Nerone
L’imperatore Nerone è odiato da tutti: dai cristiani che lo accusano di aver fatto bruciare Roma e di aver addossato loro la colpa, dalla madre Agrippina perchè ha nominato senatore un suo avversario politico e dalla moglie Poppea perchè non le affida la parte di Elena di Toria in una rappresentazione teatrale scritta dallo stesso imperatore.
Così, grazie ad una congiura orchestrata da alcuni senatori e con la complicità dell’infido Tigellino, capo dei pretoriani dello stesso imperatore, Agrippina riesce a far rinchiudere in un manicomio Nerone, che ne viene liberato solo grazie all’amico Petronio e con l’aiuto di una bella cristiana convertitati al paganesimo, Nenè.
Così, il tentativo di mettere sul trono il generale Galba, affetto da fastidiosi problemi fisici come le emorroidi fallisce e Nerone riesce a tornare sul trono, non prima di essersi spacciato per Gesù davanti ad un Pietro molto più vicino ad un allocco che alla figura carismatica del capo della cristianità.
Diretto da Castellacci e Pingitore, alla loro seconda e ultima prova di regia in coppia dopo il discreto successo di Romolo e Remo storia di due figli di una lupa, Nerone è una parodia in stile burlesque o anche in puro stile avanspettacolo, realizzato nel 1977 con l’ausilio di un cast di assoluto livello ma con un risultato finale appena sufficiente.
Se l’idea di base, il cast e la formula della storia riadattata con enormi asincronismi temporali può sembrare azzeccata, il film che pure parte con qualche felice battuta e qualche gag che smuovono il sorriso ben presto si spegne in una lunga sequela di banalità, a cui invano i due registi tentano di porre rimedio affidando ai vari attori canzoncine e battute lampo che però risultano piatte e poco divertenti.
Colpa di una sceneggiatura da avanspettacolo, quindi inadatta ai tempi cinematografici, colpa anche di troppe banalità nelle battute, alcune delle quali appaiono grossolane e sconce.
E colpa anche di una certa blasfemia che serpeggia nel film, che appare davvero gratuita e poco divertente, tra l’altro.
Il film parte con una sequenza in cui Nerone, interpretato da un romanaccio doc come Pippo Franco scambia due battute con Atte: ” A Nerò, che vuoi la lira?” ” Beh, mejo de gnente” e prosegue sulla stessa falsariga, con scambi di battute surreali, come quella con Bombolo :”certo che l’alloro è una grande invenzione” “specie co’ i fegatelli”
Il livello del film è questo, tuttavia non mancano sprazzi di comicità e di divertimento.
Paola Borboni
Tra una battuta e una canzoncina, spesso in rima, il film prosegue con vivacità, alternando momenti felici (il bagno di Poppea, la sequenza al manicomio) a momenti di stanca.
Tuttavia, alla fine, non si resta completamente delusi.
Merito sopratutto di un cast che raccoglie attori molto bravi, quelli che con un brutto termine erano definiti “caratteristi”e merito anche delle due bellezze protagoniste del film, la ex soubrette Paola Tedesco che interpreta la cristiana convertita Nenè e Maria Grazia Buccella, deliziosamente svampita nel ruolo dell’imperatrice Poppea.
Nel film compaiono anche un bravo Enrico Montesano nel ruolo di Petronio Arbitro, con tanto di erre moscia e vestito ovviamente di tutto punto e con un anacronistico cappello, Oreste Lionello nel ruolo di un Seneca filosofo futurista dai dialoghi quasi demenziali, che parla una stranissima lingua un pò burina, un pò romana e tanto british de noantri.
Due fotogrammi con Paola Tedesco
Troviamo ancora la stella del cinema muto Paola Borboni, che interpreta Agrippina, madre di Nerone e ispiratrice della congiura che porterà l’imperatore stesso in manicomio e che si segnala per un’audace scena a seno nudo, mostrato alla bella età di 77 anni; c’è l’immancabile Gianfranco D’Angelo nel ruolo di Tigellino, stravagante e anche lui caratterizzato da una stoltezza quasi commovente.
“Non sono più cristiana, sono diventata pagana: ecco la prova”
C’è spazio per Paolo Stoppa, un San Pietro rivoluzionario, quasi comunista e anarcoide che alla fine verrà beffato da Nerone, c’è Aldo Fabrizi nel suo penultimo film, che interpreta il generale Galba affetto da problemi fisici fastidiosissimi come le emorroidi, c’è Marina Marfoglia nel ruolo di Atte (storicamente amante di Nerone).
Ancora, completano il cast in ruoli minori Bombolo (Roscio), aiutante squinternato di Nerone, Massimo Dapporto in una particina e infine la futura soubrette Carmen Russo in una breve sequenza in cui mostra il suo celebre seno.
Un film assolutamente scacciapensieri, probabilmente non riuscito ma in grado di strappare qualche momento di ilarità.
Nerone, un film di Castellacci e Pingitore, con Pippo Franco, Maria Grazia Buccella, Paola Tedesco, Oreste Lionello, Enrico Montesano, Paola Borboni, Gianfranco D’Angelo, Paolo Stoppa, Bombolo, Carmen Russo, Marina Marfoglia, Laura Troschel, Aldo Fabrizi Italia 1977, commedia
Bombolo, Pippo Franco e Carmen Russo
A destra, Aldo Fabrizi
Pippo Franco: Nerone
Maria Grazia Buccella: Poppea
Paola Tedesco: Licia
Oreste Lionello: Seneca
Enrico Montesano: Petronio Arbitro
Paola Borboni: Agrippina
Gianfranco D’Angelo: Tigellino
Paolo Stoppa: San Pietro
Aldo Fabrizi: Generale Galba
Bombolo: Roscio
Piero Santi: Vinicio
Gio Staiano: Sporo
Marina Marfoglia: Atte
Laura Troschel: Locusta
Massimo Dapporto: Cristiano liberato
Attilio Dottesio: Centurione
Giancarlo Magalli: Presidente del senato
Valentino Simeoni
Bruno Vilar: Centurione
Regia Castellacci e Pingitore
Soggetto Castellacci e Pingitore
Sceneggiatura Castellacci e Pingitore
Produttore Mario Cecchi Gori
Casa di produzione Capital Film
Distribuzione (Italia) Gold
Fotografia Sergio Martinelli
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Flavio Bocci
Scenografia Enrico Rufini e Maurizio Tognalini
Costumi Enrico Rufini e Maurizio Tognalini
Il Marchese del Grillo
Siamo nei primi anni dell’ottocento, la vicenda è ambientata a Roma durante il pontificato di Pio VII.
Il marchese Onofrio, appartenente alla nobile casata dei Del Grillo, divide il suo tempo fra burle feroci e un dolce far niente.
Vittima dei suoi scherzi sono un pò tutti quelli che lo circondano, ma il suo bersaglio principale è Papa Pio VII, che ha per lui un evidente debole.
Così Onofrio si diverte a burlare, anche in maniera feroce coloro che in qualche modo frequenta, come il povero Aronne Piperno, che realizza per Onofrio dei mobili e al momento di essere pagato si vede denunciato alle autorità.
Per colmo di sventura, lo sfortunato ebreo viene anche condannato dalla corte alla quale si rivolge: Onofrio, come confesserà al Papa, ha corrotto un pò tutti solo per dimostrare che in realtà la giustizia non esiste.
I due volti del grande Alberto: Gennarino il carbonaro ….
… e il Marchese Onofrio del Grillo
I suoi scherzi sono leggendari: si va da quello cattivissimo di lanciare monete roventi alla plebaglia che si raduna nel cortile del suo palazzo alla beffa che gli costa quasi il carcere, far suonare le campane a morto in città, quasi fosse scomparso il Papa, all’allontanamento della sorella che aveva chiesto un posto più consono per suo marito.
Arriverà anche per Onofrio il momento in cui gli scherzi lasceranno il posto al rischio della decapitazione; il Papa restituirà con gli interessi tutti gli scherzi fin là ricevuti mandando sul patibolo quello che crede sia il marchese Del Grillo.
Ma anche questa volta il nobile riuscirà a beffare il Papa mandando sul patibolo un disgraziato carbonaro che gli assomiglia come una goccia d’acqua.
Ovviamente il carbonaro non verrà giustiziato perchè il Papa sospenderà l’esecuzione, avendo nelle intenzioni solo la voglia di spaventare Onofrio Del Grillo.
Monicelli dirige un Alberto Sordi in stato di grazia nel 1981 in questa opera dal titolo eloquente, Il Marchese Del Grillo, quasi a indicare l’assoluto protagonista del film, che è l’attore romano che da vita ad una delle sue caratteristiche maschere.
Un film che da subito ottiene incassi eccezionali, piazzandosi a fine anno dietro soltanto al solito Celentano protagonista di Innamorato pazzo, venne accolto in maniera difforme dalla critica.
E va detto subito che molte perplessità dei critici stessi avevano ragione d’essere: aldilà della goliardia che contraddistingue il personaggio di Onofrio del Grillo, la sua affascinante carognaggine, la sua maschera romana a metà strada tra il popolare e il nobile sprezzante, quello che non convince è in primis l’eccessiva lunghezza del film dilatata oltre il consentito e il sopportabile usando come riferimento una trama che in pratica non esiste.
Perchè il vero, assoluto protagonista resta Onofrio/Sordi, che caratterizza all’estremo l’ignavia, la supponenza, la maleducazione e l’arroganza del nobile senza però supportarla con una fustigazione della classe nobiliare, o anche con una condanna dei modi oltraggiosi con cui il Marchese tratta gli altri.
La cantante e attrice francese Olimpia, amante di Onofrio (l’attrice Caroline Berg)
Anzi.
Monicelli sembra strizzare l’occhio alla commedia umoristica più disimpegnata, estranenandosi completamente da qualsiasi condanna degli eccessi di Onofrio, che in fondo è figlio di quella classe nobiliare che tante responsabilità ebbe nel triste periodo della Roma papalina, quella del Papa re, del potere temporale nettamente predominante su quello spirituale.
Alla fine infatti il film sembra più un red carpet per l’attore romano, che grazie alla sua verve, alla sua capacità d padroneggiare il dialetto in maniera impareggiabile, rende il prodotto finale più simile ad una galleria comica che ad un’opera organica.
Faustina, l’attrice Angela Campanella (“ma che dormi tutta ignuda?”)
Sordi oscura tutti, perchè è addosso a lui che è cucito il personaggio del marchese ignavo e fancazzista, che si fa beffe di tutto, dall’autorità costituita alla famiglia, dal potere religioso agli amici.
Un personaggio, quello di Onofrio, che si fa perdonare proprio per la straordinaria caratterizzazione di Sordi: i suoi scherzi di pessimo gusto, le sue battute discutibili come la celebre “Ah… Mi dispiace, ma io so’ io, e voi nun siete un cazzo!” sarebbero diventate imperdonabili in bocca a chiunque se non fosse stato per il Sordi quasi mefistofelico che si cala nei panni di Onofrio in maniera simbiotica.
Poichè all’Albertone si perdona tutto, si arriva a godere degli scherzacci che Onofrio fà, compreso quello crudele fatto ad Aronne Piperno.
Tutto ciò però alla fine probabilmente non basta.
L’Onofrio di Monicelli sembra da un lato voler ridicolizzare il potere, dall’altro usarlo solo per il suo divertimento.
La sua condanna del potere è essenzialmente goliardica, perchè in fondo quello è il suo mondo; lo prende in burla ma ci vive dentro, e ci vive comodamente.
Non va dimenticato però che nelle intenzioni di Monicelli probabilmente non c’era la denuncia di un sistema, quanto una sua raffigurazione ironica e goliardica.
Con questa chiave di lettura il film funziona nei limiti sopra descritti; la comicità, a tratti, è irresistibile, grazie anche al bel cast allestito dal maestro Monicelli.
Spicca su tutti Paolo Stoppa il pontefice Pio VII.
La celebre sequenza dello strip di Olimpia
Storicamente però Monicelli prende un abbaglio, usando il dialetto romano in bocca ad un pontefice che era di nascita cesenate.
Altri interpreti sono uno straordinario Flavio Bucci, che veste i panni di Don Bastiano uno spretato diventato un brigante e dal quale ascoltiamo probabilmente le uniche veementi accuse all’apparato ecclesiastico; poi citerei ancora Marc Porel nei panni del capitano francese Blanchard, Marina Confalone, ovvero la sorella Camilla afflitta da una pesante alitosi, Giorgio Gobbi ovvero Ricciardo domestico tuttofare e compagno di avventure di Onofrio.
Ancora, in ruoli minori citerei Elena Fiore, Sal Borgese, Leopoldo Trieste.
Ben curata la fotografia, così come i costumi, del resto uno dei marchi di fabbrica di Monicelli, mentre per le location il regista utilizza alcuni espedienti per raffigurare per esempio la dimora romana di Onofrio del Grillo, che in realtà è Palazzo Pfanner situato in Lucca e per l’occasione mascherato per nascondere il magnifico panorama della città toscana;le scene ambientate nel teatro, nel quale assistiamo alla perormance dei “castrati”, come li chiama Onofrio in realtà non è a Roma ma è il bellissimo teatro di Amelia, in Umbria.
Onofrio del Grillo con il fido servitore Ricciotto
In ultimo vorrei fare un paragone ( quasi improponibile) tra questo film e un’altra opera diretta nel 1977 da Luigi Magni, In nome del papa re, anch’essa ambientata nella Roma papalina anche se temporalmente distante circa sessantanni, visto che la storia di Magni si volge verso la fine del potere temporale e racconta delle ultime esecuzioni avvenute proprio nella Roma del papa re.
Se i due film hanno la stessa ambientazione, quasi lo stesso uso ossessivo del dialetto, descrivono una corte papale poco spirituale e troppo terrestre, differiscono enormemente proprio per la carica di denuncia che contengono.
Appena abbozzata nel film di Comencini, vibrante e durissima nel film di Magni.
Che da questo punto di vista risulta di gran lunga più interessante del film di Monicelli.
Ma probabilmente è voler cercare un termine di raffronto assolutamente improponibile.
Monicelli girà un film comico con venature sulfuree, e in fondo centra l’obiettivo.
L’esecuzione di fra Bastiano, uno straordinario Flavio Bucci
Il marchese del Grillo, un film di Mario Monicelli. Con Alberto Sordi, Caroline Berg, Andrea Bevilacqua, Flavio Bucci, Giorgio Gobbi,Cochi Ponzoni, Marc Porel, Paolo Stoppa, Marina Confalone, Isabel Linnartz, Elena Daskowa Valenzano, Pietro Tordi, Angela Campanella, Isabella De Bernardi, Gianni di Pinto, Salvatore Jacono, Ivan de Paolo, Camillo Milli, Elisa Mainardi, Jacques Herlin, Elena Fiore, Riccardo Billi, Leopoldo Trieste, Renzo Rinaldi, Tommaso Bianco
Commedia, durata 133 min. – Italia, Francia 1981.
Alberto Sordi: Onofrio del Grillo/Gasperino il carbonaio
Caroline Berg: Olimpia
Andrea Bevilacqua: Pompeo
Riccardo Billi: Aronne Piperno
Isabella De Bernardi: figlia di Gasperino il carbonaio
Elisa Mainardi: Moglie di Gasperino il carbonaio
Flavio Bucci: Don Bastiano
Giorgio Gobbi: Ricciotto
Cochi Ponzoni: conte Rambaldo
Marc Porel: capitano Blanchard
Paolo Stoppa: papa Pio VII
Camillo Milli: il cardinale Segretario di Stato
Leopoldo Trieste: don Sabino
Marina Confalone: Camilla del Grillo
Isabelle Linnartz: Genuflessa del Grillo
Elena Daskowa Valenzano: la Marchesa del Grillo
Pietro Tordi: Mons. Terenzio del Grillo
Angela Campanella: Faustina
Elena Fiore: madre di Faustina
Tommaso Bianco: l’amministratore dei del Grillo
Gianni Di Pinto: Marcuccio
Jacques Herlin:Rabet
Salvatore Jacono: Bargello
Renzo Rinaldi: il commissario pontificio
Sal Borgese: il giocatore d’azzardo
Regia Mario Monicelli
Soggetto Bernardino Zapponi, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Mario Monicelli, Tullio Pinelli
Sceneggiatura Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Mario Monicelli, Tullio Pinelli, Alberto Sordi
Produttore Luciano De Feo
Casa di produzione Opera Film Produzione
Fotografia Sergio D’Offizi
Montaggio Ruggiero Mastroianni
Musiche Nicola Piovani
Scenografia Lorenzo Baraldi
Costumi Gianna Gissi
Trucco Giancarlo De Leonardis
Sfondi Canale Monterano, Roma
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Lentissima pellicola, che si riscatta qua e là con alcune trovate e, specialmente, con la maestrìa che Sordi sa mettere in ogni parola(ccia), in ogni cenno, in ogni movimento. Ma, tolto il suo genio, resta poco sugo, perché le cose buone ci sono, ma sono diluitissime. Alla fin dei conti si apprezzano di più le apparizioni di Paolo Stoppa, papa tanto indimenticabile quanto poco prolisso. Solo sufficiente.
Il film funziona come ritratto della nobiltà romana in un’epoca particolare e corrotta, come quella dello stato pontificio. Da questo punto di vista è esemplare la figura del protagonista, interpretato da un Alberto Sordi in forma, che ne fa un ritratto che è nello stesso tempo cinico e bonario, recitando anche il ruolo del popolano sosia del marchese. Buone la ricostruzione scenografica e la regia di Monicelli (è uno dei suoi ultimi grandi film), così come la caratterizzazione dei personaggi “minori” (specie il papa Stoppa e il bandito Bucci).
Aristocratico imbelle e beffardo impegnato in stupide burle nella Roma papalina dell’800. Commedia scanzonata, costruita su misura per Sordi, che si diverte in un personaggio della mitologia romanesca. Ma non sono esenti dal divertimento (loro e nostro) il sornione Stoppa e lo stralunato Bucci. Carino, simpatico, a tratti arguto nella critica (anche esplicita) a tutte le nobiltà conquistate per nascita anziché sul campo, il film è godibile e ben fatto, anche se non si può certo annoverare tra quelli memorabili.
Sordi è perfettamente a suo agio con un simile personaggio e, indubbiamente, si vede. Ed è soprattutto grazie a lui e a Stoppa (il papa, che però non si vede molto), che la pellicola merita di essere vista, nonostante il ritmo altalenante e i momenti non sempre felici (a volte arranca e c’è una certa pesantezza, che però viene attenuata dalla freschezza della recitazione dei protagonisti). Sforbiciandolo qua e là sarebbe stato sicuramente un buon film, mentre così, pur non essendo male, finisce per stancare un po’.
Onofrio del Grillo è un vitellone ante litteram, nobilastro papalino sfaccendato, che passa il suo tempo a organizzare scherzi, persino alle spalle del Papa. Sordi lo incarna perfettamente, concedendosi anche una divagazione nella parte del povero carbonaio. Il film è divertente e alcuni momenti sono molto azzeccati, ma nel complesso si sente aria di smobilitazione, la fine di un attore che da lì in poi farà poco. La morale di fondo, se di morale si può parlare, è comunque discutibile.
Davvero non male. Sordi è l’ottimo marchese del Grillo, nobile che passa sopra ai sottoposti con una facilità sconcertante. Monicelli ci offre una notevole commedia con alcuni momenti davvero divertenti. Ottimi Stoppa papa e Bucci criminale; c’è pure il povero Marc Porel nel ruolo di un francese. Buono il tema musicale.
Romanità becera, forse eccessivamente istrionica e volta al divertimento più che ad una ricostruzione storica della Roma che fu; tuttavia Sordi, con il suo cinico sarcasmo e la rappresentazione del pressapochismo, ha saputo conquistare. Merito di una vicenda divertente e ben costruita, dove l’Albertone nazionale sfoggia le sue battute (tra cui spicca l’eterna “perché io so io e voi nun siete un cazzo…”). Fu un successo al cinema, riconfermato poi dai sempre ottimi ascolti nelle innumerevoli messe in onda televisive.
Il Marchese del grillo è un nobile decaduto, ma piuttosto avido e opportunista, che gioca brutti scherzi alle persone. Un ruolo su misura per Alberto Sordi che, nonostante alcuni buchi di sceneggiatura, ci sguazza dentro con bravura. Commedia che varia dal grottesco al melodrammatico e si lascia guardare.
Uno dei film che Monicelli ricorda meno volentieri e ci credo! Il grande regista, di solito attento a coniugare il tenore di commedia ad un’idea di coscienza civile o di analisi di caratteri e che ci aveva presentato grandi affreschi corali (unico tra i nostri a fare film con “multiprotagonisti”), racconta la storia sgradevole di un opportunista antipatico, infingardo, i cui difetti, italianissimi, vengono quasi definiti eroici o perlomeno sdoganati dalle non sempre felici battute di un Sordi odioso.
Ultimo exploit attoriale e di incassi di Sordi prima del malinconico declino. La trama combina la quintessenza del personaggio con elementi da teatro antico (lo scambio con il sosia). Qualche volgarità e al solito un po’ di misoginia non scalfiscono il divertimento che la pellicola vuole trasmettere. Rimaste nell’immaginario alcune celeberrime scene e alcune battute.
Certo non il miglior Monicelli, ma con un Sordi (sdoppiato) strepitoso. La trama è curata (per quanto giochi sull’equivoco del doppio già caro ai greci) e i dialoghi sono a tratti decisamente piacevoli. Affresco del tempo non poi così falsato, anzi. La pellicola è venata da cinismo e un’amara ironia di fondo. Potrebbe esser un’efficace allegoria dei tempi moderni. Attori comprimari assolutamente all’altezza.
Divertente pellicola che vede protagonista uno scatenato Sordi. Monicelli dirige con scioltezza e lascia che a giostrarsela sia un Sordi davvero perfetto per il ruolo. È lui che con le sue battute e i suoi lazzi a rendere la pellicola memorabile. Da ricordare sopratutto i suoi duetti con l’altrettanto memorabile Paolo Stoppa e la ormai mitica battuta “Io so’ io e voi non siete un…”.
Il marchese del Grillo, burlone e irriverente nei confronti di tutto e tutti (Papa compreso), è il personaggio/caricatura della nobiltà italiana del periodo Napoleonico. Gli piace farsi scherno della legge e delle regole: una volta dimostrato il suo assioma, è disposto a tornare sui suoi passi e risarcire i malcapitati e involontari attori dei suoi “giochi”. Metafora dell’uomo alla ricerca della propria identità. Monicelli mette in mostra un mondo malato.
Forse l’ultima grande interpretazione del grande Alberto. Monicelli costruisce un film sulle capacità recitative dell’attore romano con trovate e gag memorabili. Gli scherzi del Marchese e l’ubiquità con il carbonaro Gasperino fanno ridere con gusto. Sordi non si risparmia e costruisce un personaggio guascone ed irriverente che si diverte a cozzare contro i pregiudizi del tempo. Da vedere più volte per carpire quell’indolenza romana sempre pronta alla battuta.
Splendido collage di gag e goliardate varie con un Sordi ultra-mattatore nel ruolo del nobile dedito agli scherzi ed ogni sorta di divertimento; ma si apprezzano anche i momenti più seri, come l’impiccagione del bandito-cangaceiro o la lunga gag sulla morte della giustizia. Non un capolavoro assoluto, ma un ottimo esempio di commedia all’italiana.
Personaggio perfetto per un Sordi che esprime al meglio la sua bravura e il suo essere romano. Il nobile nella Roma papalina all’inizio del 1800 e al servizio di Papa Pio VII (l’ottimo Paolo Stoppa) passa il tempo tra divertimenti e scherzi ai danni di personaggi del popolino, costretti a subire il nobile intoccabile, che si fa beffe anche della giustizia. A non rendere del tutto negativa la figura del marchese sono le sue intelligenza e coscienza delle azioni che commette, a dimostrazione che nella società vince sempre il più forte. Buona la regia.
Splendida interpretazione di Sordi per un Marchese che veramente non si dimentica. Gag strepitose, battute azzeccate. Assolutamente divertente. A fare da cornice c’è una Roma dei primi dell’Ottocento. Da ricordare le scene con Don Bastiano e quelle con la strega.
Ultima grande (a mio avviso) interpretazione di un Sordi in formissima e gigioneggiante sorretto dalla regia del maestro Monicelli, alterna trovate divertentissime a momenti un po’ più spenti ma mai noiosi. Ottimo il cast di supporto in cui figura anche un Marc Porel che purtroppo morirà di lì ad un paio di anni. Citazione per un Paolo Stoppa perfetto con la sua “maschera” nei panni del Papa Pio VIII.
Il teatro di Amelia, nel quale recita e canta Olimpia
La Galleria Pannini di Villa Grazioli a Grottaferrata, luogo nel quale Onofrio incontra i mendicanti
Palazzo Pfanner a Lucca, la dimora di Onofrio
La loggia dei Cavalieri di Rodi a Roma
Il Casale di via delle Pietrische a Manziana, nel quale si ferma Onofrio
Le rovine di Monterano, rifugio del frate/brigante Bastiano
Guarda a quei castrati, come je girano le palle
Quanno se scherza bisogna esse seri
Se tu parli male del papa, io rido..se io parlo male de Napoleone tu ti incazzi..et voilà la diffèrence!!!
Che ci volete fare: io so io, e voi non siete un cazzo!
Cia l’alito che ammazza le mosche al volo…MACERATA sarebbe la distanza giusta pe non sentilla piu’….
Il marchese del grillo non chiede mai sconti paga o non paga e io nun te pago!…ma tutto Aronne mio tanto comincio a dì che nell’armadio che tu hai costruito io c’ho sbattuto un ginocchio che me sò fatto pure male non è una buona ragione questa?
Ecchime ma’, ammazza come sei rinseccolita sembri un tizzo de carbone nera nera…
“Ma cosa sono queste confidenze?”
A ma’ te stavo a saluta’ mica te stavo a da un calcio n’culo
Tu sei giudeo, l’antenati tua hanno messo in croce nostro Signore…. posso esse ancora un pò incazzato pe sto fatto!?
Mia cara Olimpia, mettete ‘n pompa, che quel grillaccio del Marchese sempre zompa! Chi zompa allegramente bene campa.
Rimane sempre er mistero però che te te spogli in camera da figlia e poi vieni a scopaà in camera da madre….dimme te….
Ter fortunato che t’ho trovato in compagnia del marchese; perché sennò a te, se ti pigliavo da solo ti sisitemavo: ti schiaffavo quattro chiodi e ti mettevo in croce qua sopra. Così t’imparavi a rispettare Dio, la Madonna e i santi. E fatevi il nome del Padre, porca puttana.
Adesso, pure io posso perdonare che mi ha fatto male: in primis, al Papa, che si crede il padrone del cielo, in secundis, a Napulioune, che si crede il padrone della Terra, e per ultimo al boia, qua, che si crede il padrone della morte, ma soprattutto, posso perdonare a voi, figli miei, che non siete padroni di un cazzo!
Casotto
Una calda domenica d’estate, litorale romano.
Sulla spiaggia di Ostia convergono persone disparate, venute a godersi la giornata al mare.
Il punto obbligatorio d’incontro è il casotto, una costruzione in legno adibita a spogliatoio comune; qui arrivano alla rinfusa i protagonisti della storia.
Le prime ad arrivare sono due sorelle ,Giulia e Bice, che praticheranno le loro arti seduttive su Alfredo Cerquetti, funzionario di una agenzia di assicurazioni;
Ninetto Davoli
Ugo Tognazzi
seguite alla spicciolata da uno strano sacerdote, custode di un segreto “intimo” davvero particolare, da due soldati appassionati di culturismo assolutamente narcisisti e poco interessati all’umanità che è a loro accanto, da due giovani benzinai, Gigi e Nando, che hanno rimorchiato due ragazze e che sperano nelle loro grazie, da una squadra di pallacanestro femminile, che dovrà necessariamente trovare un’altra sistemazione, da una coppia di fidanzati, con lui molto più grande di lei che cerca disperatamente un posto dove poter fare l’amore, da una famiglia con nipote giovanissima al seguito, incinta, che tenteranno di affibbiare ad un ingenuo ragazzotto,il tutto sotto gli occhi di un innocuo voyeur, che spia le mosse di tutti.
Le due amiche rimorchiate dai benzinai
La giornata scorre tra le vite dei protagonisti alle prese con situazioni mutuate dalla vita di tutti i giorni, quasi che la domenica mettesse in risalto le loro manie, le loro piccolezze, le loro debolezze, mescolate alla vita degli altri vicini.
Quando la giornata sarà conclusa, i vari personaggi avranno fatto esperienze diverse; la coppia di innamorati non sarà riuscita a ritagliarsi un solo attimo per dare sfogo alla loro passione, la famiglia con la nipote incinta riuscirà a dirottare e ad affibbiare a Gigi, uno dei due benzinai, la loro nipotina incinta, le due sorelle riusciranno a strappare una valigetta con il denaro all’agente delle assicurazioni, le due ragazze rimorchiate dai benzinai rimarranno a secco, perchè rivolti i loro sguardi sui due soldati culturisti verranno da questi bellamente ignorate.
Michele Placido
Il campionario assortito di varia umanità è lo specchio fedele dell’umanità quotidiano, con vizi e virtù, sfigata o fortunata, allegra e becera, sguaiata e furba, ironica e dolente; tutti i personaggi si muovono, agiscono per un fine ultimo, e in conclusione forse gli unici ad ottenere quanto si erano prefissi saranno la coppia di anziani coniugi che riesce a mollare il “peso” della nipotina incinta, sedotta e abbandonata, al fesso di turno e le due sorelle che pervicacemente riusciranno a derubare l’agente delle assicurazioni.
Sono quindi i più furbi, come al solito, a vincere la guerra tra poveri, anche se l’aggettivo poveri in questo caso è fuorviante; la popolazione del casotto non è di estrazione prevalentemente borgatara, ma popolare in senso stretto.
Franco Citti, braccio destro di Pasolini, getta uno sguardo ironico, a metà strada tra il divertito e il cinico, sulla gente di tutti i giorni; ne evidenzia virtù (poche), difetti e manie; lo fa senza mai alzare i toni, con una regia asciutta, mai volgare, senza mai eccedere con il romanesco, uscendo quindi dalla palude della commedia “burina”; in questo è agevolato, oltre che dalla sua personale bravura e da una sceneggiatura di prim’ordine, dal cast eccellente che mette su.
Ugo Tognazzi, una giovanissima Jodie Foster, Catherine Deneuve (in una piccolissima parte), Gigi Proietti, Mariangela Melato, Carlo Croccolo, Paolo Stoppa,Michele Placido, lavorano in perfetta armonia, aiutati anche dalla sceneggiatura solare, divincolati come sono da vestiti, da pose innaturali e da tutto ciò che funziona da pastoia nel film tradizionale.
Siamo al mare, in una baracca decente, ma siamo comunque nella spiaggia libera e in uno spogliatoio, non a Saint Tropez e tra gente fighetta; per cui c’è spazio per la candida e naturale predisposizione dell’attore a esprimere compiutamente la sua arte, svincolata dai formalismi.
Alla fine il film piace, per certi versi incanta, non annoia mai, sopratutto nelle parti in cui Citti divaga, come nel caso del sogno ad occhi aperti di Gigi; alla fine il prodotto risulta gradevole, ben confezionato e sopratutto ottimamente recitato.
Sergio Citti, che veniva dall’ottimo risultato conseguito con Storie scellerate, si conferma regista capace, attento; gli anni passati come aiuto regista e sceneggiatore di Pasolini, si vedono.
Franco Citti e Gigi Proietti
Casotto,un film di Sergio Citti. Con Paolo Stoppa, Jodie Foster, Ugo Tognazzi, Michele Placido, Mariangela Melato, Luigi Proietti, Carlo Croccolo, Gianni Rizzo, Franco Citti, Ninetto Davoli, Catherine Deneuve, Clara Algranti, Massimo Bonetti, Anna Melato
Commedia, durata 100 min. – Italia 1977
Ugo Tognazzi: Alfredo Cerquetti
Paolo Stoppa: Il nonno
Mariangela Melato: Giulia
Gigi Proietti: Gigi
Jodie Foster: Teresina Fedeli
Catherine Deneuve: Donna del sogno
Michele Placido: Vincenzino
Franco Citti: Nando
Carlo Croccolo: Carlo
Ninetto Davoli: Guardone
Clara Algranti: Iole
McKenzie Bailey: Il prete
Gino Barzacchi: Il fusto
Massimo Bonetti: Soldato culturista
Flora Mastroianni: La nonna
Katy Marchand: Ketty
Marco Marsili: Il nipotino
Anna Melato: Bice
Gianni Rizzo: L’allenatore
Franca Scagnetti: Donna grassa
Julie Sebestyen: Gloria
Gianrico Tondinelli: Paracadutista
Regia: Sergio Citti
Soggetto: Vincenzo Cerami
Sceneggiatura: Vincenzo Cerami e Sergio Citti
Fotografia: Tonino Delli Colli
Montaggio: Nino Baragli
Musiche: Gianni Mazza
Prodotto da: Mauro Berardi, Gianfranco Piccioli
Costumi: Mauro Ambrosino
Personaggi diversi si incrociano in una cabina balneare collettiva: un film corale, dunque, che rappresenta uno spaccato affabulatorio e grottesco della società, ma visto in una particolare condizione, quella dello spazio intimo (o presunto tale) nel quale far emergere la propria natura (anche in senso fisico e sessuale) e nel quale tramare le proprie mosse all’esterno. Il casotto è dunque luogo interiore e osceno che rivela le reali pulsioni e i segreti, che un acquazzone finale cercherà apocalitticamente e inutilmente di spazzare via. Acuto.
Estroso, disincantato, esplicito, interpretato da un cast tanto eterogeneo quanto compatto che entra ed esce da una cabina balneare relegando la spiaggia ostiense a semplice sfondo. Il focus sono le pulsioni umane più primitive (sesso, cibo, denaro) che Citti racconta con toni ora tipicamente borgatari (spacconerie balneari e “magnate” in compagnia), ora squallidi e trash (escrementi canini, genitali maschili al vento), ora persino soffici e onirici: ma tutto scorre perfettamente. Mazza procura uno score all’uopo tribale e percussivo.
Citti elabora un racconto particolare che si estrinseca nella quattro pareti di un casotto di spiaggia: vi transitano i problemi e le grettezze di una varia umanità. Ci sono pretese autoriali, giustificate anche dal livello dei collaboratori, che, però, non sempre si traducono in situazioni riuscite. Domina un linguaggio tragicomico di stampo popolare, alcuni attori lo interpretano alla grande, altri sembrano soltanto ospiti.
Splendido film grottesco dove Citti mescola divi di diverse altezze e stili per la sua idea di vita, dove le differenze si mescolano ma forse non si incontrano. Paradossale, a diversi registri. Notevole la coppia Proietti-Citti: ogni loro uscita (compreso il sogno di Proietti con Denevue) fa sbellicare e rimanda alla fame atavica. Una giovane Jodie Foster tra Placido e Stoppa non può non incuriosire.
Come riunire in un colpo solo film di genere (commedia) e film sperimentale. Al di là della riuscita del film, che comunque è molto godibile (ad ogni passaggio tv lo guardo sempre!) è interessante notare come questo film sia l’antesignano del Grande Fratello televisivo o di Camera Cafè. Un film molto avanti per i suoi tempi, di cui l’unico precedente è Chelsea Girls di Warhol (non a caso). Stramega cast di lusso (c’è pure una giovanissima Jodie Foster) su cui svettano Tognazzi, Stoppa, Proietti. Caustico, acido e grottesco. Quando trash e film d’autore convivono!
Questa è la vita: un casotto, tante persone con tante storie (e perversioni?) diverse, disgraziate, drammatiche il più delle volte, ma storie che vengono abilmente raccontate in commedia: tutto all’interno del grosso camerino protagonista. Citti riesce bene far abituare lo spettatore a questa impostazione, quindi a fronteggiare le limitazioni del budget; il merito è anche di un cast eccezionale (sono pochi i personaggi principali, di più quelli riempitivi) che fornisce meritevolissime interpretazioni. C’è una strana perversione di fondo. Meritevole.
La matriarca
Margherita, chiamata da amici e parenti Mimi, è una giovane e bella donna, che all’improvviso si ritrova vedova, senza per’altro molta sofferenza da parte sua, visto che in un monologo inizale dice testualmente di non aver trovato motivi per piangere. Dopo il funerale la giovane, mentre è nell’azienda del marito, apprende dall’avvocato della stessa dell’esistenza di un appartamento intestato al marito, ma misteriosamente non compreso tra i suoi beni.
Incuriosita, Mimi si reca nell’apartamento, e scopre che suo marito in realtà aveva una vita parallela a quella di bravo marito e industriale: nell’appartamento, arredato come una garconniere, con tanto di specchi, bar fornitissimo e altre comodità, l’uomo riceveva le sue numerose amanti, con le quali praticava sesso anche sadomasochistico. All’interno dell’appartamento, infatti, c’era un registratore ed una cinepresa, con la quale l’uomo filmava i suoi incontri erotici.
Mimi, sconvolta da quanto ha appreso, si interroga sul perchè suo marito fosse così disinibito all’esterno, mentre era così riservato con lei; acquista quindi un libro sul sesso, e subito dopo, un pò per per curiosità, un pò per desiderio postumo di vendetta, inizia a portare nella garconniere uomini di ogni genere. Il primo è l’avvocato dell’azienda, nonchè amico del marito, e subito dopo tocca ad altri.
La madre di Mimi, preoccupata dalle condizioni della ragazza, riesce a farla ricoverare per analisi nella clinica del suo compagno: qui la donna incontra il dottor De Marchi, e dopo breve tempo ne diventa l’amante. Sembra un’avventura come le altre, ma l’uomo è innamorato della ragazza, e dopo una terapia d’urto, e con molta dolcezza, riuscirà a convincerla di sposarlo.
Diretto da Pasquale Festa Campanile nel 1968, La matriarca è una gradevole commedia, senza particolare impegno e senza grosse ambizioni, ad onta di un cast di ottimo livello, che vede protagonisti Catherine Spaak nel ruolo di Mimi, la giovane e confusa vedova, Jean Louis Trintignant in quello del dottor De Marchi, e uno stuolo di attori di ottimo livello in parti secondarie, a partire da Paolo Stoppa, che ricopre il ruolo del compagno della madre di Mimi, Luigi Pistilli,
Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, un simpatico e stravagante Gigi Proietti nel ruolo dell’avvocato che tenterà invano di farsi sposare da Mimi, Nora Ricci, nei panni della madre della ragazza e infine Venantino Venantini , Gabriele Tinti e Renzo Montagnani, assolutamente irriconoscibile dietro strane lenti e capelli riccioluti, nei panni di un pervertito sadomasochista. Un film ben congegnato, a tratti anche gradevole, proprio per la leggerezza del tema trattato. da segnalare le numerose, anche se castigatissime, scene di nudo della Spaak, al massimo della sua bellezza.
La matriarca, un film di Pasquale Festa Campanile. Con Paolo Stoppa, Luigi Pistilli, Jean-Louis Trintignant, Philippe Leroy, Catherine Spaak, Vittorio Caprioli, Renzo Montagnani, Luigi Proietti, Nora Ricci, Gabriele Tinti, Venantino Venantini, Frank Wolff
Commedia, durata 92 min. – Italia 1968.
Gigi Proietti: Sandro Maldini
Catherine Spaak: Margherita, detta Mimmi
Jean-Louis Trintignant: dottor Carlo De Marchi
Luigi Pistilli: Otto Frank, detto Mr. X
Renzo Montagnani: Fabrizio
Fabienne Dalì: Claudia
Nora Ricci: madre di Mimmi
Edda Ferronao: Maria
Vittorio Caprioli: il libraio
Gabriele Tinti: uomo nella macchina
Venantino Venantini: Aurelio
Frank Wolff: dottor Giulio, il dentista
Paolo Stoppa: professor Zauri
Philippe Leroy: istruttore di tennis
Mario Erpichini: Franco, marito di Mimmi
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Nicolò Ferrari
Sceneggiatura Nicolò Ferrari, Ottavio Jemma
Produttore Silvio Clementelli
Casa di produzione Clesi Cinematografica, Finanziaria San Marco
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Armando Trovajoli
Tema musicale L’amore dice ciao di Guardabassi e Trovajoli, cantato da Andee Silver
Scenografia Flavio Mogherini
Costumi Gaia Rossetti Romanini
Trucco Franco Freda
Doppiatori italiani
Maria Pia Di Meo: Margherita, detta Mimmi
Cesare Barbetti: dottor Carlo De Marchi
Rita Savagnone: Claudia
Pino Colizzi: uomo nella macchina
Aldo Giuffré: dottor Giulio, il dentista
Sergio Graziani: istruttore di tennis
Luciano De Ambrosis: Franco, marito di Mimmi
Jus primae noctis
Ariberto da Ficulle è un piccolo nobile, arrogante e arrivista; per poter diventare signore di un feudo ha però bisogno di impalmare una nobildonna. Così sceglie di sposare Matilde, nipote del re, ma brutta da far spavento. Ariberto, frustrato, decide di angariare i suoi nuovi sudditi per sfogare la sua rabbia, e grazie ad un piccolo manipolo di mercenari e al suo nuovo potere di signore, prende a tiranneggiare i sudditi con balzelli di ogni genere.
Lando Buzzanca è Ariberto da Ficulle
Ma non tutti i villani sono disposti ad accettare il volere del signore; tra essi c’è Gandolfo, cervello finissimo e lucido, che si ribella alla tirannia, giocando tiri birboni ai danni di Ariberto. Che, stanco di essere preso in giro dal paesano, decide di ripristinare l’antica usanza dello Jus primae noctis, il diritto feudale del signore di giacere con la sposa nella prima notte di nozze. Gandolfo è innamorato di Venerata, una bellissima ragazza, e alla fine è costretto, cadendo in un tranello, a sposarla.
La bellissima Marilu Tolo è Venerata
Per Ariberto è il trionfo; ma proprio nel momento in cui si appresta a giacere con la donna, uno squillo di campane annuncia una rivolta popolare, al capo della quale c’è l’astuto Gandolfo, che come vendetta consuma la sua prima notte davanti al deposto signore. Cacciato dal suo feudo, Ariberto viaggia verso Roma per chiedere aiuto al papa.
Tra tutti i film del filone erotico-medioevale, questo di Pasquale Festa Campanile, Jus primae noctis, si segnala per una trama organica, per la presenza di bellissime donne, tra le quali vanno segnalate Marilu Tolo, una giovane e bella Enrica Bonaccorti, Ely Galleani, la compianta Ria De Simone.
Tra gli uomini, accanto ad un gigione Buzzanca, che in quel periodo girava una montagna di film, c’erano Montagnani, splendido e ironico nel ruolo di Gandolfo, il grande Paolo Stoppa e il caratterista Felice Andreasi.
Enrica Bonaccorti
Jus primae noctis, un film di Pasquale Festa Campanile,con Lando Buzzanca, Renzo Montagnani, Marilu’ Tolo, Felice Andreasi, Paolo Stoppa,Ely Galleani,Enrica Bonaccorti,Ria De Simone
Lando Buzzanca … Ariberto da Ficulle
Renzo Montagnani … Gandolfo
Marilù Tolo … Venerata
Felice Andreasi … Frate Puccio
Toni Ucci … Guidone
Paolo Stoppa … Il papa
Gino Pernice … Marculfo
Alberto Sorrentino Un mercenario
Giancarlo Cobelli … Curiale
Ely Galleani … Beata
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Ugo Liberatore
Sceneggiatura Pasquale Festa Campanile
Ottavio Jemma
Luigi Malerba
Fotografia Silvano Ippoliti
Montaggio Nino Baragli
Musiche Riz Ortolani