Bello come un arcangelo
Un Buzzanca straripante interpreta come al solito un personaggio molto dotato sessualmente a caccia di facili prede
in una commedia (commediaccia?) diretta da Alfredo Giannetti nel 1974,reduce dal grandissimo successo ottenuto qualche anno prima
con lo sceneggiato tv La famiglia Benvenuti.
Siamo nel solito ambito della commedia a metà strada tra il sexy e il farsesco,con qualche ambizione di commedia brillante che naufraga
miseramente su una sceneggiatura rozza e insulsa,sacrificata sull’altare dello sfruttamento del personaggio Buzzanca,topos del meridionale
allupato e sempre alla ricerca della conquista facile.
In questo film è Tano,un rappresentante spiantato che prende una sbandata per la bella adolescente Mariangela,figlia di Antonio Floris,avvocato
di fresca vedovanza afflitto da un rapporto quantomeno complesso con la vecchia mamma invadente e impicciona.
Proprio l’avvocato invita Tano,che vuol stare vicino quanto più possibile alla preda bramata,a restare in casa sua nel tentativo maldestro di
portare alla tomba l’anziana madre ed ereditarne le sostanze.

Ma nella casa,oltre alla bella Mariangela,ci sono due donne dai robusti appetiti sessuali,ovvero la governante di casa Immacolata e Sisina,procace
cameriera.
Il “povero” Tano è così costretto a dividersi tra le tre donne mentre dall’altro lato è costretto a studiare sempre nuovi mezzi per liberare il suo anfitrione Antonio dalla madre.
Tutti i sistemi studiati falliscono miseramente ma quando sembra che la vecchia donna debba scampare impunemente ai tentativi di omicidio della sgangherata coppia,ecco che il caso libera i due da ogni problema.
Reduce da uno dei convegni amorosi notturni,Tano,completamente nudo,compare all’improvviso davanti alla vecchia che scambiandolo per
l’arcangelo Gabriele viene colta da un infarto.
Lungi dall’essere liberato dalla tanto agognata morte della madre l’avvocato Antonio esce di senno,finendo così in un manicomio.
Tano sembrerebbe avere finalmente via libera con Mariangela,ma scopre con amarezza di essere stato gabbato dalla furba ragazzotta che
ha invece una relazione con un militare.

Deluso,Tano abbandona la casa dell’avvocato ma viene raggiunto da Immacolata,con la quale si avvia verso il suo incerto futuro.
Stereotipi a go go per un film superficiale e privo del benchè minimo spunto degno di rilievo;una sequela di gag stanche per l’ennesima trasposizione di una storia con tanto di clichè del meridionale focoso,del papà geloso della figlia,degli immancabili pettegolezzi da bar e via discorrendo.
Occasione persa?
No perchè è scritto sin dalla sceneggiatura l’esito del film.
A salvare tutto ci sono per fortuna gli attori impegnati in ruoli anche abbastanza deprimenti;svetta la bravissima Borboni nei panni della madre dell’avvocato che alla fine è stroncata da un infarto in seguito alla visione di Buzzanca nudo,un Orazio Orlando molto bravo nel ruolo del nevrastenico avvocato e infine da glorificare i seni della Carnacina e della Blanc,ovviamente mostrati con qualche riserva.
Rimasto in un cassetto il film è oggi disponibile in digitale e su Youtube in una buona versione all’indirizzo:https://www.youtube.com/watch?v=uBpl8-HULVk
Un film di Alfredo Giannetti. Con Stella Carnacina, Orazio Orlando, Paola Borboni, Lando Buzzanca, Erika Blanc, Willy Colombini,
Ernesto Colli, Lorenzo Piani, Vittorio Fanfoni, Livio Barbo, Sergio Fiorentini Commedia, durata 95 min. – Italia 1974.
Lando Buzzanca: Tano Avallone
Orazio Orlando: avv. Antonio Fortis Pantaleo
Stella Carnacina: Mariangela
Erika Blanc: Immacolata
Paola Borboni: donna Mercedes
Clarisse Monaco: Sisina
Sergio Fiorentini: don Ferdinando
Ernesto Colli: sacrestano
Bruno Vilar: pazzo alla processione
Livio Barbo: fidanzato di Mariangela
Franca Scagnetti: suora del collegio
Regia Alfredo Giannetti
Soggetto Alfredo Giannetti
Sceneggiatura Alfredo Giannetti
Produttore Angelo Jacono
Distribuzione (Italia) Pac
Fotografia Enrico Menczer, Luciano Cavalieri
Montaggio Renato Cinquini
Musiche Renato Serio
Tema musicale Le canzoni Canzuncella cafona e La vita che d’è sono cantate da Lando Buzzanca
Scenografia Emilio Baldelli
Costumi Maria Baronj
Trucco Gianfranco Mecacci
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
L’ennesimo lavoruccio scritto addosso a Lando Buzzanca, che in quegli anni spopolava con il personaggio del meridionale superdotato e ultravirile, capace di infinite conquiste in campo femminile e di prestazioni largamente oltre la soglia dell’incredibile.
Qui il suo personaggio si destreggia fra tre donne senza quasi battere ciglio, nel segno della solita farsuccia dai mezzi modesti e dalle idee ben inferiori; tutta roba vecchia e sorpassata già all’epoca, sulla falsariga di sciocchi e maschilisti stereotipi popolari.
D’altronde questo voleva il pubblico dei tempi e viene da chiedersi se sia poi tanto peggio dei futuri cinepanettoni. Buzzanca leader incontrastato della situazione, con al fianco due-tre nomi discreti (Paola Borboni, ahilei, invero meritevole di molto meglio; Erika Blanc e il caratterista Orazio Orlando)
e un contorno di volti (e cosce) anonimi. Non male le debitamente grottesche musiche di Renato Serio; alla fotografia c’è niente meno che Erico Menczer, in quegli anni in caduta libera come il cinema nostrano.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B.Legnani
Uno dei Buzzanca peggiori: superdotato il personaggio principale (lo si capiva pure dai flani dell’epoca, assai poco eleganti), ipodotato il film, che arranca spaventosamente. La cosa migliore è il volto di Stella Carnacina (toracicamente non vistosa), figlia del figlio del noto gastronomo Luigi Carnacina.
Homesick
Commediaccia triviale e vuota, suscita un’indignazione ancor più grande in quanto diretta da Alfredo Giannetti, soggettista e sceneggiatore il cui curriculum può vantare titoli come Il ferroviere e Divorzio all’italiana. Dilagano luoghi comuni societari e linguistici dell’Italia del Sud, con un Lando Buzzanca nel suo ennesimo ruolo di maschio italico superdotato, e il pessimo gusto che sprigiona il personaggio della povera Paola Borboni.
Enricottta
Film molto scadente ma non esente da alcuni momenti riusciti. Il solito Buzzanca non può fare altro che adeguarsi al nulla del resto del cast. Come tante, troppe commediacce dell’epoca. Il cast è alquanto male assortito: si ricordano un bella Stella Carnacina e Orazio Orlando, sempre stralunato.
Per grazia ricevuta
Per grazia ricevuta è il secondo film diretto da Nino Manfredi,che nel corso della sua carriera cinematografica di regista girò 3 film, L’amore difficile, episodio L’avventura di un soldato ne1962,Per grazia ricevuta nel 1971 e infine il poco compreso ma affascinante Nudo di donna nel 1981.Un film bello e denso di significati,probabilmente autobiografico (anche se Manfredi non ha mai confermato la cosa) che sbancò i botteghini, divenendo nella stagione 1971 il film più visto in Italia davanti a kolossal americani come Piccolo grande uomo,Borsalino e Soldato blu e sopratutto davanti a film di enorme successo girati in Italia come Lo chiamavano Trinità e Anonimo veneziano.
Una prova da regista autorevole e di prim’ordine, che dimostra come Manfredi fosse a suo agio dietro la macchina da presa,molto più dei suoi colleghi “moschettieri” Sordi e Tognazzi,che tentarono anch’essi la via della regia,con esiti decisamente inferiori come qualità.E’ un Manfredi ispirato e a tratti lirico quello che propone questo film tutto incentrato sulla religiosità,in un periodo storico in cui l’influenza della chiesa sulla società era fortissimo e condizionante;la cosa più importante è l’equilibrio che l’attore ciociaro riesce a mantenere nel percorso del film, evitando l’anticlericalismo di facciata e sopratutto evitando di cadere nella polemica sterile e fine a se stessa.
La storia di Benedetto Parisi anzi diventa un’iperbole sui danni che una educazione religiosa troppo soffocante e punitiva possono avere sull’individuo,arrivando alla fine a condizionarne pesantemente la vita e cambiandone in modo determinante il percorso della stessa.Con la collaborazione di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni con il quale Nino Manfredi girerà altri tre film a soggetto legato alla religiosità (memorabile In nome del Papa Re),Manfredi da corpo ad un soggetto elaborato eppure schematicamente semplice.L’idea di fondo è mostrare nella sua interezza,senza però prendere una posizione aperta,quello che un’educazione religiosa troppo opprimente e punitrice può combinare sia nella psiche di un individuo sia nel suo percorso di vita. A ben vedere Benedetto,il protagonista del film,è un’immagine riflessa dello stesso Manfredi,che da piccolo ebbe la tubercolosi e che guarì in modo sorprendente,lasciando nello stesso Manfredi il dubbio che lo accompagnerà tutta la vita su un effettivo miracolo intervenuto nella sua guarigione.
Un uomo è ricoverato in condizioni disperate in un piccolo ospedale di provincia. Ha tentato di uccidersi e un chirurgo accorre affannosamente per operarlo. In sala d’attesa,in preda a opposti stati d’animo c’è la sua compagna Giovanna,incinta e comprensibilmente tesa e la mamma di quest’ultima,che poco cristianamente vorrebbe che l’uomo morisse in modo da dare la figlia in sposa ad un avvocato.
Un salto indietro nel racconto,Benedetto è un orfano allevato dalla zia, in attesa di ricevere la prima comunione. E’ un ragazzo spigliato,come i suoi coetanei,che però vive una condizione particolare, ospite di sua zia che vorrebbe liberarsene e che gli condiziona pesantemente la vita con la sua religiosità confusa e contraddittoria.Un giorno il ragazzo,nascosto in un armadio, assiste ad un convegno amoroso della zia,che,scoperta,spaccia l’amante per Sant’Eusebio.
Dopo aver visto sua zia farsi il bagno nuda ed essere scoperto dalla stessa,Benedetto,preso dai sensi di colpa rifiuta di confessarsi e il giorno dopo, durante la prima comunione, il ragazzo fugge dalla chiesa e nel farlo precipita da una rupe.Si salva miracolosamente e da quel momento la sua vita è segnata.Portato in processione dalla folla festante, Benedetto viene affidato dalla scaltra zia che non desidera altro che di liberarsi di lui a dei francescani,dai quali Benedetto viene preso in custodia ed educato.
Diventa il beniamino dei fraticelli, da questi trattato con simpatia e affetto,sopratutto dal priore,che capisce come Benedetto non sia pronto alla vita religiosa.Sarà l’incontro con una maestrina,alla quale succhia dalla caviglia il veleno di una vipera, a scatenare nel giovane i primi irresistibili impulsi sessuali.Si allontana dal convento, dietro l’affettuoso consiglio del priore e da quel momento diventa un venditore ambulante di biancheria intima.Adesso è libero e potrebbe sperimentare le prime esperienze sessuali, ma ancora una volta i condizionamenti religiosi lo frenano,impedendogli così di vivere la sua naturale sessualità.Sarà l’incontro con un farmacista ateo e libertino a liberare Benedetto dal suo passato e dai suoi scrupoli;infatti il giovane si innamorerà della figlia del farmacista stesso,Giovanna,con la quale vivrà il primo rapporto d’amore.Ma i condizionamenti continueranno a farsi sentire subdolamente e….
Con senso della misura,usando una garbata ironia che mai supera la soglia della presa in giro benevola, Manfredi affronta lo spinoso argomento della religiosità senza mostrare di propendere per nessuna tesi. I miracoli del film,così come il finale aperto sono lasciati all’interpretazione dello spettatore, che può scegliere da che parte schierarsi.Ovviamente il grande attore ciociaro in qualche punto fa affiorare il suo garbato sarcasmo; il Benedetto che canta a squarciagola “Me pizzica me mozzicà” all’interno del convento non è propriamente politicamente corretto così come qua e la indizi sul suo modo di pensare e di vivere la religiosità fanno capolino (le scene con Benedetto piccolo che spia la zia,il presunto Sant’Eusebio ecc) ma restano garbatamente sullo sfondo.
E’ un Manfredi molto lontano dallo spirito popolare e popolano che ne avevano decretato il successo fino ad allora;l’attore un po’ caciarone e di stile romanesco lascia spazio ad un attore che mostra di avere il talento drammatico e “serio” nelle sue corde,come del resto dimostrerà nella sua lunghissima e felice stagione attoriale,con prove maiuscole come quelle fornite in In nome del Papa Re,Pane e cioccolata,Brutti sporchi e cattivi,film che esalteranno il suo talento spontaneo,la sua capacità di passare indifferentemente dai ruoli di attore comico a quello drammatico,dalle prove teatrali a quelle del musical (Rugantino) passando per la canzone popolare nel modo più autentico, come la sua personalissima interpretazione del grande successo di Petrolini Tanto pè cantà.
Un vero peccato che Manfredi in seguito abbia girato come regista il solo notevole Nudo di donna;il suo talento come regista era naturale,mostrava una predisposizione innata alla macchina da presa,ai tempi e ai ritmi del film,una capacità assolutamente straordinaria del dono della sintesi.
E’ la Ciociaria la protagonista secondaria del film;terra generosa,ubertosa e ricca di colore;Manfredi,ciociaro doc,inserisce Fontana Liri e le cascate di monte Gelato a Mazzano Romano tra i suggestivi luoghi nei quali gira il film;bella la fotografia e sopratutto ben assortito il cast nel quale figurano la bella e fresca Delia Boccardo (Giovanna) e Mariangela Melato,la maestrina che provocherà i primi turbamenti,Lionel Stander, ovvero Oreste il farmacista,che tanta importanza avrà per l’evolversi del personaggio benedetto e Mario Scaccia,il priore affettuosamente legato al giovane che capirà come la sua fede sia affatto ferma,portandolo fuori dagli angusti confini del convento.Bravi anche Paola Borbone e Tano Cimarosa,Veronique Vendell e Fiammetta Baralla,comprimari tutti ben oltre la soglia della sufficienza.Davvero un film di ottima fattura,nel quale superstizione ed elementi folkloristici della religione ben si sposano con la religiosità più intima,quella più autenticamente spirituale alla quale tutti aspirano alla ricerca di risposte spesso disattese proprio dalla natura stessa della religione,di fatto qualcosa di assolutamente intangibile e strettamente personale.
Il film ha avuto nel corso degli anni numerosi passaggi televisivi;è disponibile su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=DBjm4n_iR_g in una versione purtroppo non ben visibile. In streaming (versione decisamente migliore) è disponibile all’indirizzo http://www.nowvideo.li/video/27426b066492b
Per grazia ricevuta
Un film di Nino Manfredi. Con Nino Manfredi, Mario Scaccia, Lionel Stander, Mariangela Melato, Paola Borboni, Delia Boccardo, Véronique Vendell, Gianni Rizzo, Fausto Tozzi, Fiammetta Baralla, Enzo Cannavale, Tano Cimarosa, Gastone Pescucci, Ugo Adinolfi, Antonella Patti Commedia, durata 122 min. – Italia 1971
Nino Manfredi: Benedetto Parisi
Lionel Stander: Oreste Micheli
Delia Boccardo: Giovanna Visciani
Paola Borboni: Immacolata
Mario Scaccia: il priore
Fausto Tozzi: il professore
Mariangela Melato: la maestrina
Tano Cimarosa: zi’ Checco
Gastone Pescucci: l’avvocato
Alfredo Bianchini: il cappellano della clinica
Enrico Concutelli: un frate del convento
Paolo Armeni: Benedetto da bambino
Véronique Vendell: la ragazza “chiacchierata”
Gianni Rizzo: il prete del paese dove Benedetto vende la biancheria
Pino Patti: Don Quirino
Rosita Torosh: la giovane maestra della colonia
Antonella Patti: la zia di Benedetto
Enzo Cannavale: il paziente “sano” della clinica
Fiammetta Baralla: la suora della clinica
Luigi Uzzo: un infermiere della clinica
Mister O.K.: Fra Gesuino
Corrado Gaipa: Oreste Micheli
Laura Carli: Immacolata
Giorgio Piazza: il priore
Sergio Rossi: il professore
Emanuela Rossi: Benedetto da bambino
Nella Gambini: bambino amico di Benedetto
Pino Caruso: zì Checco
Mirella Pace: la zia di Benedetto/la ragazza “chiacchierata”
Mario Bardella: il prete del paese dove Benedetto vende la biancheria
Max Turilli: Don Quirino
Angiola Baggi: la giovane maestra della colonia
Isa Bellini: la suora della clinica
Enzo Liberti: un frate
Regia Nino Manfredi
Soggetto Nino Manfredi
Sceneggiatura Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni, Nino Manfredi
Produttore Angelo Rizzoli jr.
Fotografia Armando Nannuzzi
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Guido De Angelis
Scenografia Giorgio Giovannini
Costumi Danilo Donati
Trucco Giancarlo De Leonardis
L’Abbazia benedettina di San Cassiano
L’acquedotto di Nepi
Speco di san Francesco,Sant’ Urbano di Narni
Cascate di Monte Gelato e Mezzano Romano
Interno della chiesa di San Fortunato di Todi
Piazza Vittorio Emanuele a Todi in una vecchia foto
Piazza Vittorio Emanuele a Todi oggi
Villa Volpi a Sabaudia
“Nun te preoccupà, tanto non è morto, all’ultimo momento ha deciso di annà all’artro mondo!”
La vita, invece di viverla io me la dormo.
L’opinione di Jonas dal sito http://www.filmtv.it
Storia in tre tempi: un’infanzia da scavezzacollo sotto la fida protezione di sant’Eusebio; una giovinezza passata in convento ad aspettare un segno divino per nascondere la paura di affrontare la vita; la scoperta del mondo, il discepolato sotto un vecchio mangiapreti, l’amore con la soave Delia Boccardo. Il tutto viene rievocato in flashback, dopo un ricovero in ospedale per tentato suicidio. Il primo film diretto da un’icona nazional popolare come Nino Manfredi (se si eccettua un episodio di L’amore difficile) è un gesto di sorprendente coraggio, qualcosa di veramente raro nell’Italia democristiana. Ma sarebbe riduttivo considerarlo solo un pamphlet anticlericale, nonostante gli obiettivi polemici siano ben individuati (l’educazione sessuofoba, il miracolismo, l’esaltazione pseudoreligiosa, l’ipocrisia dei baciapile): è soprattutto la vicenda di un uomo pieno di dubbi e in cerca di risposte, prima respinto dagli esponenti della Chiesa (“Dio è pace, serenità, non è tormento”) e poi deluso dall’incoerenza di quello che si era scelto come maestro di vita (“non è morto, all’ultimo momento ha preferito andare all’altro mondo anche lui”). A ben vedere è un film che esplora le tracce quasi impercettibili, a volte paradossali, della presenza di Dio (cominciando dal nome del protagonista, Benedetto, e finendo con l’ultima battuta, “è stato proprio un miracolo”). Un film di fede, nonostante tutto: forse l’opera più bergmaniana che il cinema italiano abbia mai prodotto.
L’opinione di Mansueto dal sito http://www.mymovies.it
Chi dell’ “auto-morte” se ne intendeva, qualche tempo fa ci testimoniò che “Il suicida è come un carcerato che, nel cortile della prigione, vede una forca, pensa erroneamente che sia destinata a lui, evade nottetempo dalla sua cella, scende giù e s’impicca da sé”.Un lontano 1971, quando crebbi, un tal Benedetto di Castro de’ Volsci ci raccontò in 122 minuti la magnificazione “dell’intera storia umana”. Quell”elogia attraverò come un qualunque raggio cosmico ogni cellula del corpo di chi ne fu attratto; la riempì senza saperlo di luce e di spazio; di coscienza e di emozioni; di contenuto e contenente. Quel racconto fu la glorificazione sintetica di ogni dottrina; teologica e filosofica; psicologica e sociologica; medica ed estetica; commerciale e culturale. Tutto in un istante.Sincretismo gnoseologico. Come dire. Irenismo ed ecumenismo di ogni dottrina:quando la sensibilità umana (terza riga del libro del mondo) diventa poesia armonizzante di ogni distinzione e di ogni diversità della conoscenza!Qui c’è tutto. L’uomo e la donna. Il Tanathos e l’Eros. La colpa, la paura, il dubbio, la leggerezza più svanita, l’elegia del “chi sono”.Alle volte gli uomini compiono miracoli senza saperlo. Alle volte nessuno sa di quelli.Eppure questo superbo capolavoro della filmografia italiana (che pecca solo di vizi tecnici) diventa un mastodontico modello di studio per chi insegna, consolazione umana per chi soffe, costruzione critica per chi giuggioneggia, dissenso al senso per chi non crede.L’avventura umana sta tutta là. In un convento “totale” della Ciociaria. Nell’ambulante ardimentoso di lingerie. Nell’alieno e diafano amore verso Delia. Nella bestemmia redenta di una canaglia di farmacista. Nella fantasia dell’ingenuità più lieve. Nel matrimonio celebrato di un senza no. In una caduta e in un tuffo. In un’apetta col vecchietto. In un bicchiere fresco… ma d’acqua calda!Se volete chiedere a qualcuno chi mai voi siate, domandatevelo imberbi a voi stessi.Inoculatevi rilassati questo film.E se non v’è risposta….Beh; allora finalmente avrete capito tutto!Ma non ditelo a nessuno…”
L’opinione di Thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Bello questo film con e di Nino Manfredi che affronta in maniera tuttaltro che banale i tanti lacci che non permettono di vivere a pieno la propria esistenza. La pellicola di Manfredi non vuole essere un’invettiva anticlericale, ma una riflessione sul vivere male la religione, in cui fede e superstizione hanno confini talmente sottili da confondersi e costellata fin dall’infanzia da una marcata repressione sessuale. L’ottimo film di Manfredi non solo è dotato di una sceneggiatura di qualità, ma offre una buona caratterizzazione dei personaggi, soprattutto nel bigottismo della Borboni e nella vitalità di Stander.
Nino Manfredi
Delia Boccardo
Mariangela Melato
Mario Scaccia
Flano del film
La colonna sonora,la celebre Me pizzica…me mozzica
Quando le donne avevano la coda
Un gruppo di cavernicoli che vive in una zona selvaggia incappa un giorno in uno strano animale, con tanto di coda, caduto in una trappola; Filli, la preda, non è un animale ma una donna molto astuta, che però finirebbe arrosto non fosse per la “cotta” che il selvaggio Ulli prende per lei.
I cavernicoli, non abituati alla presenza di una donna, da quel momento scoprono rivalità e sopratutto iniziano a litigare fra loro, mentre Filli rivendica, con il passare del tempo, il diritto a gestire il proprio corpo.
Su una sceneggiatura esilissima, tesa a privilegiare l’aspetto grottesco e ridanciano della storia raccontata, Pasquale Festa Campanile crea nel 1970 un film che farà da capostipite ad un genere, quello sexy/cavernicolo che avrà altri epigoni, come il mediocre sequel Quando le donne persero la coda e il brutto Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don.
Se il Brancaleone di Monicelli aveva creato un genere cinematografico nuovo, con un linguaggio irresistibile a metà strada tra l’italiano moderno e quello medioevale, Quando le donne avevano la coda fa un’operazione apparentemente simile, anche se i due film ( e i loro sequel) sono completamente diversi fra loro e non solo come ambientazione.
Il film del regista lucano infatti si snoda sui binari di una comicità forse un tantino grezza e triviale, ma di sicuro effetto, tanto da risultare uno dei film più visti della stagione 70, proprio alle spalle di Brancaleone alle crociate di Monicelli.
Un film che mescola un colorito linguaggio preistorico con gag forse volgarotte ma dall’effetto comico garantito;
nei limiti ovvi di un film che non ha alcuna velleità di impegno, Quando le donne avevano la coda è godibile e divertente, grazie anche alla presenza di un cast di attori comici di alto livello, con l’aggiunta di Giuliano Gemma al suo primo vero ruolo comico.
Anche Pasquale Festa Campanile si mostra a suo agio con il genere comico; dopo Adulterio all’italiana e Dove vai tutta nuda, arriva il terzo successo consecutivo nel genere commedia prima del grandissimo successo di Il merlo maschio.
Nel film alcune gag sono esilaranti, a cominciare dalla sequenza in cui Ulli incontra Filli e viene da quest’ultima catechizzato sul ruolo che una donna può rivestire per l’uomo in luogo di fungere da cibo; divertenti anche le sequenze con protagonista Renzo Montagnani, unico gay tra la combriccola di cavernicoli che ovviamente vedrà come fumo negli occhi l’arrivo di Filli.

Oltre a Mulè, Giuffrè e Frank Wolff, nel cast figura il bravissimo Lino Toffolo, che in precedenza era stato anche nel cast del Brancaleone, oltre al solito Lando Buzzanca.
Accolto molto bene dal pubblico il film di Campanile ebbe invece un’accoglienza freddissima dai critici che evidentemente non perdonarono al regista lucano il successo ottenuto; destino che si ripeterà più volte nel corso della sua lunga carriera come con i film Jus primae noctis, La calandria, Conviene far bene l’amore,Come perdere una moglie e trovare un’amante, tutti snobbati dalla maggioranza dei critici mentre in realtà erano tutti film di pregevole fattura.
Qualche parola va spesa necessariamente per la bellissima protagonista femminile del film, l’attrice austriaca Senta Berger, che divenne un’autentica star proprio grazie a questo film.
La Berger è di una bellezza esagerata ed è sexy pur non comparendo mai nuda nel film, ma solo con un ridottissimo slip che accentua le sue splendide forme. Anche lei è una rivelazione in un ruolo comico e da quel momento infatti girerà diversi film della commedia sexy, con buoni risultati.
Cameo anche per Paola Borboni e segnalazione sia per la allegra colonna sonora di Ennio Morricone sia per il soggetto steso nientemeno che da Umberto Eco; sceneggiatura a più mani tra Festa Campanile e la coppia Ottavio Jemma-Lina Wertmüller.
Se è vero che siamo di fronte ad un film pesantemente datato, non dobbiamo dimenticare che questo film segnò davvero un’epoca; per un anno intero rimase sugli schermi sia in prima che in seconda visione, in un periodo in cui di certo non mancava l’offerta. E va ricordato ai saputelli che stroncarono il film che almeno metà delle commedie italiane dell’intero decennio settanta erano di livello ben più grossolano di questo film.

In ultimo ricordo come il film sia di difficile reperibilità in digitale e che quindi le immagini che compaiono a corredo di questo film provengono da riversaggi in VHS.

Quando le donne avevano la coda
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Francesco Mulè, Giuliano Gemma, Aldo Giuffré, Frank Wolff, Paola Borboni, Lando Buzzanca, Senta Berger, Renzo Montagnani, Lino Toffolo, Gabriella Giorgelli Commedia, durata 110′ min. – Italia 1970.
Senta Berger … Filli
Giuliano Gemma … Ulli
Frank Wolff … Grr
Renzo Montagnani … Maluc
Lino Toffolo … Put
Francesco Mulé … Uto
Aldo Giuffrè … Zog
Paola Borboni … Capo della tribu delle donne preistoriche
Lando Buzzanca … Kao
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Umberto Eco
Sceneggiatura Marcello Coscia,
Pasquale Festa Campanile,Ottavio Jemma,Lina Wertmüller
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone
Filmscoop è su Facebook: richiedetemi l’amicizia.
Il profilo è il seguente:
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Nerone
L’imperatore Nerone è odiato da tutti: dai cristiani che lo accusano di aver fatto bruciare Roma e di aver addossato loro la colpa, dalla madre Agrippina perchè ha nominato senatore un suo avversario politico e dalla moglie Poppea perchè non le affida la parte di Elena di Toria in una rappresentazione teatrale scritta dallo stesso imperatore.
Così, grazie ad una congiura orchestrata da alcuni senatori e con la complicità dell’infido Tigellino, capo dei pretoriani dello stesso imperatore, Agrippina riesce a far rinchiudere in un manicomio Nerone, che ne viene liberato solo grazie all’amico Petronio e con l’aiuto di una bella cristiana convertitati al paganesimo, Nenè.
Così, il tentativo di mettere sul trono il generale Galba, affetto da fastidiosi problemi fisici come le emorroidi fallisce e Nerone riesce a tornare sul trono, non prima di essersi spacciato per Gesù davanti ad un Pietro molto più vicino ad un allocco che alla figura carismatica del capo della cristianità.
Diretto da Castellacci e Pingitore, alla loro seconda e ultima prova di regia in coppia dopo il discreto successo di Romolo e Remo storia di due figli di una lupa, Nerone è una parodia in stile burlesque o anche in puro stile avanspettacolo, realizzato nel 1977 con l’ausilio di un cast di assoluto livello ma con un risultato finale appena sufficiente.
Se l’idea di base, il cast e la formula della storia riadattata con enormi asincronismi temporali può sembrare azzeccata, il film che pure parte con qualche felice battuta e qualche gag che smuovono il sorriso ben presto si spegne in una lunga sequela di banalità, a cui invano i due registi tentano di porre rimedio affidando ai vari attori canzoncine e battute lampo che però risultano piatte e poco divertenti.
Colpa di una sceneggiatura da avanspettacolo, quindi inadatta ai tempi cinematografici, colpa anche di troppe banalità nelle battute, alcune delle quali appaiono grossolane e sconce.
E colpa anche di una certa blasfemia che serpeggia nel film, che appare davvero gratuita e poco divertente, tra l’altro.
Il film parte con una sequenza in cui Nerone, interpretato da un romanaccio doc come Pippo Franco scambia due battute con Atte: ” A Nerò, che vuoi la lira?” ” Beh, mejo de gnente” e prosegue sulla stessa falsariga, con scambi di battute surreali, come quella con Bombolo :”certo che l’alloro è una grande invenzione” “specie co’ i fegatelli”
Il livello del film è questo, tuttavia non mancano sprazzi di comicità e di divertimento.
Paola Borboni
Tra una battuta e una canzoncina, spesso in rima, il film prosegue con vivacità, alternando momenti felici (il bagno di Poppea, la sequenza al manicomio) a momenti di stanca.
Tuttavia, alla fine, non si resta completamente delusi.
Merito sopratutto di un cast che raccoglie attori molto bravi, quelli che con un brutto termine erano definiti “caratteristi”e merito anche delle due bellezze protagoniste del film, la ex soubrette Paola Tedesco che interpreta la cristiana convertita Nenè e Maria Grazia Buccella, deliziosamente svampita nel ruolo dell’imperatrice Poppea.
Nel film compaiono anche un bravo Enrico Montesano nel ruolo di Petronio Arbitro, con tanto di erre moscia e vestito ovviamente di tutto punto e con un anacronistico cappello, Oreste Lionello nel ruolo di un Seneca filosofo futurista dai dialoghi quasi demenziali, che parla una stranissima lingua un pò burina, un pò romana e tanto british de noantri.

Due fotogrammi con Paola Tedesco
Troviamo ancora la stella del cinema muto Paola Borboni, che interpreta Agrippina, madre di Nerone e ispiratrice della congiura che porterà l’imperatore stesso in manicomio e che si segnala per un’audace scena a seno nudo, mostrato alla bella età di 77 anni; c’è l’immancabile Gianfranco D’Angelo nel ruolo di Tigellino, stravagante e anche lui caratterizzato da una stoltezza quasi commovente.

“Non sono più cristiana, sono diventata pagana: ecco la prova”
C’è spazio per Paolo Stoppa, un San Pietro rivoluzionario, quasi comunista e anarcoide che alla fine verrà beffato da Nerone, c’è Aldo Fabrizi nel suo penultimo film, che interpreta il generale Galba affetto da problemi fisici fastidiosissimi come le emorroidi, c’è Marina Marfoglia nel ruolo di Atte (storicamente amante di Nerone).
Ancora, completano il cast in ruoli minori Bombolo (Roscio), aiutante squinternato di Nerone, Massimo Dapporto in una particina e infine la futura soubrette Carmen Russo in una breve sequenza in cui mostra il suo celebre seno.
Un film assolutamente scacciapensieri, probabilmente non riuscito ma in grado di strappare qualche momento di ilarità.
Nerone, un film di Castellacci e Pingitore, con Pippo Franco, Maria Grazia Buccella, Paola Tedesco, Oreste Lionello, Enrico Montesano, Paola Borboni, Gianfranco D’Angelo, Paolo Stoppa, Bombolo, Carmen Russo, Marina Marfoglia, Laura Troschel, Aldo Fabrizi Italia 1977, commedia

Bombolo, Pippo Franco e Carmen Russo
A destra, Aldo Fabrizi
Pippo Franco: Nerone
Maria Grazia Buccella: Poppea
Paola Tedesco: Licia
Oreste Lionello: Seneca
Enrico Montesano: Petronio Arbitro
Paola Borboni: Agrippina
Gianfranco D’Angelo: Tigellino
Paolo Stoppa: San Pietro
Aldo Fabrizi: Generale Galba
Bombolo: Roscio
Piero Santi: Vinicio
Gio Staiano: Sporo
Marina Marfoglia: Atte
Laura Troschel: Locusta
Massimo Dapporto: Cristiano liberato
Attilio Dottesio: Centurione
Giancarlo Magalli: Presidente del senato
Valentino Simeoni
Bruno Vilar: Centurione
Regia Castellacci e Pingitore
Soggetto Castellacci e Pingitore
Sceneggiatura Castellacci e Pingitore
Produttore Mario Cecchi Gori
Casa di produzione Capital Film
Distribuzione (Italia) Gold
Fotografia Sergio Martinelli
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Flavio Bocci
Scenografia Enrico Rufini e Maurizio Tognalini
Costumi Enrico Rufini e Maurizio Tognalini




























































































































































