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L’ultimo treno della notte

L'ultimo treno della notte locandina

L’uscita di questo film di Aldo Lado, nel 1975, fu accompagnata da violente polemiche per il contenuto giudicato troppo violento e per l’atmosfera dark, per i dialoghi e per le scene crude che conteneva. In effetti L’ultimo treno della notte è un film che in qualche caso può disturbare, sopratutto verso la parte finale, dopo una buona oretta molto descrittiva, in cui il regista si limita a creare un’ambientazione alla storia, che esplode in un finale gore, tipico dei film rape e revenge. Ma in effetti, a guardarlo bene, il film ha ambizioni ben diverse dal solito thriller con effettacci truculenti. E, nonostante quello che i critici dissero, o almeno parte di essi, il film centra le problematiche che vuole affrontare; la violenza fine a se stessa, tipica della prima metà degli anni settanta.

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Macha Meril, la misteriosa signora del treno

L’inizio del film è segnato da un episodio di violenza gratuito, perpetrato ai danni di un Santa Klaus, al quale due balordi rubano il misero incasso; i due scappano e li vediamo salire su un treno diretto in Italia. Sullo stesso treno viaggiano anche due ragazze, che devono tornare a casa, in Italia, per raggiungere i genitori di una di essa e festeggiare il Natale, e una enigmatica signora, molto raffinata. Elisa e Margareth, le due ragazze, non sanno che stanno andando incontro ad una spaventosa sorte.

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All’interno del treno, infatti, i due balordi si muovono già con violenza, anche se limitata ad una aggressione ad un controllore. Uno dei due ha anche un rapporto sessuale con l’enigmatica signora ben vestita, una donna che sotto l’apparente rispettabilità nasconde un animo nero come la pece.

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Il treno, durante il percorso, viene fermato in una stazione, e le due ragazze ne approfittano per scendere e telefonare ai genitori, senza però riuscire a contattarli. Salgono su un altro treno, ma purtroppo per loro anche i due balordi e la ricca signora hanno fatto altrettanto. E’ l’inizio di un incubo: le due ragazze vengono dapprima molestate, in seguito violentate, dapprima da un guardone costretto ad abusare di Elisa, poi da uno dei due balordi, che, incitato dalla signora, la violenta con la lama di un coltello, che farà morire l’altra ragazza, Margareth dissanguata.

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Alla fine i due gettano Margareth dal treno, mentre Elisa, inseguita, preferirà gettarsi dal treno in corsa piottosto che continuare a subire la violenza cieca dei due; il treno prosegue la sua corsa, mentre i genitori di elisa attendono l’arrivo delle ragazze. E di quà la storia assume un’altra direzione, che culminerà con il violento finale.

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Il film di Lado vive sul contrasto fortissimo che caratterizza le varie fasi della storia; alla violenza cieca seguono infatti scene di stacco con i preparativi dei genitori per accogliere le due ragazze: all’atmosfera serena del Natale, con una fotografia luminosa, si sussegue l’atmosfera cupa del treno, dove si consuma la storia, con ombre che sinistramente si proiettano sui vagoni dello scompartimento. Ombre e luci, così come ombre e luci appaiono rispettivamente i due balordi e la misteriosa signora e le due ragazze.

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Un film cattivo al punto giusto, senza mediazioni, in cui la denuncia del sistema che produce questi guasti è appena accennata nei dialoghi che i genitori di Elisa hanno con i loro convitati. Il padre di Elisa, buonista e comprensivo, sceglierà viceversa la vendetta più crudele quando ad essere toccato nei suoi affetti sarà proprio lui.

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Un film bello, cupo e dannato, che, come già detto, venne molto sottovalutato all’epoca e che viceversa ha alcuni punti di contatto con il capolavoro di Kubrick, Arancia meccanica, almeno nella parte che riguarda la violenza ome tematica. Bravi gli attori, fra i quali si segnalano la luciferina Macha Meril, un inedito Flavio Bucci, nel ruolo del meno perfido dei due balordi, e di Enrico Maria Salerno, il papà di Elisa. Brave le due attrici che interpretano rispettivamene Elisa e Margareth, ovvero Laura D’Angelo e Irene Miracle

L’ultimo treno della notte,un film di Aldo Lado. Con Enrico Maria Salerno, Macha Méril, Flavio Bucci, Marina Berti,Franco Fabrizi, Daniele Dublino, Irene Miracle
Drammatico, durata 91 min. – Italia 1975.

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Flavio Bucci: Primo balordo
Marina Berti: Laura Stradi
Macha Méril: Signora sul treno
Enrico Maria Salerno: Giulio Stradi
Gianfranco De Grassi: Secondo balordo
Franco Fabrizi: Il guardone
Irene Miracle: Margareth Hoffenbach
Laura D’Angelo: Lisa Stradi

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Regia Aldo Lado
Soggetto Roberto Infascelli, Ettore Sanzò
Sceneggiatura Roberto Infascelli, Renato Izzo
Casa di produzione European Corporation
Fotografia Gábor Pogány
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Franco Bottari
Costumi Franco Bottari

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marzo 9, 2009 Pubblicato da: | Thriller | , , , | 3 commenti

Tesoromio

Prima di parlare di questa deliziosa commedia del 1979 di Giulio Paradisi, vorrei fare una piccola disgressione. Mi capita spesso di consultare, per rinfrescarmi la memoria o semplicemente per copiare il cast dei film, di andare su alcuni siti specializzati, come My movies, per esempio. Molti siti utilizzano, per le recensioni, i piccoli sunti del Morandini, che passa per essere l’opera omnia del cinema, una vera e propria enciclopedia, con tanto di recensione, cast regista e anno di produzione della stragrande maggioranza dei film usciti in Italia. Ebbene, spesso mi chiedo chi e sopratutto se abbia visto i film recensiti.

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Enrico Maria Salerno

A parte gli errori grossolani nella trama, spesso alcuni film vengono stroncati di sana pianta, con aggettivi anche pesanti, come insulsa, sciocca, idiota ecc. Una cosa che depone sicuramente male per chi cura un’opera che in fondo vuol essere di divulgazione del cinema passato, una sorta di Bignami cinematografico dedicato al futuro, quando la memoria di alcune pellicole sarà decisamente perduta.

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Zeudi Araya

Questo tipo di operazione di disinformazione riguardante alcune opere sopratutto datate è alquanto preoccupante: quando leggo di un film che sarebbe un’esposizione gratuita i nudi e violenza, e poi nel film non ci trovo ne l’una ne l’altra cosa, mi chiedo chi e perchè abbia voluto stroncare, in partenza, il film in questione. E’ il caso di Tesoro mio, la cui recensione recita testualmente così: “Un commediografo di irreparabile insuccesso è tradito dalla concubina con l’avvocato che gli finanzia le messinscena.Gli arriva in casa Tesoro, colf afro-orientale al primo servizio che, per soprammercato, è miliardaria e di sangue reale. Risolve la situazione. Derivata dalla pièce Chérie noire di François Campaux, riscritta dal trio Benvenuti, De Bernardi e Parenzo, la commedia è di una melensaggine sopportabile per merito di R. Pozzetto soltanto nella prima parte.” Un giudizio gratuito e forzato;

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Renato Pozzetto

Tesoromio non è un capolavoro, ma si lascia guardare con piacere, in primis per la presenza di un ottimo cast (Sandra Milo, Enrico Maria Salerno, Renato Pozzetto, Zeudi Araya e Johnny Dorelli), poi per la simpatia che riescono a ispirare i vari personaggi, anche se, va riconosciuto, la trama è effettivamente un po debole.

Enrico (Johnny Dorelli)  è uno scrittore di opere teatrali, che non riesce ad avere successo. L’ultimo fiasco è fatale, perchè oberato dai debiti, si vede arrivare in casa un ufficiale giudiziario (Renato Pozzetto) per un sequestro. In realtà Enrico non è assolutamente un pessimo scrittore, ma è sabotato da Roberto (Enrico Maria Salerno), un losco avvocato che lo finanzia per coprire con gli esborsi le somme che la sua società deve al fisco, truccando naturalmente i bilanci.

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La coppia Dorelli-Pozzetto

Roberto è anche l’amante di Solange, compagna di Enrico, pessima attrice che quest’ultimo è costretto a far lavorare per ricevere i finanziamenti necessari alle sue opere. Ma i guai di Enrico stanno per terminare; nella villa in cui abita arriva una ragazza, Tesoro (Zeudi Araya), che si propone come colf alla coppia; naturalmente Enrico, a corto di denaro, vorrebbe mandarla via, ma la ragazza sceglie di restare anche senza paga. Tra i due inizia così, con il tempo, una storia d’amore, e Enrico trova finalmente lo spunto per scrivere un’opera di ottimo livello, grazie anche a Tesoro e alla sua collaborazione.

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Non solo; la ragazza è una principessa, ricchissima, visto che nel suo paese i diamanti si trovano in qualsiasi posto. La ragazza paga tutti i debiti di Enrico, e lo mette in condizione di terminare il suo lavoro. La sera della presentazione dell’opera, Enrico registra il suo personale trionfo, ma Tesoro non c’è; è andata via, ma per fortuna dei due innamorati, la ragazza viene fermata all’aeroporto con un grosso quantitativo di diamanti.

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Commedia semplice, fresca, divertente, Tesoromio si avvale di un ottimo cast, nel quale spicca la straordinaria bellezza di Zeudi Araya, futura signora Cristaldi. A suo agio Johnny Dorelli, in quell’epoca protagonista di molti film sopratutto a tematica brillante.

Tesoromio, un film di Giulio Paradisi. Con Enrico Maria Salerno, Johnny Dorelli, Sandra Milo, Zeudi Araya.Carlo Bagno, Vincenzo Crocitti, Paolo Paoloni, Renato Pozzetto, Angelo Pellegrino, Carlo Cartier
Commedia, durata 108 min. – Italia 1979.

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Johnny Dorelli: Enrico Moroni
Renato Pozzetto: Ufficiale Giudiziario Pierluigi
Zeudi Araya: Tesoro Houaua
Sandra Milo: Solange
Enrico Maria Salerno: avv. Roberto Manetta
Carlo Bagno: il maggiordomo occhialuto con i baffi
Natale Tulli: uno dei traslocatori
Angelo Pellegrino: l’ufficiale dei carabinieri
Vincenzo Crocitti: un membro della commissione al teatro

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Regia Giulio Paradisi
Soggetto Francois Campaux
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Paolo Brigenti
Produttore Franco Cristaldi, Nicola Carraro
Fotografia Roberto D’Ettorre Piazzolli
Montaggio Mario Morra
Musiche Mariano Detto
Costumi Danda Ortona

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marzo 6, 2009 Pubblicato da: | Commedia | , , , , | Lascia un commento

A tutte le auto della polizia

 

Fiorella Icardi ( Adriana Falco) , figlia sedicenne di un barone della medicina, il professor Icardi (Gabriele Ferzetti) ammanigliato con politici e affarista senza scrupoli, scompare di casa misteriosamente. Il padre,il professor Icardi, coinvolge immediatamente le sue conoscenze, e alla polizia arriva l’ordine di impegnare tutte le forze nella ricerca della ragazza. Carraro (Enrico Maria Salerno), il capo della squadra mobile, delega alle stesse il commissario Solmi (Antonio Sabato), uomo burbero ma ligio al dovere e l’ispettrice Giovanna Nunziante (Luciana Paluzzi);

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seguendo la flebile pista lasciata dalla ragazza, che è andata via di casa senza soldi e con il motorino, con l’aiuto di cani addestrati, i due riescono a individuare il posto in cui giace il cadavere della povera Fiorella; è a pochi metri dalla riva, nel lago, legata al suo motorino. L’assassino le ha sparato un colpo alla nuca.

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Il motivo diventa chiaro durante l’autopsia; la ragazza infatti era incinta di tre mesi. Grazie ad una soffiata involontaria, Solmi rintraccia Tummolo, un guardone che si apposta tra gli alberi nel bosco che circonda il lago per spiare le coppiette e apprende così, nonostante l’evidente reticenza dell’uomo, che la ragazza una volta a settimana si recava sul posto per amoreggiare con un uomo in possesso di un auto bianca con targa straniera.

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Ma è l’ispettrice Giovanna a determinare la svolta nelle indagini: seguendo Carla (Gloria Piedimonte), un’amica di Fiorella, arriva a scoprire un giro di prostituzione minorile capeggiato da Franz Hekker, un losco individuo già implicato in precedenza in traffici del genere. Durante l’irruzione alla villa di Hekker, la polizia trova foto compromettenti delle ragazze e una lunga lista di nomi di personaggi in vista, fa cui un ex ministro. La polizia sospetta sia di Hekker che di Tummolo, ma quest’ultimo vine ucciso dal misterioso assassino.

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La stessa fine fa dapprima il ginecologo che aveva visitato Fiorella, poi Carla, che si era rifugiata in casa di Hekker. Il misterioso killer sta eliminando una ad una tutte le tracce che potrebbero portare alla sua identificazione, ma una brillante trappola, preparata da Solmi, porterà alla scoperta della sua identità, con colpo di scena finale.

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A tutte le auto della polizia, diretto da Mario Caiano nel 1975, è un ibrido che potrebbe tranquillamente appartenere alla categoria thriller così come a quella, di gran fortuna in quegli anni, del poliziesco all’italiana. La trama è ben congegnata, e non manca la suspence per tutta la durata del film, grazie anche allo stuolo di bravi attori che fanno parte del cast, a partire da Gabriele Ferzetti, nei panni dell’arrogante professor Icardi, del sempre bravo Enrico Maria Salerno, il capo della mobile Carraro, di Antonio Sabato, un cinico e disincantato ispettore Solmi e della sempre bella Luciana Paluzzi. Bene anche Gloria Piedimonte, che ha una buona parte nel film; l’attrice avrà il suo momento di celebrità ballando nella sigla della trasmissione musicale televisiva Discoring.

Nel film compare, per pochi istanti, e nuda come suo solito il futuro onorevole Ilona Staller, nel ruolo di una prostituta che lavorava nella villa. Tutto sommato un buon lavoro, come al solito stroncato dai critici poco propensi a riconoscere una qualche dignità ai film di produzione italiana, definiti sprezzantemente B movie. Solo qua in patria, però, visto che negli Usa furono molti i registi che si ispirarono al cinema italiano per prendere idee.

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A tutte le auto della polizia.Un film di Mario Caiano. Con Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Antonio Sabato, Luciana Paluzzi,Elio Zamuto, Ettore Manni, Marino Masé, Bedy Moratti, Benedetto Benedetti, Ida Di Benedetto, Leila Ducci, Ilona Staller, Attilio Dottesio, Tino Bianchi, Fernando Cerulli, Andrea Scotti, Valentino Macchi, Franco Ressel, Fulvio Mingozzi, Gloria Piedimonte Poliziesco, durata 100 min. – Italia 1975

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* Antonio Sabàto: Fernando Solmi
* Enrico Maria Salerno: Capo della squadra mobile Carraro
* Gabriele Ferzetti: Professor Icardi
* Elio Zamuto: Professor Giacometti
* Ettore Manni: Enrico Tummoli
* Luciana Paluzzi: Ispettore Giovanna Nunziante
* Bedy Moratti: Signora Icardi
* Gloria Piedimonte:Carla
* Margherita Horowitz: Antonietta
* Franco Ressel: Ginecologo

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Regia Mario Caiano
Soggetto Fabio Pittorru, Massimo Felisatti
Sceneggiatura Fabio Pittorru, Massimo Felisatti
Casa di produzione Capitol Jarama
Distribuzione (Italia) Capitol
Fotografia Pier Luigi Santi
Montaggio Romeo Ciatti
Musiche Coriolano Gori
Scenografia Renato Postiglione

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febbraio 28, 2009 Pubblicato da: | Thriller | , , , , , , , | Lascia un commento

Nell’anno del signore

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Siamo nella Roma papalina, nella prima parte del 1800; il cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi), con l’ausilio del colonnello Nardoni (Enrico Maria Salerno), delegato all’ordine pubblico, dirige con pugno di ferro la città.

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Enrico Maria Salerno, il Cap. Nardoni

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Nino Manfredi è Cornacchia

Ma c’è malcontento tra la gente, e il malcontento si esprime sopratutto tra i liberali, insofferenti al regime imposto dal papa re; il ciabattino Cornacchia (Nino Manfredi), un cinico e intelligente popolano, scopre che don Spada ha deciso di tradire la causa carbonara, e  informa il chirurgo Montanari e il giovane Targhini dell’accaduto.

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Cornacchia si trasforma in Pasquino

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Claudia Cardinale è Giuditta

I due così feriscono mortalmente lo Spada, e delle indagini si occupa il disilluso Nardoni. Nel frattempo Giuditta, una giovane e bellissima ebrea (Claudia Cardinale), che vive in casa di Cornacchia ma è innamorata di Montanari, cerca disperatamente di far scappare l’amato.

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A sinistra, Robert Hossein è il dottor Montanari

I due vengono arrestati dal colonnello, condotti davanti al ferito e riconosciuti autori dell’attentato. Ne segue un processo farsa, senza alcuna difesa, in seguito al quale i due uomini vengono mandati a morte. Giuditta, sconvolta, accusa Cornacchia di essere un cinico osservatore,che assiste impassibile anche agli unici tentativi di ridare libertà ad un popolo ormai disilluso e privo di reazioni.

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Cornacchia rivela alla donna la verità; dietro la sua figura di umile ciabattino, si nasconde nientemeno che Pasquino, l’autore di libelli più temuto dal clero, che usa la penna per sferzare una classe clericale impegnata troppo nel potere temporale e troppo poco in quello spirituale. Nel frattempo a consolare i due condannati a morte viene inviato un umile prete, innamorato della sua fede e della sua missione, che cerca di convincere i due ad accettare i sacramenti religiosi;

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Ugo Tognazzi, sua eminenza Rivarola

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Alberto Sordi, il Frate

il frate ( uno strepitoso Alberto Sordi) perorerà la salvezza dei due presso il cardinale Rivarola, ma inutilmente. Ne ricaverà una lezione di cinismo abietto, che mostra il senso di decadenza raggiunto dalla chiesa. Per salvare la vita ai due e per amore di Giuditta, Cornacchia arriva a proporre al cardinale Rivarola la consegna di Pasquino in cambio della vita dei due patrioti, inutilmente.

Il cinico cardinale si appresta a far arrestare il ciabattino, che, prudentemente, si rifugia in un convento, chiedendo asilo. I due patrioti salgono così sul patibolo, con Montanari che, scuro e triste, pronuncia davanti a mastro Titta, il famoso boia di Roma, le parole :”buonanotte,popolo”

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Nell’anno del signore, aldilà delle sue battute, è un amaro resoconto di un’epoca buia, quella del potere temporale della chiesa, che costituì una delle vergogne della Roma del XVIII secolo; amaro,cinico e crudele come i suoi protagonisti, preda delle loro passioni e vittime, pertanto delle loro scelte. Luigi Magni girò, nel 1969, questo splendido affresco di un’epoca, con un cast stellare;Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Claudia Cardinale, Enrico Maria Salerno, Pippo Franco, Robert Hossein, uno splendido e cinico Nino Manfredi, Britt Ekland, sono gli splendidi interpreti di una delle commedie satiriche più belle del cinema italiano. il film divenne campione di incassi e fu il più visto di quell’anno.

 

Nell’anno del signore, un film di Luigi Magni. Con Nino Manfredi, Claudia Cardinale, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Robert Hossein,Enrico Maria Salerno Marco Tulli, Emilio Marchesini, Stefano Oppedisano, Pippo Franco, Britt Ekland, Stelvio Rosi, Renaud Verley. Genere Commedia, colore 105 minuti. – Produzione Italia 1969.

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Nell'anno del signore protagonisti

Nino Manfredi: Cornacchia/Pasquino

Enrico Maria Salerno: Cap. Nardoni

Claudia Cardinale: Giuditta Di Castro

Robert Hossein: Leonida Montanari

Renaud Verley: Angelo Targhini

Ugo Tognazzi: Card. Rivarola

Alberto Sordi: Frate

Britt Ekland: Principessa Spada

Pippo Franco: Allievo di Pasquino

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Fotografia: Silvano Ippoliti

Montaggio: Ruggero Mastroianni

Musiche: Armando Trovajoli

Scenografia: Carlo Egidi, Joseph Hurley

Nell'anno del signore citazioni

Popolo,sei na’ monnezza (Alberto Sordi)

“Ci sei stata a letto? (Cornacchia); “No, per terra”(Giuditta)

“Ti dirà una cosa che al mondo non sa nessuno:secondo me questi giudei sono esseri umani quasi come noi ” (Il cardinale Rivarola)

È il cuore il flagello dei popoli. Se vuoi essere un uomo strappati il cuore dal petto e buttalo lì dove sguazzano le vacche. (Cornacchia)

Li morti pesano. E morti così, senza delitto, con na burla de processo, pesano più peggio, e col tempo diventano la cattiva coscienza del padrone. (Cornacchia)

La bella che guarda il mare | lalala lalala lalala | ha un nome che fa paura | libertà libertà libertà. (Leonida Montanari)

Noi siamo sempre dalla parte giusta. (Rivarola) Pure quando sbagliamo? (Il frate)  Soprattutto quando sbagliamo. (Rivarola)

“Cornacchia noi vogliamo solo la libertà.. e anche tu la vuoi..”(Montanari)  “Io?… me premen’cappio della libertà.. a che me serve? io quando è giorno m’arzo, quando è ora de magnà me metto a sede, e quando è scuro me ne vado a letto.. io ho il precetto pasquale obbligatorio.. nun bevo, nun betemmio, nun rompo li cojoni…. e voglio bene a una donna che vuò bene a n’artro…. faccio la rivoluzione? io me sputerebben’faccia da me.. eccolo..” (Cornacchia)

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Claudia Cardinale

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Alberto Sordi

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Enrico Maria Salerno

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Nino Manfredi

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Ugo Tognazzi

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Nell'anno del signore cenni storici

Un breve cenno storico sulla figura di Pasquino

Anche una statua può parlare.
Può farlo per secoli,e diventare portavoce di denunce e satira,di sonetti e composizioni alle volte blasfeme,ma assolutamente irresistibili.
Pasquino è la statua che più di tutte ha rappresentato nel corso dei secoli,l’anima più autenticamente goliardica e sarcastica della popolazione romana.
Una statua di età ellenistica,forse del III A.C.,danneggiata e mutilata nel corso dei secoli;eppure sempre li,sin dal giorno del suo ritrovamento,nel 1501,nei pressi di piazza Navona.
Una statua che ha finito per identificarsi anche con la piazza dove,da 5 secoli,sfida le intemperie,piazza Parione,oggi chiamata Piazza di Pasquino.
Perché venne chiamata Pasquino?
Possediamo solo leggende,sull’origine del suo nome.
Secondo alcuni era un calzolaio,divenuto famoso per i suoi versi satirici;secondo altri un taverniere,secondo altri ancora un docente con quel nome,a cui gli studenti,ravvisando una somiglianza con la statua,avevano finito per ribattezzarla goliardicamente.
La statua divenne immediatamente famosa perché qualcuno,con spirito burlesco,lasciò un’epigramma canzonatorio verso un nobile.
Da allora si diffuse l’abitudine di affiggere cartelli,sonetti,poesie in rime,accuse e denunce ai suoi piedi.
I più colpiti erano i prelati,bersaglio della popolazione e degli scrittori si sonetti;ben presto diventarono così numerosi che si moltiplicarono anche i luoghi di esposizione,e nacquero altre statue parlanti.
Ma Pasquino restò la più famosa;si prendevano in giro i papi e i cardinali,si sbeffeggiava la nobiltà e i personaggi famosi.
Celebre rimase la frase “Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini”,ovvero quello che non fecero i barbari fecero i Barberini,con chiaro riferimento a papa Urbano VIII,della famiglia Barberini,che aveva fatto asportare i rilievi bronzei del Pantheon per permettere a Bernini la costruzione dell’orrido baldacchino di San Pietro.
Ben presto le pasquinate divennero così pungenti da allarmare sia la santa sede che i suoi notabili;l’esercizio della satira,soprattutto ben dettagliata,con evidente intervento di qualcuno che detestava un suo collega e che riportava pettegolezzi destinati a restare nell’ombra del vaticano,finì per diventare imbarazzante per tutti.
Clamoroso l’episodio di Clemente VII,che morì dopo una lunga malattia;un papa malvisto,tant’è vero che al collo di Pasquino comparve un eloquente ecce qui tollit peccata mundi (ecco colui che toglie i peccati del mondo).,riferito evidentemente al medico che lo ebbe in cura,e che lo curò male,ma che fece,chiaramente,un piacere alla popolazione.
A qualcuno,come Adriano VI,i motti di spirito non andarono giù:definito lingua marcia dai romani,cercò di vendicarsi facendo gettare la statua,cosa che per fortuna non avvenne.
I suoi consiglieri,sicuri che la cosa avrebbe comportato una sollevazione popolare,riuscirono a distorglielo,e Pasquino restò al suo posto.
Ben presto però le pasquinate divennero così insolenti che si rese necessario un intervento del papato,che decise di comminare pene severe a chi avesse contribuito ad appendere al collo della statua qualsiasi scritto di natura satirica.
Cosa che ottenne un risultato assolutamente modesto;gli autori dei versi si moltiplicarono a dismisura,nonostante alcuni di loro,presi in fragrante,fossero stati puniti severamente.
La nascita dei sonetti satirici,tra cui i più famosi divennero quelli del Belli e la contemporanea fine del potere temporale del papato,coinciso con l’unità d’Italia,smorzarono il fenomeno.
Pasquino parlò sicuramente di meno,ma sempre con la sua lingua velenosa e tagliente.
Se ne accorse anche il Duce,quando fece rimettere a nuovo Roma per la venuta del Fuhrer.
Al collo di Pasquino comparve un eloquente:
“Povera Roma mia de travertino!T’hanno vestita tutta de cartone pè fatte rimirà da ‘n’imbianchino…”

Dal blog www.paultemplar.wordpress.com

gennaio 6, 2009 Pubblicato da: | Drammatico | , , , , , , , , | 1 commento

L’armata Brancaleone

L'armata Brancaleone locandina

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Un film nato quasi per gioco,e che viceversa si trasformò in un autentico evento di costume,che rivoluzionò il modo di presentare il medioevo,che non è più popolato di nobili cavalieri e donzelle,di duelli e di certami cavallereschi,ma pieno di gente comune,i perdenti e gli sconfitti,quelli che Monicelli tanto prediligeva mostrare sullo schermo.

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Una rivoluzione copernicana,a cominciare dai dialoghi,in un italiano delle origini buffo e irresistibile,infarcito di locuzioni dialettali,con dialoghi alle volte surreali,ma assolutamente innovativi;in mezzo una banda di straccioni,quelli che Pasolini avrebbe definito sottoproletari senza arte ne parte,vero fulcro della vita sociale del medioevo. Il soggetto della coppia magica Age e Scarpelli,la regia di Monicelli e un cast di attori assolutamente straordinario completano il quadro di un’opera che segnò una svolta non solo nel costume,ma anche nella maniera di presentare,da allora in poi,un’epoca che era stata eccessivamente mitizzata o al contrario eccessivamente denigrata.

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Brancaleone da Norcia,rampollo di una nobiltà di provincia,ricca di blasone ma povera economicamente,parte per il feudo di Aurocastro per rivendicarne il possesso,secondo quanto affermato da una pergamena che il piccolo manipolo di straccioni gli ha presentato,senza però dire che quella pergamena è stata sottratta ad un nobile aggredito e che al momento del furto sembrava morto.

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Il gruppo,l’armata Brancaleone,scompaginato assieme di varia umanità,gira in lungo e in largo per la penisola,coinvolto in avventure grottesche,al limite e ben oltre il ridicolo;entra in un paese per saccheggiarlo e scopre che è affetto dalla peste,si unisce ad un gruppo diretto in Terrasanta,capeggiato dal monaco Zenone,salvo poi abbandonare anche questo quando il monaco precipita da un ponte.

Sempre più coinvolta in imprese grottesche,l’armata libera una donzella,promessa sposa di un nobile,salvo poi scoprire che la giovane donna non era affatto un giglio,giunge infine in un paesino per conquistarlo,e lo conquistano davvero,perchè gli abitanti,avvertiti dell’arrivo dei saraceni,consegnano le chiavi della città e fuggono.

Fatti prigionieri dai mori,vengono liberati da un misterioso cavaliere,che altri non è che il legittimo signore di Aurocastro,che a sua volta li vorrebbe mettere a morte;ma l’arrivo provvidenziale del monaco Zenone,salvatosi miracolosamente,li salva dalla morte;il nostro gruppo di simpatici e imbranati avventurieri ha ora una nuova meta,partecipare alla liberazione del Santo Sepolcro.

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Un film che diverte in maniera irresistibile,per tutta una serie di motivi;le avventure surreali del gruppo,che parla un linguaggio a metà strada tra il latino e il volgare,arricchito di neologismi assolutamente irresitibili si uniscono alla simpatia che suscitano,spontaneamente,proprio perchè sono dei perdenti.

Tutto è messo in burla,anche la morte;che appare una compagna di cammino fastidiosa,ma con la quale si può anche celiare;i paesaggi sono scarni,danno l’impressione reale di un Medioevo in cui la concentrazione degli abitanti è limitata ai piccoli centri urbani,in cui ognuno si fa furbo per sopravvivere,in un’epoca popolata da briganti e malfattori.

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Lui,Brancaleone da Norcia,è un loquace e spaccone avventuriero,al quale non manca la nobiltà d’animo;un pò guascone,un pò Don Chisciotte,Brancaleone ha comunque un senso morale e non manca di senso della giustizia.E’ un cialtrone,ma di quelli simpatici,a cui si perdona tutto.E Gasmann dipinge il suo personaggio in maniera perfetta,dando spessore,anima e umanità proprio al condottiero senza macchia e senza paura,almeno all’apparenza.

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Tutti bravi gli attori,a loro perfetto agio e sicuramente anche loro divertiti da quella strana sceneggiatura,da quello strano parlare e da quelle mirabolanti avventure su è giù per una penisola abitata da tanti straccioni,furbi,spietati e a volte anche umani. Chissà,forse il Medioevo era davvero questo,un’umanità un pò gaudente,un pò triste,in cui il destino di ognuno era legato a fattori imprevedibili,come la peste,le malattie i briganti e….le armate Brancaleone.

L’armata Brancaleone, un film di Mario Monicelli. Con Vittorio Gassman, Catherine Spaak,Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella,Barbara Steele, Carlo Pisacane, Folco Lulli, Fulvia Franco, Luis Induni, Pippo Starnazza, Ugo Fangareggi, Gianluigi Crescenzi, Luigi Sangiorgi, Joaquín Díaz, Tito García
Commedia, Ratings: Kids+16, durata 120 min. – Italia, Francia, Spagna 1966.

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L'armata Brancaleone banner protagonisti

Vittorio Gassman: Brancaleone da Norcia
Gian Maria Volontè: Teofilatto dei Leonzi
Catherine Spaak: Matelda
Folco Lulli: Pecoro
Maria Grazia Buccella: La vedova
Barbara Steele: Teodora
* Enrico Maria Salerno: Zenone
Carlo Pisacane: Abacuc
Ugo Fangareggi: Mangold
Gianluigi Crescenzi Taccone
Pippo Starnazza: Piccioni
Luigi Sangiorgi: Manuc
Fulvia Franco: Luisa
Tito García: Filuccio
Joaquín Díaz: Guccione
Luis Induni Luigi di Sangi
Carlos Ronda: Enrico di Andrea
Juan C. Carlos: Aldo di Scaraffone
Alfio Caltabiano: Arnolfo Mano-di-ferro
Philippa de la Barre de Nanteuil: Isadora

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Doppiatori italiani:

Enzo Liberti: Pecoro
Benita Martini: La Vedova
Luisella Visconti: Teodora
Franco Latini: Abacuc
Marcello Turilli: Mangold
Antonio Guidi: Arnolfo Mano-di-ferro

Fotografia: Carlo Di Palma
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Effetti speciali: Armando Grilli
Musiche: Carlo Rustichelli
Scenografia: Lorenzo Baraldi

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Non mi ha fatto impazzire. Ha cose meravigliose: innanzitutto il lessico delizioso (“fromboliere”, “folgore”, “proietto”…), poi i costumi, le superbe località agresti dell’Italia Centrale e Meridionale, la grande interpretazione di Gassman, la piacevolissima parte di Volontè, ma quello che manca è la tipica vivacità della commedia all’italiana, della quale questo film è ritenuto uno dei vertici. La vicenda è però lenta, non appassionante, fatta di avvenimenti prevedibili, con parentesi di troppo. Forse sono io che non ho capito bene il film.

Interessante “operazione cinematografica” diretta, come il sequel, da Mario Monicelli che combinò gli umori della commedia all’italiana di stampo classico (ovvero rassegna di caratteri per realizzare una riflessione sulla società) con i toni della farsa e del film in costume. Il risultato è un film molto divertente (ma che offre parecchi spunti di riflessione grazie all’arguta sceneggiatura) anche grazie all’introduzione di un simpatico linguaggio misto tra latino ed italiano arcaio/volgare. Grande Gassman,particolarmente istrionico.

Cavaliere di mezza tacca guida un gruppo di sfigati tra paesi, duelli e battaglie. Monicelli (con Age e Scarpelli) è un Cervantes grottesco che crea un Medioevo trucido e cialtrone caratterizzato da un italiano maccheronico e burino: ne viene fuori uno squinternato e spassoso romanzo cavalleresco, che ha in Gassman un eccellente interprete e nei paesaggi dell’Italia centrale il sapore di una storia che si può irridere, ma anche usare come metafora grottesca della nostra realtà fatta di fanfaroni e litigi sotto l’ala incombente della morte.

Spesso considerato (a torto) una delle tante e semplici commediole italiane dell’epoca, è in realtà un film ben più complesso, ricco di riferimenti (alti) cinematografici, musicali e letterari. Notevolissime le invenzioni linguistiche, così come pure la fotografia di Carlo De Palma, i personaggi (alcuni dei quali irresistibili), le interpretazioni degli attori, i titoli di testa e di coda, i costumi, le musiche e chi più ne ha più ne metta. Un capolavoro ricco di idee, inventiva e fantasia. Da vedere e rivedere ed assolutamente da non perdere.

Insignissima opera de lo bravo Monicelli e de li sceneggiatori sua, qui ponet a loro agium magna actora quali lo Gassman e lo Volontè (graditam sorpresa in rolo non solito) et una serie bravorum caratteristi (intra quali lo Pisacane fora rolo est). La pelicula denunziat nu poco de ripetitivitas temorum et lentezzam di fondum sed le multa felix trovatam, lo cantum e lo idioma latino vulgaris mirabili sunt. Tanto che puro lo criticum contagiatus est.

Fantasia coloratissima, sgargiante e tanto, tanto divertente imitatissimo sino al pessimo Attila  con Abatantuono. Questo neologismo costante, questo carnevale goduto e godurioso è ricco di trovate (la corte bizantina, il paese degli appestati, la doppia esecuzione, la consegna della “vergine”), vero e proprio compendio in chiave comica di storia della seconda liceo. Monicelli memore dei Soliti Ignoti  (quasi un remake questo film, a tratti) inventa una compagnia di pezzenti guidati da un Gassmann in excelsis, pezzente e valoroso, sfigato e idealista.

Penso che questo sia il genere di film che Monicelli preferiva dirigere, visti anche i simil-autoplagi futuri. Un manipolo di sfigati fieramente capeggiato da Brancaleone scorrazza per lo Stivale combinando divertenti disatri a ripetizione. Belli i costumi e la ricostruzione medievale. Domina su tutti un Gassman teatrale fin sopra i capelli, che sfoggia imperiosamente un linguaggio aulico che è musica per le orecchie. Volontè invece si accontenta del ruolo di spalla occasionale. La colonna sonora ormai precede la fama dell’opera stessa.

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“Cedete lo passo tu!”

“Transitate lo cavalcone in fila longobarda”

“No, no.. ite anco voi sanza meta, ma de un’altra parte…”.

“Sarai mondo se monderai lo mondo!”

“Aquilante della malasorte!”

“Lo patre mio, barone di Norcia, morette quando io era in età di anni 9. Mia madre riandette a nozze con uno malvagio, lo quale avido dei beni miei mi consegnò ad uno sgherro, omo di facile pugnale, acché mi uccidesse. Ma non lo facette: preso di rimorsi mi abbandonò in uno bosco, ov’io sopravvissi, solo, e crebbi libero e forte come una lonza. Arrivato all’età degli anni 20 mi appresentai allo castello per reclamare il mio, ma infrattanto matre et patrigno si erano morti dopo aversi scialaquato cose ed ogni bene. Tanto che quando io dissi: “Brancaleone sono, unico legittimo erede di ogni cosa che avvi”, lo capitan de’ birri gridò: “Bene, e tu pagherai li debiti! Afferratelo!!”. Al che io brandii l’arma, ferii due guardie e fuggii… da allora vado errando e pugnando…”

“All’erta, miei prodi! Vi siete finora coperti di merda! Copritevi oggi di gloria! “

“Facemo 1.000 petecchioni, e contenti li sapienti e li minchioni! “

“Oh, gioveni! Quando vi dico sequitemi miei pugnaci, dovete sequire et pugnare! Poche conte! Se no qui stemo a prenderci per le natiche.”

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giugno 10, 2008 Pubblicato da: | Commedia | , , , , , , | Lascia un commento

L’uccello dalle piume di cristallo

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L’uccello dalle piume di cristallo è il primo film importante di Dario Argento,e segna contemporaneamente il suo ingresso nel cinema come regista di thriller;un film importante,scorrevole,con una buona trama,che segnò effettivamente una stagione,visto che molti registi usarono nomi di animali per i titoli dei loro film.Una maniera per attirare pubblico sui loro prodotti,un sistema se vogliamo ingenuo,ma efficace.

Il film inizia con un giovane scrittore,Sam Dalmas,che sta per rientrare nel suo paese d’origine,gli Stati Uniti;accade però che la sera antecedente la sua partenza assista ad un omicidio,quello di una donna,Monica.

La donna non muore,e Sam scopre grazie al commissario incaricato del caso,che non è la prima vittima di fatti di sangue.In città c’è un serial killer che ha già accoltellato tre donne.

Sam inizia ad investigare,tallonato dal killer,che per due volte tenta di ucciderlo,lui riesce a scampare agli agguati,ma la prossima vittima è la sua fidanzata Giulia.

Anche Giulia si salva,e grazie alla sua telefonata,registrata,viene identificato un rumore di fondo;un verso emesso da u uccello,l’uccello dalle piume di cristallo,che vive solo ed esclusivamente nello zoo della città

Sam e la polizia si recano sul posto,identificano la finestra e arrivano appena in tempo per fermare il marito di Monica che sta strangolando la moglie.

Sembra tutto finito,ma……..

Un film sicuramente d’effetto,ben girato,con una buona tensione;bella la scena del tentato omicidio di Monica,con Musante che osserva tutto attraverso un grande vetro.

Un film di Dario Argento. Con Enrico Maria Salerno, Tony Musante, Suzy Kendall, Umberto Raho, Werner Peters, Mario Adorf, Eva Renzi, Renato Romano, Fulvio Mingozzi, Rosita Torosh, Carla Mancini. Genere Thriller, colore 96 minuti. – Produzione Italia 1970.

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Tony Musante: Sam Dalmas
Suzy Kendall: Giulia
Enrico Maria Salerno: Commissario Morosini
Umberto Raho: Alberto Ranieri
Eva Renzi: Monica Ranieri
Mario Adorf: Berto Consalvi
Raf Valenti:Professor Carlo Dover
Gildo Di Marco: Garullo/Addio
Giuseppe Castellano: Monti
Pino Patti: Faiena
Fulvio Mingozzi: poliziotto
Omar Bonaro: poliziotto
Bruno Erba: poliziotto
Annamaria Spogli: Sandra Roversi, terza vittima
Rosita Torosh: quarta vittima
Karen Valenti: Tina, quinta vittima
Werner Peters: antiquario
Reggie Nalder: inseguitore col giubbetto giallo
Maria Tedeschi: anziana nella nebbia
Carla Mancini: ragazza che guarda la TV
Giovanni Di Benedetto: Professor Rinaldi

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Regia Dario Argento
Soggetto Dario Argento
Sceneggiatura Dario Argento
Produttore Salvatore Argento
Casa di produzione Seda Spettacoli, Central Cinema Company Film (CCC)
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Vittorio Storaro
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Dario Micheli
Costumi Dario Micheli
Trucco Pino Ferrante

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Vai in Italia, hai bisogno di pace, di tranquillità, è il paese della poesia. Non succede mai niente in Italia!

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giugno 6, 2008 Pubblicato da: | Thriller | , , , , , , | 2 commenti

Anonimo veneziano

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Due vite distanti,separate dalla vita. Lui,un musicista d’oboe,che voleva diventare direttore d’orchestra e che sta per dirigere finalmente la sua prima opera,lei è la sua ex moglie,che da lui ha avuto un figlio e che va a Venezia a trovarlo,dopo sette anni. Due destini che si incontrano per l’ultima volta,perchè lui è ormai in fin di vita per un cancro alla testa.

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Florinda Bolkan

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Toni Musante

Sullo sfondo di una Venezia crepuscolare e romantica,lui e lei consumano gli ultimi giorni,entità ormai estranee,anche se ancora legate da un filo invisibile.

Lui sa che deve morire,ha anche scritto una lettera alla moglie,che non ha mai spedito,nella quale racconta la decisione di farla finita,per paura della sofferenza e della decadenza fisica. Un film romantico e disperato,una storia di destini paralleli,una storia di parole,a volte crudeli, dette ma in fondo non sentite.

Perchè l’amore è anche dolore,non sempre gioia.

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Tratto dal romanzo di Berto,e ottimamente diretto da Enrico Maria Salerno,un film molto bello e intenso,ben recitato da Musante e da un’affascinante Florinda Bolkan,con musiche davvero struggenti di Stelvio Cipriani.Segnalazione, ovviamente, per la fotografia, che illumina di una luce romantica una Venezia quasi sospesa nel tempo; la città lagunare ben si presta a fare da cornice ad amori di tutti i tipi,ed Enrico Maria Salerno ne rende l’atmosfera con sincera malinconia, quasi ad incastonare la storia d’amore, tragica ed immensa, ma allo stesso tempo piccola e privata, dei due coniugi.

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Due parole sulla Bolkan; è al suo primo ruolo importante, e rende il suo personaggio delicato e struggente, grazie anche all’estrema espressività del volto e alla sua bellezza quasi irreale, che ben si incastona nella Venezia decadente e romantica su descritta.

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Un film di Enrico Maria Salerno. Con Florinda Bolkan, Tony Musante, Toti Dal Monte, Brizio Montinaro, Giuseppe Bella. Genere Drammatico, colore 94 minuti. – Produzione Italia 1970.

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Florinda Bolkan: Valeria
Tony Musante: Enrico
Toti Dal Monte: donna che mostra la casa a Enrico e Valeria

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Regia Enrico Maria Salerno
Soggetto Enrico Maria Salerno, Giuseppe Berto
Produttore Turi Vasile per Ultra Film
Distribuzione (Italia) INTERFILM (1970)
Fotografia Marcello Gatti
Montaggio Mario Morra
Musiche Stelvio Cipriani
Scenografia Luigi Scaccianoce

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aprile 20, 2008 Pubblicato da: | Drammatico | , , | Lascia un commento