Il gatto a nove code

Franco, un appassionato di enigmistica, sta passeggiando con la nipotina davanti ad un istituto nel quale si svolgono ricerche avanzate sulla genetica; casualmente capta una strana conversazione tra due uomini.
Nel frattempo,qualcuno si introduce nell’istituto, e ruba alcune ricerche molto importanti. Uno dei collaboratori dell’istituto finisce ucciso sotto un treno; è l’inizio di una serie di delitti, sul quale indagano Franco (che è cieco) e un giornalista a caccia di servizi sensazionali, che fiuta il colpo grosso.
I due arrivano ad una conclusione comune: i delitti sono in qualche modo legati al direttore dell’istituto di ricerca e a sua figlia,una ragazza strana ,Anna, che avrà una breve relazione con il giornalista, rischiando anch’essa la morte.
La soluzione è legata ad un medaglione,che la donna della prima vittima porta al collo; il giornalista arriverà così appena in tempo a scoprire la verità.
Il gatto a nove code arriva dopo il successo del primo thriller di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo; è un thriller assolutamente canonico, con un assassino, insospettabile, una serie di omicidi apparentemente senza legami, e un’indagine risolta proprio dai due dilettanti, l’enigmista cieco e il giornalista a caccia di scoop.
Nel film compaiono Catherine Spaak, brava nel ruolo di Anna, Cinzia De Carolis, la nipotina di Franco, un ottimo Karl Malden nel ruolo di Franco, il cieco, James Franciscus che interpreta Carlo, il giornalista e il grande Tino Carraro, nel ruolo del padre di Anna, direttore dell’istituto di ricerca.
Nel cast ci sono anche Aldo Reggiani e Pier Paolo Capponi.
Alcune scene di Il gatto a nove code sono oggi considerate dei classici; prima fra tutte quella al cimitero, con un’ambientazione sapiente, tesa, in cui tutti attendono, da un momento all’altro, un gesto cruento; il tutto condito molto bene dalla colonna sonora del solito grande Ennio Morricone.

Il gatto a nove code, un film di Dario Argento. Con Rada Rassimov, Tino Carraro, James Franciscus, Catherine Spaak, Karl Malden, Emilio Marchesini, Umberto Raho, Stefano Oppedisano, Horst Frank, Vittorio Congia, Corrado Olmi, Ugo Fangareggi, Martial Boschero, Jacques Stany, Fulvio Mingozzi, Werner Pochat, Aldo Reggiani, Pier Paolo Capponi, Carlo Alighiero, Tom Felleghy, Pino Patti, Ada Pometti, Walter Pinelli, Sacha Helwin, Maria Luise Zetha, Cinzia De Carolis, Werner Pochath. Genere Giallo, colore 112 minuti. – Produzione Italia, Francia, Germania 1971.
James Franciscus Karl Malden …
Franco Arno … Carlo Giordani
Catherine Spaak … Anna Terzi
Pier Paolo Capponi … Ispettore
Horst Frank … Dr. Braun
Rada Rassimov … Bianca Merusi
Aldo Reggiani … Dr. Casoni
Carlo Alighiero … Dr. Calabresi
Vittorio Congia … Righetto (cameraman)
Ugo Fangareggi … Gigi
Tom Felleghy … Dr. Esson
Emilio Marchesini … Dr. Mombelli
Fulvio Mingozzi …
Corrado Olmi … Morsella
Pino Patti … Barbiere
Regia : Dario Argento
Prodotto da Salvatore Argento
Musiche: Ennio Morricone
Editing: Franco Fraticelli
Production Design :Carlo Leva
Costumi: Carlo Levi Luca Sabatelli
Titoli: Luciano Vittori
Casa di produzione: Seda Spettacoli, Terra Filmkunst, Labrador Film
Fotografia: Erico Menczer
Tutti i colori del buio
La vita di Jane,una bellissima donna inglese,è stata condizionata da un evento terribile avvenuto quando era piccola. Ha infatti assistito all’omicidio della madre. Questo evento le ha provocato sempre degli incubi, in cui una misteriosa mano armata di pugnale si avvicina nell’ombra per ucciderla. Ad aggravare la situazione arriva un altro evento traumatico:Jane viene coinvolta in un incidente stradale e perde il bambino che aspettava.
Sia il marito che la sorella Barbara assistono preoccupati alla evoluzione della psiche della giovane donna; così Barbara la indirizza dal professor Burton, uno psicologo che inizia con lei una serie di sedute terapeutiche, con le quali cerca di andare alle radici del problema, in primis ovviamente l’omicidio della madre di Jane.
Marina Malfatti
Nel frattempo Jane apprende che nel palazzo dove vive abita una misteriosa donna, Mary, che sembra dotata di strani poteri; la incontra e quest’ultima le parla di una strana setta di cui fa parte, una setta dedita a misteriosi riti esoterici, con forti connotazioni demoniache. Jane, pur titubante, accetta di partecipare ad una di queste messe nere. Lungi dal trarre un giovamento,la mente di Jane si perde ancor più, rischiando la follia.
Ad aggravare le cose arrivano tre misteriosi omicidi; muoiono, in successione, il dottor Burton, che aveva in cura la donna,e due persone anziane che avevano in cura Jane.
Ma la storia, che si è complicata enormemente, arriva ad una svolta per merito di Richard,il marito di Jane, che mette sulla strada giusta la polizia;tutti i misteriosi appartenenti alla setta vengono arrestati e si arriva alla drammatica e inaspettata conclusione:tutta la vicenda era stata organizzata dalla subdola Barbara,che,avendo ricevuto una grossa somma di denaro dall’assassino della loro madre,aveva organizzato una congiura, lavorando sugli incubi della sorella per portarla alla follia.
Tutti i colori del buio, girato da Sergio Martino nel 1972 è un ottimo thriller della scuola italiana di genere,che mescola con intelligenza sottili immagini erotiche (niente di particolare,alla luce di ciò che si è visto in seguito sullo schermo) e una buona trama,con il classico colpo di scena finale.
Un film che mescola il thriller al sovrannaturale,che in questo caso centra poco, come si scoprirà alla fine, ma è solo un pretesto per una squallida storia di denaro.
Ottima la Fenech,in un ruolo che potremmo definire drammatico,e buono il cast dei protagonisti, con Hilton che interpreta Richard, il marito di Jane, la bella Susan Scott nel ruolo della perfida Barbara e Marina Malfatti nel ruolo della misteriosa Mary.
Tutti i colori del buio, un film di Sergio Martino. Con George Hilton, Edwige Fenech, Marina Malfatti, Ivan Rassimov, Renato Chiantoni, Georges Rigaud, Dominique Boschero, Carla Mancini. Genere Thriller, colore 94 minuti. – Produzione Italia 1972.
George Hilton … Richard Steele
Edwige Fenech … Jane Harrison
Ivan Rassimov … Mark Cogan
Julián Ugarte … J.P. McBrian
George Rigaud … Dr. Burton
Maria Cumani Quasimodo Anziana vicina di casa
Nieves Navarro … Barbara Harrison
Marina Malfatti … Mary Weil
Luciano Pigozzi … Avv. Franciscus Clay
Dominique Boschero Donna Uccisa Nel Sogno
Lisa Leonardi … Ragazza con il cane
Renato Chiantoni Sig. Main – guardiano della villa in campagna
Tom Felleghy … Ispettore Smith
Vera Drudi … Vecchia Donna Nel Sogno
Regia Sergio Martino
Soggetto Santiago Moncada
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi, Sauro Scavolini
Produttore Mino Loy, Luciano Martino
Casa di produzione Lea Film, National Cinematografica, C.C. Astro
Fotografia Giancarlo Ferrando, Miguel Fernandez Mila
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Jaime Pérez Cubero, José Luis Galicia
Costumi Giulia Mafai
Trucco Giuseppe Ferrante

Edwige Fenech in una foto promozionale del film

Marina Malfatti







Lobby card internazionali

Soundtrack del film


Sette note in nero

Una donna parcheggia l’auto su uno spiazzo vicino ad una altissima scogliera;si affaccia,guarda il mare e si getta giù,sfracellandosi tra le rocce.
Contemporaneamente una bambina che è a Firenze,in compagnia delle sue amiche di scuola e di una suora,in visita ai giardini di Boboli,assiste impietrita alla scena,come se fosse presente. Virginia ha delle doti paranormali,che si risveglieranno casualmente in età adulta. Divenuta una giovane e affascinante signora,sposa un conte;un giorno si reca in un’antica villa di proprietà dello stesso conte,con l’intenzione di restaurarla;ma durante il viaggio dall’aeroporto,la donna ha una visione incontrollata,nella quale vede frammenti di immagini apparentemente senza senso;un omicidio,una donna murata all’interno proprio della villa,e altre scene senza senso. La donna si accascia al volante,e viene svegliata da un poliziotto.
Ripreso il suo viaggio,giunge nella villa,ma,appena entrata,riconosce immediatamente il luogo della visione,e guidata dal suo sogno premonitore,scava in una parete,dove rinviene lo scheletro di una donna.
Lo scheletro appartiene ad una ragazza,scomparsa misteriosamente anni prima;del delitto viene ovviamente accusato il conte.
Virginia si mette allora alla ricerca della verità,che scoprirà e che sarà una terribile sorpresa.
Lucio Fulci dirige uno dei thriller più interessanti del decennio settanta,badando esclusivamente a girare un film in cui il parapsicologico abbia la meglio sugli effetti speciali o sullo spatter;ne esce un film sapientemente dosato,non urlato,in cui ogni scena sembra sospesa in un limbo. Una trama ben confezionata permette al regista di creare suspence senza dover ricorrere alla macelleria.
Gran bella scenografia,con una fotografia in cui l’effetto flou la fà da padrone,rendendo quasi irreale il contesto del film,che scorre ottimamente scandito da una colonna sonora adeguata.
Bravissima Jennifer O’Neill,bravi anche gli altri attori del film,fra cui si segnala Gianni Garko.
Sette note in nero
Un film di Lucio Fulci. Con Gabriele Ferzetti, Evelyn Stewart, Marc Porel, Jennifer O’Neil, Jenny Tamburi, Ugo D’Alessio,
Gianni Garko, Fabrizio Jovine, Bruno Corazzari, Franco Angrisano, Luigi Diberti, Fausta Avelli, Elizabeth Turner, Jennifer O’Neill,
Vito Passeri, Salvatore Puntillo. Genere Thriller, colore 95 minuti. – Produzione Italia 1977.
Jenny Tamburi è Paola
Jennifer O’Neill: Virginia Ducci
Gianni Garko: Francesco Ducci
Gabriele Ferzetti: Emilio Rospini
Marc Porel: Luca
Evelyn Stewart: Gloria Ducci
Jenny Tamburi: Paola
Fabrizio Jovine: commissario D’Elia
Riccardo Parisio Perrotti: avvocato
Vito Passeri: custode
Loredana Savelli: Giovanna Rospini
Franco Angrisano: primo tassista
Salvatore Puntillo: secondo tassista
Bruno Corazzari: stalliere
Veronica Michelini: signora Casati
Paolo Pacino: tenente
Fausta Avelli: Virginia bambina
Elizabeth Turner: madre di Virginia
Luigi Diberti: giudice
Ugo d’Alessio: custode della pinacoteca
Regia: Lucio Fulci
Soggetto: Lucio Fulci, Roberto Gianviti, Dardano Sacchetti, Vieri Razzini (romanzo “Terapia mortale”)
Sceneggiatura: Lucio Fulci, Roberto Gianviti, Dardano Sacchetti
Produttore: Franco Cuccu, Carlo Cucchi
Casa di produzione: Rizzoli Film, Cinecompany
Fotografia: Sergio Salvati
Montaggio: Ornella Micheli
Musiche: Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera
Scenografia: Luciano Spadoni
Costumi: Massimo Lentini
Trucco: Maurizio Giustini
Diabolik

Il film di Mario Bava è il secondo tentativo di portare sul grande schermo avventure tratte dai fumetti per adulti (così erano marcati i nuovi protagonisti del crimine) subito dopo il discutibile esito di Kriminal, diretto da Umberto Lenzi,che precedette di due anni l’uscita dell’antieroe creato dalle sorelle Giussani.
Per il cast Bava chiamò John Philipp Law,assolutamente anonimo e la bella Marisa Mell che sarebbe poi scomparsa in giovane età per un brutto male; Law prese il posto di Jean Sorel,che sicuramente avrebbe dato ben altri stimoli al personaggio dark del fumetto,mentre la Mell,che non sfigurò,prese il posto della Deneuve,refrattaria a girare scene di nudo.La trama è abbastanza complessa,nonostante tutto; Diabolik ruba una grossa somma,usando uno dei suoi trucchi e sfugge alla polizia rifugiandosi in una caverna,dove lo attende Eva Kant. Ginko,l’ispettore mortale nemico del re del terrore,umiliato,fa una retata in cui cade un grosso criminale,Valmont,che per salvarsi la pelle promette di far catturare Diabolik. Nel frattempo Diabolik effettua un nuovo,grande furto,rubando una collana di smeraldi,con un ingegnoso trucco;inserisce una fotografia statica davanti alle telecamere di sorveglianza,quindi fugge lasciando con un palmo di naso i poliziotti,nero come la notte nella sua caratteristica tuta.
Intanto Valmont riesce con un trucco a rapire Eva Kant e chiede come riscatto il malloppo messo su da Diabolik con gli utlimi due furti;il re del terrore accetta,ma mentre è sull’aereo di Valmont,lo afferra e si getta nel vuoto;riesce così a carpire all’uomo l’informazione su dove Eva è tenuta prigioniera.
Il ministro degli interni francese,dopo il tentativo fallito,decide di mettere una taglia gigantesca su Diabolik,che reagisce facendo saltare i palazzi del fisco,provocando una crisi economica colossale;così,per salvare l’economia,si decide di fondere l’oro dello stato in un solo gigantesco lingotto. Diabolik fa saltare il treno su cui è il lingotto e lo recupera dal fondo del mare con un sommergibile con Eva si nasconde in un rifugio;ma Ginko è sulle sue tracce e Diabolik,dopo una colluttazione,viene colpito da un getto di oro.
Sembra la fine,ma durante una visita di Eva alla sua statua d’oro,approfittando di un momento di disattenzione di Ginko,strizza l’occhio alla complice.Difficile dare un giudizio,oggi,su un film di 40 anni fa. Bava gira,più che un film,un documentario stravagante su un personaggio che si prestava a ben altro risultato di quello ottenuto.Probabilmente la presenza del legnoso Law,assolutamente improponibile in un ruolo che sembra virato più all’ironia che ad una resa pari a quella del fumetto,giocò una parte importante. Il cast era di buon livello,con Michel Piccoli,Adolfo Celi,Claudio Gora e Renzo Palmer;tuttavia il film non riesce mai a coinvolgere veramente,trasformandosi via via che la pellicola scorre,in un’helzapoppin di situazioni paradossali.Un vero peccato,per quella che fu un’occasione perduta.
Il film è disponibile su You tube in una versione completa, di buona qualità, all’indirizzo : http://www.youtube.com/watch?v=78KD3wypnak
Diabolik, un film di Mario Bava. Con Claudio Gora, Adolfo Celi, Lucia Modugno, Michel Piccoli, Renzo Palmer, Caterina Boratto, Marisa Mell, Carlo Croccolo, John Philip Law, Isarco Ravaioli, Giulio Donnini, Andrea Bosic, Tiberio Mitri, Annie Gorassini, Giorgio Gennari, Lidia Biondi, Mario Donen, Federico Boido. Genere Drammatico, colore 105 minuti. – Produzione Italia 1967

John Phillip Law: Diabolik
Marisa Mell: Eva Kant
Michel Piccoli: ispettore Ginko
Adolfo Celi: Ralph Valmont
Claudio Gora: capo della polizia
Terry Thomas: ministro degli interni/ministro delle finanze
Renzo Palmer: nuovo ministro degli interni
Caterina Boratto: Lady Clark
Andrea Bosic: direttore della banca
Giulio Donnini: dottor Vernier
Lucia Modugno: prostituta
Carlo Croccolo: camionista
Annie Gorassini: amante di Valmont
Mario Donen: Sergente Danek

Regia Mario Bava
Soggetto Adriano Baracco, Angela e Luciana Giussani, Dino Maiuri
Sceneggiatura Mario Bava, Dino Maiuri, Brian Degas, Tudor Gates
Produttore Dino De Laurentiis, Bruno Todin
Casa di produzione Dino De Laurentiis Cinematografica, Marianne Productions
Distribuzione (Italia) Paramount Pictures
Fotografia Antonio Rinaldi, Mario Bava
Montaggio Romana Fortini
Effetti speciali Carlo Rambaldi
Musiche Ennio Morricone
Tema musicale Deep Down
Scenografia Flavio Mogherini
Costumi Luciana Marinucci, Giulio Coltellacci, Carlo Rambaldi
Trucco Otello Fava
Doppiatori italiani
Giancarlo Maestri: Diabolik
Gigi Proietti: ispettore Ginko
Emilio Cigoli: Ralph Valmont
Roberto Villa: capo della polizia
Renzo Palmer: ministro degli interni/ministro delle finanze
Adriana De Roberto: Lady Clark
Vittorio Di Prima: direttore della banca
Dante Biagioni: dottor Vernier
Carlo Buratti: medico alla Morgue
Coma profondo

New York,un grande ospedale cittadino. Due medici,Mark e Susan,sono legati sentimentalmente,e lavorano nella stessa equipe.
Susan un giorno nota qualcosa di strano;alcuni pazienti,degenti per operazioni di ordinaria amministrazione,finiscono in coma. Susan fa presente la cosa all’amministrazione,ma ne riceve solo blande indicazioni su fatalità relative alle cause.ma qualche tempo dopo ad essere vittima della strana fatalità è un’amica di Susan.A questo punto la dottoressa decide di investigare,e scopre che tutti i pazienti che hanno subito lo stesso problema sono stati trasportati in un centro all’avanguardia,dove vengono tenuti sospesi mediante delle corde,per evitare che con il passare del tempo i pazienti possano riempirsi di piaghe.
A gestire il tutto è un computer,che provvede anche all’orientamento dei corpi;Susan,sempre più perplessa,continua a indagare,e scopre che c’è una parte della clinica dove i corpi vengono letteralmente congelati,ed è proprio mentre controlla una cella frigorifera che per un pelo non perde la vita.
Riesce a fuggire dalla clinica,e parla della cosa con Mark,che però minimizza.A questo punto decide di rivolgersi all’amministratore dell’ospedale,che in realtà è uno di quelli che tiene le fila di un’organizzazione criminale dedita alla vendita di parti di corpi umani per trapianto.
La stessa Susan,drogata,viene inviata in sala operatoria per essere operata di una inesistente peritonite; sarà proprio Mark,che vedrà Susan fare piccoli gesti sulla barella,mentre viene trasportata verso l’appuntamento fatale,a capire che qualcosa non va.
Riesce a scollegare il tubo del gas fatale,così,dopo l’operazione,Susan si risveglierà,proprio davanti alla faccia esterrefatta del dottor George,l’amministratore e contemporaneamente chirurgo dell’ospedale.
Buona tensione per un film diretto da Michael Crichton,nell’occasione regista di un film di un filone da allora denominato Medical thriller;da segnalare particolarmente le buone prove di Richard Widmark nei panni del dottor George,l’amministratore senza scrupoli e di Genevieve Bujold,a suo agio nel ruolo di Susan. Bene anche Michael Douglas,nei panni di Mark,l’amante di Susan che le salverà la vita.
Coma profondo, un film di Michael Crichton. Con Rip Torn, Richard Widmark, Michael Douglas, Geneviève Bujold, Elizabeth Ashley, Lance Le Gault, Lois Chiles, Tom Selleck, Ed Harris. Genere Drammatico, colore 113 minuti. – Produzione USA 1978.
Geneviève Bujold … Dr. Susan Wheeler
Michael Douglas … Dr. Mark Bellows
Elizabeth Ashley … . Emerson
Rip Torn … Dr. George
Richard Widmark … Dr. Harris
Lois Chiles … Nancy Greenly
Hari Rhodes … Dr. Morelind
Gary Barton … Teccnico Computer
Frank Downing … Kelly
Richard Doyle … Jim
Alan Haufrect … Dr. Marcus
Lance LeGault … Vince
Michael MacRae Guardiano
Betty McGuire … Nurse
Tom Selleck … Sean Murphy
Regia Michael Crichton
Soggetto Coma, romanzo di Robin Cook
Sceneggiatura Michael Crichton
Produttore Martin Erlichman
Fotografia Gerald Hirschfeld e Victor J. Kemper
Montaggio David Bretherton
Musiche Jerry Goldsmith
La nona porta

Dean Corso è una strana figura di mercante d’arte:tratta generalmente libri,dei quali è sicuramente un esperto. Infatti,all’inizio del film,lo vediamo impegnato in un acquisto di un testo raro,un’edizione pregiata del Don Chisciotte,che acquista ad un prezzo molto basso dagli eredi del proprietario.
Un giorno Dean riceve una telefonata da Boris Balkan,un equivoco quanto potente magnate d’industria,collezionista di libri esoterici e trattanti tutti l’argomento demonologico.
Balkan affida a Corso un’indagine:verificare se la sua copia del libro delle Nove porte è stata scritta o no da Aristide Torchia,un dotto esoterista veneziano,bruciato sul rogo assieme ai suoi libri dall’inquisizione.
Le copie attualmente esistenti del libro sono tre,e Corso dovrà andare a trovare gli altri due proprietari per verificarne l’autenticità.
Ben presto Corso si rende conto che la sua indagine non è affatto semplice;un suo amico librario,a cui aveva affidato la copia di Balkan viene ucciso e lo stesso Corso correrà più volte il rischio di essere ammazzato.
Aiutato da una strana ragazza,Dean ripercorre la storia del libro delle nove porte,che scoprirà contenere un segreto pericoloso;ognuno dei tre libri contiene tre immagini disegnate da Lucifero in persona.

Dopo aver scoperto che dietro gli omicidi c’è una setta di patetici adoratori del diavolo,Dean arriva all’appuntamento finale con il suo destino,dove farà due sorprendenti scoperte.
Una trasposizione riuscita a metà,quella del libro Il club Dumas,di Arturo Perez Reverte,il film di Polansky è affrettato e poco chiaro,soprattutto nel finale tirato per i capelli.
Manca completamente l’atmosfera demoniaca del libro,e il Club Dumas che tanta importanza ha nel romanzo viene completamente messo da parte dal regista polacco.

Emmanuelle Seigner (moglie del regista)
Alla fine quello che si salva è davvero poca cosa;nonostante un buon Johnny Depp e una splendida Lena Olin,il film si smarrisce per strada trasformandosi in un thriller poco avvincente.Ed è un vero peccato,perché l’inizio del film lasciava presagire ben altro svolgimento.
La nona porta,
un film di Roman Polanski. Con Johnny Depp, Lena Olin, Emmanuelle Seigner, Frank Langella, James Russo, Vanessa Paradis.
Genere Drammatico, colore 132 minuti. – Produzione Francia, Spagna 1999.
Johnny Depp: Dean Corso
Emmanuelle Seigner: la ragazza
Lena Olin: Liana Telfer
Frank Langella: Boris Balkan
James Russo: Bernie
Jack Taylor: Victor Fargas
Jose Lopez Rodero: Pablo e Pedro Ceniza
Allen Garfield: Witkin
Barbara Jefford: baronessa Kessler
Willy Holt: Andrew Telfer
Regia Roman Polanski
Soggetto dal romanzo Il club Dumas
Sceneggiatura John Brownjohn, Roman Polanski, Enrique Urbizu
Produttore Roman Polański
Fotografia Darius Khondji
Montaggio Hervé de Luze
Effetti speciali Gilbert Pieri, Jean-Louis Trinquier
Musiche Wojciech Kilar
Scenografia Dean Tavoularis

Doppiatori italiani
Riccardo Rossi: Dean Corso
Micaela Esdra: la ragazza
Pinella Dragani: Liana Telfer
Luciano De Ambrosis: Boris Balkan
Francesco Pannofino: Bernie
Giorgio Lopez: Victor Fargas
Miranda Bonansea: baronessa Kessler
Il lampo di luce proiettò la sagoma dell’impiccato sulla parete. Penzolava immobile da una lampada al centro del salone e man mano che il fotografo gli si muoveva attorno, facendo scattare l’otturatore, l’ombra provocata dal flash si delineava via via su quadri, vetrine piene di porcellane, scaffali coperti di libri e tende aperte su grandi finestre, dietro le quali cadeva la pioggia.
Sei un avvoltoio Corso! Un avvoltoio! (Witkin)
Insomma il Diavolo non si fa vivo. (Corso)
Nulla è più affidabile di un uomo la cui lealtà può essere comperata dal denaro. (Balkan)
Il diavolo signora Telfer. Questo libro serve a evocare il diavolo. (Corso) [Parlando del libro: Le nove porte del Regno delle ombre]
Sai che non ti fregherei mai se non per un buon motivo: soldi, donne, affari. (Bernie)
L’uomo che scrisse questo libro, lo fece con l’alleanza del diavolo, e finì sul rogo per questo. (Pedro Ceniza)
Ci sono libri pericolosi, non vanno aperti impunemente. (Fargas)
Sono io, baronessa, il lupo travestito da pecora. (Dean Corso)
Li ho mandati tutti al diavolo. (Baronessa Kessler)
Lei non sa in cosa si sta cacciando signor Corso! Ne esca prima che sia troppo tardi! (Baronessa Kessler)
Mumbo Jumbo! Mumbo Jumbo! Mumbo Jumbo! Mumbo Jumbo! (Balkan) [Interrompendo una seduta satanica]
L’enigma è finalmente risolto: viaggiare in silenzio per una strada lunga e tortuosa, affrontare le frecce della sfortuna, senza temere né cappio né fiamme, giocare la più grande delle partite e vincere, non astenendosi da alcuna spesa e sfidare le vicissitudini del fato, e ottenere alla fine la chiave che aprirà… la nona porta! (Balkan)
Cancellami dal libro della vita, iscrivimi nel libro nero della morte, ammettimi alla nona porta. E così sia. (Balkan)
Sono invulnerabile, sono invicibile. Posso fluttuare nell’aria, posso camminare nell’acqua. Immergo le mani nelle fiamme, non avverto calore. (Balkan)
La casa dalle finestre che ridono
La casa dalle finestre che ridono nasce dopo il clamoroso fiasco ai botteghini di Bordella,opera pretenziosa di Avati,cosa che aveva allontanato dal regista i grossi produttori.
Con un budget ridotto all’osso,poco meno di 150 milioni di lire,contro gli oltre duecento delle varie produzioni,Pupi Avati gira un film in sordina ,senza grosse speranze di ritorno economico.
Il soggetto lo cura con Maurizio Costanzo,con Gianni Cavina (che reciterà nel film),con suo fratello Antonio.
Per il cast,visto il budget bassissimo,Avati ripiega su un semisconosciuto Lino Capolicchio,su Gianni Cavina e su una giovanissima e affascinante Francesca Marciano.
Se non ci sono soldi,ci sono le idee,c’è la voglia di realizzare un thriller di stampo gotico basato più sull’atmosfera che sugli effettacci,un po’ quello che aveva fatto Dario Argento con Profondo rosso,divenuto un clamoroso caso ai botteghini.
Come controfigure si usano gli stessi attori,che si sdoppiano in più vesti:le ombre che compaiono nel film sono gli stessi attori,l’ambientazione è spartana,e la location del film viene scelta con cura.
E’ un paesino della bassa padana,in provincia di Ferrara,nelle valli di Comacchio,dove “non ci sono ormai più anguille”.
Il film inizia con l’arrivo in paese di un restauratore,chiamato al difficile compito di ripristinare un San Sebastiano agonizzante affrescato nella chiesa del paese da Buono Legnani,detto il pittore delle agonie,per la sua discutibile abitudine di ritrarre gente in punto di morte.
L’atmosfera del posto,nonostante il sole splendente e una certa pigrizia e indolenza dei suoi pochi abitanti,è cupa,lugubre.
Piccola nota di vita è l’arrivo della giovane maestrina chiamata a sostituire la precedente,donna dalla moralità non proprio irreprensibile,con la quale il giovane restauratore avrà una breve e fugace relazione.
Nel paese c’è anche un vecchio amico del restauratore,Mazza,che sembra sconvolto da qualcosa che ha scoperto.
Capolicchio si imbatte anche in strani personaggi,come l’enigmatico parroco,in Livio,il giovane sagrestano fuori di testa e in Coppola,strana figura di alcolizzato tenuto a distanza da tutti.E nel frattempo inizia a lavorare al restauro,scoprendo,poco per volta,che parte di esso è stato inspiegabilmente coperto.
Và ad alloggiare in una strana casa,dove vive una donna all’apparenza molto malata,e dove inizia a imbattersi in strane fenomeni.
Riceve telefonate minatorie,alle quali,almeno all’inizio,non da gran peso.
L’atmosfera del film resta tesa, e lascia immaginare storie segrete sepolte dall’omertà dei suoi enigmatici abitanti. L’unico che mostra di voler stabilire un rapporto con il restauratore è Coppola,l’alcolizzato sempre più emarginato dagli abitanti del paese.
Capolicchio si imbatte in un magnetofono,nel quale c’è un nastro registrato dal pittore folle,e subito dopo assiste,inorridito,al “suicidio” dell’amico Mazza.
Il giovane inizia a capire che il paese nasconde un oscuro e terribile segreto quando trova l’agenda di Mazza,nella quale l’uomo racconta l’oscura storia di Buono Legnani,delle sue due sorelle e dell’innaturale rapporto che legava i tre.
Contemporaneamente,inizia una relazione sentimentale con Francesca,la giovane maestrina,che con l’avanzare del tempo,mostrerà di aver percepito l’aura di malvagità che circonda il paese.
Mentre lo stato del restauro avanza,mostrando al fianco del San Sebastiano l’inquietante presenza di due sinistre figure femminili,il giovane scopre la casa nativa del pittore Legnani,una casa decorata con finestre che ridono.
Gli eventi incalzano. Guidato da Coppola,scopre che nel giardino della casa ci sono resti umani.
Al suo ritorno a casa,trova Francesca,alla quale aveva promesso di andar via,morta in maniera orribile;scopre che qualcuno ha danneggiato,in maniera irreparabile l’affresco maledetto,cancellando le due figure femminili da esso. Recatosi con i carabinieri nella casa di Legnani,assiste agli scavi di questi ultimi nel posto in cui c’erano i resti umani,per scoprire che qualcuno ha provveduto ad occultare tutto.
Gli eventi precipitano.
Coppola viene ritrovato annegato e lui torna nella casa dove abita,dove scopre parte del segreto che essa nasconde:l’anziana signora che si fingeva malata è in realtà sanissima,e in compagnia di un’altra donna sta martirizzando il giovane sagrestano Livio.
Le due donne,che sono in effetti le due sorelle del pittore maledetto,custodiscono in un armadio i resti di Buono,a cui dedicano le incolpevoli vittime sacrificali su cui riescono a mettere le mani.
Il restauratore,ferito da una pugnalata di una di esse,riesce a scappare con la moto di Coppola,e si reca in paese,dove però trova solo finestre chiuse:nessuno lo aiuta.
Cerca rifugio in chiesa e qua il dramma giunge a compimento.
Il parroco non è altri che l’altra sorella del pittore,e si avvicina minacciosamente al giovane.
Il film termina con il rumore delle sirene della polizia in lontananza,lasciando aperto il finale a più soluzioni.
Una trama lineare,semplice.
La musica di fondo,essenziale e ben ritmata,scandisce i tempi del film,rendendolo cupo in maniera straordinaria.
Ma è l’atmosfera in cui è immerso il film ad essere perfetta: La trama non ha cedimenti e,di conseguenza,si sviluppa in maniera perfetta.
Sono passati trent’anni dalla sua uscita e i proprietari dei diritti della pellicola,divenuta nel frattempo un autentico cult,hanno deciso di rimasterizzarla grazie alle nuove sofisticate tecniche di elaborazione digitale.
Sono così scomparsi tutti gli ingiallimenti,lo spolverio tipico delle pellicole datate.
Ripulita e messa a nuovo,la pellicola resta assolutamente godibile.

Per chi decidesse di acquistare il Dvd,che ha sostituito la vecchia video VHS sul mercato,una piacevolissima sorpresa.
Il cast spiega i dietro le quinte,ci sono interviste a Capolicchio,ai fratelli Avati,a Cavina.
Che raccontano,divertiti,le difficoltà in cui si imbatterono all’epoca delle riprese del film.
Simpatica la descrizione di Capolicchio di un dietro le quinte accaduto mentre si girava la scena dell’accoltellamento del restauratore.
Capolicchio racconta di essersi dimenticato letteralmente di essere coperto di sangue,e di essersi recato in un bar del paese,accolto dagli sguardi sgomenti della gente.
Avati racconta come durante gli ultimi ciack abbiano avuto a che fare con le scosse del terremoto del Friuli,e di come abbia consigliato alla troupe di ripararsi sotto il campanile della chiesa!
Un film nato per caso,ma diventato con il passare del tempo,un cult autentico.
Prova geniale di un cinema povero di mezzi,ricco di idee,in grado di figurare egregiamente al fianco delle maggiori produzioni d’oltralpe.
Con Profondo rosso,La casa dalle finestre che ridono è da considerarsi il gotico-thriller più riuscito della storia del cinema italiano.
La casa dalle finestre che ridono
Un film di Pupi Avati. Con Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Giulio Pizzirani, Francesca Marciano, Bob Tonelli, Pina Borione,
Eugene Walter, Pietro Brambilla. Genere Drammatico, colore 110 minuti. – Produzione Italia 1976.
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Lino Capolicchio
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Francesca Marciano
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Gianni Cavina
Lino Capolicchio … Stefano
Francesca Marciano … Francesca
Gianni Cavina … Coppola
Giulio Pizzirani … Antonio Mazza
Bob Tonelli … Solmi
Vanna Busoni … Insegnante
Pietro Brambilla … Lidio
Ferdinando Orlandi Poliziotto
Andrea Matteuzzi … Poppi
Ines Ciaschetti … Concierge
Pina Borione … Donna paraplegica
Flavia Giorgi … Moglie di Poppi
Arrigo Lucchini … Grocer
Luciano Bianchi … Franchini
Regia Pupi Avati
Sceneggiatura: Antonio Avati, Pupi Avati,Gianni Cavina, Maurizio Costanzo
Prodotto da : Antonio Avati, Gianni Minervini
Musiche: Amedeo Tommasi
Editing: Giuseppe Baghdighian
Costumi: Luciana Morosetti
Effetti speciali: Luciano Anzellotti, Giovanni Corridori
“Magico, straordinario capolavoro dell’horror italiano, che turba per la capacità di far scaturire l’orrido e il fantastico dal quotidiano. Flashback da antologia. Spiazzante, indimenticabile, sbalorditivamente perfetto l’ultimo minuto di film. La seconda visione sorprende per la percepita perfezione degli incastri. “As flores do amor, flores lindas do meu jardim, para vocês…”
“Film visivamente molto suggestivo e riuscito con alcune originalità: è un noir con venature horror ambientato nella bassa padana (terra spesso adoperata come pretesto per pellicole decisamenti di alto registro). Avati cura nei particolari la messa in scena e la direzione degli attori, tutti molto bravi (in particolare Cavina, attore poco e male utilizzato dal cinema che conta). Il limite del film è la qualità altalenante della sceneggiatura, che spesso presenta elementi improbabili dal punto di vista narrativo.”
“L’ambientazione solare, la presenza di uomini di Chiesa (e quindi atti a dispensare speranza e vita), il fascino imperscrutabile della pittura: sta tutto nella dialettale (e provinciale) messa in scena, sorretta da un convincente (e mai più così bravo) Gianni Cavina, il pregnante senso di claustrofobia che è generato da contrasti così palesi quanto inimmaginabili (uomo/donna, bene/male, anima/corpo, luce/tenebra). Raccontato, come da narratore anacronistico, per essere attentamente seguito possibilmente nelle notti invernali, presso il camino.”
“Difficile (inutile?) aggiungere qualcosa a quanto è stato detto e scritto, ovunque, quasi unanimemente, giustamente. Un capolavoro, e una splendida riuscita di un autore stratificato che ha più poetiche, una delle quali prepondera purtroppo nella sua produzione, ma in tal modo permette di isolare le perle. Film dall’atmosfera ineguagliabile, dall’orrore palpabile e credibile, dalle suggestioni vibranti (quell’inizio e quel finale che non si dimenticano più… ). Inchino.”
“È praticamente perfetto: musiche, ambientazione, attori, intreccio. È un puzzle con tutti i tasselli al posto giusto. Già l’inizio è stupendo (la voce roca, le immagini sgranate, le urla, il coltello lucente). Quando il protagonista giunge col battello, chi lo aspetta sembra uscito da un quadro (uno alto, uno basso e dietro un’auto rossa). Il posto e alcuni individui sono già piuttosto inquietanti, senza bisogno di sangue. Personaggi felliniani in trattoria. Il povero restauratore avrà parecchi problemi. Dialoghi da gustare. Gran bel finale.”
“Un capolavoro assoluto dell’originalissimo “gotico padano” di Pupi Avati. Complici anche le musiche di Tommasi, attanaglia dalla paura dagli inquietanti titoli di testa, scanditi a ritmo di coltellate, fino all’agghiacciante, ineguagliabile finale. Senza alcun effetto speciale, qui l’orrore diventa qualcosa di reale e credibile e la parlata emiliana – tradizionalmente associata a calore, divertimento e simpatia – si trasforma in un suono grottescamente perverso. Regia e attori perfetti. “
“Capolavoro di Avati e, con buona pace degli estimatori di Argento, miglior horror italiano di sempre. Geniale fin dalla scelta dell’ambientazione placida e solare, assolutamente non convenzionale, angoscioso come pochi per la capacità di creare, con una economia di mezzi encomiabile, un senso di oppressione crescente attorno al protagonista, fino al finale, scioccante e davvero inaspettato. Interpreti tutti adeguati (ottimo Capolicchio), colonna sonora efficace e fotografia funzionale contribuiscono alla riuscita di un film tuttora disturbante.”
“Avati non ha reali abilità registiche nell’universo della paura: è un arcano incantatore che sa come restituire al sole l’atmosfera fetida di orrori ancestrali, lovecraftiani, sepolti nei pertugi della campagna. Ampio, troppo lungo e disteso su una insistita resa atmosferica, è un thriller con evidenti impacci narrativi (la storia d’amore è mal girata e castigatissima, alcuni snodi improbabili), che all’inappetenza non dichiarata per il genere risponde con porte e finestre che cigolano. Resta oggetto assolutamente inedito nella cinematografia italiana. Il finale è urticante e magnifico.”










































































































































































































































































































