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L’ammazzatina

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Lo spiantato barone siciliano Mimì Galluzzo ha sposato,per interesse,la figlia di un ricchissimo mafioso,la bella e svampita Rosalba Cetraro.
Quando il suocero viene ammazzato il barone si trova di fronte a due sgradite sorprese;l’uomo ha lasciato un documento compromettente riguardante
i suoi amici mafiosi e un testamento nel quale la beneficiaria è la moglie.
Che Mimì non sopporta più.
La donna infatti sembra solo interessata ad avere un figlio,ragion per cui il barone è tormentato dalle stravaganti richieste della donna,che lo sottopone a tour de force erotici a base di strampalate richieste.
Mimì si trova anche a barcamenarsi tra altre due donne,Maria Camerò, che possiede il documento che l’uomo tanto cerca che però la donna vuol cedere solo in cambio della promessa di un matrimonio e la spogliarellista Eva,altra donna bella e svampita.
All’improvviso un altro problema:Rosalba,stressata dal fatto di non restare incinta,sembra perdere il senno (sembra,appunto) e viene ricoverata in un istituto psichiatrico.

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Spinto da Maria,che adesso è diventata sua amante a disfarsi della moglie,il barone cerca inutilmente di ucciderla,infilandosi in una serie di tragicomici incidenti.
Alla fine Mimì non solo non si libererà della moglie,ma la sostituirà in manicomio,mentre Rosalba,che non è mai impazzita,riesce finalmente a coronare il suo sogno di diventare madre e contemporaneamente incassare la miliardaria eredità.
L’ammazzatina,film diretto nel 1975 dall’esordiente (alla regia) Ignazio Dolce,attore di qualche fama nel decennio sessanta,è un opera bislacca in precario equilibrio tra farsa,commedia e satira di costume.
Un equilibrio che avrebbe richiesto,alla macchina da presa,la presenza di un regista scafato e che vede invece l’improvvisato Dolce barcamenarsi alla men peggio in una storia molto debole già in partenza,mancando al film stesso un orientamento preciso.
Pur contornato da un cast di ottimi comprimari,il film naufraga dopo pochi minuti per l’incapacità di prendere una strada precisa.
La satira di costume non affiora mai,mentre ad essere evidenti sono i soliti stereotipi sul macho siciliano spiantato e arrivista,rappresentato dal solito barone spiantato e donnaiolo,una delle figure classiche,ahimè,del cinema ad ambientazione sicula.
Stereotipate sono anche le figure dei mafiosi che si avvicendano nel film,mafiosetti in doppio petto che sembrano prese di petto da un’operetta mentre a fare capolino con sospetta puntualità sono le grazie delle varie protagoniste.

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Seni al vento per Karin Schubert (Eva,l’amante spogliarellista) e Erika Blanc,per Andrea Ferreol (Maria) e persino per Paola Quattrini,che interpreta la svampita ma all’occorrenza furbissima moglie del barone.
Nei cui panni c’è un Pino Caruso alla sua prima,vera opera da protagonista;che assolve in maniera puntuale,pur non assecondato da un ruolo decisamente poco comico e al tempo stesso nemmeno drammatico che si trova ad affrontare.
Un buon equipaggio non può tenere a galla una barca che fa acqua da tutte le parti;la storia è stroppo debole,la sceneggiatura rabberciata e ondivaga,priva di una direzione precisa.
Si sarebbe potuto salvare tutto usando l’arma classica della comicità,ma evidentemente Dolce non ha le giuste capacità,ragion per cui
ben presto il film perde di interesse diventando anonimo se non soporifero.
Peccato,perchè la presenza di altri ottimi caratteristi,come Vittorio Caprioli,Tano Cimarosa,Empedocle Buzzanca,Leopoldo Trieste e Pupo De Luca avrebbe permesso un risultato decisamente migliore se al servizio di una sceneggiatura meno anonima e debole.
Null’altro da dire,davvero,se non la debita segnalazione della presenza,dopo tempo immemorabile,di una riduzione decente su You tube all’indirizzo
https://www.youtube.com/watch?v=Ph9mHbimln4,versione qualitativamente buona.

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L’ammazzatina
Un film di Ignazio Dolce. Con  Andrea Ferreol, Leopoldo Trieste, Vittorio Caprioli, Paola Quattrini, Erika Blanc, Pino Caruso, Tano Cimarosa,Empedocle Buzzanca, Don Powell, Karin Schubert Commedia, durata 100 min. – Italia 1975

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Pino Caruso … Mimì Galluzzo
Paola Quattrini … Rosalba Cetraro
Andréa Ferréol … Maria Camerò
Karin Schubert … Eva
Vittorio Caprioli … Commissario Pafuso
Tano Cimarosa … Pasqualino Mosco
Empedocle Buzzanca… Notaio
Don Powell … Hippie
Erika Blanc … Erika
Leopoldo Trieste … Tuccio Langatta
Pupo De Luca … Brigadiere Bragolin

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Regia: Ignazio Dolce
Sceneggiatura:Pier Francesco Pingitore,Mario Castellacci,Ange Bastiani
Musiche:Piero Umiliani
Fotografia:Claudio Cirillo
Montaggio:Raimondo Crociani
Production design:Saverio D’Eugenio
Costumi:Massimo Bolongaro

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Ignazio Dolce,Paola Quattrini e Pino Caruso sul set del film

febbraio 8, 2017 Posted by | Commedia | , , , , , , , | 2 commenti

Bello come un arcangelo

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Un Buzzanca straripante interpreta come al solito un personaggio molto dotato sessualmente a caccia di facili prede
in una commedia (commediaccia?) diretta da Alfredo Giannetti nel 1974,reduce dal grandissimo successo ottenuto qualche anno prima
con lo sceneggiato tv La famiglia Benvenuti.
Siamo nel solito ambito della commedia a metà strada tra il sexy e il farsesco,con qualche ambizione di commedia brillante che naufraga
miseramente su una sceneggiatura rozza e insulsa,sacrificata sull’altare dello sfruttamento del personaggio Buzzanca,topos del meridionale
allupato e sempre alla ricerca della conquista facile.
In questo film è Tano,un rappresentante spiantato che prende una sbandata per la bella adolescente Mariangela,figlia di Antonio Floris,avvocato
di fresca vedovanza afflitto da un rapporto quantomeno complesso con la vecchia mamma invadente e impicciona.
Proprio l’avvocato invita Tano,che vuol stare vicino quanto più possibile alla preda bramata,a restare in casa sua nel tentativo maldestro di
portare alla tomba l’anziana madre ed ereditarne le sostanze.

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Ma nella casa,oltre alla bella Mariangela,ci sono due donne dai robusti appetiti sessuali,ovvero la governante di casa Immacolata e Sisina,procace
cameriera.
Il “povero” Tano è così costretto a dividersi tra le tre donne mentre dall’altro lato è costretto a studiare sempre nuovi mezzi per liberare il suo anfitrione Antonio dalla madre.
Tutti i sistemi studiati falliscono miseramente ma quando sembra che la vecchia donna debba scampare impunemente ai tentativi di omicidio della sgangherata coppia,ecco che il caso libera i due da ogni problema.
Reduce da uno dei convegni amorosi notturni,Tano,completamente nudo,compare all’improvviso davanti alla vecchia che scambiandolo per
l’arcangelo Gabriele viene colta da un infarto.
Lungi dall’essere liberato dalla tanto agognata morte della madre l’avvocato Antonio esce di senno,finendo così in un manicomio.
Tano sembrerebbe avere finalmente via libera con Mariangela,ma scopre con amarezza di essere stato gabbato dalla furba ragazzotta che
ha invece una relazione con un militare.

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Deluso,Tano abbandona la casa dell’avvocato ma viene raggiunto da Immacolata,con la quale si avvia verso il suo incerto futuro.
Stereotipi a go go per un film superficiale e privo del benchè minimo spunto degno di rilievo;una sequela di gag stanche per l’ennesima trasposizione di una storia con tanto di clichè del meridionale focoso,del papà geloso della figlia,degli immancabili pettegolezzi da bar e via discorrendo.
Occasione persa?
No perchè è scritto sin dalla sceneggiatura l’esito del film.
A salvare tutto ci sono per fortuna gli attori impegnati in ruoli anche abbastanza deprimenti;svetta la bravissima Borboni nei panni della madre dell’avvocato che alla fine è stroncata da un infarto in seguito alla visione di Buzzanca nudo,un Orazio Orlando molto bravo nel ruolo del nevrastenico avvocato e infine da glorificare i seni della Carnacina e della Blanc,ovviamente mostrati con qualche riserva.
Rimasto in un cassetto il film è oggi disponibile in digitale e su Youtube in una buona versione all’indirizzo:https://www.youtube.com/watch?v=uBpl8-HULVk

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Bello come un arcangelo

Un film di Alfredo Giannetti. Con Stella Carnacina, Orazio Orlando, Paola Borboni, Lando Buzzanca, Erika Blanc, Willy Colombini,
Ernesto Colli, Lorenzo Piani, Vittorio Fanfoni, Livio Barbo, Sergio Fiorentini Commedia, durata 95 min. – Italia 1974.

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Lando Buzzanca: Tano Avallone
Orazio Orlando: avv. Antonio Fortis Pantaleo
Stella Carnacina: Mariangela
Erika Blanc: Immacolata
Paola Borboni: donna Mercedes
Clarisse Monaco: Sisina
Sergio Fiorentini: don Ferdinando
Ernesto Colli: sacrestano
Bruno Vilar: pazzo alla processione
Livio Barbo: fidanzato di Mariangela
Franca Scagnetti: suora del collegio

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Regia Alfredo Giannetti
Soggetto Alfredo Giannetti
Sceneggiatura Alfredo Giannetti
Produttore Angelo Jacono
Distribuzione (Italia) Pac
Fotografia Enrico Menczer, Luciano Cavalieri
Montaggio Renato Cinquini
Musiche Renato Serio
Tema musicale Le canzoni Canzuncella cafona e La vita che d’è sono cantate da Lando Buzzanca
Scenografia Emilio Baldelli
Costumi Maria Baronj
Trucco Gianfranco Mecacci

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L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it

L’ennesimo lavoruccio scritto addosso a Lando Buzzanca, che in quegli anni spopolava con il personaggio del meridionale superdotato e ultravirile, capace di infinite conquiste in campo femminile e di prestazioni largamente oltre la soglia dell’incredibile.
Qui il suo personaggio si destreggia fra tre donne senza quasi battere ciglio, nel segno della solita farsuccia dai mezzi modesti e dalle idee ben inferiori; tutta roba vecchia e sorpassata già all’epoca, sulla falsariga di sciocchi e maschilisti stereotipi popolari.
D’altronde questo voleva il pubblico dei tempi e viene da chiedersi se sia poi tanto peggio dei futuri cinepanettoni. Buzzanca leader incontrastato della situazione, con al fianco due-tre nomi discreti (Paola Borboni, ahilei, invero meritevole di molto meglio; Erika Blanc e il caratterista Orazio Orlando)
e un contorno di volti (e cosce) anonimi. Non male le debitamente grottesche musiche di Renato Serio; alla fotografia c’è niente meno che Erico Menczer, in quegli anni in caduta libera come il cinema nostrano.

Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

B.Legnani

Uno dei Buzzanca peggiori: superdotato il personaggio principale (lo si capiva pure dai flani dell’epoca, assai poco eleganti), ipodotato il film, che arranca spaventosamente. La cosa migliore è il volto di Stella Carnacina (toracicamente non vistosa), figlia del figlio del noto gastronomo Luigi Carnacina.

Homesick

Commediaccia triviale e vuota, suscita un’indignazione ancor più grande in quanto diretta da Alfredo Giannetti, soggettista e sceneggiatore il cui curriculum può vantare titoli come Il ferroviere e Divorzio all’italiana. Dilagano luoghi comuni societari e linguistici dell’Italia del Sud, con un Lando Buzzanca nel suo ennesimo ruolo di maschio italico superdotato, e il pessimo gusto che sprigiona il personaggio della povera Paola Borboni.

Enricottta

Film molto scadente ma non esente da alcuni momenti riusciti. Il solito Buzzanca non può fare altro che adeguarsi al nulla del resto del cast. Come tante, troppe commediacce dell’epoca. Il cast è alquanto male assortito: si ricordano un bella Stella Carnacina e Orazio Orlando, sempre stralunato.

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agosto 16, 2016 Posted by | Commedia | , , , , , | 2 commenti

Con quale amore, con quanto amore

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Andrea e Francesca sono una coppia sposata da anni; molto diversi fra loro, attraversano una crisi originata principalmente dalla scarsa stima che Andrea, architetto di una certa fama ha verso sua moglie.
Francesca infatti vorrebbe più attenzioni e ritiene di essere trattata dal marito come una bambina.
Così la donna alla fine si fa un amante.
L’uomo prescelto è Ernesto, che tra l’altro è un dipendente del marito.
Con sorpresa Andrea scopre la relazione, ma da uomo di mondo non fa scenate.
All’apparenza sembra intenzionato a favorire la relazione tra i due; difatti continua a far lavorare l’amante di sua moglie nello proprio studio.

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Claude Rich e Erika Blanc

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Catherine Spaak

Ma Andrea è ancora innamorato di sua moglie e parte al contrattacco.
Approfittando di un’assenza di Ernesto, inizia una corte serrata nei confronti di Francesca e alla fine sembra che la tattica funzioni…
Lui, lei. l’altro.
Una situazione certo non nuova in una sceneggiatura cinematografica.
Pasquale Festa Campanile e Ottavio Jemma creano un plot visto mille volte, con il classico gioco delle parti in un triangolo amoroso che per una volta non sfocia in tragedia.
Siamo, come ambientazione, nel mondo medio borghese e a quanto pare certe storie vanno affrontate con dignità, senza scandali e senza rumore.

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Un mondo ipocrita in cui anche i sentimenti devono restare inespressi; così Andrea fa buon viso a cattivo gioco, accettando il tradimento della moglie ma mettendo in atto uno stratagemma che si rivelerà vincente alla fine.
Nessuna scenata di gelosia, ma il riconoscimento delle proprie colpe e di conseguenza il tentativo di riconquistare una donna, Francesca, probabilmente un pò bambina ma bisognosa di affetto e attenzioni.
Con quale amore, con quanto amore è una commedia sentimentale appena velata di critica sociale.
Non era nelle intenzioni del regista lucano fare rumore o attaccare il dorato e ipocrita mondo della borghesia; c’era invece l’intenzione di muovere garbate critiche alla stessa, attraverso la costruzione di una commedia leggera che mostrasse le regole che fissano i comportamenti dei suoi appartenenti.

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Un gioco non necessariamente difficile, e difatti Pasquale Festa Campanile porta a compimento una commedia leggermente amarognola senza grossi sforzi, anche se va detto, dai ritmi troppo blandi e parecchio verbosa.
Reduce dagli ottimi risultati al botteghino di commedie di costume come Adulterio all’italiana e la La matriarca (1968) nelle quali aveva proposto Catherine Spaak come protagonista principale, Festa Campanile affida il personaggio della volubile Francesca all’attrice francese che in pratica ripropone i personaggi dei due film precedenti condensandoli in quello della viziata e sentimentaloide moglie dell’architetto.
Poichè il mondo borghese sembra afflitto principalmente dalla noia più che dai problemi esistenziali, il personaggio di Francesca appare leggermente stereotipato, ingabbiato in un modello riproposto più volte in varie pellicole girate fra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta.

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In questo film tale tendenza è però mimetizzata; il regista lucano bada più a mostrare l’aspetto sentimentale della storia, basata sul tentativo di riconquista di Andrea nei confronti di sua moglie che appare un pò come la raffigurazione del gioco sottratto al bambino.
Andrea però, contrariamente alle previsioni,sceglie la via migliore per riconquistare la donna che in fondo ama; passa cioè attraverso un percorso di crescita personale, evita la classica esposizione dell’orgoglio ferito e alla fine viene premiato dalla riconquista della sua donna.
Il succo del film è tutto qui, un gioco delle parti garbato anche se leggermente anonimo.
Festa Campanile descrive, con discrezione, l’atmosfera oziosa del mondo borghese senza però essere graffiante; il suo è un gradevole excursus giocato tra i sentimenti contrapposti che agitano i due protagonisti in un gioco delle parti che alla fine ha una sua ragione d’essere.

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Il cast è molto ben assortito e mostra una sempre bellissima e affascinante Catherine Spaak nel ruolo della moglie insoddisfatta,un Claude Rich sobrio ed elegante nel ruolo di Andrea, uno spento Lou Castel nel ruolo del terzo incomodo.
Spazio anche per una splendida Erika Blanc, molto defilata in un ruolo comprimario.
Gradevoli le musiche e poichè la storia propone come protagonista un architetto, ecco un trionfo di vintage nell’arredamento e nei costumi, una full immersion nella feconda epoca pre settantiana che vide la
In quanto al regista, Festa Campanile conferma ancora una volta la sua abilità nel costruire storie all’apparenza molto semplici ma ben strutturate, mai banali.
La commedia all’italiana o quella leggera sono nelle sue corse e lo dimostrerà, se ce ne fosse bisogno, nei due anni successivi, quando diverrà anche protagonista del botteghino con i clamorosi successi di Quando le donne avevano la coda e Il merlo maschio.

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Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Claude Rich, Catherine Spaak, Erika Blanc, Lou Castel, Aldo Giuffré.  Marisa Traversi, Michel Bardinet Commedia, durata 107′ min. – Italia 1970.

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Catherine Spaak: Francesca
Claude Rich: Andrea
Lou Castel: Ernesto
Erika Blanc: Sandra
Marisa Traversi: Nora
Michel Bardinet: Renè
Aldo Giuffré: Giovanni

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Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Ottavio Jemma
Sceneggiatura Pasquale Festa Campanile
Ottavio Jemma
Produttore Clesi Cinematografica
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Riz Ortolani

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L’opinione dell’utente mm40 tratta dal sito http://www.filmtv.it
Il pregio principale di questa commedia lentuccia e poco fantasiosa sta nell’analisi psicologica del rapporto sentimentale che è alle fondamenta della storia. Niente di eccezionale, sia ben chiaro; ma almeno, nella sua scarsità di mezzi, c’è una discreta coerenza: nessuna pretesa, è soltanto una commedia sentimentale. Noiosetta, ad ogni modo.

L’opinione dell’utente ilgobbo tratta dal sito http://www.davinotti.com
Rondò erotico-psicologico di Campanile, sotto-genere di gran voga all’epoca (siamo in zona Metti, una sera a cena). Sì, è vero, non manca qualche tocco implausibile, qualche compiacimento, qualche scivolata nella letterarietà dei dialoghi, ma chissenefrega, verso i film di questo periodo (e soprattutto verso il loro look complessivo, dal design all’oggettistica ai vestiti: ah, il loft di Lou Castel…) nutriamo un inscalfibile pregiudizio favorevole. Buon cast (e ottimi doppiatori), tranne un Giuffrè fuori contesto, ottima e abbondante la Blanc.

L’opinione dell’utente fauno tratta dal sito http://www.davinotti.com
Quasi paradisiaco per la scorrevolezza e la disinvoltura, specialmente del protagonista. Riconquistare la moglie dopo averla quasi spinta ad abbandonarti è una mission impossibile, ma se si riconoscono gli errori e se si sa che ne vale la pena è giusto tentare. La Blanc fa da sostanzioso contorno come amica disinibita e abituata a storie piccanti. Bardinet, sei grandioso: hai saputo soffrire senza fare l’ipocrita, hai parlato poco, a modo e sapendo cogliere il momento giusto per tutto. Complimenti.

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marzo 28, 2013 Posted by | Commedia | , | Lascia un commento

Tony Arzenta

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Tony è un killer e nel suo mestiere è il migliore, preciso, silenzioso, implacabile. Ma la sua nuova natura di pater familia, gli impone di smettere. Guardare il piccolo dormire dopo aver tolto la vita a qualcuno, è una doppiezza che non gli attiene più; quella pallottola che prima o poi sarebbe diretta a lui, che non era mai stato un problema prima, adesso avrebbe il peso di una tragedia troppo grande. E allora ha deciso: un ultimo lavoro e poi fuori. Ma l’organizzazione per la quale ha lavorato fin’ora, una sorta d’internazionale del crimine in odore di mafia, non accetta dimissioni: Arzenta sa troppo e non può certo andarsene via così senza pagarne pegno.
Ed il pegno è alto, altissimo: ancora una volta, la propria stessa vita. Il conto che sarà costretto a pagare è, però, se possibile, ancora più salato. Dentro l’auto caricata di tritolo non salirà lui, vittima designata, ma sua moglie e suo figlio, la morte dei quali, contravvenente anche lo stesso codice “etico” della mala, scatenerà la sua contro-vendetta. Una gara venatoria in cui i ruoli di cacciatore e preda si ribalteranno continuamente.

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Alain Delon e Nicoletta Machiavelli

Mai arretrerà dal compito che si è dato: uccidere uno ad uno i vertici dell’organizzazione. Quando si piegherà ad una trattativa, mosso dalle garanzie di una tregua riferite per mezzo dell’amico parroco, è la fine. Una fine sbrigativa e beffarda.

Il plot del film è essenzialmente tutto qui. Come nelle parole dello stesso sceneggiatore, Roberto Gandus, è il canovaccio trito e ritrito del tipo che vuole abbandonare il giro ma glielo impediscono. Ed è vero.

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Ma Tony Arzenta vive d’altro ed è qualcosa che va aldilà e lo pone al di fuori del genere a cui è eletto, grosso modo il poliziottesco di quegli anni. E’ quella nota dolente che attraversa tutto il film, già da prima che il dramma si compia, che segna il volto di Tony sin dalle prime inquadrature. Poiché se Simenon, per tramite di Maigret, ebbe a dire che “Non esistono vittime e carnefici ma solo vittime“, allora Tony è già morto da tempo e quell’ultimo omicidio su commissione, è vissuto da lui come un ultima violenza a se stesso ed ai suoi cari.
Mentre in casa si festeggia il compleanno del figlio, con il fare dell’impiegato consapevole di star perdendo momenti fondamentali della sua vita per un lavoro che non ama, Arzenta si appresta a raggiungere il condannato a morte come se il condannato fosse lui stesso. Sui titoli va L’appuntamento di Ornella Vanoni. Forse è un allusione ai trascorsi della cantante nota anche per le cosiddette “canzoni della mala”;

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Carla Gravina

forse scelta per la profonda milanesità dell’interprete ad aprire un film profondamente meneghino come questo. Oltretutto contribuisce a datare gli eventi, è il 1973, oltre che a commentare per contrasto la tensione statica che prelude all’atto violento che sta per compiersi, dà la misura dell’anomala quotidianità di quella che è una persona qualunque, con “l’autoradio” ed il “mangianastri”, sintetizza il senso della vicenda ed anticipa gli eventi: la vita di Tony, da quel momento sarà segnata da una serie di appuntamenti con un destino che non darà tregua.

Tessari, regista robustissimo, qui, secondo il sottoscritto, al suo apice, rende omaggio al polar francese. Riprende Il clan dei siciliani di Verneuil e lo ibrida a Frank Costello faccia d’angelo.
Di fatto, sembra prendere il samurai di Melville trasponendolo in Italia, qualche anno dopo, con i segni del tempo, inteso più che altro come accumulo di amare esperienze giacchè Delon invecchia come il vino buono, che ne solcano il viso e ne incupiscono lo sguardo. Ridefinisce le coordinate spostandone l’accento sulla componente emotiva, laddove il noir d’oltralpe raffreddava e stilizzava i sentimenti.

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Silvano Tranquilli

Il percorso (de)formativo insito in pellicole come lo stesso Frank Costello, costruito come progressivo mutamento esistenziale del personaggio centrale, viene vissuto qui in modo estremamente doloroso: la perdita; la paura d’immaginarsi una nuova vita così profondamente lontana da quella precedente; l’oblio di se, nel rintanarsi nella solitudine della propria casa a macerare la pena nei ricordi, ad osservare i giocattoli del figlio, nello sfogliare l’ultimo libro letto dalla moglie.
I limiti del film vanno ricercati proprio nell’obiettivo che si è posto (il polar all’italiana); nei riferimenti troppo alti, un po’ pretenziosi, troppo al di sopra delle sue effettive possibilità.
Dove gli snodi drammaturgici avrebbero imposto una maggiore concentrazione, tutto viene risolto in azione, se non in ironia. Il ché smorza nettamente la tensione e la stessa visione viene, per questo, condizionata da aspettative puntualmente tradite. Ma, basta cambiare prospettiva e il film riconquista tutta la sua forza: è un thriller tutto italiano che della grammatica francofona assume soltanto i tratti essenziali e li sintetizza ulteriormente in un soggetto più ruvido ma più sentimentalmente coinvolgente.

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Per Arzenta, così come per Costello alla rottura dello schema rigidissimo entro il quale si muove, non può corrispondere seguito. E questo Delon lo fa presagire fin dai primi momenti, perchè, dall’attore immenso che fu, non interpreta, ma diviene il suo personaggio. Lo trascina, sequenza dopo sequenza, vivendolo fino in fondo, restituendo ogni sua pena in modo che più verosimile non potrebbe essere. Non si abbandona mai alla disperazione ma la introietta, rielaborandola in una vendetta silenziosa ed inarrestabile. Una vendetta che lo porterà sino a Copenaghen dove l’organizzazione è impegnata in un summit. E’ lui motore e fulcro della meccanica narrativa.
Lungo il percorso, affiorano gli stralci della sua vita nella forma di passate conoscenze: come Domenico (Marc Porel) che pagherà cara la sua amicizia; Sandra (Carla Gravina) che lo affiancherà sino alla fine e Dennino (Giancarlo Sbragia) che lo aiuterà, invece, durante la trasferta danese ma del quale traspare da subito la natura ambigua.

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Richard Conte e Umberto Orsini

Presenze che, insieme ai genitori, costruiscono con pochi segni la complessità di una figura che affianca la mietitura di anime a rapporti profondi e legami potenzialmente indissolubili.

Tony Arzenta vive di momenti, d’immagini, di concitate scene d’azione che sono tra le migliori mai realizzate in Italia. Così come più che efficaci sono le veloci sequenze in auto, dalle riprese oblique,
dal veloce montaggio alternato e dai carrelli Kubrickiani che anticipano Tony sotto i portici o tra i corridoi del residence. Vi sono attimi di estrema tensione (Tony, a Copenaghen, che, fuori dalla pensione, accompagna la prostituta nella piazza deserta pur consapevole del rischio d’agguato) e momenti di attesa leoniana (l’introduzione in casa di Cutitta o il matrimonio della figlia di Nick sul finale).

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A sinistra: Corrado Gaipa

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La fotografia dipinge quadri pop di grande profondità e contribuisce fortemente a trasmettere quel senso di amara desolazione che stringe il protagonista, attraverso espedienti di rara forza sintetica; come la zoomata a scatti, sul protagonista seduto in fondo, attraverso le aperture del corridoio di casa. O le riprese dell’accumulo di oggetti, dei resti di cibo e bevande che sottolineano in un attimo lo scorrere del tempo come da insegnamento del maestro Hitch (vedi La finestra sul cortile). Per non dire del campionario di modelli estetici vintage di cui il film diventa, inconsapevolmente, manifesto, rivisto a quarant’anni di distanza. Quando il filmare insistentemente abiti, architetture, interni, dischi, ecc., fu probabilmente un vezzo, anche piuttosto diffuso nel cinema del tempo e non solo italiano, di rendere tributo alla propria contemporaneità. Ed anche in questo il referente diretto restano le immortali geometrie di Frank Costello.

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A reggere il tutto contribuisce un vero e proprio dream team di caratteristi del cinema del tempo: oltre a Richard Conte e Umberto Orsini, Roger Hanin, Carla Calò, Silvano Tranquilli, Rosalba Neri, il grande Lino Troisi, Erika Blanc, Anton Diffring, i succitati Porel, Sbragia e Gravina. Facce note dietro le quali si celava un immenso lavoro d’artigianato che ha reso Tony Arzenta, con le sue mille sbavature, le sue altrettante ingenuità (soprattutto nei dialoghi) ed incoerenze (perchè Sandra dovrebbe farsi il viaggio da Milano alla Sicilia senza mai risistemarsi capelli e trucco dopo essere stata picchiata?) tra i migliori esempi del cinema di genere di quei tempi.
Si, ma a quale genere apparterrà un film come questo?

Tony Arzenta (Big Guns)
Un film di Duccio Tessari. Con Alain Delon, Roger Hanin, Marc Porel, Carla Gravina, Richard Conte, Nicoletta Machiavelli, Guido Alberti, Ettore Manni, Silvano Tranquilli, Carla Calò, Giancarlo Sbragia, Umberto Orsini, Rosalba Neri, Erika Blanc, Corrado Gaipa, Loredana Nusciak, Nazzareno Zamperla, Anton Diffring, Lino Troisi Titolo originale Big Guns. Drammatico, durata 113′ min. – Italia, Francia 1973.

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Alain Delon: Tony Arzenta
Richard Conte: Nick Gusto
Carla Gravina: Sandra
Marc Porel: Domenico Maggio
Roger Hanin: Carrè
Nicoletta Machiavelli: Anna Arzenta
Lino Troisi: Rocco Cutitta
Silvano Tranquilli: Montani
Corrado Gaipa: Padre di Tony
Umberto Orsini: Avvocato Isnello
Giancarlo Sbragia: Luca Dennino
Erika Blanc: Prostituta
Loredana Nusciak: L’amante di Gesmundo

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Regia Duccio Tessari
Sceneggiatura Franco Verucci, Ugo Liberatore e Roberto Gandus
Produttore Luciano Martino
Fotografia Silvano Ippoliti
Montaggio Mario Morra
Musiche Gianni Ferrio
Scenografia Lorenzo Baraldi
Costumi Danda Ortona
Trucco Mario Van Riel

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aprile 2, 2012 Posted by | Drammatico | , , , , , , , , | Lascia un commento

La rossa dalla pelle che scotta

La rossa dalla pelle che scotta locandina

John Ward è un pittore di qualche talento, ma perennemente in bolletta; vive ad Istanbul e tira avanti alla men peggio vendendo ad antiquari e collezionisti alcuni dipinti che ritraggono la sua vulcanica ed esuberante amante soprannominata “La rossa” per via della splendida chioma.
La donna a modo suo lo ama, accettando anche di posare nuda per alcune sue creazioni, ma è anche estremamente volubile, tanto da concedersi avventure con un gallerista, con un giovane che conosce a mare e che seduce, con un cacciatore…

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La rossa dalla pelle che scotta 3
Poco alla volta, grazie anche ai sensuali quadri che Ward realizza, lo stesso acquisisce una certa fama, ma nel frattempo la rossa diventa sempre più insofferente del legame con il pittore. Con il suo amante, il cacciatore, progetta una fuga ma il giorno prima di mettere in atto i suoi propositi, viene uccisa da John.
Il quale da quel momento entra in una pericolosa crisi personale, acuita dalla presenza in casa di una bambola a grandezza naturale che gli ha regalato un hippy conosciuto casualmente.
La bambola diviene quindi per John simbolo della moglie perfetta, quella che ama e resta in un angolo in attesa di suo marito: la dissociazione del pittore tra la realtà e la fantasia lo porta a vedere la bambola viva tanto che lo stesso John alla fine non distingue più la realtà dal mondo perfetto che si è creato.
Tuttavia per lui sta arrivando la resa dei conti, perchè….

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Krista Nell

La rossa dalla pelle che scotta 4

Erika Blanc

Bizzarro, a tratti palesemente sconclusionato pur tuttavia non privo di felici trovate La rossa dalla pelle che scotta è un thriller psicologico girato da Renzo Russo nel 1972, con l’ausilio di due attori di indiscusso talento come Farley Granger e Erika Blanc.
Se Granger, scomparso l’anno scorso, è sobrio ed elegante nella sua performance recitativa è dalla Blanc che arriva l’ennesima conferma.
La stupenda attrice lombarda incarna in modo assolutamente straordinario sia la donna reale ed affascinante che John Ward ama alla follia sia la bambola tramutatasi in donna reale sotto l’effetto della psiche alterata del pittore.
Erika Blanc è aiutata sia dalla sua bellezza assolutamente particolare sia dal suo talento così poco sfruttato per film più “importanti”; la rossa che interpreta può diventare il sogno proibito non solo del pittore ma anche dello spettatore, ammaliato dal suo volto non bellissimo ma espressivo e seducente e da un corpo voluttuoso e sensuale, anche se non da vamp.

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La Blanc è misurata e seducente, vulcanica e piena di vita e poi, al tempo stesso, misteriosa e sottomessa quando si trasforma da bambola in incarnazione reale dei sogni del suo assassino, il pittore John.
Se i due attori sono davvero all’altezza della situazione, lo stesso non può dirsi per la sceneggatura del film di Russo che a tratti è scoordinata e senza un logico filo conduttore.
L’altalenanza delle situazioni, l’immagine di disordine psicologico di Ward sono un autobus che va e viene, sorretto da un ritmo a sua volta non continuo;

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tuttavia la mano di Russo è indubbiamente abile e maschera le pecche e le lacune della sceneggiatura.
Molto ben fatte sono le scene che includono i dialoghi tra la rossa e John, quelle in cui il pittore si appresta a ritarre la sua sensualissima compagna: la mano c’è ed appare strano che questo sia l’ultimo film al quale abbia lavorato.
Da allora in poi infatti il nome del regista e sceneggiatore scompare da qualsiasi produzione cinematografica.

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Tornando al film, una delle cose migliori è la sequenza in cui John uccide con quattro colpi di coltello la rossa, che spira tra le braccia del pittore chiedendo “Perchè,John?” e con John stesso che vede per terra la famosa bambola, che riappare poco dopo dietro la porta di casa, in una delle scene meno comprensibili del film.
In ultima analisi, un film che possiede in egual misura pregi e difetti, questi ultimi racchiusi tutti nei punti deboli evidenzati prima.

In ultimo ricordo che di questo film, ad oggi non esiste una versione italiana in dvd, motivo per il quale ho dovuto recuperare le immagini da una vecchia VHS.

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La rossa dalla pelle che scotta
Un film di Renzo Russo. Con Krista Nell, Farley Granger, Erika Blanc, Venantino Venantini,Giorgio Dolfin Drammatico, durata 91 min. – Italia 1972.

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Farley Granger: John Ward
Erika Blanc: La rossa, la bambola
Venantino Venantini: Il cacciatore

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Regia Renzo Russo
Sceneggiatura Renzo Russo
Produttore Mario Maestrelli
Casa di produzione SaNa Film
Distribuzione (Italia) Rasfilm
Fotografia Luciano Trasatti
Montaggio Attilio Vincioni
Trucco Angelo Roncaioli

gennaio 26, 2012 Posted by | Thriller | , , , | Lascia un commento

Il domestico

Il domestico locandina

Durante la seconda guerra mondiale Rosario Cavadoni, conosciuto da tutti come Sasa, lavora in mensa come cameriere fino al giorno in cui viene chiamato al servizio del maresciallo Badoglio.
La proclamazione dell’armistizio vede la fuga del maresciallo stesso da Roma mentre il povero Sasa si salva grazie alle sue doti di adattamento ai lavori di casa finendo al servizio di un ufficiale tedesco e in seguito all’occupazione militare americana in Germania ai servizi di un comandante statunitense.
La fine della guerra vede Sasa alla ricerca di un’occupazione in pianta stabile; finisce così per entrare al servizio di Salvatore Sperato, un produttore cinematografico che decide di farlo lavorare nel cinema accanto a sua moglie Lola Mandragali, una popolana sguaiata e becera.

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Martine Brochard è Rita

Fallito miseramente il tentativo di diventare attore, Sasa entra a servizio di una famiglia nobile romana, impelagata con il fascismo. Qui Sasa ha modo di rendersi utile al vecchio patriarca portandolo in giro per i bordelli, dove l’uomo alla fine viene colto da malore, proprio mentre Sasa è a colloquio intimo con la simpatica prostituta Rita.
La famiglia del nobile mette a tacere lo scandalo, anche perchè ormai l’epoca dei bordelli si avvia malinconicamente alla conclusione per l’avvento della legge Merlin che stabilì la chiusura della case chiuse.
L’odissea di Sasa continua: l’uomo finisce alle dipendenze di una coppia dalla morale sessuale molto aperta e discutibile e alla fine approda in casa di Ambrogio Perigatti, un ricco petroliere dalle molte ombre.

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Lando Buzzanca è Sasa

Qui Sasa ritrova una vecchia conoscenza, la prostituta Rita diventata nel frattempo moglie dell’uomo d’affari.
Sasa avrà modo di rendersi utile guarendo la figlia della coppia da una forma di strabismo: durante lo sbarco dell’uomo sulla luna, infatti, avrà un rapporto intimo con Linda (figlia di Amrogio e Rita) provocando la scomparsa del fastidioso disturbo che Sasa furbescamente attribuirà all’emozione provata dalla ragazza davanti alla tv durante l’allunaggio.
Ma è destino che il domestico non debba trovare tregua: Ambrogio Perigatti coinvolgerà come prestanome il povero domestico in una speculazione,che avrà come risultato la condanna di Sasa alla detenzione.
In carcere finalmente l’uomo potrà dedicarsi al suo lavoro di domestico….

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Il domestico, diretto da Luigi Filippo D’Amico su una sceneggiatura di  Sandro Continenza e Raimondo Vianello è una gradevole commedia del 1974 appartenente al florido filone della commedia all’italiana e non alla commedia sexy come erroneamente scritto da alcuni recensori della domenica.
L’impianto narrativo infatti è di stampo classico e della commedia sexy non riprende alcuna tematica: le scene sexy infatti sono limitate a qualche topless fugace delle belle protagoniste ed il film vive tutto sulla verve di Lando Buzzanca, chiamato per una volta a interpretare un ruolo brillante defilato dai ruoli sexy a cui l’attore siciliano aveva abituato il pubblico.
Il film percorre 30 anni della storia italiana, con Sasa che si imbatte via via in personaggi arricchiti e volgari, parvenue della borghesia emergente o vecchie glorie della nobiltà, nostalgiche di un passato ormai irrimediabilmente scomparso.
Se nel film manca la profondità, per ovvi motivi trattandosi di una commedia brillante, ci si consola con alcune gag gustose tra le quali spiccano la visita di Sasa con il vecchio nobile in un bordello pochi giorni prima della loro soppressione e la scena dell’allunaggio con la seduzione da parte della giovane Linda del maturo domestico Sasa, che la ragazza provoca in tutti i modi.

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Erika Blanc è Silvana

Finale agro dolce, o meglio, amaro con Sasa che finisce per fare il suo lavoro dietro le sbarre, condannato da un destino avverso che lo ha visto entrare e uscire da diverse famiglie ognuna delle quali con vizi nascosti, tipici della borghesia rampante dell’Italia post bellica.
Luigi Filippo D’Amico dirige con mano sicura un cast di caratteristi tutti all’altezza, con alcune tra le più belle star del cinema italiano anni settanta: si passa da Femi Benussi    (l’attrice Lola Mandragali che odia il caviale e lo rifila al suo cane! ) a Martine Brochard, perfettamente a suo agio nel ruolo della prostituta Rita che sogna di fuggire dal bordello in cui lavora e che vedrà coronato il suo sogno visto che sposerà nientemeno che un petroliere fino a Eleonora Fani, bravissima come suo solito nel ruolo dell’adolescente pruriginosa che guarirà dallo strabismo da cui è affetta grazie alla performance erotica di Sasa.

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Leonora Fani è Linda

Ancora, in ruoli di contorno troviamo Erika Blanc, la Silvana commessa in un negozio che si rifiuta di fare la scomoda testimone delle infedeltà della coppia presso la quale lavora Sasa ricordando che guadagna 120.000 lire al mese per lavorare 12 ore al giorno mentre i viziosi padroni di casa se la spassano avendo denaro e tempo libero; troviamo una splendida Malisa Longo in una parte lampo (quella della prostituta del bordello), Ivana Monti nel ruolo della moglie infedele che Sasa cercherà disperatamente di coprire

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Femi Benussi è Lola

e accanto a loro attori come Arnoldo Foà (Ambrogio Perigatti), Enzo Cannavale (il produttore Salvatore Sperato),Antonino Faa Di Bruno (il nobile puttaniere) e infine Gordon Mitchell (il Generale Von Werner), tutti a loro agio nei ruoli attribuiti.
Il domestico è un film senza grandi pretese ma riuscito:  va detto che alcune scene sono prolisse e che alcune situazioni sono davvero tirate per i capelli, ma nel complesso il film regge e si guarda con piacere.
Come al solito rivolgo l’invito a non fidarsi di alcune recensioni dei critici di alcuni siti, troppo snob per riconoscere un valore minimo ad una pellicola che non sarà un capolavoro ma che è sicuramente meglio di tanti prodotti osannati dai critici stessi.

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Questa recensione in particolare, “soldato semplice nella seconda guerra mondiale, “Zazà” viene mandato addirittura a fare l’attendente di Badoglio. Finisce poi al servizio di un ufficiale nazista e, infine, di uno americano. Tipico veicolo per Buzzanca. Comicità facile e scollacciata con velleità satiriche.” mostra un’acredine davvero spiazzante; il film non è affatto scollacciato, ma come ormai sappiamo bene il vero problema è la puzza sotto al naso di parte dei soloni cinematografici.

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Ivana Monti

Il domestico,un film di Luigi Filippo D’Amico. Con Femi Benussi, Luciano Salce, Silvia Monti, Lando Buzzanca, Paolo Carlini, Martine Brochard, Arnoldo Foà, Nanda Primavera, Camillo Milli, Renzo Marignano, Enzo Cannavale, Erika Blanc, Gordon Mitchell, Silvia Monelli, Malisa Longo, Carla Mancini, Mico Cundari, Empedocle Buzzanca
Commedia,  durata 105 min. – Italia 1974.

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Lando Buzzanca    …     Rosario Cabaduni, soprannominato ‘Sasa’
Martine Brochard    …     Rita
Arnoldo Foà    …      Ambrogio Perigatti
Femi Benussi    …     Lola Mandragali
Leonora Fani        Linda Perigatti
Paolo Carlini    …     Andrea Donati
Enzo Cannavale    …     Salvatore Sperato
Antonino Faa Di Bruno…. il nobile
Erika Blanc    …     Silvana
Luciano Salce    …     Il regista
Gordon Mitchell    …     General Von Werner
Erika Blanc…. Silvana
Malisa Longo…Una prostituta

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Regia: Luigi Filippo D’Amico
Sceneggiatura: Sandro Continenza e Raimondo Vianello
Musiche : Piero Umiliani
Editing: Renato Cinquini
Produttore:     Medusa
Fotografia :    Sandro D’Eva
Montaggio :    Renato Cinquini
Distribuzione: Medusa
Scenografia :    Ennio Michettoni, Franco Velchi
Costumi :    Luciana Fortini

Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Divertente, ma sbilanciato. Molto buona la prima ora, però cala con la parte popolata da Foà e la Fani, nonostante la bravura degli interpreti, perché è troppo prolissa. Esilarante la parte con la Monti, Marignano, la Blanc (presunta monarchica…). Buzzanca, in ogni caso, è semplicemente eccezionale. E poi ci sono Salce, il grande Faà di Bruno, Cannavale, una sfolgorante Benussi.

Interessante parabola sull’esistenza di un “servo” che viene analizzata (in vérve comica) a partire dall’inizio della carriera (a ridosso della fine della 2a guerra mondiale) sino ad un finale (corrispondende al 1969 e relativo sbarco sulla Luna) che avanza teorie “politiche” esterne al genere: Luigi Filippo D’Amico riesce a mettere insieme momenti esilaranti (basterà ricordare Luciano Salce nella parodia di se stesso), senza scordarsi una sana polemica sulla corruzione politica e sociale, già all’epoca, ai vertici dei ministeri…

Valida commedia sulla lealtà dei servi e i vizi dei padroni, costruita su Buzzanca – al solito siculo e mandrillo – e su una variopinta galleria di attori e starlets: la Fani strabica e lolitesca, la statuaria Monti, la delicata Tanzilli, la Blanc che ghigna come la Facchetti, Foà distributore di bustarelle, Mitchell nazista…Trova spazio pure una parodia di Riso amaro (e del mondo del cinema in generale), con Salce regista e Buzzanca e la Benussi nei ruoli che furono di Gassman e della Mangano.

L’italico servilismo, ma anche il camaleontismo e l’ipocrisia: in questo anomalo Buzzanca-movie, dove il nostro è leccapiedi per vocazione (ma pur sempre mandrillo siculo), i vizi atavici dell’italiano vengono passati in rassegna in una svelta successione di episodi piuttosto ben sceneggiati, dove il migliore è quello con Salce neorealista a dirigere Lando domestico del produttore. Buona scelta dei comprimari, buon assortimento di fanciulle: la dolce e maliziosa Fani (semiesordiente) si fa notare nel ruolo della lolita strabica.

Notevole commedia, probabilmete il miglior film di Buzzanca. I toni sono più seri e impegnati del solito, ma il film è comunque veloce e divertente. Bravissimo Buzzanca, ottimo il resto del cast, pieno di nomi noti. Forse il finale non è troppo convincente, ma il film riesce a volare inaspettatamente in alto. Bellissima la colonna sonora.

Azzardo a definirlo il miglior Buzzanca-movie di tutti i tempi. La qualità della pellicola si manifesta in molti aspetti: innanzitutto il ruolo affibbiato a Buzzanca gli è congeniale e lo si vede convinto (dunque convincente). Bella l’idea di raccontare ad episodi la storia di questo domestico dall’Italia della Seconda Guerra Mondiale fino al 1974, con aspetti anche storiografici. Molto bella la colonna sonora di Piero Umiliani.

Solita commediola con protagonista Lando Buzzanca. Non dissimile da mille altre che l’attore ha interpretato nel corso del suo periodo d’oro. Ha un buon ritmo e due o tre gag apprezzabili, ma in fondo la si dimentica in fretta. Cast non particolarmente in palla, a partire dal protagonista.

Il domestico è un ruolo che si addice alla maestria comica del grande Buzzanca, libero di impersonare le varie caratteristiche di questo lavoratore in tutte le sue accezioni. Si ride anche se non ci si spancia, v’è da dirsi, ma neanche si affonda nel mare magnum triviale cui spesso la commedia italiana di quel periodo ci aveva abituato. La Fani che seduce il bravo Lando posizionando il suo dolce piedino proprio lì (riacquistando al contempo la perfetta simmetria oculistica) vale tutto il film, grazie anche all’espressione di lui…

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giugno 28, 2011 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Giochi erotici di una famiglia perbene

Giochi erotici di una famiglia perbene locandina

Titolo idiota per un film che di erotico non ha praticamente nulla e che andrebbe inquadrato nel filone dei gialli/thriller, non fosse per alcuni particolari, come una sceneggiatura da brividi (in senso negativo) e l’interpretazione da prima recita in un asilo infantile del protagonista Donald O’Brien che pure nel corso della sua carriera qualcosa di buono l’ha fatta.
Purtroppo quando si è costretti a recitare con un soggetto sceneggiato in maniera molto approssimativa e sopratutto quando si è diretti da un regista come Francesco Degli Espinosa che nel corso della sua carriera ha diretto (per fortuna) solo due film( l’altro dei quali è  C’era una volta questo pazzo pazzo west) si corre questo rischio.

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Erika Blanc è Eva

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Malisa Longo è Elisa

A completare il fosco quadro ci pensa Renato Polselli, autore sia della sceneggiatura sia in buona parte dell’allestimento della pellicola.
La trama, ridotta all’osso, anche perchè c’è ben poco da spiegare, racconta delle vicende del professor Rossi, stimato e irreprensibile difensore della moralità (tanto da essere anche un alto esponente della lega che vuole eliminare il divorzio dall’ordinamento sociale) che, rientrando in casa, scopre di essere becco.

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La moglie ha infatti una relazione adulterina con quello che il miope professore crede essere un uomo, mentre in realtà è una donna, la bellissima Eva che è truccata con parrucca e baffi per ingannarlo.
Infatti Eva ed Elisa (la moglie di Rossi), sono in combutta; ma questo Rossi non lo sa ed avvelena la moglie per poi portarla in stato di semi incoscienza in riva ad un lago, dove la getta convinto di essersi liberato della moglie fedifraga.
In realtà Elisa non è affatto morta e ha simulato il tutto proprio con l’aiuto di Eva, che in seguito aggancia Rossi e ne diviene l’amante.
A complicare la situazione ci si mette anche la bella e un tantino sporcacciona nipote di Rossi, Barbara, che allaccia con l’uomo una relazione incestuosa.

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Maria D’Incoronato è Barbara

Nel frattempo Elisa prende a tormentare Rossi fingendosi un fantasma, portando l’uomo quasi sulla soglia della pazzia.
Ma con il classico colpo di scena Riccardo Rossi scopre che la moglie è viva e che se la intende proprio con Eva e le uccide entrambe, questa volta con una pistola.
Ma l’uomo ha fatto i conti senza l’oste, la bella e perversa Barbara, che uccide lo zio e dopo aver caricato i corpi dei tre in un auto fa esplodere la stessa facendola precipitare giù per un dirupo.
Ma il castigo è in agguato…

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Elisa e Eva le due complici/amanti

Come già detto Giochi erotici di una famiglia perbene già in partenza ha tutto per scoraggiare la visione del film stesso: una brutta sceneggiatura, improbabile e comunque scontata con in aggiunta la presenza in fase recitativa del rozzo e inespressivo Donald O’Brien, adattissimo a ruoli di duro nei western e inadattissimo a ruoli drammatici.
In aggiunta c’è la difficoltà di reggere il film con lo scarso cast a disposizione, che presuppone dietro la macchina da presa la presenza di un regista del calibro di Argento, Fulci o Bava.

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Poichè Francesco Degli Espinosa non è nessuno dei tre, ecco il fallimento totale della pellicola in agguato, non fosse per la presenza delle due bellissime e valide protagoniste del film, Erika Blanc e Malisa Longo.
Inespressiva, nonostante la caratterizzazione da porcellina del personaggio di Barbara la recitazione di Maria D’Incoronato.

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Film barboso e palloso oltre il limite di guardia, quindi; non fosse per i fugaci nudi della Blanc e della Longo che appagano almeno a livello visivo il voyeur che è in ognuno di noi, di questo film non ci sarebbe nemmeno da fare menzione.
Giochi erotici di una famiglia perbene, un film di Francesco Degli Espinosa, con Erika Blanc, Malisa Longo, Maria D’Incoronato, Donald O’ Brien Giallo Italia 1975

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Donald O’Brien     …     Professor Riccardo Rossi
Erika Blanc … Eva
Malisa Longo … Elisa Rossi
Maria D’Incoronato … Barbara

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Regia : Francesco Degli Espinosa
Sceneggiatura: Renato Polselli
Soggetto: Renato Polselli
Musiche: Felice Di Stefano,Gianfranco Di Stefano
Editing: Roberto Colangeli


Maggio 23, 2011 Posted by | Thriller | , , | Lascia un commento

La padrona è servita

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Domenico Cardona, ex contadino diventato ricco come imprenditore, cafone e cialtrone, prende in affitto il piano terra di una villa di campagna, di proprieta’ di una contessa.
La villa è abitata da altre donne; ci sono le due figlie della contessa, una molto giovane l’altra attempata, entrambe non sposate, con la compagnia di Angela, vedova dell’unico figlio della contessa, Olga, sorella della contessa.
A loro va aggiunta la procace e disponibilissima donna di servizio, Sultana.

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Senta Berger

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Erika Blanc

La convivenza tra il rustico Domenico e il gruppo di donne, dopo un inizio difficile, per ovvia colpa delle differenti estrazioni sociali, sembra andare incontro ad una pacifica anche se forzata tolleranza.
A Domenico si aggiunge il giovane e timido nonchè inibito Daniele.
E’ Olga a dare il via ai tentativi di seduzione dei due maschi di casa; ci proverà senza fortuna con Domenico per ripiegare sul giovane Daniele, con il quale non consumerà però il fattaccio.

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La più giovane delle figlie della contessa prova anche lei, in tutti i modi, a iniziare il giovane alle delizie dell’eros, ma anch’essa senza successo.
Dopo esser passato attraverso la cameriera, per un breve e fugace amplesso, Daniele si invaghisce di Angela, donna all’apparenza sensuale e disponibile.
Il giovane riuscirà in qualche modo a iniziare la sua vita da adulto proprio con Angela, che lo sedurrà.

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Ma le cose vanno anche in maniera opposta a quanto desiderato dal giovane; la donna alla fine accetta, per calcolo, la corte di Domenico, lasciando nella disperazione il ragazzo, che decide così di allontanrsi e andare in America.
Un giorno però Domenico, dopo aver avuto un rapporto contemporaneo con Olga e con la zitella figlia della contessa, muore d’infarto dopo l’amplesso.

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Daniele torna a casa per regolare l’eredità paterna, e mentre si reca ai funerali, parla con la vedova del padre, che adombra la possibilità di un loro futuro rapporto.
La padrona è servita, film del 1976 diretto da Mario Lanfranchi, è una stanca commediola a sfondo simil erotico; in effetti, a guardare bene, è solo la trama ad essere licenziosa, perchè il film è decisamente casto e con qualche nudo fugace, fra i quali spicca un nudo posteriore della bella Senta Berger ripresa in lontananza.
Un film decisamente noioso, anche, svilito da una trama ormai logora, quella dell’iniziazione giovanile del solito imbranato ad opera di vogliose e mature donne, a cui si unisce l’altrettanto trito e ritrito provinciale arricchito che ambisce a ripulirsi dalla sua patina di rozza cultura sposando la solita nobile a corto di denaro.

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Con queste premesse il film non poteva offrire altro che la solita serie di gag legate al giovanotto che allunga le mani, alla solita pruriginosa ragazzina che tenta di mostrarsi più matura del reale, la solita procace cameriera pronta a cedere alle voglie dei padroni e quindi tutto il campionario classico della commedia minore sexy all’italiana.
Tra gli attori l’unica a mostrare talento, unito alla simpatia, è Erika Blanc, che interpreta da par suo la licenziosa, ai limiti della ninfomania sorella della contessa; male invece Senta Berger, spaesata e legnosa come non mai.
Maurizio Arena, che interpreta Domenico, riesce in qualche modo a definire il personaggio rozzo e incolto del contadino arricchito; ma è evidente il declino fisico dell’attore, lontanissimo dal personaggio del bello ma povero che l’aveva lanciato nel mondo del cinema.

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Sovrappeso, svagato, Arena contribuisce anche lui a dare un senso di grigiore generale al film, che si smarrisce tra una trama inesistente, battute e battutine da dimenticare, dialoghi abbastanza poveri, di una tristezza e di una pochezza disarmanti.
Opera quindi che va inserita di diritto nei B movies italiani della commedia sexy, nobilitata solo dalla simpatia di Erika Blanc, in questo caso penalizzata da una bizzarra acconciatura.

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La padrona è servita, un film di Mario Lanfranchi. Con Maurizio Arena, Senta Berger, Erika Blanc, Bruno Zanin Erotico, durata 91 min. – Italia 1976.

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Senta Berger    …     Angela
Maurizio Arena    …     Domenico Cardona
Bruno Zanin    …     Daniele Cardona, il figlio
Erika Blanc    …     Olga

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Regia Mario Lanfranchi
Soggetto Mario Lanfranchi
Sceneggiatura Mario Lanfranchi, Pupi Avati
Produttore InterVision
Distribuzione (Italia) Agora
Montaggio Alessandro Lucidi
Musiche Stelvio Cipriani
Scenografia Guido Josia
Costumi Maria Baroni

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dicembre 15, 2010 Posted by | Erotico | , , , | Lascia un commento

Le regine dei sogni anni 70 oggi

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Nei vari forum o siti che si occupano di cinema capita spesso di imbattersi in domande del tipo “ma che fine ha fatto quell’attrice? ” oppure “ma oggi com’è diventata? ” .
Curiosità legittima specie quando l’attrice, la starlette o la semplice meteora è scomparsa nel nulla, ritirandosi a vita privata o cambiando completamente lavoro.
Paradossalmente di alcune di esse che occupavano le prime pagine dei giornali specializzati o di quelli scandalistici, non solo non si hanno più notizie, ma mancano anche documentazioni fotografiche recenti.
Che fine ha fatto Anita Strinberg, la bellezza nordica dagli occhi di ghiaccio, com’è diventata? Cosa fanno Marilu Tolo, Femi Benussi e Leonora Fani, Lara Wendel e Susan Scott?
Nonostante le mie lunghe ricerche in rete, alcune di loro sembrano davvero essere scomparse nel nulla.
Mancano non solo notizie biografiche, ma anche foto recenti.
Sembrerebbe che alcune abbiano volutamente staccato la spina, quasi che il cinema fosse stato, per loro, solo un passaggio, una tappa; incuranti della curiosità dei loro fans, vivono esistenze lontanissime dai riflettori.
C’è chi come Marco Giusti è riuscito a contattare alcune di loro, riproponendo nella trasmissione Stracult il loro passato cinematografico, con preziose testimonianze su un mondo ormai quasi completamente dimenticato, quello che si muoveva dietro le quinte del tanto celebrato cinema italiano degli anni settanta. Opera meritoria e lodevole, perchè ha fatto riemergere dalle nebbie del passato splendide attrici come Susan Scott o starlette come Rita Calderoni, ottime comprimarie come Gabriella Giorgelli….
E ci sono anche riviste come Nocturno che negli ultimi 10 anni hanno contribuito a far conoscere alle nuove generazioni tutta una serie di attori e attrici ormai confinate nel limbo, riroponendo il tesoro composto da centinaia di film completamente dimenticati.
Questa prima parte di questa galleria è dedicata ad alcune splendide protagoniste di quel cinema: alcune di loro mostrano gli inclementi segni del tempo, altre si sono trasformate in mature e affascinanti signore.
Tutte però conservano quel fascino che ha incantato intere generazioni, che ci ha fatto sognare, commuovere divertire.
Se qualche lettore avesse foto recenti, notizie di alcune attrici di cui da tempo non si parla più, può contattarmi o tramite gli appositi commenti in fondo alla pagina o tramite mail.
Sarà mia premura aggiornare immediatamente questa galleria, che prossimamente avrà una seconda parte.

Orchidea De Santis

Questa galleria non può non partire da una delle più belle e affascinanti star degli anni settanta, ancora oggi donna dal gran fascino: Orchidea De Santis

Edwige Fenech

La regina del film sexy anni settanta, ancor oggi donna bellissima: Edwige Fenech

Dagmar Lassander

Era una delle più simpatiche e sexy star, interprete di film come Femina ridens: Dagmar Regine Hader, in arte Dagmar Lassander

Susan Scott

Un personale mito, forse la più affascinante in assoluto: Nieves Navarro, conosciuta in Italia come Susan Scott

Olga Bisera

Non conosciutissima, ma interprete di diversi film di genere: Olga Bisera

Senta Berger

Divenne famosissima da noi con Operazione San Gennaro e in seguito con Quando le donne avevano la coda:    Senta Berger

Ely Galleani

Era l’interprete di 5 bambole per la luna d’agosto e di tanti altri film; è rimasta una gran bella signora Ely Galleani

Carmen Villani

Cantante di buon successo, passata poi alla commedia sexy all’italiana, interprete di film come La supplente, Ecco lingua d’argento: ultima a destra, Carmen Villani

Barbara Bouchet

Un’altra interprete molto famosa nel decennio settanta; la bionda e ancor oggi affascinante Barbara Bouchet

Beba Loncar

Esordì come fotomodella e poi come attrice di fotoromanzi; ha lavorato in film western, in commedie sexy e in thriller. Beba Loncar

Zeudi Araya

Sempre bellissima, affascinante, La ragazza dalla pelle di luna, oggi produttrice di successo: Zeudi Araya

Attrice molto brava e preparata, indimenticabile protagonista nel film Novecento di Bertolucci:                     Stefania Casini

Agostina Belli

Il fascino e la bellezza intramontabile di una delle più brave attrici del cinema italiano, interprete di film come Profumo di donna: Agostina Belli

Janet Agren

Attrice versatile, ha interpretato film di diverso genere, come thriller, western, gialli e alcune commedie sexy: Janet Agren

Martine Brochard

Sempre invidiabilmente giovane, Martine Brochard

Carrol Baker

Una delle attrici americane più attive in Italia: Carroll Baker

Gloria Guida

L’altra reginetta del cinema sexy italiano, Gloria Guida

Gabriella Giorgelli

La reginetta dei decamerotici, Gabriella Giorgelli

Erika Blanc

Un altro personale mito, l’affascinante Erika Blanc

Rosalba Neri

Una delle attrici più versatili in assoluto, Rosalba Neri

Annamaria Rizzoli

La reginetta della commedia sexy balneare, Annamaria Rizzoli

Rita Calderoni

Riemersa dopo un lunghissimo silenzio, Rita Calderoni









novembre 5, 2010 Posted by | Miscellanea | , , , , , , , , , , | 8 commenti

Io Emmanuelle

Io Emmanuelle locandina

“Acquistate tre saponette per cento lire”
E’ lo slogan che ascolta una bellissima e annoiatissima donna da una radio che le ronza affianco, mentre dorme completamente nuda coperta solo da un lenzuolo verde.
Si vede anche sul balcone del suo elegante appartamento mentre giace sull’asfalto, coperta anche li dal lenzuolo verde.
Inizia così Io Emmanuelle, con dialoghi scarni , anzi, monologhi irritanti, di Ginette, amica di Emmanuelle, la protagonista annoiata. Proviamo a descrivere il film in presa diretta, da spettatore che fa la radiocronaca scritta (un non sense, lo so) di quello che scorre sotto i suoi occhi.

Io Emmanuelle 1

Io Emmanuelle 3

La splendida Erika Blanc

La donna gira nervosamente la manopola di sintonizzazione della radio, che trasmette, con monotonia, la notizia di un bonzo che si è dato alle fiamme, le ultime dal Vietnam, dove infuria la guerra, mentre ossessivamente una voce ripete lo slogan delle tre saponette.
La macchina da presa indugia sugli splendidi occhi di Emmanuelle (Erika Blanc), sul corpo, la segue mentre nuda sale una scala (senza ovviamente inquadrarla mai per intero, siamo nel 1969).
Sono passati circa 10 minuti dall’inizio del film, e un senso di noia mortale sembra pervadere già lo spettatore.
Ed è solo il prologo, perchè la sensazione si trasformerà ben presto in una certezza assoluta.
Altri 5 minuti in cui seguiamo la protagonista andare a spasso per la città, e finalmente dopo 18 minuti! di film ascoltiamo la sua voce dire:”Mio caro cretino professore,ascoltami: sono stufa di sapere che ho bisogno di te”.
Il che è una liberazione, perchè la terribile sensazione di aver perso il senso dell’udito si sta accompagnando a quella più grave di vivere un incubo.

Io Emmanuelle 2

Io Emmanuelle 4

Mentre la solita voce fuori campo continua a proporre le maledette “tre saponette”, Emmanuelle si reca a trovare un tizio, che la accoglie come una vecchia amica.
E’ un logorroico e snob signore di mezz’età, che però resta senza parole quando Emmanuelle gli dice, brutalmente “Ti prego, fammi fare l’amore”
Ora, qualsiasi essere normale che si senta chiedere da un pezzo di donna come la Blanc una cosa del genere come minimo avrebbe dapprima una sincope, e in seguito si lancerebbe lancia in resta (scusate la similitudine da trivio); difatti l’uomo, dopo l’iniziale imbarazzo e dopo un “non ti credo”, impalma in senso biblico la donna, che comunque non sembra apprezzare più di tanto.

Io Emmanuelle 5

Difatti prima di andar via Emmanuelle brucia alcune pagine del libro che l’uomo stava scrivendo, segno inequivocabile che il rapporto è stato scadente.
Dopo di che la insoddisfatta Emmanuelle si reca da un altro amico, un venditore di reggiseni alle prese con una cliente elefantiaca e incontentabile;anche in questo caso, la donna ha un rapporto veloce e inconcludente.
Uscita dall’atelier dell’amico, Emmanuelle sale sulla moto di un giovane cappellone, che si rivelerà essere una specie di hippy pazzoide e cannato all’ennesima potenza;dopo aver fumato un maxi spinello, la donna fugge ancora.
Incontrerà poi un maturo signore in cerca di avventure,una lesbica con la quale avrà un muto scambio di segnali e un incontro ravvicinato in un cesso con tanto di rifiuto da parte della nostra eroina,un giornalista preoccupato più della madonnina che porta al collo che dall’atto sessuale con la sua compagna, nuovamente il cappellone hippy….
Insomma, un tour de force erotico che la lascerà ancor più annoiata di prima.

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Io Emmanuelle, diretto da Cesare Canevari nel 1969 è un film mortalmente noioso; non fosse per la splendida protagonista, Erika Blanc, sarebbe da piantare in asso dopo venti minuti di visione.
A parte la raffinata fotografia, si salva pochissimo o niente; la trama in pratica è inesistente o quasi, giocata tutta sull’insoddisfazione della protagonista, una donna che cerca nel sesso un appiglio ad una vita che le appare vuota.
Il che verrà replicato all’infinito negli anni successivi, quando l’erotismo diverrà fatalmente valvola di sfogo, modo per realizzarsi,soddisfazione di istinti primari al confine con la bestialità per passare a fonte di vita o oggetto proibito e via dicendo.
Canevari ha l’unico merito di aver anticipato i tempi proponendo un soggetto molto scabroso per l’epoca.
Siamo a fine anni sessanta, non dimentichiamolo, e le forbici della censura agivano con una forza e una velocità degne di miglior causa.
Ma resta l’unico merito del regista, che tenta inutilmente di abbellire il quadro donandogli una patina di intellettualismo che alla fine riesce solo a indispettire lo spettatore.

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Sprecato oltre ogni ragionevole necessità il cast, che include la citata Blanc, che fa il suo con inappuntabile professionalità, la Sannoner, validissima attrice di teatro finita per chissà quale motivo in questa pochade, Adolfo Celi e Paolo Ferrari, entrambi attori di indiscusso pregio che mostrano tutta la loro perplessità per un soggetto in cui evidentemente non credevano mantenendo il minimo sindacale della recitazione.
Un film davvero brutto, quindi, appesantito da situazioni surreali o tragicomiche, come il momento di intimità di Emmanuelle con Sandri in cui quest’ultimo è preoccupato più che dal rapporto con la splendida donna che ha nel letto dall’aver smarrito una catenina.
Il livello è quindi questo, e quello che da più fastidio è la pretenziosità con cui il film cerca di prendersi sul serio.
Il tema sonoro centrale è di Mina,ed anche questo era evitabilissimo.

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Io Emmanuelle, un film di Cesare Canevari. Con Erika Blanc, Adolfo Celi, Paolo Ferrari, Milla Sannoner, Sandro Luporini, Lia Rho Barbieri
Drammatico, durata 96 min. – Italia 1969.

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Io Emmanuelle banner protagonisti

Erika Blanc – Emmanuelle
Adolfo Celi – Sandri
Paolo Ferrari – Raffaello
Sandro Korso – Il capellone
Lia Rho-Barbieri – Anita
Ben Salvador – Phil
Milla Sannoner – Ginette

Io Emmanuelle banner cast

Regia: Cesare Canevari
Soggetto: Cesare Canevari
Romanzo: Emmanuelle Arsan
Musiche:Gianni Ferrio

L’eroina eponima, sempre in cerca di nuove esperienze sentimental-sessuali, è qui affidata alla rossa Erika Blanc, che si concede generosamente in eleganti nudi. Meritevoli soprattutto lo stile registico di Canevari, a base di zoom e primi piani, il montaggio di Messeri e la fotografia di Catozzo. I dialoghi sono pressochè superflui…

Pura tecnica fine a sé stessa. Rappresentare la noia di vivere senza diventare noiosi è molto difficile, ed infatti tolte poche sequenze si assiste ad un’inerte rappresentazione dell’andirivieni di Erika Blanc per Milano mentre si abbandona più volte alle braccia del primo venuto. Di sostanza, insomma, neanche a parlarne… ed i dialoghi sono spesso irritanti. Un film che dimostra ampiamente i suoi 40 anni, purtroppo.

Film noiosissimo che di erotico ha davvero poco. Salvo solo le atmosfere e le ambientazioni tipicamente anni sessanta. Discreta colonna sonora, pessimo tutto il resto; pare che questo film anticipi la fortunata serie con la Crystal, senza ovviamente raggiungerla né sfiorarla in quanto a qualità. Mediocre.

Pellicola per certi versi paradigmatica del cinema erotico anni ’60: sesso castigatissimo di cui fatichiamo a comprendere lo scandalo, dialoghi inascoltabili che tradiscono una attaccamento di fondo agli antichi “valori” che si pretende di sovvertire; ma d’altre parte anche velleità semiautoriali, intellettualismi alienati (o manierismi psichedelici travestiti da tali) nell’uso del montaggio e della musica. La Blank, raramente protagonista, si segue volentieri. Bel quadretto d’epoca, benché immaginario, anzi: sull’immaginario di un’epoca.


novembre 2, 2010 Posted by | Drammatico | , , , , | 1 commento