Il miele del diavolo
Storia di un tormentato rapporto di coppia tra lei, Cecilia, una giovane poco più che ventenne e lui, Gaetano, un giovane musicista appassionato di sax. Tra i due la personalità dominante è quella di Gaetano, giovane perverso e amorale, che non disdegna rapporti gay ed è sempre alla ricerca di variazioni sessuali per accontentare le proprie perversioni. La ragazza accetta, non senza grossi problemi psicologici, questo rapporto di sudditanza, fatto di umiliazioni sessuali, di giochi erotici che vanno oltre i suoi tabu.
Una mattina, mentre Cecilia e Gaetano sono su una moto, avviene un incidente, causato dal giovane che costringe la ragazza al solito degradante gioco erotico; Gaetano urta la testa e viene ricoverato d’urgenza in ospedale.
Qui viene sottoposto ad una delicatissima operazione chirurgica al cranio, effettuata dal dottor Guido, un playboy di mezz’età sposato con Carole.
La donna, stanca dei continui tradimenti del marito, è sul punto di chiedere il divorzio. Guido, così, in uno stato d’animo alterato, si appresta a operare Gaetano.
Il giovane muore sotto i ferri, con grande dolore della sua compagna; Cecilia, convinta che le responsabilità della morte vadano attribuite al dottor Guido, riesce a circuirlo i qualche modo, lo sequestra e lo confina in una villa, vigilata anche da un cane feroce, Black.
Qui Cecilia sottopone il povero dottore ad una serie interminabile di giochi perversi e umilianti: si spoglia davanti alui, provocandolo per poi negarsi, picchia Guido costringendolo a mangiare nella ciotola del cane, restituendo quindi all’incolpevole dottore tutte le umiliazioni che aveva subito da Gaetano.
Ma la ragazza non ha la vocazione della carnefice: poco alla volta inizia a guardare Guido con occhi diversi, forse capendo come il suo precedente ruolo di vittima nel rapporto con il musicista fosse stato in realtà un capitolo da chiudere al più presto, e che la morte di gaetano, lungi dall’essere una tragedia, si era rivelata per lei una liberazione.
La ragazza inizia ad amare il dottore, e dopo averlo liberato, decide di avere con lui una storia d’amore.
Sindrome di Stoccolma , sadismo, masochismo, rapporti erotici malati: Il miele del diavolo, lavoro softcore di Lucio Fulci, parte già con il piede sbagliato, compiacendosi in maniera morbosa nell’esplicitazione di scene erotiche e perverse. Basti pensare alla sequenza del sax, utilizzato da Gaetano in modo improprio sul corpo della donna.
Fulci, che aveva collaborato anche al film La gabbia, altro pessimo prodotto tirato su alla rinfusa da Patroni Griffi, sceglie la scorciatoia di un erotismo quasi esplicito, al servizio di una storia malata con un’ambientazione morbosa che però non buca mai, trasformandosi in una squallida esibizione del corpo della protagonista, Bianca Marsillach, bello da vedere e nulla più.
Il mestiere del regista, sicuramente mostrato meglio in altre occasioni nel Miele del diavolo non va oltre una mediocre ambientazione, quindi espressa attraverso luoghi e situazioni al limite del surreale, mentre tutta la storia scorre in maniera sempre più improbabile, fino al finale spiazzante con la vittima e il carnefice che scelgono l’amore dopo aver sperimentato la sua negazione, ovvero l’umiliazione e il sesso drogato e sfrenato.
A parte la Marsillach generosamente nuda, il cast sembra lavorare al di sotto del minmo sindacale; breve parte per Corinne Clery, anche lei in costume adamitico e prestazioni dei due attori principali, Halsey e Madia incolori.
Film da dimenticare, quindi, sopratutto per la morale che se ne ricava alla fine, dopo aver sopportato un’ora e mezza di esibizioni soft core di nudità e perversioni, tra l’altro nemmeno troppo spinte e quindi poco apprezzabili anche dagli inguaribili guardoni ammalati di sado masochismo.
Il miele del diavolo, un film di Lucio Fulci. Con Corinne Cléry, Brett Halsey, Blanca Marsillach, Stefano Madia Erotico, durata 82 min. – Italia 1986


Regia: Lucio Fulci
Soggetto e sceneggiatura: Jaime Jesús Balcázar,Lucio Fulci,Ludovica Marineo,Vincenzo Salviani
Fotografia: Alejandro Ulloa
Montaggio: Rita Antonelli,Vincenzo Tomassi
Scenografia: Marta Caveza
Sonoro: John Gayford,Bruno Moreal,Claudio Pochini
Musica: Claudio Natili
Produzione: Vincenzo Salviani

Regia Lucio Fulci
Soggetto Ludovica Marineo, Vincenzo Salviani, Jesus Balcazar, Lucio Fulci
Sceneggiatura Ludovica Marineo, Vincenzo Salviani, Jesus Balcazar, Lucio Fulci
Produttore Franco Casati, Sergio Martinelli, Vincenzo Salviani
Casa di produzione Selvaggia Film, Balcazar s.a.s.
Fotografia Alessandro Ulloa
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Claudio Natili
Scenografia Marta Caveza
Trucco Joaquin Navarro

Giochi di fuoco
Di Alain Robbe-Grillet , regista francese scomparso recentemente, ho visto solo due film, Spostamenti progressivi del piacere e questo Giochi di fuoco, datato 1974; dico subito che i due film che ho visto sono un’autentica sfida visiva, giocati come sono su incastri degni delle famose scatole cinesi. Grillet si divertiva a montare, rismontare e poi montare ancora i film, trasformandoli a piacimento in corso d’opera, con il risultato di lasciare lo spettatore sconcertato di fronte agli improvvisi capovolgimenti di trama, di situazioni, con finali che mettevano a dura prova lo stesso spettatore.
Agostina Belli
Va da se che a questo punto parlare di una trama lineare diventa impossibile,visto che il film in oggetto, Giochi di fuoco, assomiglia più ad un sogno ( o ad un incubo) , con continui capovolgimenti di logica, temporali e in ultimo anche di location.
Provo a descriverne sommariamente il plot, avvisando comunque che è ampiamente contestabile, a seconda di come uno abbia interpretato le scene.
Una ragazza, Carolina, viene apparentemente rapita mentre è in stazione; la ragazza è figlia di un banchiere, e tutto sembra avere immediatamente una logica. Ma Caroline non è stata rapita e rientra regolarmente a casa. Il padre riceve richieste di riscatto da una misteriosa organizzazione, e decide quindi di nascondere la ragazza in un posto particolare, una specie di pensionato molto lussuoso.
A consigliarlo, in tal senso, è il commissario Laurent; ma il posto si rivela ben presto, agli occhi della ragazza, come un bordello di lusso, dove avvengono strani rituali e dove arrivano ragazze che vengono rapite per essere date in pasto ai frequentatori del posto.
Laurent convince Georges De Saxe, il padre della ragazza, a pagare l’ingente riscatto richiesto dai rapitori della stessa, ma il capo dei rapitori, Franz, con uno stratagemma si impossessa della somma, beffa i poliziotti facendo arrestare un suo complice e fugge.

Anicee Alvina e Philippe Noiret
Nel frattempo Caroline riesce a liberarsi dei suoi carcerieri e scappa, ma viene riacciuffata poco dopo e ricondotta nel suo luogo di prigionia, dove però non arriverà mai; l’auto che la trasporta incrocia Franz in fuga e nasce un conflitto a fuoco tra gli ex compagni di Franz e lo stesso. L’auto sulla quale è Caroline si ribalta e la ragazza muore. Sembra tutto finito, ma ecco ancora un cambio di rotta del film. La ragazza riappare misteriosamente, raggiunge Franz e si invola con lo steso e il bottino.
Una trama che sembrerebbe quasi comprensibile se si esclude il finale; ma garantisco che raccontarla nel modo in cui ho riassunto il tutto richiede uno sforzo notevole di fantasia oltre che un adattamento ad un percorso logico che nel film è assolutamente da interpretare.
Già dall’inizio bisogna districarsi tra il rapimento vero o presunto della ragazza, seguito subito dopo dalla presenza del doppio personaggio interpretato da Jean Louis Trintignant, ovvero il commissario Laurent e il rapitore Franz. Da questo momento in poi si naviga davvero a vista,perchè quello che si vede sembra essere capovolto nei fotogrammi successivi, con l’aggiunta di un ulteriore elemento di confusione, ovvero i dialoghi dei vari protagonisti, che sembrano parlare della trama stessa, delle sue evoluzioni, di fatti a loro accaduti (forse), portando il tutto, e di conseguenza lo spettatore, in una dimensione in cui l’onirico, il reale, sembrano confondersi senza soluzione di continuità. Così le figure dei protagonisti assumono ambivalenze completamente ambigue; Georges De Saxe è il padre della ragazza, ma è anche in contemporanea uno dei soci del famoso pensionato.
Un gioco complesso, che finisce per portare lo spettatore in un labirinto di specchi, in cui l’uscita dallo stesso non è una sola, ma molteplice.
Un cinema fatto di divertimento, quello di Robbe Grillet, di stravolgimento dei canoni del cinema stesso, che diventa surrealista o anche iperrealista; lo spettatore deve capire il ero ruolo dei personaggi, o semplicemente adattarsi ad uno di essi, senza però attendersi una qualche rivelazione o uno sviluppo che indichi qual’è, ammesso che esista, la strada indicata dal regista.
Film complicato e strambo, se vogliamo; per due ore si è chiamati a giocare, a fare gli investigatori, o semplicemente chiamati a districarsi tra le immagini. A confondere di più le idee, ecco una sovra esposizione di corpi nudi, a partire da quello generosamente esposto della compianta Anicee Alvina, protagonista anche di Spostamenti progressivi del piacere, attrice scomparsa improvvisamente nel 2006 a soli 53 anni, bravissima anche nel giocare il ruolo fondamentale di Caroline con una serie di espressioni facciali spiazzanti.Nel cast ci sono anche Philippe Noiret, figura ambigua e inclassificabile (immagino la faccia di un ipotetico spettatore che entri a metà film e che veda il banchiere fare il bagno alla figlia con occhi poco paterni), che tratteggia da par suo il personaggio rendendolo indecifrabile oltre ogni immaginazione.
C’è Jean Louis Trintignant, anch’egli reduce da Spostamenti progressivi del piacere, dopplerganger in due ruoli antitetici, poliziotto/bandito, enigmatico fino alle battute finali; c’è Agostina Belli, in un ruolo sacrificato, quello della cameriera di casa De Saxe, c’è Sylvia Kristel, reduce dal successo di Emmanuelle.
Il tutto è condito da un’infinità di sequenze di nudo, che hanno portato alcuni recensori a catalogalo come film erotico; il che è un errore marchiano, perchè l’erotismo presunto del film non ha nulla di morboso o accattivante.
Sembra infatti figlio di un esperimento scientifico; il sesso è asettico e serve come una cornice serve ad un pittore per arricchire la tela sulla quale ha dipinto.
In ultimo, un consiglio; se vedete Giochi di fuoco, Le jeu avec le feu come recita il titolo originale, fatelo senza aspettarvi il cinema tradizionale.
Guardatelo come guardereste un quadro di Picasso del periodo cubista o come leggereste l’Ulisse di Joyce: senza questi accorgimenti restereste spiazzati in maniera totale da quello che è un cinema che assomiglia ad una serie di sogni notturni, quei sogni che si rincorrono senza una logica, sfalsati su più piani temporali.
Giochi di fuoco, un film di Alain Robbe-Grillet. Con Jean-Louis Trintignant, Sylvia Kristel, Philippe Noiret, Agostina Belli, Anicée Alvina,Serge Marquand, Vernon Dobtcheff
Titolo originale Le jeu avec le feu. Commedia, durata 109 min. – Francia 1974.
Jean-Louis Trintignant … Franz / Francis Laurent
Philippe Noiret … Georges de Saxe / Il suo doppio
Anicée Alvina … Carolina de Saxe
Sylvia Kristel … Diana Van Den Berg
Agostina Belli … Maria, cameriera di de Saxe
Serge Marquand … Mathias
Charles Millot … Rapitore
Vernon Dobtcheff Messaggero
Jacques Seiler … Conducente del taxi / Domestico di d’Erica / Il prete
Michel Berto … Il Vice Commissario
Christine Boisson … Christina la ragazza nel bagagliaio / Desdémone
Marc Mazza … Un messagero
Nathalie Zeiger … Tania, la ragazza con i cani
Joëlle Coeur … La sposa
Jacques Poirson Maître d’hôtel
Gérard Melki … Maître d’hôtel
Mario Santini … Un rapitore
Elisabeth Strauss … La cantante / Léonore
Maurice Vallier … Bonaud, il capo della banda
Jean-Louis Tristan … Un rapitore
Regia: Alain Robbe-Grillet
Scritto da : Alain Robbe-Grillet
Prodotto da: Alain Coiffier per La Société du Film
Editing: Bob Wade
Costumi: Georges Bril, Hilton McConnico
Trucco: Jacky Bouban

Oedipus orca
In La orca, film precedente a questo Oedipus orca, sequel che riprende dall’esatto punto in cui finiva il film precedente, avevamo lasciato la giovane Alice nel cascinale in cui era stata segregata dopo il sequestro compiuto da tre banditi. La ragazza, che aveva ucciso inspiegabilmente il carceriere Michele, che si era innamorata di lui, si era salvata da una denuncia per eccesso di legittima difesa grazie al commissario che aveva fatto irruzione nel casolare, e che si era attribuito la paternità dell’omicidio.

Carmen Scarpitta e Rena Niehaus
Libera, Alice torna a casa, dove la attendono i genitori. E’ ancora scossa dalla brutta avventura, e nonostante l’accoglienza dei suoi, che la tengono lontana dalla stampa, non riesce a recuperare la serenità perduta. Anche con il suo boy friend il rapporto diventa problematico; il principale motivo , di origine psicologica, resta il risentimento verso suo padre, che secondo Alice non ha voluto pagare il riscatto richiesto dai rapitori.
Ben presto la ragazza matura la convinzione che quello che crede suo padre in realtà non lo sia; così inizia ad indagare sul passato della madre, scoprendo che all’epoca in cui era rimasta incinta di lei, la donna aveva avuto una relazione con Lucio, un’artista.
E’ una supposizione, perchè manca una prova certa dell’accaduto. Decide quindi di agganciare l’uomo, che tenta di sedurre, inutilmente.
Ma la ragazza non demorde, e dopo averlo seguito, riesce ad avere una relazione con lui.
La ragazza, paga della cosa, lascia il suo amante a letto; l’uomo, svegliandosi, cerca di inseguirla, ma scendendo le scale viene colpito accidentalmente da un lastrone di vetro, rimanendo ucciso sul colpo.
Se La orca aveva rappresentato un elemento di novità, grazie alla buona analisi fatta da Eriprando Visconti sui complessi rapporti instauratisi tra Alice e il suo carceriere Michele, Oedipus orca manca proprio di questo elemento fondamentale.
Il rapporto tra Alice, quello che crede suo padre e il probabile padre naturale sono appena abbozzati e restano solo nelle intenzioni. Leggermente più approfondito il rapporto tra Alice e la madre, ma sempre superficiale, tanto che il film resta in realtà incompiuto.
La colpa non va attribuita certamente a Rena Niehaus, che si conferma attrice di buone qualità, quanto piuttosto ad una sceneggiatura lacunosa, che privilegia i tempi morti, le inquadrature e gli sguardi piuttosto che i dialoghi chiarificatori.
Così il film che probabilmente voleva Visconti resta una mera illusione, trasformandosi in un tedioso racconto didascalico, in cui Alice si muove senza motivi profondi, quasi casualmente.
Il film non è brutto e condannabile sic et simpliciter, ma di certo manca di profondità.
Attori disciplinati ma nulla più; bene Gabriele Ferzetti, nel ruolo del padre di Alice, bene la Scarpitta in quello della madre della ragazza.
Oedipus orca, un film di Eriprando Visconti. Con Gabriele Ferzetti, Michele Placido, Carmen Scarpitta, Rena Niehaus,Piero Faggioni, Miguel Bosè, Eleonora Morana
Drammatico, durata 100 min. – Italia 1976.
Il belpaese
Guido, stanco del lavoro su una piattaforma per l’estrazione del greggio nel golfo Persico, decide di rientrare in Italia con i soldi che è riuscito a risparmiare.
Ma già nel momento stesso in cui scende dall’aereo che è atterrato a Milano, l’uomo si rende conto che il belpaese non è più assolutamente quello che ha lasciato nel 1970.
Siamo infatti nel 1977, e il primo approccio con il belpaese è tra il tragico e il surreale; una banda di palestinesi stermina tutti i passeggeri del volo, e Guido si salva solo perchè si è chinato per baciare il suolo.
E’ l’inizio di un incubo per Guido, che dovrà fare i conti con delinquenti di ogni risma, terroristi e indiani metropolitani, femministe e volgari banditi.
Paolo Villaggio
Nonostante tutto Guido apre un’orologeria, che ben presto viene assalita da banditi e da giovani estremisti che “espropriano” la merce. Durante una delle tante disavventure, Guido si imbatte in “Mia”, una femminista che in realtà non ha nome, ma che Guido chiamerà Mia perchè durante la manifestazione lei ha scandito il famoso “Io sono Mia”.
Le cose non vanno bene per Guido, che passa di disgrazia in disgrazia, fino a subire un devastante attacco al negozio; Mia, della quale è innamorato, decide di avere un figlio con lui, ma poi lo abbandona.
Silvia Dionisio
Dopo l’ennesimo colpo subito, Guido su consiglio dei parenti, decide di tornare nel golfo Persico.
Ma durante il tragitto verso l’aeroporto, in lui scatta qualcosa: torna sui suoi passi, e decide di non arrendersi, coinvolgendo i vicini del negozio e altra gente, che sembra in attesa solo di qualcuno che faccia il primo passo.
Poi l’happy end, con Mia che lo bacia.
Luciano Salce, a due anni dalla presentazione del campione d’incassi Fantozzi gioca la carta della satira estrema, usando come suo solito le gag già proposte nel mitico Fantozzi e ripresentando anche parte del cast, come la Mazzamauro e Gigi Reder.
Ma il risultato è quantomai deludente; a parte le gag a getto continuo, che vedono il solito Paolo Villaggio interpretare da par suo l’imbranato anche se fondamentalmente onesto Guido, non si va oltre qualche risata, peraltro nemmeno amara vista l’estrema goliardia delle situazioni proposte.
Tutto è esagerato nel film; più che l’Italia degli anni di piombo, sembra di vedere un regime del SudAmerica in preda alla più totale anarchia.
Il risultato è un film debole sin dalle prime battute, che mostra abbondantemente limiti di sceneggiatura a tutto vantaggio di situazioni farsesche o estreme.
Tutto, nel film, è volutamente esagerato, come del resto accade nei film con protagonista Villaggio/Fantozzi, ovvero il personaggio sfigato sul quale si abbattono situazioni paradossali ad ogni secondo; e questo alla fine diventa un grande limite del flm stesso, perchè la satira viene accantonata e si assiste ad una serie di situazioni volutamente oltre il limite, con il risulato destabilizzante di privilegiare la farsa in luogo della denuncia.
Qualche sprazzo felice c’è, comunque: belli i dialoghi tra il maturo Guido e Mia, in cui fa capolino l’affetto e l’amore da una parte, dall’altra la contestazione al sistema e la voglia di riappropriarsi di un’identità femminile che non sia solo uno stereotipo o un luogo comune.
Ma è davvero troppo poco.
Non giova nemmeno la presenza di personaggi surreali e stravaganti, come Carletto, interpretato da un giovane Massimo Boldi, commesso dell’orologeria occupato a spararsi canne mostruose o a bucarsi con eroina, così come appaiono deboli i personaggi di Alfredo/Gigi Reder e l’imprenditrice Gruber, una mal sfruttata Anna Mazzamauro.
L’unico personaggio ben delineato, con una psicologia ben definita resta Mia, interpretata dalla bellissima Silvia Dionisio; Villaggio è bravo, ma troppo simile a Fantozzi, anche se la sua figura è meno macchiettistica e più dolente.
Qualche nota sulla location: a farla da padrone è Milano, con scene girate in strade riconoscibilissime per i milanesi doc come via XX settembre, la Darsena; ma c’è anche buona parte del film ambientata a Roma, con la famosa Villa Giovanelli, abitata dalla Gruber/Mazzamauro e l’Eur, con le sue grandi strade.
Il belpaese, un film di Luciano Salce, con Paolo Villaggio, Silvia Dionisio, Gigi Reder, Anna Mazzamauro, Ugo Bologna, Massimo Boldi, Pino Caruso Italia 1977 Commedia
Paolo Villaggio … Guido Belardinelli
Silvia Dionisio … Mia
Anna Mazzamauro … Signora Gruber
Pino Caruso … Ovidio Camorrà
Gigi Reder … Alfredo
Massimo Boldi … Carletto
Giuliana Calandra … Elena
Raffaele Curi … Spadozza
Ugo Bologna … Direttore della banca
Leo Gavero … Il venditore di orologi
Carla Mancini … Lisetta
Saviana Scalfi … La moglie del venditore di orologi
Bruno Alias … Ospite all’apertura del negozio (uncredited)
Ennio Antonelli … Scagnozzo di Spadozza (uncredited)
Fortunato Arena … Restauratore (uncredited)
Renato Bassobondini … Uomo in sciopero della fame (uncredited)
Nestore Cavaricci … Poliziotto (uncredited)
Tom Felleghy … Andrea – l’uomo che viene rapito mentre dà indicazioni (uncredited)
Lina Franchi … Ospite all’apertura del negozio (uncredited)
Enrico Marciani … Signore che inveisce contro le femministe (uncredited)
Giuseppe Marrocco … Uomo in fila in banca (uncredited)
Ettore Martini … Uomo in banca (uncredited)
Simone Santo … Parcheggiatore (uncredited)
Antonio Spinnato … Mario (uncredited)
Maria Tedeschi … Donna al funerale (uncredited)
Pietro Zardini … Impiegato della banca (uncredited)
Regia: Luciano Salce
Soggetto: Castellano e Pipolo
Sceneggiatura: Castellano e Pipolo, Luciano Salce, Paolo Villaggio
Produttore: Fulvio Lucisano
Scritto da : Franco Castellano, Giuseppe Moccia, Luciano Salce, Paolo Villaggio
Musiche: Gianni Boncompagni, Piergiorgio Farina , Paolo Ormi
Fotografia :Ennio Guarnieri
Montaggio: Antonio Siciliano
Trucco: Ennio Cascioli, Gianfranco Mecacci,Mario Michisanti
Direttore di produzione: Raimondo Castelli, general organization
Eros Lanfranconi …. direttore di produzione
Lamberto Palmieri …. direttore di produzione
Egidio Valentini …. direttore di produzione

Curiosa pellicola, che affianca trovate “basse” (il quiz d’ingresso, alla Mike Bongiorno) a una denuncia condotta in modo che può apparire qualunquista, ma che fotografa una certa Italia sul finire degli Anni Settanta. Il meccanismo iperbolico, purtroppo, viene presto a noia, per cui il motivo di culto resta, per me, la clamorosa e vistosa presenza di Carla Mancini nel ruolo di Lisetta.
Troppa carne al fuoco (terrorismo, varia criminalità, movimenti studenteschi, femministe, droga, figli dei fiori…). E quando, al fuoco filmico, la carne è troppa, si rischia di rovinarla. Qui Villaggio, una sorta di Fracchiozzi (Fracchia-Fantozzi), si barcamena tra un’esagerazione e l’altra, facendo quel che può, negli evidenti limiti del suo personaggio. Inoltre, la pellicola è penalizzata da un’eccessiva lunghezza, che finisce per appesantirla. Boldi così così. Pur non sollevandosi quasi mai da una generale mediocrità, si può anche vedere, ma perderlo non costituisce reato.
Eccessivo ed estenuante. La sfiga all’ennesima potenza concentrata nel repertorio fantozziano più deprimente, abusato e tedioso (la bomba nel vestito, la masticazione di nascosto, etc.). Una delle peggiori prove di Salce-Villaggio. Finale con pretese sociologiche, invitante all’amicizia e all’ottimismo. La Mazzamauro replica il ruolo della Silvani; la Mancini appare in uno dei suoi ruoli più consistenti.
Pessimo film di Salce, che scade fin da subito in un tremendo qualunquismo e non strappa mai una risata che sia una. Passi per il soggetto, anche se mi è sembrato più un film da Pingitore che non da Salce, ma la sceneggiatura è più un collage di episodi accumulati che altro, con personaggi che entrano ed escono in modo piuttosto casuale (Pino Caruso, ad esempio). Un film invecchiato decisamente male, purtroppo.
Tipico prodotto del cinema di quegli anni, il film (è del mitico ’77 nientemeno) propone un confronto facilone tra le pigre tradizioni degli Anni Sessanta idealizzate da uno spaesato Villaggio, che rientra in Italia dopo anni passati all’estero e la situazione di bailamme paraterroristico, con le violenze di piazza e il crimine diffuso. Se c’erano ambizioni di satira sociale, sono andate a vuoto. Ovviamente non c’è analisi, ma allora sarebbe stato meglio buttarla in farsa. Parlare di ambiguità morale vorrebbe dire sopravvalutare il film. Sbagliato.
Emanuelle e Francoise, le sorelline
Una giovane e bella modella Francoise, tornando a casa da un breve giro in bicicletta, trova il suo boy friend Carlo a letto con un’altra donna; Carlo è un poco di buono, che utilizza la ragazza come un oggetto, obbligandola anche a prostituirsi. La ragazza, umiliata dall’ennesimo tradimento, si getta sotto un treno, lasciando ad una lettera inviata ai genitori il compito di raccontare la sua storia con Carlo. A leggere la lettera è anche Emanuelle, una giornalista con l’hobby della pittura, che decide di vendicarsi dell’uomo seducendolo. Così fa, e dopo averlo agganciato in un ippodromo, lo convince a seguirlo a casa, dove Carlo viene drogato.
Al risveglio l’uomo si ritrova rinchiuso in un angusto stanzino, legato mani e piedi con delle catene; lo stanzino, completamente insonorizzato, ha uno specchio attraverso il quale è possibile vedere all’esterno dello stesso. Da quel momento l’uomo è costretto a vivere come in un incubo le gesta di Emanuelle; la donna inizia a provocarlo spogliandosi davanti allo specchio, poi inizia a portare a casa occasionali amanti.
Il primo è un meccanico, che la donna seduce nella sua officina, seguito poi da una coppia di donne, una delle quali ex amante di Carlo, con le quali la donna intreccia una relazione saffica.
Poi, drogato, assiste ad un banchetto con delle persone, in cui crede di vedere, sotto l’effetto di una potente droga, i commensali cibarsi di carne umana, inclusi piedi, mani e interiora. Subito dopo, sempre preda della droga, a carlo arriva la visione di un’orgia, poi di uno stupro perpetrato con una bottiglia, infine Carlo immagina di uccidere Emanuelle con un’accetta da macellaio.
Emanuelle a questo punto rivela a Carlo di essere la sorella di Francoise, e si appresta ad evirarlo con un bisturi.
Ma l’uomo riesce a liberarsi, e inseguita la donna per le scale, la uccide come nel sogno, con un’accetta/coltellaccio; ma sul luogo del delitto arriva la polizia,e Carlo è costretto a rinchiudersi nello sgabuzzino.
Un fotografo della scientifica mette in moto il meccanismo di chiusura, e Carlo resta prigioniero nello stanzino, urlando disperato.
Dopo un inizio tranquillo e uno svolgimento senza grossi sussulti, Emanuelle e Francoise si accende nell’ultima parte della pellicola, momento nel quale si consumano le emozioni del film, con la selvaggia scena del banchetto cannibale e con la sequenza efferata dello stupro.
Nulla di particolarmente cruento, ma la diligente regia di Aristide Massaccesi, alias Joe D’Amato, riesce a rendere coinvolgente le scene. Il film vive sui flash back del racconto di Francoise, fatto attraverso la sua ultima lettera, delle umiliazioni subite dal suo uomo, che ama comunque. C’è spazio anche per i flash back riguardanti i ricordi di Emanuelle della sorella Francoise, che affiorano nel finale del film, e che rafforzano la volontà omicida della donna.
Il film si mantiene su un buon livello di tensione, anche se D’Amato preferisce virare sull’eros;
nulla di trascendentale, sopratutto alla luce dei film successivi del regista, che subito dopo questo dignitoso prodotto, targato 1975, girerà i film della serie Emanuelle con Laura Gemser prima di dedicarsi alla svolta porno di fine anni 70, culminata nei quattro film girati nei Caraibi, prima di tornare ancora all’horror/thriller con Buio Omega, piccolo gioiellino in perfetto stile splatter.
In Emanuelle e Francoise le sorelline il sesso è un’arma, prima ancora che uno strumento ammiccante al pubblico voyeur; è per questo che le scene di nudo inserite non sono mai seguite, se non in un paio di casi, da amplessi in primo piano. Fanno eccezione le due scene con il meccanico e la sequenza saffica. Nulla di particolare, sopratutto alla luce di quello che sarà il cinema di Massaccesi con e dopo Emanuelle Nera.
Un buon prodotto, non privo di eleganza, sicuramente ben congegnato, tenendo anche conto del cast, che include personaggi di secondo piano, come George Eastman che interpreta Carlo, Patrizia Gori che interpreta Francoise e Rose Marie Lindt, la terribile Emanuelle.

I tempi sono buoni, le immagini ben dirette, discrete le atmosfere create dalle musiche di Joe Dynamo.
Emanuelle e Francoise le sorelline, un film di Joe D’Amato (Aristide Massaccesi), con Rose Marie Lindt, George Eastman, Patrizia Gori,Annie Carol Edel,Maria Rosaria Riuzzi,Massimo Vanni Thriller Italia 1975
George Eastman Carlo
Rosemarie Lindt … Emanuelle
Annie Carol Edel Mira
Patrizia Gori … Françoise
Regia: Joe D’Amato, Bruno Mattei (non accreditato)
Sceneggiatura: Aristide Massaccesi, Bruno Mattei
Produttore: Francesco Gaudenzi
Fotografia: Aristide Massaccesi
Musiche: Joe Dynamo
Un ricordo di Luigi Montefiori
“Ci fu questo Françoise (le sorelline) che si girava nella villa del produttore che stava a cinque minuti da casa mia, se no non lo avrei mai fatto.
Siccome era molto vicino quando mi offrì questo ruolo dissi: “Va bene, lo faccio”.
Però gli dovetti (a Massaccesi, n.d.r.) anche riscrivere parte della sceneggiatura, che non ho mai firmato, perché prima era corto e non funzionava.
Mi inventai quella cosa, che poi in realtà copiai da un altro film*, della stanza di vetro, dove lui viene legato, torturato…”
Clio Goldsmith
Clio Goldsmith, attrice francese, parigina purosangue, esordisce con il botto nel 1980; Alberto Lattuada, regista sempre attento, perennemente alla ricerca di nuovi talenti e di nuovi volti, la scrittura per il suo film La cicala, nel quale Clio, esordiente, è chiamata a interpretare il personaggio omonimo, Cicala, una ragazza libera dal temperamento forte e volitivo che si troverà coinvolta, suo malgrado, in un drammone a forti tinte.
Clio Goldsmith in due scene tratte da Miele di donna
Siamo nel 1980, come già detto è Clio ha 23 anni, essendo nata a Parigi nel 1957; il cognome denota le sue origini tedesche, infatti la sua famiglia proviene dalla Germania; prima di trasferirsi definitivamente in Francia, i suoi hanno abitato per un certo tempo in Inghilterra;la sua famiglia discende da Benedict Hayum Salomon Goldschmidt, banchiere che nel 700 forniva il Granduca di Toscana.

Con Patrick Dewaere in Plein sud
La cicala è per lei un film importante; ha un volto fresco e giovane, buone doti espressive, e grazie al discreto successo che il film ottiene, pure in un periodo di grossa crisi cinematografica, si fa notare in un mondo estremamente competitivo come quello del cinema. Infatti il regista Gianfranco Angelucci la vuole con se in Miele di donna, nel quale le viene affidata la parte di Anny, una ragazza creata dalla fantasia di una scrittrice e protagonista di un romanzo dall’esito imprevedibile.
Le grand pardon
Per quanto il film sia un esperimento mal riuscito, goffo e tendenzialmente noioso, Clio non sfigura affatto, grazie a quella sua aria spaesata che rende alla perfezione il personaggio di Anny, che passerà attraverso strane esperienze in una pensione abitata da ancor più strani individui.
E’ il suo momento migliore: con soli due film , si è costruita una buona fama, tant’è vero che viene immediatamente chiamata sul set di La storia vera della signora delle camelie; a volerla è un altro regista italiano di fama, Mauro Bolognini, che riduce per lo schermo il successo letterario di Alexandre Dumas.

Ancora dal film Miele di donna……
Nel film Clio lavora accanto a Isabelle Huppert, la Alphonsine Plessis protagonista del romanzo, a Gian Maria Volonté e Bruno Ganz, oltre al solito Fernando Rey, con il quale ha recitato in Miele di donna.
Il suo ruolo, quello di Clemence, non è tra quelli principali, visto che la vera protagonista rimane la Huppert, eroina in negativo del romanzo e del film.
Il film successivo, sempre del 1981 è Plein sud, di Luc Béraud, girato al fianco di Patrick Dewaere e Jeanne Moreau; il film, un noir, la vede protagonista nei panni di Caroline, una donna misteriosa che sconvolge la vita di un professore universitario. Un film importante, questo, che le permette un’altra scrittura in Italia, nel film di Marco Tullio Giordana La caduta degli angeli ribelli.

Con Virna Lisi nel film La cicala
Lei ha la parte principale, quella di Cecilia, una donna normale con una vita assolutamente normale, che cambia irreparabilmente il giorno in cui apprende che suo padre è in fin di vita. Sconvolta, la donna si concede ad un automobilista di passaggio, con il quale vivrà una storia appassionata che finirà male. Il film non riscuote successo, per colpa di una sceneggiatura approssimativa. E’ quindi una battuta d’arresto in una carriera, fino a quel momento, ricca di soddisfazioni.
Si arriva quindi al 1982, quando la venticinquenne Clio decide di sposare Carlo Alessandro Puri Negri, un importante dirigente d’azienda, nipote del fondatore delle industrie Pirelli.
Il ruolo di moglie e successivamente di madre evidentemente la appaga, anche se continua il suo lavoro cinematografico con La donna giusta, di Paul Williams, uno strano film in cui è una delle donne della vita di un cronista donnaiolo che all’improvviso decide di convertirsi ad uno stile di vita più morigerato.
Il film non riscuote un gran successo, ma Clio lavora ancora, questa volta in Le grand pardon, di Alexandre Arcady, e nel ben più importante Le cadeau, uscito in Italia con il titolo tradotto letteralmente Il regalo, che il regista Michel Lang trae dal libro di Terzoli Anche i bancari hanno un’anima.
Nel film è Barbara, una giovane prostituta che alcuni amici “regalano” per una sera ad un bancario in procinto di andare in pensione.
Per due anni Clio resta in attesa di una scrittura che la convinca; nel frattempo è diventata mamma, per cui torna sullo schermo solo nel 1984, nel film L’etincelle, nuovamente diretta da Lang. Nel film è Dale, una giovane sposa in attesa che è contesa da un padre e suo figlio.
Il film è il suo ultimo lavoro cinematografico, perchè comparirà, dopo di allora, solo in un film per la tv, diretto da Dino Risi, …e la vita continua.
Nel 1985 divorzia, dopo solo tre anni di matrimonio, da Carlo Alessandro Puri Negri; la delusione per la fine del matrimonio e uno strano episodio riguardante un’ammiratore che la molestava, la spingono a lasciare le scene.
Di lei si parlerà nel 1991 per il suo nuovo matrimonio con Mark Shand, fratello della compagna di Carlo d’Inghilterra, Camilla Parker-Bowles.
Nel film La donna giusta
Il regalo
Plein sud
Oggi, Clio Goldsmith vive in Italia con suo marito; non è più rientrata su un set televisivo, svolge solo attività benefiche.
Aldilà delle sue scelte professionali e umane, che l’hanno portata a interrompere una carriera cinematografica che si prospettava brillante, Clio è rimasta nella memoria degli spettatori come un’attrice di buon livello, affascinante e sexy, con quella sua aria da maliziosa donna in bilico tra ingenuità e malizia.
…e la vita continua (1984) (TV)
L’étincelle (1984)
Il regalo- Le cadeau (1982)
Le grand pardon (1982)
La donna giusta (1982)
La caduta degli angeli ribelli (1981)
Plein sud (1981)
La storia vera della signora dalle camelie (1981)
Miele di donna (1981)
La cicala (1980)
























































































































































