Orgasmo
Catherine è una ricca e piacente vedova, che giunge a Roma per distrarsi; la cura del suo ingente patrimonio è affidata ad un procuratore amico, Bryan.
La donna si gode il suo relax nella magnifica villa che la ospita, fino a quando un giorno, a guastare il tutto arriva un giovane affascinante, Peter.
L’uomo inizia a corteggiare la donna, che ben presto cede al fascino del giovane; i due quindi vivono assieme qualche giorno di intensa passione, fino a quando arriva nella villa l’enigmatica Eva, a suo dire sorellastra di Peter.
Le cose ovviamente non stanno così: difatti tra i due giovani, Peter e Eva, c’è una evidente relazione, che crea seri problemi di gelosia in Catherine, palesemente in difficoltà davanti al fascino della ragazza.
Tra i tre ben presto nasce un innaturale triangolo amoroso, nel quale è evidente l’interesse dei due giovani verso il patrimonio della ereditiera, che è costretta a subire anche umiliazioni da parte della coppia, che si comporta da padrona di casa, costringendo Catherine a liberarsi della sua severa governante Teresa, per poi spingere la donna verso il consumo e abuso di alcool.
Peter e Eva decidono così di eliminare Catherine, simulando una disgrazia; a venire loro incontro è anche la tendenza di Catherine all’autodistruzione, quasi la donna sentisse dei sensi di colpa per la morte dell’anziano marito, che la donna stessa tende a coprire abusando di alcool.
I due diabolici amanti decidono così di portare Catherine sull’orlo di un esaurimento nervoso, dopo aver brigato affinchè lo stesso Peter venisse nominato erede universale dei beni di Catherine.
Il caso vuole che Catherine, semi drogata e in preda ai fumi dell’alcool, salga sul tetto della casa, dove si materializza all’improvviso la figura dell’amico procuratore Bryan, che la solleva e la getta di sotto.
I tre quindi hanno agito di comune accordo, e difatti diventano beneficiari delle fortune di Catherine, ma al solito il diavolo fa le pentole e non i coperchi.
Infatti Peter ed Eva trovano la morte in un incidente d’auto e Bryan scopre che i parenti di Catherine, che hanno sempre sospettato di lei e sono riusciti ad avere le prove che la stessa ha ucciso il suo maturo marito, hanno ottenuto la gestione dei beni della defunta, che spettano loro di diritto.
Come se non bastasse, la polizia decide di aprire un’inchiesta sulle vere cause del presunto suicidi di Catherine…….
Penalizzato da un titolo morboso e ambiguo, Orgasmo, che in origine doveva chiamarsi Paranoia, e che venne invece distribuito in Italia con il titolo palesemente ammiccante di Orgasmo, è un thriller del 1969 diretto da Umberto Lenzi, che segna l’inizio della fruttuosa collaborazione tra il regista di Massa Marittima e la bionda attrice americana Carrol Baker, famosa in America per l’accostamento a Marilyn Monroe e sopratutto per il film di Elia Kazan Baby Doll – La bambola viva.
Siamo di fronte ad un film di buona fattura, che centra tutta la sceneggiatura sul complesso rapporto esistente tra Eva, Peter e Catherine, personaggi ambigui le cui personalità sono appena accennate, lasciando allo spettatore la scelta sul come interpretare le loro azioni, che spesso sono motivate da motivi abietti, come l’interesse ecc.
Anche se sceneggiato in maniera incerta, il film ha una notevole tensione, pur presentando passaggi molto lenti, che a tratti spezzano la tensione del film; il mestiere di Lenzi tuttavia è indubbio, e lo si nota sopratutto nella capacità del regista di rendere impenetrabili i tre protagonisti, le cui gesta e le cui motivazioni appaiono sempre pervase da un’ambiguità di fondo, vera forza del film.
Lenzi considerava questo come uno dei suoi film migliori, ma per il solito caso fortuito, il film ebbe molto più successo all’estero, dove venne distribuito con il titolo Paranoia, cosa che poi generò parecchia confusione allor quando il regista diresse l’opera italiana Paranoia, utilizzando sempre la Baker come sua musa.
Con Paranoia e Così dolce… così perversa, Orgasmo fa parte della trilogia thriller di Lenzi, probabilmente il migliore dei tre film, anche se va detto che i successivi ebbero maggior successo in Italia; un film pre Argento, che diventerà con L’uccello dalle piume di cristallo il regista italiano di thriller più celebrato.
Orgasmo resta opera godibile, mantenendo alto lo standard di riferimento delle pellicole di genere, appoggiato al commento sonoro di Piero Umilani, ben interpretato dagli attori protagonisti, ovvero Catherine-Carrol Baker, che da anche un tocco di erotismo molto soft al film ( le scene di nudo più importanti furono montate solo nella versione internazionale), come Lou Castel che interpreta molto bene l’ambiguo Peter Donovan, che si destreggia tra due donne molto diverse ma a loro modo molto seducenti, da Colette Descombes, una sensuale e diabolica Eva, che però non ebbe una carriera luminosa, e dai due co-protagonisti Tino Carraro, che interpreta il finto amico di Catherine, Bryan e infine Lilla Brignone, l’arcigna governante Teresa.
Qualche cenno sull’abitudine, tutta italiana, di proporre titoli ambigui e ammiccanti per suscitar interesse negli spettatori.
Orgasmo, nello specifico del film, è inteso come frenesia, non di certo nell’eccezione sessuale della parola; difatti le scene sexy, almeno per quanto riguarda la versione italiana, non va oltre qualche nudità della Baker e qualche scena molto casta sul rapporto saffico tra Eva e Catherine; tuttavia il titolo può ingenerare equivoci, come più volte accaduto in seguito, cosa alla quale lo stesso Lenzi si rifece, girando sempre con la Baker Così dolce così perversa, altro titolo ammiccante con quel “perversa” che stimola più i sensi che la curiosità.
Anche in quel caso si trattò di un thriller, molto lontano dal filone erotico che poi imperversò per tutti gli anni settanta.
Piccoli trucchetti per attirare pubblico, considerando anche l’epoca in cui vennero proposti al pubblico, un periodo storico in cui la censura la faceva da padrone.
Furono tanti, infatti, i film sottoposti a sequestro, spesso con la benedizione dei produttori, che vedevano in questo un formidabile veicolo pubblicitario.
Il film è disponibile in versione completa su Youtube in una versione accettabile all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=u89kGjN5Idc
Orgasmo, un film di Umberto Lenzi. Con Colette Descombes, Tino Carraro, Carroll Baker, Tina Lattanzi, Lou Castel, Franco Pesce, Lilla Brignone, Calisto Calisti, Gaetano Imbrò, Jacques Stany
Giallo, durata 91 min. – Italia 1969.
Carroll Baker … Catherine West
Lou Castel … Peter Donovan
Colette Descombes … Eva
Tino Carraro … Bryan Sanders
Lilla Brignone … Teresa
Franco Pesce … Martino
Tina Lattanzi … Zia di Catherine
Jacques Stany … Ispettore
Regia: Umberto Lenzi
Sceneggiatura: Umberto Lenzi, Ugo Moretti, Marie Claire Solleville
Produzione: Salvatore Alabiso
Musiche: Piero Umiliani
Art Direction :Giorgio Bertolini

Morboso (per l’epoca) e lentuccio. Lo trovo inferiore a Paranoia (il migliore) e a Il coltello di ghiaccio. Certo: la Baker è bella e intensa, Castel è bravo, il colpo di scena finale è notevolissimo (ma forse il film doveva chiudersi lì), però ci si arriva stavolta con lentezze e ripetitività che, specialmente a causa dell’abitudine ai più convulsi ritmi odierni, lo rendono meno gustoso delle pellicole prima citate. Fra le cose gradevoli i riferimenti a situazioni pressoché identiche presenti nel leggendario Che fine ha Fatto Baby Jane?
Primo esemplare (diretto da Lenzi, che già la Baker presenzia – lo stesso anno – nel film di Romoli, sceneggiato dal grande Gastaldi: Il Dolce Corpo di Deborah) di un trittico morboso (per l’epoca del girato) per l’insistenza di nudi associati a questioni ereditarie (qua fratello e sorella tentano di indurre una ricca vedova al suicidio per impossessarsi dei suoi beni). Leggermente farraginoso, per via d’una lentezza indotta dal tema narrativo e per dialoghi eccessivamente dilungati, resta esemplare di rilievo nel contesto pre-Dario Argento.
Archetipo e vertice del giallo complottista lenziano, garantisce una tensione senza cedimenti, grazie alla morbosa crudeltà che si insinua nei soffocanti rapporti tra la vittima e i due amanti-aguzzini. La Baker, vedova ricca e fragile e la coppia di giovinastri-seduttori Castel e Descombes costituiscono un bel trio di protagonisti, appoggiati dal sempre ottimo Carraro e dalla scontrosa Brignone. La regia adotta uno stile eclettico e dinamico, con montaggi caleidoscopici e addirittura una parentesi che si richiama al gotico.
Fa parte di una sorta di trilogia (insieme a Paranoia e a Così dolce… così perversa) ed è il migliore dei sexy-thriller lenziani. Pur non essendo particolarmente originale (gli spettatori più smaliziati non dovrebbero metterci molto a capire il “gioco”) il meccanismo funziona ed intrattiene piacevolmente, fino ad arrivare al bel colpo di scena finale. Si è mantenuto molto bene nel tempo. Musiche, tartassanti, di Umiliani. Bravi i protagonisti. Una piccola chicca da recuperare.
Bel thriller erotico di Lenzi, piacevole ed intrigante per tutta la durata. La sceneggiatura è ben struttutata e scorre senza intoppi fino ad un colpo di scena svelato magistralmente, a cui segue un’inutile postilla. Buona la regia e bravi gli attori. Bella colonna sonora di Piero Umiliani. Alcune idee (come la cena servita alla protagonista: là c’era un topo, qui un ranocchio) sono riprese da Che fine ha fatto baby Jane?. La versione americana contiene scene più spinte, ma è tagliata di gran parte del finale.
Lenzi si dedica ad un’opera alquanto insolita. Una donna ereditata una profonda ricchezza dal defunto marito, fa la conoscenza di due baldi giovani che la tenteranno e la usano per i loro giochi. Tutto per un semplice interesse… Il cast è buono e ricorda lontanamente alcuni film di oggi. Salvabile e da vedere.
Nero veneziano
Mark, un ragazzo di quattordici anni, cieco e sua sorella Christine rimangono orfani dei genitori, e vanno a vivere con gli zii che gestiscono una pensione nell’isola della Giudecca a Venezia.
Mark è un ragazzo molto sensibile, dotato di particolari poteri; spesso ha delle visioni in cui anticipa il futuro, nelle quali vede chiaramente un uomo che lui è convinto essere il demonio.
All’interno della pensione infatti alcuni sinistri presagi di Mark si avverano; muore impiccato lo zio, poi è la volta della zia, poi ancora di un amico di Mark.
Il ragazzo ha una sola persona che in qualche modo crede in lui; è Giorgio, il fidanzato di sua sorella, l’unico che gli mostra amicizia e che sembra prestar fede ai racconti del ragazzo.
Sua sorella intanto inizia a diventare sempre più strana, ma si avvia comunque all’altare con il suo fidanzato.
La morte improvvisa di Giorgio lascia Mark completamente solo, mentre Christine, che ha ereditato la pensione inizia a circondarsi di strani personaggi, fra i quali spicca un pensionante fascinoso, Dan, che altri non è che l’uomo visto nelle visioni da Mark.
Ely Galleani, una delle adepte di Christine
Nella pensione arrivano anche alcune ragazze equivoche, che sembrano girare attorno a Christine con gran devozione; la ragazza intanto ha scoperto di essere incinta, pur non avendo avuto rapporti con nessuno se non in una sorta di dormiveglia, in cui appare al suo fianco il sinistro Dan.
Mark trova consolazione e credito presso padre Stefani, l’unico che sembra avvertire l’aria sinistra che gira attorno a Christine; ma anche il religioso morirà, subito dopo aver tentato di battezzare il figlio di Christine, Alex.
In un drammatico finale, Mark ha il sopravvento sul neonato, e mentre è nel cimitero dove è sepolto il cognato Giorgio, vede proprio l’amico scomparso che gli racconta e conferma la natura diabolica di Alex.
Le ultime immagini che Mark vede, dopo che ha riacquistato miracolosamente la vista bagnandosi gli occhi con l’acqua del pozzo che è nella pensione, è quella di Alex tra le braccia di Christine.
Il demonio non può morire……
Ultimo film diretto da Ugo Liberatore nel 1978, Nero veneziano è un anomalo horror con venature thriller, massacrato all’epoca della sua uscita sia dalla critica che da buona parte del pubblico.
In realtà il film non è affatto malvagio, pur essendo evidenti i tributi ai caposaldo del genere, con più di un occhio strizzato al celebre film di Roeg “A Venezia un dicembre rosso shocking”; il tributo è assolutamente chiaro, sopratutto nella scelta di ambientare il film a Venezia, nella particolare esposizione fotografica usata e nell’aria di sovra naturale che pervade la pellicola.
Un film troppo sottovalutato, che ha delle pecche solo in fase di sceneggiatura: il soggetto di Ottavio Alessi è spesso confuso, lasciando troppa libertà di immaginazione allo spettatore.
Va aggiunta anche la scellerata decisione di Liberatore di affidare il ruolo del demonio all’insulso Yorho Voyagis, che sembra un bamboccione in vacanza premio nella sua città preferita.
Il volto dell’attore rimane quasi sempre impenetrabile, con un sorrisino che vorrebbe sembrare enigmatico e invece assomiglia ad uno spocchioso sorriso di sufficienza.
Però il film ha una sua dignità, sopratutto grazie all’ambientazione, con una Venezia misteriosa e cupa, come raccontata nel titolo; il nero veneziano è rappresentato dalla vicenda, dai luoghi misteriosi come il cimitero della Giudecca, dalla pensione in cui si svolgono i fatti.
Un film a tratti blasfemo, come nella sequenza in cui le prostitute che circondano Christine inscenano una parodia dell’Ultima cena che è una delle cose da dimenticare del film.
Se Renato Cestiè se la cava egregiamente, anzi, bene nel ruolo di Mark, il giovane veggente cieco, molto algida e fredda appare Rena Niehaus nel ruolo dell’ambigua Christine, che sin dall’inizio appare visceralmente antipatica allo spettatore, mentre bravo è Fabio Gamma ad interpretare Giorgio, lo sfortunato fidanzato/marito della diabolica Christine.
Tra le co-protagoniste vanno citate tre attrici comprimarie come Ely Galleani, l’ex diva dei fotoromanzi Angela Covello e Lorraine De Selle, tutte interpreti di ruoli di prostitute, le stesse che diverranno la corte dei miracoli di Christine.
La migliore interpretazione di questi ruoli secondari è quella di Olga Karlatos, che interpreta Madeleine Winters.
Come già detto, la segnalazione più importante va alla fotografia e alla direzione artistica di Canevari, Ugo Liberatore dirige bene il film, che risulta alla fine il migliore dei sette girati fino al 1978, di gran lunga superiore ai mediocri Incontro d’amore e Noa Noa.
Angela Covello
Nero veneziano, un film di Ugo Liberatore. Con Renato Cestié, José Quaglio, Rena Niehaus, Yorgo Voyagis, Fabio Gamma, Olga Karlatos, Ely Galleani, Angela Covello,Lorraine De Selle
Horror, durata 93 min. – Italia 1978
Renato Cestiè … Mark
Rena Niehaus … Christine
Yorgo Voyagis … Dan
Fabio Gamma … Giorgio
José Quaglio … Padre Stefani
Ely Galleani … Christine
Angela Covello … Christine’s Friend
Lorraine De Selle … Christine’s Friend
Florence Barnes … Christine’s Friend
Olga Karlatos … Madeleine Winters / Vicky’s Mother / The Midwife on the ferry
Bettine Milne … Grandmother
Tom Felleghy … Martin Winters
Murder obsession-Follia omicida
Mike con la sua donna, Debora, si reca a casa della madre, che abita in una villa.
L’uomo è un attore e dopo qualche giorno viene raggiunto da alcuni suoi colleghi, l’aiuto regista, un suo amico e l’attrice Beverly.
Ben resto la casa della madre di Mike diventa teatro di un’orgia di sangue; ad uno ad uno tutti i presenti nella villa muoiono assassinati.
L’autore dei crimini sembra essere Mike, che da piccolo, secondo la versione di sua madre, ha ucciso il padre per difenderla.
Ma è così?
Ultimo film di Riccardo Freda, girato nel 1980, Murder obsession-Follia omicida è un thriller fuori tempo massimo.
Il genere era ormai completamente abbandonato da tutti, anche per la concomitante crisi del cinema.
E Murder obsession, per stessa ammissione di Freda “Era una merda, girato senza soldi e con attori scarsi“; aldilà della pittoresca valutazione del regista, autore in passato di altri thriller, come Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea, L’iguana dalla lingua di fuoco e di A doppia faccia, e con alle spalle una più che dignitosa carriera iniziata nel lontano 1942 con Don Cesare di Bazan, il film non presenta meriti particolari per svariati motivi.
Il primo dei quali, fondamentale, è legato alla sceneggiatura di basso livello imbastita da Antonio Cesare Corti, riportata sullo schermo con fiacchezza dal regista, che pure aveva un notevole cast a disposizione.
Ma proprio la trama scadente, la mancanza di effetti speciali di livello perlomeno decenti portano il film a franare clamorosamente sin dall’inizio.
In bilico tra thriller gotico, film psicanalitico e horror con connotazioni soprannaturali, Murder obsession scivola più volte anche per la scarsa volontà degli attori, quasi increduli di dover recitare in una pellicola così mal composta.
Pure i presupposti per una buona riuscita c’erano tutti; il cast infatti presentava attrici dall’ottimo passato, come Silvia Dionisio, Laura Gemser, Anita Strindberg e Martine Brochard.
Il problema alla fine si rivela proprio questo; poco supportate dalla trama, le pur volenterose attrici mostrano tutti i limiti derivanti dalle situazioni particolari di ognuna di loro.
La Strindberg, palesemente invecchiata, con i tratti del volto scavati e marcati, non riesce a trasmettere nulla dell’ambiguo personaggio di Glenda, la madre del protagonista Mike; Martine Brochard, che aveva all’attivo solo il thriller di mediocre fattura Gatti rossi in un labirinto di vetro sembra spaesata, così come sembra spaesata, in misura maggiore, la bellissima Silvia Dionisio, protagonista di una scena rimasta famosa, la corsa disperata di notte fra rovi e cespugli, a seno nudo, in una sequenza che sembra sospesa tra incubo e realtà.
La Dionisio, che interpreta la donna di Mike, Deborah, è anch’essa alla sua ultima apparizione cinematografica.
Appare apatica, svogliata, quasi avesse accettato la parte per obbligo; Laura Gemser, che nel film è Beverly (Beryl) fa quello che sa fare, ovvero pochino, risultando però alla fine forse la più credibile del mazzo.
Assolutamente fuori ruolo Stefano Patrizi nel ruolo di Mike Stanford, che avrebbe richiesto ben altro spessore e pathos recitativo.
Il risultato è quindi un ‘opera incolore, una partitura completamente scordata e stonata, in cui tutti sembrano dover assolvere in fretta al loro compito.
Così si comprende la delusione di Freda, che ebbe davvero il suo daffare per assemblare un prodotto che potesse uscire sugli schermi, senza rischiare una solenne stroncatura.
Cosa che purtroppo avvenne e a giusta ragione.
Tutto quello che rimane del progetto di contaminazione tra gotico e thriller psicanalitico è un nulla desolante; a parte la Gemser, che in pratica è nuda in tutte le sequenze che la vedono coinvolta, il resto del film si segnala solo proprio per le scene scabrose, invero limitate solo a parziali nudità delle citate Dionisio, Brochard e Strindberg, quest’ultima ripresa con luci molto soffuse, vista l’impietosa decadenza del suo corpo.
Film relegato in un angolino, prova finale di un regista molto amato ma che chiuse la sua carriera in maniera davvero poco gloriosa.
Murder obsession Follia omicida, un film di Riccardo Freda, con Stefano Patrizi, Martine Brochard, Silvia Dionisio, Henri Garcin, Laura Gemser, John Richardson, Anita Strindberg, Fabrizio Moroni Thriller Italia 1980
Stefano Patrizi … Michael Stanford
Martine Brochard … Shirley
Henri Garcin … Hans Schwartz
Laura Gemser … Beryl
John Richardson … Oliver
Anita Strindberg … Glenda
Silvia Dionisio … Deborah
Regia Riccardo Freda
Soggetto Antonio Cesare Corti, Fabio Piccioni
Sceneggiatura Antonio Cesare Corti, Riccardo Freda, Fabio Piccioni
Produttore Enzo Boetani, Giuseppe Collura, Simon Mizrahi
Casa di produzione Dionysio Cinematografica, Société Nouvelle Cinévog
Fotografia Cristiano Pogany
Montaggio Riccardo Freda
Effetti speciali Angelo Mattei
Musiche Franco Mannino
Scenografia Giorgio Desideri
Costumi Giorgio Desideri
Trucco Sergio Angeloni, Lamberto Marini
L’assassino è costretto a uccidere ancora
Giorgio è un architetto che se la spassa con le donne grazie all’aiuto finanziario della moglie, ricchissima; l’uomo, che ha un disperato bisogno di soldi, principalmente dal suocero, ha debiti rilevanti, ma nonostante tutto non riesce a tenere in piedi il rapporto con Norma, sua moglie.

Tere Velázquez è Norma Mainardi
Ad aiutarlo arriva un fatto casuale e imprevisto; assiste all’affondamento di un’auto da parte di un uomo, che in riva al mare tenta di sbarazzarsi del corpo di una donna.
Lo avvicina e inizia a ricattarlo; non dirà nulla se l’uomo ucciderà sua moglie, mentre lui sarà lontano costruendosi un alibi di ferro.
Così avviene, ma il caso ci mette lo zampino; mentre il killer uccide Norma, due ragazzi, Luca e Laura rubano, per fare una bravata, l’auto del killer stesso, che da quel momento si mette sulle loro tracce.
Nel frattempo l’ispettore incaricato delle indagini, poco convinto dalle incongruenze rilevate sulla scena del delitto, inizia a sospettare che le cose siano andate ben diversamente da come appaiono.
Il killer raggiunge intanto i due ragazzi, che sono andati in un casa vicino al mare; qui l’uomo uccide dapprima una donna che aveva avuto un fugace rapporto con il giovane e subito dopo violenta la compagna di quest’ultimo, Laura, che però riesce a liberarsi e a uccidere il killer.
I due tornano a casa,raccontando l’accaduto; l’ispettore, ormai convinto della colpevolezza di Giorgio, gli tende una trappola….
L’assassino è costretto a uccidere ancora, film del 1975 diretto da Luigi Cozzi, non si segnala per nessuna dote particolare, pur non essendo un pessimo film.
Siamo nel periodo d’oro del thriller all’italiana, e in questo film troviamo in pratica tutti gli elementi caratteristici del genere, incluse morti violente, killer psicopatico, violenza carnale ecc.
Ma Cozzi non riesce a sollevare il film dalla mediocrità, vuoi per la trama molto improbabile, vuoi per la lentezza stessa del film, che non presenta mai colpi di genio; al contrario, molti espedienti narrativi risultano artificiosi, così come i dialoghi appaiono decisamente noiosi.
Il regista prende spunti un po da Lenzi un po da Argento, ma non ci mette niente di suo; l’unico espediente interessante è l’accendino che Giorgio recupera dal killer, che però risulterà fatale nello sviluppo della storia.
Gli attori quanto meno se la cavano discretamente; fra loro vanno segnalati la splendida Benussi, insolitamente bionda e Cristina Galbò, che interpreta la giovane Laura, sprovveduta e un tantino oca, che guarda caso si rivelerà però colei che dipanerà la matassa.
Tra gli uomini, mediocre Hilton, nei panni di Giorgio, mentre sulla sufficienza sia Alessio Orano che Michel Antoine.

Cristina Galbò, Laura e Alessio Orano, Luca
L’assassino è costretto a uccidere ancora, un film di Luigi Cozzi. Con George Hilton, Femi Benussi, Alessio Orano, Eduardo Fajardo, Teresa Velasquez,Carla Mancini, Cristina Galbò
Thriller, durata 98 min. – Italia 1975
George Hilton … Giorgio Mainardi
Antoine Saint-John Il Killer (come Michel Antoine)
Femi Benussi … Dizzy Blonde
Cristina Galbó … Laura
Eduardo Fajardo … Ispettore di polizia
Tere Velázquez … Norma Mainardi
Alessio Orano … Luca
Le foto di Gioia
Alcuni morti ammazzati, qualche scena splatter piuttosto dimessa, un colpevole insospettabile (ma solo per i meno scafati) e qualche nudo prosperoso della protagonista, Gioia, una Serena Grandi ingiudicabile come recitazione ma sicuramente apprezzabile dal punto di vista delle forme, aggiunti a quelli di Sabrina Salerno, che resta in scena (prima di essere ammazzata) una decina di minuti, anche lei nuda.
Il resto è un thriller abbastanza scontato, piuttosto scialbo sia nella trama che nella recitazione; Lamberto Bava, figlio del grande Mario, si trova a girare un thriller fuori tempo massimo, visto che ormai il genere, nel 1987, è defunto da tempo.
Ergo, parlare di Le foto di Gioia significa soltanto pensare, con tristezza, ai bei tempi che furono, quando il thriller all’italiana era la la palestra e la fucina di Mario Bava, di Lucio Fulci o dello stesso Dario Argento.
La storia si sviluppa (o si aggroviglia, dipende dai punti di vista) attorno a Gioia, vedova che si trova a gestire una rivista specializzata per soli uomini; ad aiutarla c’è il fratello e una redattrice, Evelyn, dai gusti particolari.
Un giorno viene rinvenuto il cadavere di Kim, una bellissima modella, uccisa da un misterioso assassino vicino la piscina della villa di Gioia; ad assistere all’omicidio c’è un giovane paralitico, che passa le sue giornate a spiare con un telescopio la bella Goia.
Il giovane vede una donna dai capelli biondi (di spalle) uccidere la modella con un forcone. Il corpo di Kim viene messo poi in posa davanti ad una gigantografia della stessa Gioia.
E’ l’inizio di una catena di sangue, perchè vengono uccise in sequenza altre persone; a soccombere è anche Sabrina, un’altra bellissima fotomodella, amante di Tony, fratello di Gioia.
La ragazza viene uccida da un mucchio di vespe inferocite, che pungono a morte la donna; subito dopo si ripete il macabro rituale dell’invio delle foto con su il cadavere dell’uccisa e Gioia sullo sfondo.
I sospetti cadono dapprima su Flora, concorrente di Gioia, che è riuscita ad acquistare la rivista dalla donna, ormai terrorizzata, ma in seguito si capisce che non è lei l’assassina.
Ci vorranno altri omicidi prima di arrivare alla soluzione del caso, e sarà Marco, il giovane paralizzato, a salvare la vita a Gioia, grazie alle sue manie voyeuristiche.
Lamberto Bava sceglie attrici prosperose, come Serena Grandi e Sabrina Salerno, affascinanti come Trine Michelsen, ma poco capaci in recitazione, con il pessimo risltato di far cadere ancor più la relativa tensione del film.
Le uniche due a salvarsi dal grigiore generale sono Daria Nicolodi e Capucine, rispettivamente la segretaria editor di Gioia e Flora, la principale antagonista e rivale in affari; il flm non può essere definito brutto tout court, piuttosto inefficace sopratutto dal punto di vista del ritmo.
Manca brio, le scene di sangue appaiono slegate dal resto del film; la presenza di troppi caratteristi penalizz, alla lunga il film. basti pensare ai personaggi molto neutri dell’ispettore, o di vari collaboratori di Gioia.
Il film è evidentemente costruito attorno alla Grandi, reduce dal trionfo di Miranda; l’attrice appare a disagio, un disagio che si vede anche sui volti degli altri protagonisti.
A parziale scusante, va detto che il 1987 è uno degli anni più disastrosi dal punto di vista cinematografico dell’intera storia del cinema stesso; la crisi di spettatori, unita alla contemporanea concorrenza del mezzo televisivo avevano creato condizioni davvero particolari per le produzioni nostrane.
Quindi nella scelta del cast, della location e di tutto ciò che occorre per fare un film, Bava ha dovuto probabilmente confrontarsi con un budget ridotto, senza quindi la possibilità di avvalersi di attori di maggior fama.
In ultima analisi, non è un prodotto da gettare in toto, perchè Lamberto Bava stoffa ne ha, ma è un prodotto debole.
Le foto di Gioia, un film di Lamberto Bava. Con Serena Grandi, Capucine, Sabrina Salerno, Daria Nicolodi, Karl Zinny, David Brandon
Giallo, durata 94 min. – Italia 1987.


Serena Grandi … Gioia
Daria Nicolodi … Evelyn
Vanni Corbellini … Tony
David Brandon … Roberto
George Eastman … Alex
Trine Michelsen … Kim
Karl Zinny … Mark
Lino Salemme … IspettoreCorsi
Sabrina Salerno … Sabrina
Capucine … Flora

Regia Lamberto Bava
Soggetto Luciano Martino
Sceneggiatura Luciano Martino, Lamberto Bava, Gianfranco Clerici, Daniele Stroppa
Produttore esecutivo Marco Grillo Spina, Massimo Manasse
Casa di produzione Dania Film, Devon Film, National Cinematografica
Distribuzione (Italia) Medusa Distribuzione
Fotografia Gianlorenzo Battaglia
Montaggio Mauro Bonanni
Musiche Simon Boswell
Scenografia Massimo Antonello Geleng
Costumi Valentina Di Palma, Nicoletta Ercole
Trucco Rosario Prestopino, Gilberto Provenghi, Maurizio Silvi
Tenebre

La voce narrante: Dario Argento
L’impulso era diventato irresistibile. C’era una sola risposta alla furia che lo torturava. E così commise il suo primo assassinio. Aveva infranto il più profondo tabù e non si sentiva colpevole né provava ansia o paura, ma… libertà! Ogni ostacolo umano, ogni umiliazione che gli sbarrava la strada, poteva essere spazzato via da questo semplice atto di annientamento: l’OMICIDIO.
Veronica Lario è Jane McKerrow
E’ l’inizio di Tenebre, film di Dario Argento del 1982, che rappresenta sotto più punti di vista una svolta nella carriera del regista romano.
Il primo, forse il più importante, è il ritorno al genere thriller classico, quello cioè con il canovaccio assassino/mistero, dopo la parentesi soprannaturale iniziata con Suspiria e proseguita poi con Inferno.
Argento lascia da parte il thriller horror, dimentica le Tre madri dell’inferno, Sospiriorum,Tenebrarum e Lacrimarum e si getta a capofitto su una sceneggiatura della quale è ancora una volta l’unico artefice; sono passati sette anni dal travolgente successo di Profondo rosso, uscito nelle sale nel 1975, e il pubblico attende con ansia il ritorno al thriller puro.
Ania Pieroni è Elsa Manni
Tenebre è il film più splatter di Argento; alla fine si contano dodici morti ammazzati, un record.
Ed è anche un film controverso, accolto in maniera molto difforme sia dalla critica che dal pubblico.
Se da un lato ci sono i soliti elementi innovativi del regista, come l’utilizzo spregiudicato della macchina da presa, dall’altro l’espediente dei flashback, usato durante la narrazione, finisce per spiazzare lo spettatore lasciandolo pieno di dubbi.
Veniamo alla trama.

Giuliano Gemma è il Capitano Germani
Peter, scrittore di gialli di un certo successo, arriva a Roma su invito del suo agente; lo scopo principale del viaggio è la promozione del suo ultimo libro, Tenebre.
Ma già dal suo arrivo le cose si mettono male; lo scrittore viene minacciato telefonicamente, da qualcuno che lo avverte che intende uccidere seguendo le linee guida del suo romanzo.
Ha inizio così una serie terrificante di delitti, che hanno in comune, come preannunciato dalle telefonate, gli elementi base del libro Tenebre.

Eva Robins, la ragazza sulla spiaggia
Da questo momento inizierà una caccia spietata, che vedrà all’opera non uno, bensi due misteriosi assassini.
Ovviamente non mi addentro nella trama, per non togliere la suspence a coloro che non hanno visto il film.
Il film si caratterizza prima di tutto per le scene molto forti, assolutamente realistiche, come quella in cui Jane McKerrow, uno dei personaggi femminili del film, interpretata da Veronica Lario ( la ex signora Berlusconi), si vede tranciare di netto una mano, una delle scene meglio girate del film.
Mirella Banti è Marion
Un’altra caratteristica evidente del film è il contrasto assoluto tra i colori; in molte scene il bianco spicca nitidamente con il rosso del sangue, che, detto per inciso, abbonda in maniera industriale; Argento indugia molto sulle scene più violente, cercando il coup de teatre praticamente ad ogni inquadratura.
Eppure, nel globale, il film non convince appieno.
L’idea di far muovere due distinti assassini, con motivazioni diverse, alla fine risulta forzata, così come ad un certo punto la stessa identità del secondo assassino appare chiara.
Le motivazioni del trauma, poi, appaiono abbastanza forzate.
Così alla parola fine si resta con il dubbio di aver assistito ad un’operazione smaccatamente commerciale, quasi che il regista abbia voluto calcare la mano più sull’effetto che basarsi su una storia credibile.
Il prodotto finale quindi è un film discontinuo, a tratti eccessivo; nonostante la splendida colonna sonora di Simonetti, deus ex machina di Argento, c’è una certa leggerezza nei dialoghi, nel senso che appaiono poco caratterizzati. Una nota di demerito, molto personale, la vedo nell’interpretazione del monocorde Anthony Franciosa, che gira per il film con un’aria di sufficienza e di ironia sicuramente fuori luogo.

Anthony Franciosa è Peter Neal
Curioso come accennato il destino critico del film: c’è chi esalta il ritorno di Argento ad una sceneggiatura accettabile e di conseguenza alla regia di un film considerato all’altezza del periodo anni settanta, c’è chi vede nella stessa sceneggiatura un cumulo di ovvietà.
Il film piace perchè splatter, non piace per lo stesso motivo.
Tra le recensioni dei critici, lette in giro per il web, ne ho trovata una che mi sembra molto oggettiva:
“Chi soffrì di batticuore per Suspiria e per Inferno non speri di provare altrettante paure. Tenebre è un “ giallo ” alla maniera classica, con personaggi, strumenti omicidi, effetti repulsivi, e inverosimiglianze pertinenti alla tradizione. Dario Argento ne parla come del “ più sorprendente e lancinante ” dei suoi film.
Non saremmo così estremisti. Tornando al brivido di repertorio, questo piccolo maestro fa un po’ rimpiangere le sue fantasie orripilanti e surreali, per manieristiche che fossero. Al loro posto c’è un labirinto mentale non facilmente penetrabile, emotivamente efficace quasi soltanto nei luoghi canonici in cui lo schermo s’imbratta di sangue.”
Per quanto riguarda il cast, oltre al citato Franciosa, buone le prove di John Saxon, il Bullmer agente dello scrittore Peter, di Giuliano Gemma, il capitano Germani e del cast femminile, composto da Lara Wendel, da Daria Nicolodi, dalla citata Veronica Lario, da Mirella Banti, Ania Pieroni. C’è una piccola parte anche per Eva Robins, la ragazza della spiaggia.

Tenebre, un film di Dario Argento. Con Giuliano Gemma, Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, John Saxon,John Steiner, Fulvio Mingozzi, Mirella D’Angelo, Lara Wendel, Ania Pieroni, Mirella Banti
Thriller, durata 110 min. – Italia 1982

Anthony Franciosa: Peter Neal
Christian Borromeo: Gianni
Mirella D’Angelo: Tilde
Veronica Lario: Jane McKerrow
Ania Pieroni: Elsa Manni
Eva Robins: Ragazza sulla spiaggia
Carola Stagnaro: Ispettrice Altieri
John Steiner: Cristiano Berti
Lara Wendel: Maria Alboreto
John Saxon: Bullmer
Daria Nicolodi: Anne
Giuliano Gemma: Capitano Germani
Isabella Amadeo: Segretaria di Bullmer
Mirella Banti: Marion
Ennio Girolami: Manager del grande magazzino
Monica Maisani:
Marino Masé: John
Fulvio Mingozzi: Alboreto il portiere
Gianpaolo Saccarola: Dottore
Ippolita Santarelli: Prostituta
Francesca Viscardi:
Dario Argento: Narratore
Lamberto Bava: Riparatore
Michele Soavi: Fidanzato di Maria / Uomo che cammina con la ragazza sulla spiaggia

Regia: Dario Argento
Soggetto: Dario Argento
Sceneggiatura: Dario Argento
Produttore: Claudio Argento
Produttore esecutivo: Salvatore Argento
Casa di produzione: Sigma Cinematografica-Roma
Fotografia: Luciano Tovoli
Montaggio: Franco Fraticelli
Effetti speciali: Giovanni Corridori
Musiche: Massimo Morante, Fabio Pignatelli, Claudio Simonetti (Goblin)
Scenografia: Giuseppe Bassan
Costumi: Pierangelo Cicoletti, Carlo Palazzi, Franco Tomei
Trucco: Pierantonio Mecacci, Piero Mecacci
La morte cammina con i tacchi alti
Nel locale commissariato di Parigi vengono convocati la spogliarellista Nicole e il suo amante Michel, un giovane senza arte ne parte, che in pratica è il mantenuto della donna, come sottolinea il commissario con ironia durante il colloquio.
Scopo dello stesso è appurare se Nicole sappia dove suo padre, un abilissimo ladro, abbia nascosto, prima di morire su un treno, i proventi del suo ultimo furto, dei diamanti.
La donna nega e il commissario è costretto a rilasciarla, non prima di averla messa in guardia sui pericoli che corre.
La donna, che si esibisce in un locale notturno, inizia a ricevere telefonate minatorie da parte di un uomo che utilizza, per camuffare la voce, un apparecchio laringeo.
Assalita in casa dal misterioso uomo, Nicole, che riesce a vederlo solo negli occhi, si convince che il misterioso assalitore altro non sia che il suo compagno Michel; la donna ritrova infatti delle lenti a contatto colorate nel suo bagno.
Abbandona quindi l’amante per seguire in Inghilterra il dottor Robert, un distinto gentleman che la corteggia; ma Michel riesce a rintracciare il posto dove la donna è andata a vivere, e la segue.
La vicenda si ingarbuglia quando la stessa Nicole viene ritrovata morta: i sospetti ovviamente cadono tutti sul giovane Michel, che per salvarsi dall’accusa è costretto ad agire da solo.
Riuscirà a dimostrare la sua innocenza?
La morte cammina con i tacchi alti, film del 1971 diretto da Luciano Ercoli è un thriller di discreta fattura costruito su un canovaccio abbastanza affidabile.
Dopo un inizio in cui la protagonista la bellissima Susan Scott o Nieves Navarro gira praticamente nuda per alcuni minuti, il film decolla, anche se va detto che siamo comunque nell’ambito di un discreto prodotto artigianale.La trama c’è, anche se Ercoli si diverte per tutto il film a seminare falsi indizi per mantenere il prodotto ad un pathos dignitoso.
Così, dopo diversi colpi di scena e attraverso l’uso di flashback, si arriva alla conclusione, che però lo spettatore più smaliziato ha già individuato.
Ma il film regge, anche grazie ad Andreu e al solito, bravo Frank Wolff; le musiche discrete di Stelvio Cipriani condiscono un prodotto non disprezzabile

La morte cammina con i tacchi alti, un film di Luciano Ercoli. Con Frank Wolff, Nieves Navarro, Simón Andreu, Carlo Gentili, Georges Rigaud, José Manuel Martín, Fabrizio Moresco, Luciano Rossi, Claudie Lange, Susan Scott, George Rigaud
Giallo, durata 93 min. – Italia 1971.
Frank Wolff … Dottor. Robert Matthews
Susan Scott … Nicole Rochard
Simón Andreu … Michel Aumont
Carlo Gentili … Ispettore Baxter
George Rigaud … Capitano Lenny
José Manuel Martín … Smith
Fabrizio Moresco … Bergson
Luciano Rossi … Hallory
Claudie Lange … Vanessa Matthews
Regia: Luciano Ercoli
Prodotto da: José Frade
Musiche: Stelvio Cipriani
Editing: Angelo Curi
Costumi: Osanna Guardini
Effetti speciali: Antonio Molina

Il fiore dai petali d’acciaio
Non fosse per la sua estrema rarità e per il fatto che è passato in tv non più di tre volte, di Il fiore dei petali d’acciaio non parlerebbe nessuno, se non i cultori del genere thriller/erotico e gli appassionati di cine rarità.
Un film relegato quindi in un cantuccio, principalmente per le scene erotiche contenute, molto forti anche per un film di stampo prettamente giallo-thriller, come del resto indicato dal titolo, che ammicca per l’ennesima volta al precursore L’uccello dalle piume di cristallo.

Paola Senatore e Pilar Velasquez
Un film decisamente in tono minore, comunque, come ha avuto modo di constatare chi lo ha visionato.
Il plot è abbastanza semplice, anche se va detto che il suo svolgimento può anche spiazzare.
Un ricco e affascinante dottore, Andrea Valenti, ha una relazione con Daniela, una bella ragazza molto disinibita (scopriremo che ha anche una relazione lesbica con Lena); inoltre ha una relazione con una donna misteriosa.
Ormai stanco della stessa, una sera provoca la morte della misteriosa donna durante una lite: è una morte involontaria, perchè il dottore, mentre la sta picchiando, fa cadere la donna su una scultura in acciaio raffigurante un fiore, con lunghi petali acuminati. Non sapendo cosa fare del corpo, il dottore decide di sezionarlo e farlo scomparire. Quello che non sa è che un misterioso testimone ha fotografato tutto e che quindi si appresta a ricattarlo.Intanto accade un altro fatto inquietante: Daniela è misteriosamente scomparsa.
La sparizione della ragazza non convince la sua sorellastra Evelyn, che decide di rivolgersi alla polizia; l’ispettore Garrano, a cui Evelyn racconta la storia, decide di indagare sulla vita, all’apparenza irreprensibile del dottor Andrea, e scopre così che l’uomo è sposato con una donna ricoverata da tempo in un ospedale psichiatrico, in quanto affetta da disturbi della sessualità.
Ma la donna risulta irreperibile, in quanto, guarita, è stata dimessa dall’ospedale.
Ad aggravare la posizione del dottore arriva però l’improvvisa morte di Evelyn, anche lei uccisa con il famoso fiore dai petali d’acciaio. A questo punto l’ispettore ha la certezza che Andrea ha a che fare con la morte di Evelyn e la sparizione di Daniela. Può arrestarlo, ma il dottore si proclama innocente. C’è un altro colpevole? Ma chi è la donna misteriosa uccisa involontariamente? E perchè tutte le donne della storia sembrano legate a filo doppio?
Mi fermo quà con la trama.
Film non privo di un suo fascino, Il fiore dai petali d’acciaio ha moltissimi buchi nella sceneggiatura, oltre ad essere molto lento e quasi noioso nel suo svolgimento, con scene splatter praticamente inesistenti mentre abbondano scene di sesso anche se mai esplicite. Tuttavia, pur non essendo certo un film da segnalare, non è inguardabile. La scoperta che si fa durante il film degli strani rapporti che ha avuto il dottore con le due vittime e con le altre donne della vicenda contribuisce quanto meno a tener desta l’attenzione dello spettatore, fino al finale debole, ma in linea con il racconto.
Sicuramente interessanti, a livello visivo, le protagoniste, a cominciare da Daniela, interpretata da una giovane e fascinosa Paola Senatore, passando per Lena, la bellissima e sexy Pilar Velasquez per chiudere con Carroll Baker, impegnata in uno dei suoi abituali ruoli a metà strada tra il sexy e il drammatico, questa volta senza infamia e senza lode.
Gianfranco Piccioli, il regista, non si può definire certo regista attento, ma quanto meno mostra buona volontà e un minimo di padronanza della cinepresa; abbondano gli oggetti tipici anni settanta, le immancabili bottiglie di whisky, le mattonelle blu e bianche, i tappeti molto alti, tanto fumo e arredamenti che oggi farebbero la fortuna di un antiquario vintage.
Nulla di particolare, quindi, siamo di fronte ad un prodotto che stiracchia la sufficienza, ma che può essere una festa per gli occhi per coloro che amano immergersi nelle tipiche atmosfere settantiane.
Il fiore dai petali d’acciaio, un film di Gianfranco Piccioli, con Gianni Garko, Carroll Baker, Ivano Staccioli, Pilar Velazquez, Paola Senatore, Angelo Bassi, Giuseppe Mattei, Eleonora Morana, Alessandro Perrella, Umberto Raho.Thriller Italia 1973
Gianni Garko … Dr. Andrea Valenti
Carroll Baker … Evelyn
Ivano Staccioli … Ispettore Garrano
Pilar Velázquez … Lena
Paola Senatore … Daniela
Umberto Raho … Psichiatra
Alba Maiolini
Giuseppe Mattei
Eleonora Morana Sergente
Alessandro Perrella … Poliziotto
Regia: Gianfranco Piccioli
Prodotto da : Mauro Berardi, Riccardo Cerro
Musiche: Marcello Giombini
Cinematography :Antonio Borghesi
Film Editing :Attilio Vincioni
Production Design :Rita Sala,Enor Silvani
Costumi: Silvio Laurenzi































































































































































































































































































