Permette? Rocco Papaleo

Rocco Papaleo è un ex pugile, dall’indole bonacciona e fiduciosa; emigrato dalla Sicilia per tentare la fortuna in America, dopo aver lasciato la boxe perchè troppo tenero per uno sport così grintoso, Rocco è finito a lavorare come ascensorista in Alaska.
Un giorno decide di seguire dei suoi amici a Chicago per vedere dal vivo un importante incontro di boxe; qui Rocco per un pelo evita di essere investito dall’auto guidata dalla bella modella Jenny, che per scusarsi in qualche modo, invita l’uomo a vedere l’incontro nel suo appartamento.

Marcello Mastroianni
L’invito nasconde ben altro, ma l’ingenuo Rocco non raccoglie la malizia insita nella donna: incapace com’è di capire le sottigliezze maliziose della donna, finisce per gettare alle ortiche quella che può essere un’avventura galante.
Equivocando l’atteggiamento della donna, il candido Rocco finisce per seguire sempre più spesso la donna,tentando inutilmente di restare solo con lei. L’uomo finisce così come un agnello tra i lupi, in una città dove la regola d’oro sembra essere la sopravvivenza ad ogni costo.

L’ingenuo e spaesato Rocco diventa così preda del peggio della città.
Finirà per incontrare un sordido campione di umanità, nel quale spiccano le figure di una prostituta che non esita a mettergli nel letto la figlia minorenne e altre figure meschine, fino a quando non verrà pestato a sangue e derubato.
Scosso dall’episodio, ma nonostante tutto ancora fiducioso nell’umanità, con una voglia di comunicare anche commovente, Rocco tenta un’impossibile approccio con la bella Jenny, che per tutta risposta lo assale gridandogli il suo disprezzo per la sua natura gentile e fiduciosa.


E’ questo il punto di svolta, quello che mette in crisi il bravuomo e che lo costringe ad un atto estremo; sicuro di non poter sopravvivere in un mondo di lupi, in una giungla dove conta solo la legge della sopravvivenza, Rocco Papaleo si arma con una potente bomba e da quel momento diventa una mina vagante, pronto a farsi giustizia alla prima occasione utile.
Permette? Rocco Papaleo è un gran bel film firmato da uno dei migliori registi italiani, Ettore Scola.
Diretto nel 1971, segue due tra le migliori opere del regista, Il commissario Pepe del 1969 e Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) del 1970 ed è un film malinconico, pessimista e amaramente descrittivo della condizione degli emigrati italiani in America, pur non essendo questa la tematica fondamentale del film.

Il tema portante è infatti la solitudine emotiva del protagonista, un uomo profondamente buono e ingenuo, fiducioso e dal gran bisogno di comunicare, che vede infranti tutti i suoi tentativi per colpa di una società disumana e alienante come quella americana, competitiva all’eccesso e dominata da rapporti interpersonali aridi ed egoistici.
Rocco Papaleo è un uomo con dei valori di riferimento molto forti, che svaniranno del tutto quando finalmente, dopo tante delusioni e dopo il colpo di grazia dato dalla cinica Jenny, che gli rimprovera i fallimenti della sua vita e dipinge i suoi pregi come dei difetti imperdonabili, finirà dicevo per prendere coscienza del fatto che chi è agnello è destinato fatalmente ad essere preda dei lupi e che dopo questa amara constatazione, deciderà di difendersi con una bomba, che l’uomo, emulo del bombarolo de andreiano, porterà con se per utilizzarla nella prima occasione utile.

E’ un’America ostile e disumana, quella descritta da Scola, che tuttavia privilegia più l’introspezione psicologica del personaggio Papaleo, messo in chiaro contrasto con la società a stelle e strisce, ormai destinata ad un futuro fatto di egoismi personali portati all’esasperazione.
L’incarnazione fisica di Rocco Papaleo è uno straordinario Marcello Mastroianni che crea un personaggio dolorosamente umano, simpatico e perdente, un perdente nella vita, è vero, ma che moralmente giganteggia in un mondo di nani.
L’attore laziale occupa la scena da consumato ed espressivo talento naturale, capace di rendere le sfumature del suo personaggio con enorme naturalezza; accanto a lui una bella Laureen Hutton e cosa abbastanza insolita, un cast di comprimari praticamente sconosciuti, evidente tributo all'”americanicità” del film.


Permette? Rocco Papaleo è un bel film, molto sottovalutato all’epoca della sua uscita nelle sale per motivi inspiegabili; forse l’abbondanza di prodotti di alto livello spinse i critici a storcere il naso, forse giocarono altri fattori.
Sta di fatto che questo è un film da vedere assolutamente.
Permette? Rocco Papaleo
Un film di Ettore Scola. Con Marcello Mastroianni, Lauren Hutton, Tom Reed, Margot Novak,Umberto Tagliavini, Brizio Montinaro Commedia, durata 123′ min. – Italia 1971.









Marcello Mastroianni … Rocco
Lauren Hutton … Jenny
Tom Reed … Gengis Khan
Margot Novak … Linda
Umberto Travaglini … Alcantara

Regia Ettore Scola
Soggetto Peter Goldfarb, Ruggero Maccari, Ettore Scola
Sceneggiatura Peter Goldfarb, Ruggero Maccari, Ettore Scola
Produttore Pio Angeletti, Adriano De Micheli
Fotografia Claudio Cirillo
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Armando Trovajoli


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Gabriela

Bahia, Brasile-1925
L’italo-arabo-brasiliano Nacib Saad è il proprietario del locale bar “Il vesuvio”
L’uomo ha nelle vene sangue italiano per parte di madre ( la donna era di origine napoletana) e arabo per parte di padre; vive ormai da molto tempo in Brasile, tanto da esserne diventato cittadino a tutti gli effetti.
L’uomo vive discretamente dai proventi del suo bar, ma un giorno si ritrova all’improvviso senza cuoca; decide così di andarsela a cercare al mercato della manovalanza brasiliana, un posto popolato da disperati alla ricerca di lavoro. Qui incontra una ragazza molto bella ma anche sporca e stracciata che sostiene di saper cucinare.


Assuntala come sostituto cuoca, la bellissima e seducente Gabriela, questo il nome della ragazza dimostra davvero di saperci fare tra i fornelli e rimpinza il suo datore di lavoro con manicaretti prelibati; da quel momento il maturo Nacib perde la testa per la giovane brasiliana tanto da decidere di sposarla.
Il che gli crea dei grossi problemi essendo la ragazza priva di documenti oltre che figlia di ignoti.
Con l’aiuto dell’amico avv.Tonico, Nacib riesce a produrre dei documenti falsi per la donna e così la sposa.

Anche se legati da vero affetto, Nacib e Gabriela sono troppo diversi fra loro: giocano contro la stabilità del loro legame la differenza di età, di costumi e sopratutto di cultura.
Nonostante viva da anni in Brasile, Nacib non ha mai perso le sue radici mentre la bella Gabriela è una donna dalla prorompente sessualità e dalla moralità molto elastica, frutto appunto delle esperienze di vita e della sua cultura.
Ed infatti succede che un giorno Nacib, messo sull’avviso da un garzone con il quale ha litigato e che vuole vendicarsi, scopra Gabriela a letto con il suo amico Tonico; alla delusione per il comportamento della moglie si aggiunge la rabbia per il tradimento tanto che l’uomo sembra sul punto di uccidere l’avvocato. Ma si limiterà a colpirlo con la pistola e a lasciare sua moglie completamente nuda alla mercè della vista di tutti.

Nacib avendo scoperto Gabriela in flagranza di reato potrebbe ucciderla e restare impunito, come previsto dalla legge di inizi secolo brasiliana; ma decide di perdonarla ottenendo l’annullamento del suo matrimonio.
Ma Gabriela non si è rassegnata e del resto anche a Nacib manca quella donna sensuale e allegra. Così….
Diretto nel 1982 da Bruno Barreto su soggetto tratto da una novella di Jorge Amado Gabriella, garofano e cannella, Gabriela è un mediocre melodramma con all’attivo solo due cose positive: la presenza di Marcello Mastroianni che interpreta Nacib e quella della regina delle telenovelas Sonia Braga.

Mastroianni è sempre un bel vedere, anche quando è costretto a vestire (a sessantanni) i panni dell’uomo sessualmente eccitato da una moglie molto più giovane di lui e sopratutto molto vogliosa e sessualmente disponibile.
Sonia Braga, a parte un fisico spettacoloso, altro non mostra sia per l’esiguità della trama e della sceneggiatura sia perchè francamente è attrice da tv e molto meno da cinema anche se nel suo curriculum non mancano prove di buon livello come quella fornita nel famoso Donna Flor e i suoi due mariti e in Il bacio della donna ragno.
Il film è tendenzialmente noioso e sonnolento, provoca qualche risveglio proprio in concomitanza con scene torride come quelle che vedono protagonista l’allupata Gabriela sia con il marito sia con l’amante.
Barreto, regista di una ventina di film, il più significativo dei quali è Donna Flor e i suoi due mariti dirige svogliatamente un film che nelle intenzioni doveva essere un dramma sulla differenza di età e di cultura, sulle difficoltà di conciliare le due cose e sull’impossibilità (alle volte) di mettere d’accordo origini così differenti.

In pratica invece spinge l’acceleratore sopratutto sull’aspetto sensuale del film e accentrando tutto sulla sua protagonista, che mostra nuda con sospetta frequenza.
Vediamo infatti l’affascinante Gabriela fare il bagno con piacere sia personale che dello spettatore per qualche istante di troppo; se la cosa può riscuotere successo almeno a livello di piacere per gli occhi si trasforma in evidente e mero tentativo di strizzare l’occhio ad un certo tipo di pubblico.
Tutte le intenzioni relative alla creazione di un dramma popolare, discorsi socio culturali e il resto rimangono nel cassetto così il risultato finale è un film da sbadigli e nulla più. A salvarsi sono solo i paesaggi e la natura brasiliana, che testimoniano come la saudade dei suoi abitanti trasportati fuori dal paese verde oro sia più che giustificata.
La sceneggiatura e la trama sono davvero ben poca cosa e Barreto alla fine riesce a scontentare tutti, incluso il buon Mastroianni autore di una prestazione da minimo sindacale e autore anche di una clamorosa gaffe televisiva nella quale definì la Braga “una bella cozza nera”.

Stroncato dai critici e rinchiuso in un cassetto, Gabriela non ebbe nemmeno il sostegno dell’autore del romanzo, Amado, che si limitò a dire che gli attori avevano fatto la loro parte.
Il che è davvero molto poco per valere la visione del film.

Gabriela
Un film di Bruno Barreto. Con Marcello Mastroianni, Sonia Braga, Antonio Cantafora Drammatico, durata 102 min. – Italia, Brasile 1983.












Sonia Braga: Gabriela
Marcello Mastroianni: Nacib Saad
Antônio Cantafora: Tonico Bastos
Tânia Boscoli: Glória
Nicole Puzzi: Malvina
Paulo Goulart: João Fulgêncio
Ricardo Petraglia: Josué
Lutero Luís: Manuel das Onças
Flávio Galvão: Mundinho Falcão
Jofre Soares: Ramiro Bastos
Maurício do Valle: Amâncio Leal
Nildo Parente: Maurício Caires
Ivan Mesquita: Melk Tavares
Luís Linhares: Jesuíno Mendonça
Emile Edde: il poeta Argileu
Nélson Xavier: il capitano
Nuno Leal Maia: Rômulo
Cláudia Jimenez: dona Olga
Chico Diaz: Chico Moleza
Zeni Pereira: dona Arminda

Regia Bruno Barreto
Soggetto Jorge Amado
Produttore Ibrahim Moussa e Harold Nebenzal
Fotografia Carlo Di Palma
Musiche Antonio Carlos Jobim

Rita Savagnone: Gabriela
Marcello Mastroianni: Nacib Saad
Anna Rita Pasanisi: Glória
Gianni Marzocchi: João Fulgêncio
Michele Gammino: Mundinho Falcão
Giorgio Piazza: Ramiro Bastos
Luciano De Ambrosis: Amâncio Leal
Roberto Villa: Melk Tavares
Sandro Acerbo: Chico Moleza
Deddi Savagnone: dona Arminda








La donna della domenica
Torino.
E’ una caldissima giornata estiva e la città è quasi deserta.
In un appartamento cittadino si compie un dramma: l’architetto Garrone, un viscido e traffichino frequentatore dei margini della società bene torinese viene ucciso brutalmente.
L’arma del delitto è quantomeno inusuale.
All’architetto infatti è stato sfondato il cranio con un pesante fallo di pietra.
A dirigere le indagini viene chiamato il romano Santamaria che da subito si rende conto di ritrovarsi tra le mani una brutta gatta da pelare.
L’uomo infatti frequentava il salotto buono della città, in particolare quello dei coniugi Dosio che lo disprezzavano apertamente.
L’esclusivo gruppo lo tollerava pur ritenendolo un uomo gretto e meschino;sopratutto Anna Carla Dosio, l’annoiata moglie dell’industriale Dosio era in prima linea tra i detrattori del losco architetto.

Marcello Mastroianni (Santamaria) e Jean Louis Trintignant (Massimo Campi)
Quando i superiori di Santamaria apprendono i nomi di coloro che sono indagati per il delitto, iniziano a premere sull’inquirente per raccomandargli prudenza.
Le indagini iniziano così proprio nella cerchia dei frequentatori del salotto, fra i quali c’è la coppia omosessuale composta da Massimo Campi, erede di una ricchissima e antica famiglia torinese e da Lello Riviera, un giovane timido e riservato che ama Massimo profondamente.

Claudio Gora, il viscido architetto Garrone
L’unica traccia che ha Santamaria è la descrizione sommaria dell’assassino fatta da colui che ha scoperto il cadavere, il geometra Bauchiero, che descrive la presenza sul luogo del delitto di una donna bionda che indossava un impermeabile, che aveva con se una borsa sportiva arancione e nelle mani un tubo porta disegni.
Muovendosi con circospezione in un ambiente che mostra di avere tanti segreti, alcuni dei quali innominabili e sopratutto una morale gretta e meschina tipica di un ambiente esclusivo poco propenso all’apporto esterno di persone considerate socialmente “al di sotto”, Santamaria arriverà alla soluzione dell’enigma trovando l’insospettabile colpevole e sopratutto allacciando una fugace relazione con la bella signora Dosio che alla fine lo pianterà per riprendere la solita oziosa e inutile vita da ricca borghese.

La bottega dei falli di pietra
Tratto dal bellissimo romanzo di Carlo Fruttero e Franco Lucentini edito nel 1972, La donna della domenica è la quasi fedele trasposizione del romanzo stesso operata da Luigi Comencini nel 1975, con esiti assolutamente felici.
Il grande regista di Salò mette la sua ironia, una volta tanto non pesante in eccesso e sopratutto non colorata di nero al servizio di un’opera cinematografica che si segnala per tutta una serie di peculiarità.
Prima di tutto per la splendida sceneggiatura curata dagli stessi scrittori del romanzo ampliata dalla presenza di due fini sceneggiatori come Age e Scarpelli, poi per la presenza di un cast di grandissimo livello e infine per l’abilità di Comencini di riprendere le atmosfere del romanzo riportandole con grande fedeltà sullo schermo.
Sono cose che contribuiscono in maniera determinante alla credibilità del film stesso, che per lunghi periodi appassiona, diverte, fa riflettere anche se sempre in maniera leggera, così come leggera e la vicenda che seguiamo sullo schermo.

Pino Caruso ( Commissario De Palma) e Lina Volonghi (Ines Trabusso)
Leggera, si, nonostante il delitto iniziale; prima di tutto per la scelta dell’arma da parte dell’assassino, un fallo di pietra, poi per la mancanza totale dell’elemento sangue.
C’è stato un delitto, è vero, ma la cosa ha poca importanza.
Prima di tutto perchè il defunto è un essere spregevole, uno di quelli che l’umanità non piange di certo poi perchè le vicende dei vari sospettati prendono immediatamente il sopravvento su tutto.
L’ambiente indolente, a tratti vizioso, principalmente afflitto da una morale piccolo borghese ed esclusiva che lo avvolge come una cortina impenetrabile ci suona così antipatico che non parteggiamo per nessuno dei protagonisti.
Forse l’unico a suscitare un piccolo moto di simpatia è l’innamoratissimo Lello, che diverrà poi la seconda vittima della vicenda quando verrà ucciso al mercato del Balun dopo aver capito chi è l’assassino.

Jacqueline Bisset è Anna Carla
Seguiamo così il buon Santamaria alle prese con i superiori che da un lato lo spingono ad usare la massima circospezione ( un vero e proprio tentativo di insabbiamento, in effetti) e alle prese anche con un movente che all’inizio sembra più passionale che venalmente economico.
Così, dopo una vasta carrellata di tutti i personaggi implicati nella storia, ci ritroviamo immersi in un giallo in cui l’ironia di Comencini fa da musa invisibile.
Splendida la visita di Santamaria e di Anna Carla Dosio alla fabbrica di falli di pietra che si conclude con la distruzione di un bel mucchio degli stessi, destinata al mercato degli stranieri, con Anna Carla tutta eccitata dalla novità rappresentata sia dagli eventi che scuotono il torpore dorato in cui vive, sia dall’attrazione che prova per il bel commissario romano.

Lello confessa la sua relazione con Massimo
Quando il film si conclude, restiamo con un tantino di amaro in bocca non certo per la delusione nello scoprire le motivazioni del colpevole, quanto perchè sono passate due ore di sano divertimento e vorremmo usufruirne ancora.
Grazie sopratutto a Marcello Mastroianni che disegna splendidamente la figura del cinico ma sorridente Santamaria, uno che affronta la vita come un gioco a cui partecipare con il distacco più grande possibile; merito di una bellissima Jacqueline Bisset che è naturalmente predisposta al ruolo della donna di classe, ricca elegante e bella e sopratutto annoiata dalla sua vita dorata fatta del nulla più totale, ovvero cene, parrucchiere e pettegolezzi.

A sinistra: Aldo Reggiani (Lello Riviera)
E merito anche del cast variegato di caratteristi e non che affollano la pellicola; a partire da Pino Caruso, il Commissario De Palma anche lui furbo e cinico, per proseguire con la coppia omosessuale Jean Louis Trintignant e Aldo Reggiani (Massimo Campi e Lello Riviera), entrambi credibilissimi nel ruolo degli amanti impossibili.
Claudio Gora è inscindibile dal suo personaggio interpretato, quel Garrone viscido come una lumaca senza guscio, Lina Volonghi si cala perfettamente nel ruolo di Ines Tabusso, la donna che si lamenta del via vai di prostitute che ha sotto casa (memorabile la sequenza della caccia ai frequentatori di lucciole, che produrrà alcune grosse sorprese, non tutte piacevoli)

La splendida Jacqueline Bisset
Spazio anche a grandi caratteristi come Gigi Ballista, Antonino Faà di Bruno, Omero Antonutti e segnalazione per il visagista delle dive, Gil Cagnè che interpreta se stesso rifacendosi ironicamente il verso.
Insomma, una commedia tinta di giallo, gustosa, fresca e divertente che permette di passare due ore davanti allo schermo in perfetta sintonia con quello che accade sullo schermo, impigrendosi al caldissimo sole di Torino, sorridendo dei tanti vizi che costellano la vita sociale dell’alta borghesia della città stessa.
Sopratutto riconciliandosi con un certo tipo di cinema, quello della commedia, che nella metà degli anni settanta doveva fare i conti da un lato con la triste realtà degli anni di piombo, dall’altro con un cinema in cui la volgarità e il sesso avevano purtroppo largo spazio.
Infine, menzione d’onore per la precisa e puntuale colonna sonora di Ennio Morricone

Al centro della foto l’indimenticabile Franco Nebbia
La donna della domenica, un film di Luigi Comencini. Con Claudio Gora, Jacqueline Bisset, Jean-Louis Trintignant, Marcello Mastroianni, Aldo Reggiani,Pino Caruso, Gigi Ballista, Tina Lattanzi, Lina Volonghi, Clara Bindi, Giuseppe Anatrelli, Ennio Antonelli, Omero Antonutti, Renato Cecilia, Mauro Vestri, Antonio Orlando, Franco Nebbia
Commedia/Giallo, durata 105 min. – Italia 1975.

La retata sotto casa della Trabusso

Le indagini dei due commissari

La seconda vittima, Lello Riviera

Gigi Ballista (la location è il mercato Balon di Torino)
Marcello Mastroianni: Commissario Santamaria
Jacqueline Bisset: Anna Carla Dosio
Jean-Louis Trintignant: Massimo Campi
Aldo Reggiani: Lello Riviera
Pino Caruso: Commissario De Palma
Lina Volonghi: Ines Tabusso
Franco Nebbia: Bonetto
Maria Teresa Albani: Virginia Tabusso
Omero Antonutti: Benito
Claudio Gora: l’architetto Garrone
Gigi Ballista: Vollero
Fortunato Cecilia (col nome di Renato Cecilia): Nicosia
Tina Lattanzi: la madre di Massimo
Antonino Faà di Bruno: il padre di Massimo
Gil Cagné: il parrucchiere
Mauro Vestri: ragioner Cerioni:
Giuseppe Anatrelli: commissario
Antonio Orlando: Salvatore
Ennio Antonelli: ceramista Zabataro
Dante Fioretti: ragioner Buccero
Regia Luigi Comencini
Soggetto Fruttero e Lucentini
Sceneggiatura Fruttero e Lucentini, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
Produttore Marcello D’Amico
Fotografia Luciano Tovoli
Montaggio Antonio Siciliano
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Mario Ambrosino arredamento di Claudio Cinini
Costumi Mario Ambrosino

Il romanzo di Fruttero & Lucentini
Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Bissetiano. Impossibile non innamorarsi di Jacqueline Bisset, che sposa bellezza ed eleganza in modo splendido. Grandissimo cast, con una Lina Volonghi fantastica, da urlo. Ma tutti sono bravissimi. Ci sono anche, fra i tanti, Gigi Ballista (antiquario disonesto), Antonutti, Anatrelli puttaniere. In picccolo ruoli, ma con una bella battuta, Mauro Vestri e Antonino Faà di Bruno. Non per provare tensione, ma per provare divertimento intelligente. “Deus ex machina” risolutivo un po’ diverso dal libro di Fruttero e Lucentini: già perdonato.
Tratto da un bel romanzo di Fruttero & Lucentini, il film si avvale dell’ottima sceneggiatura di Age & Scarpelli, che rimangono fedeli al romanzo, adattandolo in maniera ottimale ai tempi cinematografici. Ottima la ricostruzione dell’ambiente alto borghese di Torino, rispetto al quale il commissario Santamaria (romano trapiantato in Piemonte) mostra sempre un elegante distacco (Mastroianni appare attore ideale per il ruolo). Buona la caratterizzazione psicologica dei personaggi e cast (non solo il protagonista) all’altezza.
Age & Scarpelli, particolarmente attivi con Totò, imbastiscono una sceneggiatura dalle sfumature grottesche (quasi da commedia), ma che poi approdano – con millimetrica precisione – al giallo. Ottima la regia di Comencini, che riesce a valorizzare un cast significativo, partecipe e coinvolto con professionalità nella realizzazione del film. Titolo memorabile, per via d’un “modus operandi” del killer che sembra avere influenzato future produzioni (ora mi sovvengono solo L’Osceno Desiderio e La Sorella di Ursula).
Era inevitabile perdere per strada molte delle finezze del classico romanzo di Fruttero & Lucentini (basti per tutte l’inestinguibile cruccio dell’americanista Bonetto per lo sprezzante “taluno” sparato da un conferenziere rivale… ), ma un film è un film, e questo è buono. Mastroianni è un credibile Santamaria, la Bisset una dea, notevolissimo il cast secondario, col miglior ruolo al cinema della Volonghi. Forse stecca il solo Trintignant, non sempre vispo. Buono.
Discreta riduzione cinematografica del bel romazno giallo di Fruttero e Lucentini. Il ritmo non è certo vertiginoso (come d’altronde nel libro) eppure riesce ad essere abbastanza intrigante e coinvolgente. Peccato che la regia di Comencini sia un po’ troppo piatta. Buone invece le interpretazioni degli attori.
Chi ha ucciso il traffichino Garrone? Nei primi 10 minuti il film ci presenta tutti i sospettati, per poi riunirli tutti sul luogo del secondo omicidio. Bella gente, impiegati comunali, galleristi truffaldini, tutti indagati da Mastroianni, scettico e sornione, e da Pino Caruso, esuberante e perennemente sopra le righe. Da un famoso romanzo, Comencini mette in scena una Torino non molto filmata dal nostro cinema, con un cast di stelle e caratteristi doc. Il meccanismo giallo non è granché (un po’ alla Ellery Queen), ma il film si vede con piacere.
Discreta pellicola in bilico tra giallo e commedia. Registicamente il film non fa una piega, la fotografia è notevole e le musiche di Morricone sono un po’ sottotono ma comunque ben arrangiate e sempre piazzate al posto giusto. Molto lenta la sceneggiatura, soprattutto nella prima parte, anche se il coinvolgimento cresce lentamente per poi diventare molto elevato nell’ultima mezz’ora. Ottimo cast, con un perfetto trio di protagonisti e soprattutto pieno di gustosissime apparizioni in ruoli secondari.
Partendo dall’ottimo giallo di Fruttero & Lucentini, Comencini confeziona una discreta trasposizione che però si concede troppe libertà. Rispetto al testo la storia viene un po’ troppo semplificata e snellita, a discapito di alcuni personaggi fondamentali. Da ricordare soprattutto per il sempre bravo Mastroianni che dona al suo commissario Santamaria un buono spessore e l’ironia giusta.
Bella prova corale, equilibrio tra regia ferma e attori di gran livello che sanno condividere tra loro la scena e soprattutto alla base un gran bel romanzo. Un testo importante, ben scritto, dove in fondo l’ambientazione, l’atmosfera e lo sviluppo dei caratteri dei personaggi prevale sull’intreccio in senso stretto. Un’affascinante Torino, per certi versi sempre un po’ segreta e secretata al grande pubblico. Tre pallini.
Un giallo impeccabile, con un’ottima ricostruzione, ottimi personaggi e una trama solo apparentemente nella norma, ma che diventa incalzante pian piano che si dipana la matassa della brillante sceneggiatura su cui la pellicola si basa. Una Torino inedita e un film che brilla ad ogni fotogramma, musicato da una soundtrack di Morricone semplicemente superba.
Magari l’intellettuale di turno seduto sulla poltrona con la faccia un po’ schifata e il sopracciglio inarcato pensa che dormirà per tutto il film, ma sceneggiatori, regista, musicisti, attori e perfino i costumisti, si meritano un bel “bravo”. Perchè questo è un film dei singoli e anche corale. Immagino che ci sarà voluta una grande fermezza per disciplinare tanti mostri di bravura: un plauso a Comencini, tanto bravo da non sovrapporsi alla storia. La location del Balùn è da menzionare. Mastroianni è il solito grande attore, godibilissima Lina Volonghi.
Pregevole tentativo (imitato poco e male) di “terza via” al giallo italiano, qui epurato dai fremiti pruriginosi del filone lenzian-martiniano (ma se ne mantiene il contesto “vip”) e dalla violenza di quello argentiano. Comencini firma un giallo “maturo”, che coniuga grotteschi personaggi da commedia con il realismo mutuato dal poliziesco di costume. Non è perfetto ma non è nemmeno, come poteva sembrare dalla matrice letteraria, solo un film tutto sceneggiatura e attori: si respira aria di cinema, anche grazie a Tovoli e Morricone.
Da una storia poco intrigante il regista ha realizzato un gran bel film, che si fa guardare molto piacevolmente. Bravi tutti gli attori (in particolare Mastroianni) e bellissime le ambientazioni in una splendida Torino.
I gusti di Dusso
Bel film, cast all stars per la trasposizione cinematografica di uno dei migliori gialli italiani, scritti dalla premiata ditta Fruttero e Lucentini. Ambientazioni stile Anni Settanta molto gustose, protagonista bellissima (una Bisset in gran forma), sceneggiatura tutto sommato all’altezza del libro (e non era certo impresa facile). Claudio Gora si segnala in una delle sue migliori interpretazioni di viscido squallore, Mastroianni rende con la consueta maestria la sorniona nonchalance del Commissario Santamaria.
Da un capolavoro della scrittura non poteva uscire un film scadente. Questo bel giallo, torinese nell’anima, rimane come una delle opere più riuscite degli anni Settanta. Cast di prim’ordine con Mastroianni e Trintignant su tutti, trama complicata e storia appassionante. Con tutto un sostanzioso contorno di personaggi genuinamente macchiettistici e coloriture regionali che danno vita ad un’ambientazione molto definita: è il maggior pregio del film. Grande fotografia dell’Italia che fu: vicina a noi ma irrimediabilmente perduta.
Questa è una di quelle pellicole in cui attori come Mastroianni, magari in cerca di riposo da pellicole più impegnate, avrebbero potuto limitarsi a seguire il copione senza particolari sforzi interpretativi, considerate le intenzioni modeste del film. Invece, guarda caso, il film e l’attore in questione si rivelano essere molto al di sopra di qualunque aspettativa; la trama ha uno sviluppo apparentemente lento, poi progressivamente si infittisce, fino alla scoperta finale dell’assassino; ma prima di questa c’è sempre tempo per gustare i piccoli spunti di comicità che Comencini ha disseminato.

Mogliamante
Luigi ed Antonia sono una coppia sposata da qualche tempo.
Lui è uno stimato commerciante di vini, lei è una donna ricca, che però vive confinata in una camera da letto afflitta da una paralisi che è soltanto provocata da problemi psicologici.
I due vivono una relazione complicata; lui accusa la donna di essere frigida, lei gli rimprovera di lasciarla sempre sola.
Luigi in realtà ha una doppia vita; oltre ad essere un commerciante di vini, quindi sempre in giro per lavoro, è anche uno scrittore dagli ideali anarchici. Si cela dietro lo pseudonimo di Ulisse, con il quale pubblica saggi clandestini. Oltre a questo, tradisce a tutto spiano la moglie, per rifarsi di quella mancanza di affetto e di vita coniugale che non trova più con Antonia.
Una sera Luigi si trova ad assistere ad un omicidio, senza vedere chi l’abbia compiuto; avvicinatosi al cadavere dell’uomo viene visto da una ragazzina.
Certo di essere incolpato dell’omicidio, Liigi scappa con il suo calesse, che abbandona poco lontano da casa e si rifugia da suo cugino ( e vecchio amico) Vincenzo, che ha una merceria proprio di fronte casa sua.
Qui Luigi, che è ferito, si nasconde ma ha anche la possibilità di vedere quel che accade in casa sua.
Antonia, che ha visto ritornare il calesse senza il marito, decide di prendere in mano le redini dell’attività dell’uomo, e parte per visitare i suoi clienti.
Poco alla volta scoprirà che in fondo ha sposato un perfetto sconosciuto; il marito aveva in pratica una doppia vita, perchè manteneva una stanza in una locanda nella quale si rifugiava per scrivere, aveva una stanza anche al circolo cittadino, nella quale si incontrava con una sua amante, la dottoressa Paola e a volte anche con la segretaria, Clara, una ragazza in procinto di sposarsi e che vive con loro.
Non solo.
Luigi ha avuto anche un rapporto a tre con Clara e Paola.
Per Antonia è troppo.
Decide quindi di vendicarsi del marito, allacciando dapprima una relazione con un carabiniere, poi, insoddisfatta, con un medico idealista ingiustamente accusato di essere omosessuale e infine andando a letto sia con Paola che con il conte Brandini, allacciando così un triangolo proprio come aveva fatto suo marito.
Luigi, dalla sua stanza sulla merceria, assiste alla metamorfosi della moglie, impotente.
La vede tradirlo con il medico, trasformarsi in una donna completamente diversa da quella che lui ha conosciuto.
Un giorno Antonia capisce che il marito è vivo e si nasconde di fronte casa sua; incontra infatti Vincenzo, che non fuma, in una tabaccheria mentre fa scorta delle sigarette che fuma suo marito.
Marcello Mastroianni
Così, accompagnandolo a casa, vede socchiudersi le finestre di fronte e capisce che il marito è vivo.
La scoperta della vera identità dell’assassino, Enrico, adesso marito di Clara, pone fine alla necessità da parte di Luigi di nascondersi.
L’uomo torna a casa, dove Antonia lo attende, ancora innamorata di lui.
La coppia può riprendere a vivere insieme, ma su basi completamente diverse.
A quattro anni di distanza dal lusinghiero successo di Paolo il caldo, Marco Vicario, dopo l’esperienza non propriamente felice del film L’erotomane, torna sul set con un film ambientato ancora agli inizi degli anni venti, ancora una volta con un soggetto riguardante la middle class.
Questa volta non c’è un soggetto letterario a vincolare il regista, che scrive una sceneggiatura a due mani con Rodolfo Sonego; il risultato è più che accettabile, perchè la trama è intrigante e ben costruita.
Il cast è di ottimo livello, costruito attorno alla coppia Mastroianni-Laura Antonelli, con attori come Elsa Vazzoler, Gastone Moschin, Olga Karlatos, Annie Belle, William Berger,Hélène Chanel a fare da contorno.
Inaspettatamente, Mastroianni sembra un tantino in difficoltà con un personaggio tutto sommato non complesso, mentre la Antonelli, al culmine della sua bellezza, per una volta non si spoglia per nulla e recita più che dignitosamente.
Molto bene le altre due protagoniste femminili, ovvero Annie Belle, amante di Luigi e poi giovane vedova e Olga Karlatos, intensa nel ruolo della dottoressa Paola; Gastone Moschin è la solita sicurezza.
Il film ha qualche punto debole sul piano del ritmo e nell’eccesso di primi piani, quasi tutti riservati a Laura Antonelli e al suo personaggio che all’inizio appare davvero ambiguo.
Bella la fotografia, curata da Ennio Guarnieri, le musiche sono di Armando Trovaioli
Mogliamante, un film di Marco Vicario. Con William Berger, Marcello Mastroianni, Olga Karlatos, Laura Antonelli, Leonard Mann, Stefano Patrizi, Attilio Dottesio, Gastone Moschin, Elsa Vazzoler, Enzo Robutti, Luigi Diberti, Armando Brancia, Annie Belle
Drammatico, durata 107 min. – Italia 1977.

William Berger, Laura Antonelli e Olga Karkatos
Laura Antonelli – Antonia De Angelis
Marcello Mastroianni – Luigi De Angelis
Leonard Mann – Dr. Dario Favella
William Berger – Conte Brandini
Gastone Moschin – Vincenzo
Olga Karlatos – Dr. Paola Pagano
Stefano Patrizi – Enrico, fidanzato di Clara
Enzo Robutti – Il prete
Daniele Gabbai – IL carabiniere
Hélène Chanel – La locandiera
Paul Muller – Hotel concierge
Elsa Vazzoler – Teresa la cameriera
Annie Belle – Clara
Regia: Marco Vicario
Sceneggiatura: Marco Vicario, Rodolfo Sonego
Produzione: Franco Cristaldi, Alberto Pugliese
Musiche: Armando Trovajoli
Editing: Nino Baragli
Costumi:Luca Sabatelli
Divina creatura
La giovane e bellissima Manuela Roderighi, fidanzata con l’ingenuo Martino, conosce casualmente il nobile Daniele di Bagnasco, un duca abituato ad agi e mollezze, che divide il suo tempo tra passatempi futili e le relazioni sentimentali con donne della ricca borghesia o dell’aristocrazia. Siamo agli inizi del secolo, negli anni venti, in una Roma pigra e imborghesita, scenario delle mollezze di una classe sociale, quella aristocratica, della quale Daniele di Bagnasco incarna tutti i vizi e le scarsissime virtù.

Laura Antonelli è Manuela Roderighi

Terence Stamp è Daniele di Bagnasco
L’uomo, attratto dalla ragazza, la corteggia fino a farla diventare la sua amante, convinto poi di potersene liberare a piacimento. Ma per una volta il viziato playboy finisce vittima del suo gioco, e si rende conto di provare una irresistibile attrazione per la donna. Che ha una vita segreta ed equivoca; frequenta infatti la casa d’ appuntamenti della signora Fones. Daniele decide di uccidere la donna, ma alla fine la passione perversa che prova per lei ha il sopravvento; scopre cosi che la ragazza è stata iniziata ai piaceri del sesso e indotta alla prostituzione proprio da un suo parente, il cugino marchese Michele Barra .
Cambia obiettivo e decide di vendicarsi dell’uomo; lo fa avvicinare da Manuela, quasi a voler dimostrare a Michele, ma sopratutto a se stesso, che Manuela è ormai una cosa sua.. Le cose non vanno come previsto: Manuela,frequentando Michele, prova passione davanti anche all’appassionata difesa di Michele, che le confessa di essersi pentito del suo gesto di tanti anni prima. Inizia cosi un ambiguo triangolo, nel quale Manuela finisce per dividersi ta i due uomini.
Daniele non sa che la donna frequenta Michele ben oltre gli appuntamenti prefissati, ma lo scopre e affronta l’amante, che reagisce piantando tutto e scappando a Parigi. Il suo gesto segnerà in maniera differente le vite dei suoi ormai ex amanti: mentre Michele se ne fa una ragione e si converte al fascismo, trovando così immediatamente un’altra passione, Daniele , che è privo ormai di stimoli, tenta dapprima di offuscare i ricordi e i sentimenti con la cocaina, per poi finire suicida. Tratto dal romanzo di Zuccoli La divina fanciulla , questo film del 1975, diretto da Giuseppe Patroni Griffi è una rivisitazione elegante, ma anche fredda dello stesso.
Appare decisamente vano ma sopratutto presuntuoso il tentativo del regista di dorare con una patina di superficiale edonismo il mondo vizioso e ipocrita dell’aristocrazia, fermandosi troppo sui personaggi e meno sull’ambiente. Il risultato finale è una pellicola molto noiosa, elegante, ma priva di forza. Il personaggio di Manuela, interpretato maldestramente da Laura Antonelli, assolutamente inadatta al ruolo, finisce per assomigliare a quello di una sirena ammaliatrice, privo però di spessore psicologico, e non solo per gli scarsi mezzi mostrati dall’attrice. Mastroianni, che interpreta il marchese Michele Barra, si limita ad una mostra abbastanza abulica del suo talento, mentre Terence Stamp è davvero lontanissimo dal patrizio romano che dovrebbe incarnare.
Un film con molti, troppi difetti, in cui spiccano però le musiche di Bixio interpretate da Morricone. Il resto è solo un’elegante e patinata rivisitazione di un’epoca, ma senza anima e passione.
Divina creatura, un film di Giuseppe Patroni Griffi, con Terence Stamp, Laura Antonelli, Marcello Mastroianni,Michele Placido, Duilio Del Prete, Tina Aumont, Marina Berti, 1975 Italia
Laura Antonelli Manuela Roderighi
Terence Stamp Daniele di Bagnasco
Michele Placido Martino Ghiondelli
Duilio Del Prete Armellini
Ettore Manni Marco Pisani
Carlo Tamberlani Il MaggiordomoPasqualino
Cecilia Polizzi L’amante di Daniele
Piero Di Iorio Cameriere di Stefano
Marina Berti La maitresse di Manuela
Doris Duranti Signora Fones
Marcello Mastroianni Michele Barra
Tina Aumont Una prostituta
Regia Giuseppe Patroni Griffi
Soggetto Luciano Zuccoli (romanzo)
Sceneggiatura Giuseppe Patroni Griffi e Alfio Valdarnini
Produttore Luigi Scattini e Mario Ferrari
Casa di produzione Filmarpa
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Giuseppe Rotunno
Montaggio Roberto Perpignani
Musiche canzoni di Cesare Andrea Bixio, interpretate da Ennio Morricone
Scenografia Fiorenzo Senese
Costumi Gabriella Pescucci
Allonsanfan

La fine dell’era napoleonica, con conseguente restaurazione, seguita all’esilio di Napoleone a Sant’Elena è lo sfondo di questo dramma storico diretto nel 1973 dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani. Vi si narra la storia di Fulvio Imbriani, nobile italiano aderente alla setta dei Fratelli sublimi, ex appartenente all’esercito napoleonico ed ex giacobino; l’uomo viene rilasciato dopo la prigionia seguita alla fine dell’era napoleonica, rientra in famiglia e sembra intenzionato a dimenticare il passato, godendosi finalmente la famiglia, la bella casa e gli ozi.
I buoni propositi di Fulvio vanno a rotoli nel momento in cui, nella sua vita, ricompare la bella Charlotte, la donna con la quale ha avuto una relazione, dalla quale è nato il piccolo Massimo. La donna ha con se una grossa somma, destinata ai patrioti italiani del sud Italia; Fulvio ruba i soldi, con l’intenzione di usarli per il figlio, per garantire allo stesso un futuro di studi e renderlo economicamente indipendente. Eshter, sorella di Fulvio, denuncia il complotto, con conseguente morte della povera Charlotte.
Bruno Cirino
Ma la situazione è destinata a complicarsi quando irrompe nella vita di Fulvio la giovane Francesca, che costringe l’uomo a riprendere i contatti con i ribelli, che sognano la liberazione del sud Italia. Fulvio e i ribelli arrivano nel sud, dove ancora una volta si consuma il tradimento del nobile; finale amaro.
Allonsanfan è un film sul tradimento, sia quello dell’amicizia, quindi umano, sia su quello degli ideali; ideali di giustizia, libertà uguaglianza e pace sociale, che erano stati, almeno nelle intenzioni, il cardine principale su cui si era mossa la rivoluzione francese, e che Napoleone aveva in qualche modo tradito, esportando un’idea di uguaglianza sulla punta delle baionette, finendo per sradicare, in alcuni stati europei, un potere tirannico per sostituirlo con un alto non molto diverso. C’è questo, nel film dei fratelli Taviani, ma non solo.
C’è un evidente parallelo tra la storia ottocentesca del nostro paese riportata in parallelo con i tempi in cui fu girato il film, la prima parte del decennio settanta, con le sue contraddizioni irrisolte, figlie del decennio sessanta, fatto di speranze disilluse. Un film amaro, in fin dei conti, che simboleggia la fine degli ideali, le speranze disilluse, l’egosimo e molto altro. Grande Marcello Mastroianni nel ruolo di fulvio, l’uomo che tradisce un pò tutti, e alla fine, cosa più importante, tradisce se stesso e i propri vecchi ideali.
Mimsy Farmer
Molto brave le due interpreti principali femminili, Lea Massari nel ruolo di Charlotte e Mimsy Farmer in quello di Francesca; brava anche Laura Betti, che interpreta Esther, sorella di Fulvio. Asciutta la regia dei fratelli Taviani, il commento sonoro, delicato, è di Ennio Morricone.
Claudio Cassinelli
Allonsanfan, un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani con Marcello Mastroianni, Lea Massari, Laura Betti, Claudio Cassinelli, Bruno Cirino, Mimsy Farmer
Italia, 1973
Lea Massari: Charlotte
Mimsy Farmer: Francesca
Laura Betti: Ester Imbriani
Claudio Cassinelli: Lionello
Benjamin Lev: Vanni “Peste”
Renato De Carmine: Costantino Imbriani
Stanko Molnar: Allonsanfan
Luisa De Santis: Fiorella
Biagio Pelligra: il prete
Michael Berger: Remigiano
Alderice Casali: Concetta
Bruno Cirino: Tito
Ermanno Taviani: Massimiliano
Regia Paolo e Vittorio Taviani
Sceneggiatura Paolo e Vittorio Taviani
Produttore Giuliani G. De Negri
Casa di produzione Una Cooperativa Cinematografica
Fotografia Giuseppe Ruzzolini
Montaggio Roberto Perpignani
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Gianni Sbarra, Adriana Bellone
Costumi Lina Nerli Taviani
Così come sei

Giulio è un architetto attempato,vicino alla sessantina. Una vita tranquilla,una moglie,una figlia.
Un giorno,mentre è in visita a Firenze per lavoro,gli viene presentata una ragazza,Francesca,figlia di una sua ex. Tra i due inizia una relazione,passionale e torrida,fatta di incontri clandestini;la differenza di età tra i due e notevole,ed un giorno un amico di Giulio resosi conto della relazione tra i due,rende palese un suo sospetto;che Francesca possa essere figlia di Giulio,essendo nata subito dopo la fine della relazione tra l’architetto e la mamma della ragazza,che non ha mai reso noto il nome del padre di Francesca.
Giulio è scosso dalla rivelazione,ma più del timore dell’incesto,gioca la passione autentica che ormai prova per la ragazza;cerca di indagare sulla verità,ma alla fine lascia perdere tutto e continua la sua seconda giovinezza al fianco di Francesca.
Barbara De Rossi
I due,infatti,vanno in vacanza in Spagna,dove si abbandonano al delirio dei sensi;al ritorno Francesca si rende conto che l’esperienza potrebbe bruciarsi nella clandestinità,che hanno vissuto qualcosa di unico e irripetibile,ma che la relazione deve terminare;così,come aveva fatto sua madre,un giorno lo lascia,proprio all’uscita dalla proiezione di un film.

Marcello Mastroianni e Nastassja Kinski
Così come sei affronta un tema scottante,l’incesto,senza però affondare i colpi veramente;per il regista conta più lo scontro generazionale,la morale,l’amore e la passione,la confusa ribellione di anziani e giovani ad un mondo in cui è difficile essere.
Ma alla fine il tutto appare sfumato,senza incidere veramente;Mastroianni appare a disagio,soprattutto nelle scene erotiche del film,mentre la Kinskj è decisamente a suo agio nel ruolo della lolita seduttrice,capace di sfidare le convenzioni per quella che crede sia un’occasione per sfuggire al vuoto che confusamente avverte nella sua esistenza.
Bella la fotografia,con sullo sfondo Firenze,che appare sonnolenta e indolente,come l’erotismo della pellicola e come la passione che lentamente svanisce in Francesca.

Cosi come sei, un film di Alberto Lattuada. Con Francisco Rabal, Nastassja Kinski, Marcello Mastroianni, Giuliana Calandra, Ania Pieroni,Alberto Lattuada, Mario Cecchi, Massimo Bonetti, Claudio Aliotti, Rodolfo Bigotti. Genere Drammatico, colore 109 minuti. – Produzione Italia 1978.
Marcello Mastroianni: Giulio Marengo
Nastassja Kinski: Francesca
Francisco Rabal: Lorenzo
Mónica Randall: Luisa Marengo
Ania Pieroni: Cecilia
Barbara De Rossi: Ilaria Marengo
José María Caffarel: Bartolo
Giuliana Calandra: Teresa
Maria Pia Attanasio: Contessa Archi
Raimondo Penne: Notaio
Claudio Aliotti:
Massimo Bonetti: Allenatore cavalli
Mario Cecchi: Il giardiniere
Adriana Falco: Segretaria di giulio
Rodolfo Bigotti:
Regia Alberto Lattuada
Soggetto Paolo Cavara, Enrico Oldoini
Sceneggiatura Alberto Lattuada, Enrico Oldoini
Produttore Giovanni Bertolucci
Casa di produzione P.C. Ales
Fotografia José Luis Alcaine
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Louis Ducreux, Ennio Morricone, Marc Perrone
Scenografia Luigi Scaccianoce
Costumi Bona Nasalli-Rocca
Trucco Giuseppe Banchelli
La grande abbuffata
Quattro amici.Vite noiose,borghesi,prive di guizzi.Ugo (Ugo Tognazzi) è un cuoco-gourmet di classe;Marcello (Marcello Mastroianni) un pilota di linea puttaniere e assetato di sesso;Philippe (Philippe Noiret),un giudice che vive ancora con la sua balia,e che lo soddisfa anche sessualmente;in ultimo Michel (Michel Piccoli),importante regista televisivo dall’aria intellettuale,sempre con l’espressione insoddisfatta.I quattro hanno in comune la passione per la tavola,per le raffinatezze gastronomiche.
Così,un giorno,ognuno di loro saluta i rispettivi parenti,amici e amanti,per raggiungere la villa di Philippe.
Qui,in un posto decadente,dall’aria vissuta e retrò,tra vecchi fonografi,Bugatti,letti a baldacchino,residui di un tempo glorioso,scelgono la più allucinante delle morti,il suicidio per ingestione di gastronomie.
Invitano tre puttane e una maestrina che all’apparenza sembra una santarellina,e tra un cosciotto di maiale,un piatto di pasta,dolci e via discorrendo mettono in pratica il loro piano.
Le tre prostitute,sopravvissute a 24 ore di pranzi luculliani,fuggono convinte di rischiare la vita.
A tener compagnia rimane solo la maestrina,Andrea (Andrea Ferreol),che finirà per assumere il ruolo di vestale della morte,vero e proprio angelo del trapasso.
Uno alla volta,i quattro tengono fede al loro patto.
Il primo a morire è Marcello,che è anche l’unico a rifiutare,all’improvviso,il suicidio con il cibo;tenterà la fuga di sera,nella Bugatti.
Che è una cabrio;la notte una tormenta di neve lo sorprende al volante,facendolo morire assiderato.
Tocca poi a Michel,a cui scoppierà l’intestino,e che cadrà in un lago di feci.
Successivamente è la volta di Ugo,a cui cederà il cuore.
In ultimo muore Philippe,ucciso da un mega dolce troppo zuccherato.
Il tutto mentre arriva un ultimo carico di cibo.

La grande abbuffata è un film difficile,scomodo,a tratti anche rivoltante.
Ma è anche una metafora cinica e crudele di una società che si nutre di tutto,cannibale,votata all’autodistruzione dai suoi stessi miraggi.
Non c’è salvezza,da essa.
L’accumulare porta fatalmente all’autodistruzione,l’eccesso stesso di offerta è il suo grande limite e la sua rovina.
Un messaggio gettato con forza da un regista iconoclasta,Ferreri,che fu accolto malissimo dal pubblico di Cannes,dove il film venne proiettato per la prima volta nel 1973.
Ma che divenne poi un autentico cult,un film faro del grande cinema italiano d’autore,un’opera dissacrante e scomoda,ma vera e forte.
Un film che è una gara di bravura di quattro straordinari attori,impegnati in ruoli scomodi,difficili.
Opera di grande intelligenza,di nichilismo assoluto di un geniaccio del cinema,Ferreri.
La grande abbuffata
Un film di Marco Ferreri. Con Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret, Andréa Ferréol, Solange Blondeau, Giuseppe Maffioli, Monique Chaumette, Florence Giorgetti, Bernard Menez, Louis Navarre, Rita Sherrer, Michèle Alexandre, Cordélia Piccoli, James Campbell, Patricia Milochevitch, Henri Piccoli, Mario Vulpiani, Gérard Boucaron, Margaret Honeywell, Annette Carducci,
Eva Simonet. Genere Grottesco, colore 132 (125) minuti. – Produzione Italia, Francia 1973.
Marcello Mastroianni … Marcello
Michel Piccoli … Michel
Philippe Noiret … Philippe
Ugo Tognazzi … Ugo
Andréa Ferréol … Andrea
Solange Blondeau … Danielle
Florence Giorgetti … Anne
Michèle Alexandre … Nicole
Monique Chaumette … Madeleine
Henri Piccoli … Hector
Louis Navarre … Braguti
Bernard Menez … Pierre
Cordelia Piccoli … Barbara
Patricia Milochevitch … Mini
James Campbell … Zack
Regia: Marco Ferreri
Soggetto: Francis Blanche
Sceneggiatura: Marco Ferreri, Rafael Azcona
Fotografia: Mario Vulpiani
Montaggio: Claudine Merlin, Gina Pignier
Effetti speciali: Paul Trielli
Musiche: Philippe Sarde
Scenografia: Roger Jumeau, Michel Suné
Arredatore: Claude Suné
Trucco. Jacky Bouban, Alfonso Gola
Aiuto regista: Enrico Bergier, Rémy Duchemin, Jacqueline Ferreri, François Lavigne
Il Morandini:
“4 amici – un giudice (P. Noiret), un pilota di linea (M. Mastroianni), un ristoratore (U. Tognazzi), un produttore TV (M. Piccoli) – si riuniscono in una villa di Neuilly, fuori Parigi, decisi a compiere un quadruplice harakiri gastronomico-erotico. Li accompagna, pingue angelo della morte, un’insaziabile e materna maestra (A. Ferréol). Scritto con Rafael Azcona, è probabilmente il più grande successo internazionale (di scandalo) nell’itinerario di M. Ferreri. Questo apologo iperrealista ha gli scatti di una buffoneria salace e irriverente, i toni furibondi di una predica quaresimalista e, insieme, l’empietà provocatrice di un pamphlet satirico; e chi lo prende per un film rabelaisiano, non ne ha inteso la sacrale tristezza. C’è piuttosto l’umor nero, la mestizia, la disperazione di uno Swift. Con qualcosa in più: la pena. La sua forza traumatica risiede nella calma lucidità dello sguardo, e nell’onestà di un linguaggio che Ferreri conserva anche e soprattutto quando non arretra davanti a nulla. Se si esclude parzialmente Mastroianni, forse il meno riuscito del quartetto, i personaggi non sono mai volgari. Nonostante le apparenze realistiche (di un neorealismo fenomenico e irrazionalistico), sfocia nel clima allucinato di un apologo fantastico come certi segni e invenzioni suggeriscono. Fotografia di Mario Vulpiani, costumi di Gitt Magrini, pietanze di Fauchon (Parigi). Premio Fipresci a Cannes 1973. Distribuito nei paesi di lingua inglese come Blow-out. “
Gian Luigi Rondi
È La grande bouffe, il film francese di Marco Ferreri presentato quest’anno, con molti contrasti, al Festival di Cannes. Un film ambizioso, corposo, ma che si accosta a fatica e, spesso, con fastidio, anche se sono sensazioni comunque, che l’autore ha inteso suscitare di proposito. L”abbuffata” del titolo si riferisce a un’orgia gastronomica (ed erotica) cui si abbandonano, in una villa della periferia parigina, quattro amici di mezza età: un pilota, un magistrato, un annunciatore della radio, il gestore di un ristorante; un’orgia, però, con cui non intendono festeggiare la vita e i suoi piaceri, ma, ce ne accorgiamo a poco a poco, con cui vogliono darsi invece la morte, in polemica, a quanto sembra, con la vita e con le delusioni che ha loro procurato (di cui, comunque, non ci informano). »
Il pubblico- recensioni dal Davinotti
“Rappresenta il lato farsesco e grottesco di Amici miei. La storia della maratona erotico-gastronomica che coinvolge quattro amici di diversa estrazione sociale, accompagnati da una figura femminile dalla simbologia materna, è forse il film migliore (e tra quelli di maggior successo commerciale) di Marco Ferreri. La componente grottesca e satirica del cinema del regista milanese trova qui un maggior equilibrio che altrove, grazie ad una sceneggiatura compiuta e ad un cast di attori straordinari.”
“Quattro amici si rinchiudono in una villa dove mangiare senza fine. Spietato apologo grottesco sull’autoannullamento dell’individuo e della società borghese, eccessivo e funebre, amaro e tragico, dove anche l’eros – condotto da una disponibile magna mater – è viatico della fine. Omaggio al banchetto satirico di Boileau, citato nel film, ricorda la Sodoma dei quattro potenti autoreclusi di Sade, ma ha il sapore di un lungo funerale. Notevoli i grandissimi attori coinvolti (forse Mastroianni un po’ meno degli altri)”
“Eccezionale satira-apologo sul consumismo, diretta dal grandissimo Ferreri qui al suo meglio, aiutato anche da un poker di attori semplicemente fantastico (corroborato dalla brava Andréa Ferréol) e da una splendida sceneggiatura. All’epoca suscitò grande scandalo, oggi continua a mantenere intatta tutta la sua forza e continua ad essere sempre attuale. Imperdibile, anche se alcuni potrebbero non gradire.”
“Film acclamato per la sua metafora di una società che tende al suicidio collettivo per appagare oltremodo i propri istinti, anche se non lo definirei capolavoro. I quattro protagonisti organizzano un ritrovo basato su cibo e sesso e decidono di continuare, nonostante gli incidenti di percorso. Un insolito Mastroianni, cinico ma con stile, i soliti Piccoli e Tognazzi dissacratori e un plauso alla Ferréol (maestra coinvolta per caso, che trova nei quattro uomini i suoi nuovi alunni).”
Io alzo il mio bicchiere, non so a che cosa ma alzo il mio bicchiere…
Mangia! Se tu non mangi, non puoi morire.
Se escludi il cibo, tutto è epifenomeno: la sabbia, la spiaggia, lo sci, l’amore, il lavoro, il tuo letto: epifenomeno. Come dice l’Ecclesiaste: vanitas vanitatum.
Io sarei un maniaco sessuale? (agli amici che guardano nudi d’epoca) Voi vi state eccitando … su un funerale (ride). Ecco, questa è la vita!
Grande uccellata e festa del pesce offerta da quattro donzelli ghotti e golosi a tre gioconde fanciulle in dodici porcate.
Siete grotteschi! Grotteschi e disgustosi! Perché continuate a mangiare se non avete fame!?
Una buona tazza di cioccolata verso le undici apre lo stomaco per il pranzo.
Dopotutto hanno ragione le lesbiche.Gli uomini son così stronzi!






































































































































































