giovannino di regali ma tenta anche di rapire sua moglie; che reagisce in maniera sprezzante lasciando Alfredo solo con i suoi sensi di colpa.
Ma Adelina ha capito che Alfredo, a modo suo la ama;la donna scopre che suo marito dorme con un cuscino che riporta la sua immagine, che l’uomo ha creato mentre era in carcere e la successiva morte della mamma di lui li riavvicina almeno temporaneamente.La donna riprende quindi a frequentarlo nuovamente, diventando una specie di amante di suo marito.
Ma sarà un breve viaggio fatto da Alfredo con suo figlio a rischiare di far scoppiare una tragedia…
Commedia agro dolce a sfondo comico sentimentale, Cara sposa, diretto da Pasquale Festa Campanile è un film del 1977, inquadrabile nell’ormai agonizzante filone della commedia all’italiana.
Una commedia gradevole e a tratti anche divertente, lieve e leggera, interpretata da un Johnny Dorelli in perfetta forma, che all’epoca del film aveva consolidato la sua fama di attore brillante con ottimi riscontri al box office.
Punti di forza del film sono l’ambientazione proletaria del film stesso,come la scelta del casermone ultra propolare nel quale viveva la coppia e alcune sequenze particolarmente riuscite come quella in cui Adelina, stanca della “persecuzione” del marito, lo attira nella loro vecchia casa e lo tempesta di botte.
Bellissima come sempre Agostina Belli che interpreta il ruolo della moglie di Alfredo, una donna stanca sia dei maltrattamenti del marito sia dell’incapacità da parte dello stesso di vivere una vita ordinaria, meno precaria e ai margini della legge.
Un personaggio che cerca la tranqullità e la serenità tra le braccia del bravo Giovannino, un uomo che è un porto sicuro; ma l’amore e la passione sono sempre gli stessi per quello strano marito accanto al quale la vita era sicuramente più movimentata.
Tranquillità e sicurezza oppure passione e vivere alla giornata?
Attorno a questo dilemma Adelina vive conflittualmente la propria vita ed in pratica è il tema centrale del film.
Un tema probabilmente banale ma che il regista lucano descrive con leggerezza, senza mai travalicare i limiti della commedia leggera e senza affannarsi a cercare soluzioni soluzioni socio politiche che non vengono affrontate mai, nemmeno marginalmente.
Questa è una storia di sentimenti condita da storie qualunque e da qualche gag divertente,null’altro.
Pasquale Festa Campanile, uno dei più prolifici registi degli anni settanta torna così ai temi preferiti dopo la breve parentesi del film comico/storico affrontato l’anno precedente con Il soldato di ventura e prima dell’unico esperimento di cinema thriller dello stesso anno, rappresentato da quel Autostop rosso sangue che mostrerà la versatilità del regista prematuramente scomparso nel 1986 a 58 anni.
Cast di contorno di ottimo livello, nel quale ogni protagonista fa la sua parte con lodevole diligenza a partire dalla bella e affascinante Marilda Donà, la Liliana del film che ama a modo suo quell’uomo disordinato e irresponsabile così innamorato però della moglie
Ci sono anche Enzo Cannavale, vicino di casa di Alfredo e Lina Volonghi e infine Mario Pilar, una volta tanto lontano dai ruoli di cattivo che hanno rappresentato la caratteristica della sua carriera.
Menzione d’onore per l’atmosfera a tratti plumbea a tratti malinconica che cattura il regista in una milano vista nella sua anima autenticamente popolare.
Il film ha avuto diversi passaggi in tv ed è oggi edito in digitale; tuttavia in rete esiste solo una versione rippata da una VHS di qualità mediocre e visionabile in streaming con un’agevole ricerca su Google.
Cara sposa
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Johnny Dorelli, Enzo Cannavale, Agostina Belli,Marilda Donà, Lina Volonghi, Guido Verdiani, Carlo Bagno, Livia Cerini Commedia, durata 110′ min. – Italia 1977.
Johnny Dorelli:Alfredo
Agostina Belli:Adelina
Marilda Donà:Liliana
Mario Pilar:Giovannino
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Franco Verucci
Sceneggiatura Franco Verucci
Fotografia Giuseppe Ruzzolini
Montaggio Mario Morra
Musiche Stelvio Cipriani
Daniele Patucchi
Scenografia Giantito Burchiellaro
L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com
Quello che si dice un buon film, tanto per essere chiari. Ottimi sia Johnny Dorelli che Agostina Belli (doppiata, peraltro), buone l’ambientazione milanese e la regìa. Sulla sceneggiatura si può dire che qualche passaggio è risolto forse in modo frettoloso, come quando Dorelli denuncia la moglie e la fa finire in carcere, ma il film non perde punti per questo. Ed il sardonico finale è perfetto per il tono della pellicola, a mio avviso.
L’opinione di willcane dal sito http://www.filmtv.it
Attivissimo come regista,ancor più che come scrittore,Pasquale Festa Campanile ,come Alberto Bevilacqua,realizzò anche qualche titolo di successo,pur essendo sempre considerato un “outsider” al cinema:certo,spesso ha fatto film di qualità discutibile,come questa commediola che regge gran parte del suo peso su Johnny Dorelli,spiantato marito alla riconquista della bella moglie Agostina Belli,fino a rischiare di morire linciato.E’una Milano un pò triste e periferica quella in cui il film si svolge,qualche sorriso viene riscosso dal comunque simpatico protagonista:è che la storia non ha niente di originale,molti degli attori recitano a quella maniera,e il copione non è particolarmente brillante.Un tipico film da seconda visione degli anni Settanta.
L’opinone di Marenco73 dal sito http://www.davinotti.com
Opera singolare e rappresentativa di un regista che ci ha lasciati troppo presto e che aveva tante altre cose da dire. In “Cara sposa” infatti comicità ed amarezza si mescolano. Campanile gioca su temi delicatissimi (il nucleo familiare, il distacco, la gelosia) con mano sincera grazie ad un Dorelli in forma e ad un’Agostina Belli al massimo del suo splendore. Originariamente il progetto era di Ponti e avrebbero dovuto interpretarlo Mastroianni e la Loren. Poi Lombardo cambiò le carte in tavole e l’ambientazione che fa tanto “Romanzo popolare”.
Il mostro
Valerio Barigozzi è un giornalista che è relegato ai margini della sua professione.
Per arrotondare il suo stipendio è costretto a rispondere ad una posta del cuore di un settimanale e a scrivere romanzi gialli da “nero”,ovvero per conto di altri.
La sua situazione privata non è certo migliore; separato dalla moglie, vive un rapporto difficile con suo figlio Luca, che vorrebbe venire a vivere con lui ma che Valerio non può permettersi di mantenere.
La sua triste e stanca routine viene interrotta un giorno da una missiva anonima, nella quale viene annunciato l’omicidio di Nonno Gustavo, un famoso conduttore televisivo di una trasmissione per ragazzi.
Anche se poco convinto, Valerio si reca a casa di “Nonno Gustavo” giusto in tempo per scoprire che il misterioso informatore ha agito davvero; il presentatore televisivo è infatti morto.
Nello stesso modo Valerio viene informato in anticipo dei futuri “colpi” della mano omicida; a cadere in successione sono il portiere di una squadra di calcio e in seguito il proprietario del giornale per il quale Valerio lavora.
La concomitanza delle sue presenze immediate sui posti degli omicidi, l’intuizione che il misterioso assassino sta scrivendo la parola “vendetta”,i posti in cui avvengono gli omicidi che collegati sembrano formare la v della stessa parola, vendetta, portano Valerio a diventare famoso, tanto da salire immediatamente nelle grazie del nuovo direttore Giorgio, che ha sostituito suo padre ucciso da quello che ormai viene chiamato il mostro.
Se all’inizio Valerio non sembra porsi il problema del perchè il misterioso killer si adoperi per informarlo in anticipo delle sue mosse, dovrà ben presto fare i conti con la spietata logica-illogica dell’assassino, che uccide anche Dina, una cantante con la quale Valerio ha intrecciato un’appassionata relazione.
Poichè Dina viene uccisa proprio mentre e a letto con Valerio, l’uomo viene arrestato dalla polizia;durante la detenzione Valerio pensa e ripensa agli avvenimenti, rendendosi conto che il killer lo conosce molto, troppo bene. La scoperta che le lettere informative sono state scritte con una macchina per scrivere con un difetto particolare in un carattere che lui ha usato per molto tempo e che ora ha riposto in un armadio lo porta sulla strada giusta.
Valerio è convinto che l’omicida altri non sia che sua moglie; convince così il commissario che lo ha in custodia ad andare a casa dell’ex moglie, proprio mentre questa sta cercando di fare del male a suo figlio.
La polizia la uccide e così la storia sembra finita.Ma è davvero così?
Cupo e cinico, amaro e drammaticamente profetico Il mostro è un film girato da Luigi Zampa, ottimo sceneggiatore e regista qui alla sua penultima regia cinematografica prima di Letti selvaggi, l’ultima sua fatica datata 1979, quando ormai il regista romano aveva 74 anni.
Cupo e cinico, dicevo.
Si, perchè il Il mostro è un film in cui non c’è un personaggio positivo e in cui viene anticipato, con tantissimo anticipo, l’epoca torbida dei reality e l’epoca disgraziata attuale, con la cronaca nera diventata oggetto di un’attenzione morbosa senza precedenti, sbandierata e utilizzata in tutte le ore da sua maestà la tv.
La vicenda umana di Valerio, che da cronista fallito diventa all’improvviso una star della carta stampata, trasformandosi da uomo mediocre a vincente spietato e senza scrupoli, esaltato com’è dal successo professionale venuto però a scapito e sulla pelle di povere e innocenti vittime si trasforma in un atto d’accusa verso un mondo cinico e rivoltante, quello della carta stampata.
Sbatti il mostro in prima pagina, a qualsiasi costo e senza nessuno scrupolo morale per le conseguenze.
Il film è costruito su una sceneggiatura accettabile anche se con qualche pecca che però non influenza il giudizio finale, largamente positivo; merito del complesso del film, che è armonicamente costruito attorno ad una trama classica da giallo anche se, alla fine, è difficile catalogare Il mostro in una categoria ben definita.
Il ruolo principale, quello di Valerio, è affidato a Johnny Dorelli, qui ottimo in un ruolo drammatico che replica quello dell’anno precedente ricoperto nel film di Festa Campanile Cara Sposa. Dorelli mostra di possedere talento, aldilà dei ruoli leggeri tradizionalmente interpretati. Brava anche Sydne Rome, che interpreta la sfortunata Dina.
Il cast è completato da attori di primo piano come il compianto Renzo Palmer e Orazio Orlando ;bravo Santaniello nel ruolo del giovane Luca.
Il mostro di Zampa è un film sicuramente da recuperare; mentre moltissimi film del periodo pre ottanta sono ormai datati, questo film ha ancora molte frecce al suo arco, inclusa la descrizione di un mondo che forse all’epoca appariva un tantino fantascientifico e che invece, nel corso dei decenni, si è trasformato in triste realtà.
Il film è passato qualche volta in tv, ma non è facilmente reperibile in rete.
Il mostro
Un film di Luigi Zampa. Con Johnny Dorelli, Sydne Rome, Renzo Palmer, Renato Scarpa,Yves Beneyton, Enzo Santaniello, Gianrico Tedeschi, Orazio Orlando, Clara Colosimo, Angelica Ippolito, Mauro Vestri, Renzo Rinaldi, Salvatore Baccaro, Guerrino Crivello Drammatico, durata 105′ min. – Italia 1977
Johnny Dorelli: Valerio Barigozzi
Sidney Rome: Dina, la cantante
Orazio Orlando: il commissario Pisani
Renzo Palmer: Baruffi
Enzo Santaniello: Luca Barigozzi
Renato Scarpa: Livraghi
Yves Beneyton: Giorgio Mesca
Gianrico Tedeschi: Vittorio Santi, “nonno Gustavo”
Clara Colosimo: Donatella Domenica Donati
Angelica Ippolito: Anna, ex moglie di Barigozzi
Regia Luigi Zampa
Soggetto Sergio Donati
Sceneggiatura Sergio Donati
Fotografia Mario Vulpiani
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Ennio Morricone e Rita Monico
Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio
Commedia all’italiana del 1983 diretta da Sergio Martino e strutturata in due episodi.
Il primo, Il pelo della disgrazia, narra le vicissitudini di Altomare Secca (Lino Banfi) che ha problemi di vario ordine, sia sul lavoro dove ha come collaboratrice una ragazza svampita, sia a casa con una moglie che vive in pratica incollata alla tv divorando quantità industriali di telenovelas e con una figlia fidanzata ad un giovane a metà strada tra il punk e il lavativo.
Le cose per Altomare sembrano andare malissimo, ma subiscono un’ulteriore accelerazione verso il peggio quando viene a stabilirsi nell’appartamento di fronte al suo Corinto Marchialla, un distinto signore sulla sessantina con una moglie splendida, Ludovica.
Lino Banfi con Dagmar Lassander…
Il superstizioso Altomare, a cui capitano ormai disavventure come al biblico Giobbe, attribuisce le disgrazie al nuovo venuto; sarà un mago a predire all’uomo la fine dei suoi guai se riuscirà ad estirpare al malefico vicino un pelo che l’uomo ha sul petto.
Da quel momento iniziano una serie di divertenti vicissitudini per Altomare, che è anche oggetto di attenzioni dalla splendida Ludovica: l’uomo rinunecrà ad un appunamento galante pur di poter togliere il pelo famoso dal petto di Corinto.
Ci riuscirà alla fine, rasando completamente il petto dello sfortunato Corinto che non è affatto la causa delle disgrazie di Altomare.
Infatti, come scoprirà con costernazione, la responsabile di tutto è la domestica di casa Secca, una praticante ridi voodoo…
Paola Borboni
Il secondo episodio, Il mago, vede protagonista uno scalcinato maghetto di periferia, Gaspare Canestrari, che per sopravvivere mette in scena spettacoli indecorosi.
L’uomo è talmente mal ridotto da dover accettare ospitalità dalla sua fidanzata e da suo cognato, ma le cose per lui cambiano un giorno mentre sta passando sotto il balcone della Marchesa De Querceto.
Anna Kanakis e Johnny Dorelli
La donna, molto anziana, attratta dalla sua voce lo fa entrare nella sua stanza da letto, dove fa bere a Gaspare una pozione che a suo dire lo trasformerà in un mago potentissimo in cambio di un semplice gelato al pistacchio.
Lo scettico Gaspare ben presto deve ricredersi, perchè si trasforma in un autentico mago capace di vari prodigi.
Il sortilegio tuttavia svanirà per incanto alla morte della Marchesa; preso dalla sua fama e dal successo Gaspare ha dimenticato di comprare il famoso gelato e i suoi poteri svaniscono nel momento peggiore, durante una diretta tv nella quale si appresta a sfidare il mago Silvan…
Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio è una commedia di sufficiente livello, con due episodi però molto diseguali come ritmo e divertimento. Se il primo, Il pelo della disgrazia vede protagonista un irresistibile Lino Banfi, autentico alfiere di un certo tipo di comicità in bilico tra una dose tollerabile di volgarità e una maschera espressiva di consumata abilità, il secondo vede protagonista un Johnny Dorelli poco ispirato e molto a disagio con una storia peraltro confezionata in fretta e furia.
Milena Vukotic
Nel primo episodio sono esilaranti le varie vicissitudini del povero Altomare, che sembra calamitare attorno a se tutte le negatività possibili e immaginabili; come non restare attoniti per esempio di fronte alle mancate avventure con due donne del calibro di Janet Agren e Dagmar Lassander? Oppure come restare indifferenti di fronte alla reazione di Corinto-Mario Scaccia che si risveglia con il torace completamente rasato da Altomare, alla ricerca del pelo maledetto?
A ciò si aggiunga anche la presenza di ottimi comprimari come le citate Lassander e Agren, oltre alla sempre bravissima Milena Vukotic e a quella della simpatica salentina Gegia.
Menzione d’onore per Mario Scaccia, grandissimo attore di teatro che si diverte un mondo nel ruolo del luciferino Corinto, in realtà assolutamente innocente dall’accusa di essere un menagramo.
L’episodio con protagonista Dorelli ha qualche momento ilare, per merito della grande Paola Borboni che bestemmia come un carrettiere e che caratterizza da par suo il personaggio della Marchesa.
Bello anche lo schetch con protagonista una giovane Anna Kanakis nei panni di una donna che quando bacia o ha rapporti sessuali emana fortissime scariche elettriche.
Film da serata di svago che può valere una visione.
Occhio malocchio prezzemolo e finocchio, un film di Sergio Martino. Con Janet Agren, Johnny Dorelli, Lino Banfi ,Milena Vukotic, Dagmar Lassander,Anna Kanakis, Renzo Montagnani, Paola Borboni,Mario Scaccia Adriana Russo.Commedia, durata 119 min. – Italia
Episodio 1, Il pelo della disgrazia
Lino Banfi: Altomare Secca
Milena Vukotic: Giovanna Secca
Janet Agren: Helen
Gegia: Mariella Secca
Elisa Kadigia Bove: Jenny, la governante
Dagmar Lassander: Ludovica Marchialla
Mario Scaccia: Corinto Marchialla
Luigi Costa Uzzo: Il Commissario
Bruno Rosa: Bruno. il commesso
Franco Javarone: il Re dell’Occulto
Andrea Azzarito: Carluccio
Jessica Leri: Commessa negozio
Dino Cassio: Ispettore torinese
Episodio 2, Il mago
Johnny Dorelli: Il Mago Gaspar
Paola Borboni: Marchesa De Querceto
Mario Brega: Alberigo
Franco Solfiti: Presentatore gara dei maghi
Ugo Bologna: Commendatore Raggiotti
Nicoletta Pietrasanti: Aiutante mago
Renzo Montagnani: Cavaliere Aldovrandi
Roberto Della Casa: un cliente del Mago
Silvan: sé stesso
Adriana Russo: la moglie di Gaspar
Anna Kanakis: una cliente del Mago
Calogero Caruana: Provocatore del Mago
Luigi Leoni:Artemio
Regia Sergio Martino
Soggetto Franco Bucceri, Romolo Guerrini, Roberto Leoni, Franco Verrucci
Sceneggiatura Mario Amendola, Franco Bucceri, Bruno Corbucci, Romolo Guerrini, Roberto Leoni, Sergio Martino, Franco Verrucci
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Guido De Angelis, Maurizio De Angelis
Il cappotto di Astrakan
Un gruppo di amici si ritrova per giocare a biliardo; tra di loro c’è Piero, che riesce a vincere una partita con in palio un viaggio a Parigi. Salutato alla stazione il gruppo, Piero si appresta a sbarcare nella capitale francese.
Ma non ha fatto i conti con Ramazzini, un tipo con la fama da iettatore; per la serie non è vero, ma ci credo, ecco che al povero Piero, appena sbarcato a Parigi, iniziano a piovere sul capo disgrazie.
Viene rapinato di tutti i soldi da alcuni italiani, arrestato e tradotto davanti al commissario Juvetin, che gli trattiene il passaporto.
Andrea Ferreol è la signora Marie Lenormand
Lo sventurato Piero si ritrova così in città, affamato e senza meta; ma per una volta il caso sembra dargli una mano.
Avendo visto un cartello con la scritta “stanze libere”, si rivolge alla signora Maria Lenormand, che rimane stranamente colpita da Piero, tanto da affittargli ad un prezzo ridicolo un intero salone, in condominio con un pestifero gatto. La donna racconta all’italiano che divide l’appartamento con il fratello Maurice; in realtà Maurice è il marito della donna,detenuto per una rapina.
Tutto ciò Piero lo apprenderà da Valentine, una splendida figliola che conosce altrettanto casualmente. Così scopre che la ragazza era l’amante proprio di Maurice, e per questo viene seguito dal sospettoso commissario Juvetin. Inizia così una girandola di situazioni, con Piero, che ha ricevuto in dono da Maria uno splendido cappotto di Astrakan conteso dalle due donne e guardato con sospetto da Juvetin; una sera, mentre sta per finire a letto con Maria, ecco comparire il misterioso Maurice, che assomiglia come una goccia d’acqua a Piero.
Piero scappa, ma con indosso il cappotto di Astrakan, il che gli varrà un’altra serie di traversie. Ritornato in Italia, riprende la sua solita vita in compagnia degli amici fidati, ma ecco che ricompare Valentina…….
Tratto da un romanzo di Piero Chiara del 1978, Il cappotto di astrakan, girato l’anno successivo da Marco Vicario, è una gradevole commedia degli equivoci, ben strutturata e divertente. Merito sopratutto della bravura di Johnny Dorelli, simpatico e spassoso nel ruolo dell’imbranato Piero, di Andrea Ferreol, che interpreta con misura Maria Lenormand e della bellissima Carole Bouquet, che interpreta l’affascinante Valentine.
Sullo sfondo di una Parigi vista di corsa, si muovono i tre destini dei tre protagonisti, sui quali incombono le figure di Maurice, sempre presente come un’ombra e quella del terribile ispettore Juvetin, un ottimo Marcel Bozzuffi, molto prevenuto nei confronti degli italiani.
Le gag ci sono e sono a tratti davvero divertenti, come quelle che vedono protagonista il povero Piero e l’indemoniato gatto della signora Lenormand, Domitien;
pur essendo il film molto divergente dal romanzo di Chiara, si riesce ad apprezzare il tentativo di Vicario di rendere con ironia e arguzia la vicenda del vitellone Piero, trasportato da Luino, il posto in cui vive, nella tentacolare città francese.
Non c’è molta profondità psicologica nei personaggi, ma del resto in due ore di film, articolato principalmente sulle disavventure di Piero era davvero ben difficile andare oltre.
La parte meno interessante del film è quella basata sul viaggio di ritorno in treno, con Piero che incontra uno strano personaggio che alla fine tenta di fargli la corte; viceversa abbastanza bene in linea è il finale, forse amarognolo ma in sintonia con il film.
Il cappotto di Astrakan, un film di Marco Vicario. Con Johnny Dorelli, Marcel Bozzuffi, Andréa Ferréol, Paolo Bonacelli,Carole Bouquet, Ninetto Davoli, Elio Crovetto, Salvatore Billa, Quinto Parmeggiani, Enzo Robutti, Ettore Garofalo, Nanni Svampa
Commedia, durata 105 min. – Italia 1980
Johnny Dorelli … Piero
Andréa Ferréol … Maria Lenormand
Marcel Bozzuffi … Commissario Juvet
Carole Bouquet … Valentine
Ninetto Davoli Il ladro
Quinto Parmeggiani Lo scrittore
Enzo Robutti … Ramazzini
Regia Marco Vicario
Soggetto Piero Chiara
Sceneggiatura Marco Vicario, Sandro Parenzo
Produttore Franco Cristaldi, Nicola Carraro
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Nino Baragli
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Andrea Crisanti
Costumi Patrizia Castaldi
Verso la fine d’aprile del millenovecentocinquanta, non avendo trovato dalle mie parti e non pensando di trovare neppure in altri luoghi vicini, o per dir meglio in Italia, il terreno favorevole alla nuova vita che durante la guerra mi ero proposta per il il caso che ne fossi scampato, pensa di portarmi a Parigi, senza programmi di alcun genere e solo per viverci qualche mese. Chissà, mi dicevo, che non abbia a cogliersi il bandolo di un avvio e magari a trovarvi la mia fortuna
“Ottimo Dorelli tardo vitellone in trasferta parigina, che sembra avviarsi kafkianamente e invece si svolge secondo i registri consueti del grande scrittore luinese, la sensualità e il grottesco, sulle note di Salvador e Charles Trenet. Non tutto funziona al meglio, c’è qualche concessione alla macchietta (tutta la sequenza della visita al manicomio) ma il risultato finale è apprezzabile.”
“Disavventure a Parigi per Johnny Dorelli, in questa commedia diretta da Vicario con il solito stile. Purtroppo qualcosa nella complessità del tema centrale della pellicola rimane irrisolto, ed alcuni snodi della sceneggiatura non mi sono parsi molto fluidi. Però Dorelli è molto bravo, e la Bouquet -scheletrica- si spoglia senza troppi problemi. Finisce invece col risultare odioso il gatto Domiziano, al quale hanno appiccicato un fastidioso e cacofonico miagolio in ognuna delle circa 200 scene in cui appare sullo schermo.”
“Trasposizione corretta ma piuttosto piatta e poco grintosa di un romanzo di Chiara, ennesima variazione sul tema del doppio, con il provinciale Piero che, in trasferta parigina, ne passa di tutti i colori per colpa/merito della sua forte somiglianza fisica con un tizio poco di buono ma fascinoso. I pregi maggiori risiedono nel cast, da Dorelli che ha il dono della leggerezza, alle due donne di così diversa sensualità (la straripante Ferreol e l’algida Bouquet) fino ai bravi caratteristi di contorno.”
“Soave Dorelli-movie in cui l’attore confidenziale contiene (anche se non del tutto) i panni dell’uomo brillante e sofisticato. La storia è tratta da un romanzo e se ne ha testimonianza nei dialoghi, forse non sempre credibili e a mio avviso eccessivamente teatrali. La scenografia parigina è raffinata e adeguata al racconto. Sublime l’interpretazione di Andrea Ferreol, ma citerei anche Marcel Bozzuffi che considero straordinario nel difficile ruolo di “spina nel fianco”.”
“Marco Vicario dirige con una certa eleganza questo buon film tratto dal romanzo di Piero Chiara, interessante nella trama ma forse un po’ scialbo nei dialoghi (adattamento di Parenzo e dello stesso regista). Tra gli interpreti spiccano un Dorelli simpatico ma per nulla macchiettistico, un’intensa Ferreol e una Bouquet dolce e sensuale. Caratteristi in gran forma, da Svampa a Parmeggiani, da Robutti a Bonacelli. Di gran classe gli interni di Crisanti e la fotografia di Guanieri.”
Tesoromio
Prima di parlare di questa deliziosa commedia del 1979 di Giulio Paradisi, vorrei fare una piccola disgressione. Mi capita spesso di consultare, per rinfrescarmi la memoria o semplicemente per copiare il cast dei film, di andare su alcuni siti specializzati, come My movies, per esempio. Molti siti utilizzano, per le recensioni, i piccoli sunti del Morandini, che passa per essere l’opera omnia del cinema, una vera e propria enciclopedia, con tanto di recensione, cast regista e anno di produzione della stragrande maggioranza dei film usciti in Italia. Ebbene, spesso mi chiedo chi e sopratutto se abbia visto i film recensiti.
Enrico Maria Salerno
A parte gli errori grossolani nella trama, spesso alcuni film vengono stroncati di sana pianta, con aggettivi anche pesanti, come insulsa, sciocca, idiota ecc. Una cosa che depone sicuramente male per chi cura un’opera che in fondo vuol essere di divulgazione del cinema passato, una sorta di Bignami cinematografico dedicato al futuro, quando la memoria di alcune pellicole sarà decisamente perduta.
Zeudi Araya
Questo tipo di operazione di disinformazione riguardante alcune opere sopratutto datate è alquanto preoccupante: quando leggo di un film che sarebbe un’esposizione gratuita i nudi e violenza, e poi nel film non ci trovo ne l’una ne l’altra cosa, mi chiedo chi e perchè abbia voluto stroncare, in partenza, il film in questione. E’ il caso di Tesoro mio, la cui recensione recita testualmente così: “Un commediografo di irreparabile insuccesso è tradito dalla concubina con l’avvocato che gli finanzia le messinscena.Gli arriva in casa Tesoro, colf afro-orientale al primo servizio che, per soprammercato, è miliardaria e di sangue reale. Risolve la situazione. Derivata dalla pièce Chérie noire di François Campaux, riscritta dal trio Benvenuti, De Bernardi e Parenzo, la commedia è di una melensaggine sopportabile per merito di R. Pozzetto soltanto nella prima parte.” Un giudizio gratuito e forzato;
Renato Pozzetto
Tesoromio non è un capolavoro, ma si lascia guardare con piacere, in primis per la presenza di un ottimo cast (Sandra Milo, Enrico Maria Salerno, Renato Pozzetto, Zeudi Araya e Johnny Dorelli), poi per la simpatia che riescono a ispirare i vari personaggi, anche se, va riconosciuto, la trama è effettivamente un po debole.
Enrico (Johnny Dorelli) è uno scrittore di opere teatrali, che non riesce ad avere successo. L’ultimo fiasco è fatale, perchè oberato dai debiti, si vede arrivare in casa un ufficiale giudiziario (Renato Pozzetto) per un sequestro. In realtà Enrico non è assolutamente un pessimo scrittore, ma è sabotato da Roberto (Enrico Maria Salerno), un losco avvocato che lo finanzia per coprire con gli esborsi le somme che la sua società deve al fisco, truccando naturalmente i bilanci.
La coppia Dorelli-Pozzetto
Roberto è anche l’amante di Solange, compagna di Enrico, pessima attrice che quest’ultimo è costretto a far lavorare per ricevere i finanziamenti necessari alle sue opere. Ma i guai di Enrico stanno per terminare; nella villa in cui abita arriva una ragazza, Tesoro (Zeudi Araya), che si propone come colf alla coppia; naturalmente Enrico, a corto di denaro, vorrebbe mandarla via, ma la ragazza sceglie di restare anche senza paga. Tra i due inizia così, con il tempo, una storia d’amore, e Enrico trova finalmente lo spunto per scrivere un’opera di ottimo livello, grazie anche a Tesoro e alla sua collaborazione.
Non solo; la ragazza è una principessa, ricchissima, visto che nel suo paese i diamanti si trovano in qualsiasi posto. La ragazza paga tutti i debiti di Enrico, e lo mette in condizione di terminare il suo lavoro. La sera della presentazione dell’opera, Enrico registra il suo personale trionfo, ma Tesoro non c’è; è andata via, ma per fortuna dei due innamorati, la ragazza viene fermata all’aeroporto con un grosso quantitativo di diamanti.
Commedia semplice, fresca, divertente, Tesoromio si avvale di un ottimo cast, nel quale spicca la straordinaria bellezza di Zeudi Araya, futura signora Cristaldi. A suo agio Johnny Dorelli, in quell’epoca protagonista di molti film sopratutto a tematica brillante.
Tesoromio, un film di Giulio Paradisi. Con Enrico Maria Salerno, Johnny Dorelli, Sandra Milo, Zeudi Araya.Carlo Bagno, Vincenzo Crocitti, Paolo Paoloni, Renato Pozzetto, Angelo Pellegrino, Carlo Cartier
Commedia, durata 108 min. – Italia 1979.
Johnny Dorelli: Enrico Moroni
Renato Pozzetto: Ufficiale Giudiziario Pierluigi
Zeudi Araya: Tesoro Houaua
Sandra Milo: Solange
Enrico Maria Salerno: avv. Roberto Manetta
Carlo Bagno: il maggiordomo occhialuto con i baffi
Natale Tulli: uno dei traslocatori
Angelo Pellegrino: l’ufficiale dei carabinieri
Vincenzo Crocitti: un membro della commissione al teatro
Regia Giulio Paradisi
Soggetto Francois Campaux
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Paolo Brigenti
Produttore Franco Cristaldi, Nicola Carraro
Fotografia Roberto D’Ettorre Piazzolli
Montaggio Mario Morra
Musiche Mariano Detto
Costumi Danda Ortona