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Roma bene

Roma bene locandina

Lo squallido mondo che ruota attorno ai salotti della Roma che conta, la Roma bene, visto da Lizzani in questo film del 1971. Uno sguardo cattivo, crudele, sopratutto impietoso.
I vizi e le debolezze, le brutture dei Vip sono l’altra faccia della Roma bene, tratteggiata attraverso una galleria di personaggi assolutamente deprimente, radunata attorno al salotto di Silvia Santi, di origini aristocratiche, moglie di giorgio industriale con le mani in molteplici attività; i due coniugi sono la parte terminale di un iceberg composto, secondo Lizzani, da uomini e donne senza scrupoli o valori morali.

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Nino Manfredi e Enzo Cannavale

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Irene Papas

Come il titolato De Vittis, barone senza denaro che scrocca feste e inviti, e che durante una delle tante festicciole organizzate dalla Santi, la invita a ballare e riesce a rubarle un orecchino, che ingoia, e che sarà costretto poi a “depositare” dopo aver ingurgitato un purgante.
O anche come Nino Rappi, che cerca finanziamenti per una sua impresa e che perciò non esita a servirsi di sua moglie, una donna cinica e furba; Wilma, questo è il suo nome, arrotonda le sue entrate con il lavoro più antico del mondo, ha un’amante donna e anche lei non si fa nessuno scrupolo pur di mantenere il proprio status.

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Franco Fabrizi, Michele Mercier, Gigi Ballista

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Senta Berger

Non c’è un personaggio che abbia un benchè minimo senso morale, oppure che possa definirsi retto o onesto, in questo serraglio indecoroso.
La stessa Silvia Santi non esita a fingere un rapimento pur di estorcere denaro a suo marito, rapimento organizzato con la complicità dei suoi due figli,Vivi e Lando.
C’è poi Dedè Marescalchi,nobiltà pura, che va a letto con chiunque pur di agevolare gli interessi del marito, che ovviamente è consapevole della cosa e ne trae profitto, c’è Elena Teopulos, che uccide il marito simulando un incidente….

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Virna Lisi

Agnello sacrificale in mezzo al branco dei lupi, ecco Il commissario Quintilio Tartamella, chiamato dapprima a indagare sullo strano furto dell’orecchino, poi sul finto rapimento e infine sull’assassinio simulato; il cmmissari, cinico e disincantato, verrà a capo di tutti e tre gli enigmi e involontariamente riceverà una promozione; il suo capo infatti, per timore che le vicende suscitino scandalo nel dorato mondo dell’aristocrazia e del mondo degli affari romano, dopo averlo promosso lo trasferirà.

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Senta Berger

Quasi tutti i personaggi della storia, con l’eccezione di Giorgio e del Monsignore, eminenza grigia dall’animo nero, esempio di quel clero affarista e spregiudicato presente purtroppo anch’esso nella melma della Roma bene, periranno in un bagno purificatore, simboleggiato da un avvenimento che porterà i loro destini a confluire nella stessa tragica sorte.
Mentre Rappi morirà d’infarto in seguito a un cocktail di donne, alcool e stress da troppo sport, Silvia, Dedè, Elena e De Vittis e altri moriranno affogati mentre navigano con il loro yacht al largo; infatti tutti si caleranno in acqua, lasciando lo yacht senza nessuno a bordo, scordandosi anche di calare la scaletta prima di tuffarsi.

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Pia Giancaro

Un rogo simbolico, con cui Lizzani fa perire tutti gli osceni personaggi della storia; saranno loro le vittime di un possibile progrom che sia di buon auspicio per una classe sociale migliore.
Ma il fatto che si salvino i due uomini più importanti, il Monsignore e l’industriale, mostra che non c’è speranza; come un serpente a più teste, la buona borghesia ha sempre la possibilità di mordere da un’altra parte.
Lizzani usa le maniere forti, gettando acido solforico ovunque, usando l’accetta per tagliare i profili dei protagonisti;ne viene fuori un ritratto a tinte cupissime, senza speranza di una classe sociale allo sbando morale.
Alle volte l’accanimento è tale da rendere i personaggi troppo caratterizzati; tuttavia è indubbio il valore dell’operazione del film, teso a mostrare l’altro lato della medaglia, ovvero le paludi che si nascondono dietro il dorato mondo della noiltà, dei ricchi parvenue e di coloro che fanno dell’interesse, del denaro e del successo la fonte primaria di interesse.

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Un film da rivedere, a distanza di quasi quarant’anni, anche per la presenza di un cast sontuoso, che spazia da Virna Lisi a Philippe Leroy, passando per Manfredi, le bellissime Mercier e Senta Berger, tra Gastone Moschin e Irene Papas, Vittorio Caprioli e Ely Galleani, film arricchito anche da una galleria di caratteristi, come Cannavale, Ballista, Tarascio…..
Per una volta sono in disaccordo con il grande Kezich, che scrisse del film:
Molto abile nella ricostruzione naturalistica della cronaca, Lizzani appare meno a suo agio nell’affresco di costume: questo Roma bene sta alla realtà odierna della capitale come La Celestina P.R. stava alla Milano del miracolo economico. Nessuno dei numerosi attori di un cast affollato si conquista una menzione al merito: neppure Nino Manfredi nella parte di un commissario disgustato e ostinato, che dovrebbe rappresentare nel quadro una specie di personaggio positivo

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Philippe Leroy

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Gastone Moschin

Roma bene, un film di Carlo Lizzani. Con Nino Manfredi, Irene Papas, Umberto Orsini, Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, Virna Lisi, Michèlle Mercier, Mario Feliciani, Senta Berger, Gastone Moschin, Evi Maltagliati, Vittorio Sanipoli, Carlo Hintermann, Franco Fabrizi, Nora Ricci, Enzo Tarascio, Annabella Incontrera, Enzo Cannavale, Peter Baldwin, George Wang, Gigi Ballista, Giancarlo Badessi, Gigi Rizzi, Carla Mancini, Minnie Minoprio, Dado Crostarosa, Luigi Leoni, Pupo De Luca
Drammatico, durata 113 min. – Italia 1971.

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Senta Berger …      Dede Marescalli
Vittorio Caprioli …     Il barone Maurizio Di Vittis
Franco Fabrizi …     Nino Rappi
Mario Feliciani …     Teo Teopoulos
Philippe Leroy …     Giorgio Santi
Virna Lisi …     Silvia Santi
Nino Manfredi …     Il Commissario Quintilio Tartamella
Michèle Mercier …     Wilma Rappi
Gastone Moschin …     Il monsignore
Umberto Orsini …     Prince Rubio Marescalli
Irene Papas …     Elena Teopoulos
Gigi Ballista …     Vitozzi
Dado Crostarosa …     Lando Santi
Ely Galleani …     Vivi Santi
Annabella Incontrera …     La Lesbica
Evi Maltagliati …     La madre di Elena
Minnie Minoprio …     Minnie
Nora Ricci …     donna Serena
Gigi Rizzi …     Un playboy
Vittorio Sanipoli …     Il Questore
Giancarlo Badessi …     Rossi
Peter Baldwin …     Michele Vismara
Enzo Cannavale …     Tognon
Pia Giancaro …     L’invitata in nude-look
Margaret Rose Keil …     Suzy
Pupo De Luca …     Amante di Dede Marescalli
Enzo Tarascio …     L’avvocato di Elena
Carlo Hinterman …     Secondo avvocato di Elena
Luigi Leoni …     Altro amante di Dede Marescalli

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Regia:     Carlo Lizzani
Soggetto:     Luigi Bruno Di Belmonte
Sceneggiatura:     Luciano Vincenzoni,Nicola Badalucco,Carlo Lizzani
Fotografia:     Giuseppe Ruzzolini,Alfonso Avincola
Montaggio:     Franco Fraticelli,Sergio Fraticelli,Alessandro Gabriele
Effetti speciali:     Italo Cameracanna
Musiche:     Luis Enriquez Bacalov
Scenografia:     Flavio Mogherini,Francesco Pietropolli
Costumi:     Adriana Berselli,Marina De Laurentiis,Rosalba Menichelli

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febbraio 17, 2010 Pubblicato da: | Drammatico | , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Milano calibro 9

Milano calibro 9 ,locandina

All’ uscita dal carcere, dove è stato rinchiuso per tre anni, Ugo Piazza, corriere clandestino di valuta, trova ad attenderlo i rappresentanti dei due lati opposti della società.
Da una parte ci sono Pasquale, Rocco e Nicola, emissari della malavita agli ordini dell’Americano, dall’altra un commissario di polizia, brutale e violento, uno di quelli che credono che la giustizia si possa somministrare solo con le cattive.

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Gastone Moschin è Ugo Piazza

I tre uomini sono stati mandati dal loro capo perchè l’uomo è convinto che Ugo, catturato durante lo scambio di valuta, si sia impossessato di trecento milioni frutto dello scambio mai avvenuto; dall’altro il commissario ha fiutato in qualche modo il coinvolgimento di Piazza in affari poco puliti.
Ugo viene violentemente pestato dai tre, con l’ordine di presentarsi al più presto dall’Americano: dopo essere stato in questura a denunciare lo smarrimento dei documenti, Ugo trova alloggio presso una piccola pensione,dove viene nuovamente sorpreso dalla banda dell’Americano, che lo trovano in compagnia di una prostituta.

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Mario Adorf è Rocco Musco

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Gli uomini, dopo aver devastato la sua stanza, alla ricerca del denaro, gli rinnovano l’invito a recarsi dal loro capo.
Ugo è ormai allo sbando; non ha un posto dove rifugiarsi e non ha più soldi. Decide così di chiedere aiuto a Don Vincenzo  e a suo nipote Chino, vecchi amici. Ma ancora una volta arrivano gli emissari dell’Americano, olo che questa volta al fianco di Ugo c’è Chino, abile nel pugilato. I due mettono in fuga gli uomini dell’Americano, e Ugo decide di andare a trovare la sua donna, Nelly, che lavora in un night club. Alla donna l’uomo racconta le sue vicissitudini, oltre al fatto di non essere in possesso dei soldi che l’Americano cerca.

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A questo punto il passo successivo di Ugo è quello di recarsi dall’Americano, al quale racconta la versione della storia già detta a Nelly. L’Americano, anche se non convinto del tutto che Ugo dica la verità, lo prende al suo servizio, anche per poterlo controllare meglio.
Ma a questo punto le cose si complicano; con una mossa a sorpresa, Ugo inizia a instillare nel capo il dubbio che a commettere il furto dei 300 milioni possano essere stati proprio i suoi fedelissimi, Rocco e Pasquale. E’ l’inizio di un sanguinoso regolamento di conti, in cui vengono utilizzate anche le bombe pur di arrivare a scoprire i veri autori del furto; Ugo, sempre pedinato dagli uomini del commissario, convince Don Vincenzo e Chino ad aiutarlo nella vendetta contro l’Americano. ma quest’ultimo, che sta facendo piazza pulita a Milano, uccide Don Vincenzo. Chino e Piazza, armati fino ai denti, sterminano la banda dell’Americano, e durante la sparatoria anche Chino cade colpito a morte.

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Ugo Piazza ora è libero di muoversi; recupera i soldi che aveva davvero rubato e torna a Milano, dove viene però fermato dalla polizia e interrogato dal commissario Mercuri, collega dell’altro commissario, un uomo decisamente più ligio alla legge e rispettoso dei diritti dei cittadini. Dopo aver interrogato i pochi superstiti dell’assalto alla villa dell’Amerikano, poichè nessuno conferma la presenza di Piazza durante la sanguinosa sparatoria, il commissario lascia libero Piazza, che a questo punto sembrerebbe aver avuto partita vinta.
Ma le sorprese non sono finite……….

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Nelle due foto: una splendida Barbara Bouchet è Nelly

Mlano calibro 9, di Fernando Di Leo, è un film a metà strada tra il noir e il poliziesco. Violentissimo, teso, complicato da una trama sorprendente, è di sicuro il miglior film del genere poliziottesco degli anni settanta.
Grazie alla sontuosa recitazione degli attori del cast, alla bellissima colonna sonora di Bacalov e degli Osanna, il film ha una tensione continua e senza cedimenti, che ne fanno a buon diritto, il miglior film della produzione di Di Leo.Un film che mescola anche il conflitto tra i due commissari come semplificazione della situazione corrente all’epoca, con le due scuole di pensiero, violenza contro violenza e visione a più ampio raggio dei fenomeni ad essa collegati. Un film molto ambizioso, che però una volta tanto centra quasi tutti gli obiettivi prefissati.

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Larga parte del merito va ovviamente al romanzo di Scerbanenco; il titolo, ripreso dalla raccolta di romanzi dello scrittore di Kiev, viene però ripreso con un’atmosfera dark che riesce a rendere vivida l’azione, trasformando il film in una serrata lotta senza esclusione di colpi, con sullo sfondo una Milano assente, immersa nella sua vita ad alta velocità, percorsa da centinaia di migliaia di persone quasi disinteressate a tutto ciò che accade attorno.

Grande prova di Gastone Moschin, un ottimo Ugo Piazza, bravissimo Mario Adorf nel ruolo di Rocco; poi, attorno, il cast costruito attorno all’Americano, Lionel Stander , forse il personaggio meno credibile della storia, nel senso dell’interpretazione. Il ruolo dell’Americano Stander lo svolge con diligenza ma in modo appena sufficiente. Molto bene i due commissari, Luigi Pistilli e Frank Wolff.

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Bene anche Barbara Bouchet, uno dei tanti personaggi negativi della storia, una Nelly però credibile nel ruolo dell’angelo infernale. Infine nota di merito anche per Ivo Garrani, un ottimo Don Vincenzo, e il solito, inappuntabile Philippe Leroy.

Milano calibro 9, un film di Fernando Di Leo. Con Mario Adorf, Philippe Leroy, Barbara Bouchet, Frank Wolff, Lionel Stander, Gastone Moschin, Ivo Garrani, Fernando Cerulli, Luigi Pistilli, Gastone Pescucci, Ettore Geri, Sergio Serafini, Mario Novelli, Ernesto Colli, Empedocle Buzzanca, Rossella Bergamonti, Giorgio Trestini, Mauro Vestri, Omero Capanna, Fortunato Cecilia
Poliziesco, durata 101 min. – Italia 1972.

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Gastone Moschin: Ugo Piazza
Barbara Bouchet: Nelly Bordon
Mario Adorf: Rocco Musco
Frank Wolff: commissario di polizia
Luigi Pistilli: Mercuri
Ivo Garrani: Don Vincenzo
Philippe Leroy: Chino
Lionel Stander: l’Americano
Mario Novelli: Pasquale Tallarico
Giuseppe Castellano: Nicola
Ernesto Colli: Alfredo Bertolon
Giorgio Trestini: Franceschino

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Regia:     Fernando Di Leo
Soggetto:     Fernando Di Leo, Giorgio Scerbanenco (romanzi)
Sceneggiatura:     Fernando Di Leo
Produttore:     Armando Novelli
Casa di produzione:     Cineproduzioni Daunia 70
Distribuzione (Italia):     Alpherat S.p.a.
Fotografia:     Franco Villa
Montaggio:     Amedeo Giomini
Musiche:     Luis Enríquez Bacalov, Osanna
Tema musicale:     Milano calibro 9 (Preludio, Tema, Variazioni e Canzona)
Scenografia:     Francesco Cuppini
Costumi:     Francesco Cuppini, Marcella Moretti
Trucco:     Antonio Mura

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“Se continua così, vedrai che fanno l’antimafia pure pe’ Milano! La chiamano mafia, ma oggi sono…sono bande. Bande in lotta e concorrenza fra di loro. La vera mafia non esiste più!”

“Tu quando incontri a uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare…”

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MILANO: Torre Branca, Parco Sempione, da Viale Cervantes
MILANO: Viale Cervantes, Parco Sempione
MILANO: Piazza Duomo
MILANO: Viale Gorizia
MILANO: Ripa di P.ta Ticinese, Alzaia Naviglio Grande
MILANO: Naviglio Pavese, da Viale Gorizia
MILANO: Duomo, Piazza Duomo
MILANO: Stazione Centrale
MILANO: Carcere San Vittore, P.zza Filangieri 2
MILANO: Carcere San Vittore, Via degli Olivetani
MILANO: Carcere San Vittore, Via degli Olivetani ang. Via G.B. Vico
MILANO: P.zza XXIV Maggio, ang. Viale Gorizia
MILANO: Chiesa S.ta Maria delle Grazie al Naviglio, Alzaia Naviglio Grande 34
MILANO: Ripa di Porta Ticinese, altezza # 5
MILANO: Ripa di Porta Ticinese 5
MILANO: Torre Velasca, P.zza Velasca
MILANO: P.zza Velasca
MILANO: P.zza Duca D’Aosta, Stazione Centrale
MILANO: Via Paolo da Cannobio

novembre 24, 2009 Pubblicato da: | Drammatico | , , , , , , | 2 commenti

La svergognata

La svergognata locandina 1

Fabio è l’ennesimo scrittore in crisi creativa e personale; ha una relazione problematica con un’attrice bellissima, Silvia, ma ciò non è sufficiente. Decide quindi di accettare l’invito di un suo vecchio amico, un’industriale del nord e di passare qualche giorno di vacanza nell’isola d’Ischia. Al suo arrivo Fabio Trova l’industriale, Nino Bernardi, accompagnato dalla moglie Clara, che in passato era stata la sua amante, e la giovane Ornella, figlia della coppia.

La svergognata 13
Philippe Leroy è Fabio

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La ragazza, un’aolescente vivace e viziatissima, accompagnata dall’amichetta Giusi, inizia a frequentare i ragazzi del posto, oltre che i figli degli amici dei genitori, ma ben presto mette gli occhi sullo scrittore. E inizia una lenta opera di seduzione dell’uomo, fatta di provocazioni di ogni genere. Ovviamente Fabio si lascia sedurre dalla freschezza della ragazza, anche se ben presto si rende conto che Ornella si limita a civettare ben oltre il limite del consentito, ma che non ha alcuna intenzione di cedergli.

La svergognata 16
Leonora Fani è Ornella

La svergognata 1

Ad Ischia arriva Silvia, che capisce ben presto la situazione: il suo amante l’ha chiamata più per essere distolto e rassicurato, che per effettivo bisogno della sua presenza. Nel frattempo Ornella, ingelosita dalla presenza della bellissima Silvia, decide di cedere allo scrittore, che da tutto ciò guadagnerà un’iniezione di fiducia e nuova linfa per il suo lavoro.

La svergognata 2

La svergognata 3

Nelle scene finali, Ornella e i genitori, in partenza dall’isola, salutano Fabio dandogli appuntamento per l’anno successivo, mentre Ornella stringe la mano del suo boy friend e guarda con una certa nostalgia verso Fabio, che sorride enigmatico.
La svergognata, film diretto da  Giuliano Biagetti nel 1974, è un discreto film senza eccessive sbavature, strutturato su una storia utilizzata spesso nel cinema, e che non presenta elementi di novità nel classico impianto dell’adolescente che tenta una seduzione nei confronti del maturo uomo affetto dalla solita crisi esistenziale e lavorativa.

La svergognata 4

La svergognata 5

Barbara Bouchet

Gli stereotipi ci sono tutti, tuttavia la storia è raccontata con garbo, senza eccessivi pruriti erotici, con poche concessioni a scene ardite o di cattivo gusto. Certo, non c’è da gridare al miracolo, siamo nella solita strada incanalata della commedia all’italiana; però la recitazione degli attori, tra i quali spicca Phlippe Leroy, che interpreta con sobrietà Fabio, è adeguata. Bene la Bouchet, sempre bellissima, nel ruolo di Silvia e molto misurata la Leonora Fani, perfetta nel ruolo dell’adolescente Ornella.

La svergognata 6

Ovviamente magnifica la location dell’isola verde, Ischia, anche se va detto che il regista non insiste molto sui paesaggi bellissimi della perla tirrenica.

La svergognata, un film di Giuliano Biagetti. Con Philippe Leroy, Barbara Bouchet, Leonora Fani, Pupo De Luca,Maria Pia Conte, Stefano Amato, Fiorella Masselli, Dana Ghia, Carla Mancini
Drammatico, durata 90 min. – Italia 1974.

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La svergognata 17

Stefano Amato     …     Andrea
Barbara Bouchet    Silvia Lorenzi
Maria Pia Conte    …     Giusy
Pupo De Luca    …     Nino Bernardi
Leonora Fani    …     Ornella Bernardi
Dana Ghia    …     Clara
Philippe Leroy    …     Fabio Lorenzi

Regia Giuliano Biagetti
Soggetto Giuliano Biagetti, Giorgio Mariuzzo
Sceneggiatura Giuliano Biagetti, Giorgio Mariuzzo
Fotografia Anton Giulio Borghesi
Montaggio Alberto Moriani
Musiche Berto Pisano

novembre 19, 2009 Pubblicato da: | Erotico | , , , | 1 commento

Ettore Lo Fusto

Il potente Giove, cardinale, chiede aiuto al suo scaltro segretario Mercurio per cercare di impossessarsi di un terreno sul quale dovrebbe sorgere un complesso residenziale per ricchi. Il problema è però rappresentato da Ettore lo Fusto, che proprio su quei terreni ha una villa trasformata in un bordello di lusso, frequentato da gente insospettabile.

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Così Mercurio escogita un piano: coinvolgere i fratelli Menelao e Agamennone Due Re in una guerra privata contro Ettore, che in pratica fa concorrenza anche ai due fratelli. Il casus belli diviene così la bella Elena, moglie non certo fedele di Menelao, che viene sedotta ( anche se in realtà accade il contrario) dal bellimbusto Paride. Consigliati dallo scaltro Ulisse, i due fratelli organizzano la vendetta: assaltare la villa di Ettore.

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Che però è estremamente ben difesa, tanto che la prima volta i due fratelli e la loro scalcinata banda rimediano una figuraccia. Grazie all’aiuto di Achille, che ha perso il fido amico gay Patroclo in una gara motociclistica con Ettore, i due fratelli espugnano la villa, non prima, però, di aver visto il loro locale raso al suolo proprio da Achille. Nell’assalto, Ettore finisce in un blocco di cemento, e diventerà la prima pietra del complesso residenziale sorto sui terreni proprio del defunto ettore, complesso inaugurato da Giove e Mercurio. La volubile Elena si consolerà con un onorevole, mentre Ulisse tornerà in Sicilia.

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Commedia farsa interpretata da un cast straordinario, Ettore lo Fusto però tende molto più all’aspetto farsesco,  denotando, in qualche momento, stanchezza di idee unite a dialoghi infarciti di qualche volgarità di troppo. Però il film si fa vedere con interesse, grazie anche, come già detto, al nutrito cast che comprende Vittorio De Sica, un cardinale Giove più satanico che religioso, Luciano Salce, ancor più luciferino del suo capo nel ruolo di Mercurio, segretario e mente pensante,

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Philippe Leroy nei panni dello scaltro Ettore Lo Fusto, sconfitto solo dalla sua arroganza, Rosanna Schiaffino, assolutamente bella e spettacolosa nel ruolo della volubilissima Elena, Giancarlo Giannini nella parte dello scaltro Ulisse, Vittorio Caprioli in quella del cornuto Menelao e Aldo Giuffrè in quella di Agamennone e infine Franca Valeri nella parte della profetessa si sventure Cassandra. Completano il cast due bellezze, orchidea De Santis e Aydeèè Politoff nel ruolo di due ragazze squillo detinate a Ettore Lo Fusto e finite invece, grazie a Ulisse, nella magione dei due fratelli Due Re.

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Non manca qualche momento felice, come la sequenza dell’assalto alla villa di ettore oppure la parte finale, con il cardinale Giove trionfante che si accorge della presenza del corpo di Ettore tra i massi delle fondamenta e che guarda con sguardo complice il fido segretario Mercurio.

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Commedia sfilacciata, un tantino sguaiata, ma sorretta quanto meno dall’eccellente cast.
Ettore Lo Fusto, un film di Enzo Girolami Castellari. Con Giancarlo Giannini, Rosanna Schiaffino, Vittorio De Sica, Philippe Leroy, Aldo Giuffré, Vittorio Caprioli, Luciano Salce, Michael Forest, Edoardo Nevola, Franca Valeri, Gianrico Tedeschi, Pepe Calvo, Giancarlo Prete, Gigi Rizzi, Haydée Politoff, Pietro Torrisi, Orchidea De Santis
Commedia, durata 109 min. – Italia 1971.

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Vittorio De Sica: Cardinal Giove
Giancarlo Giannini: Ulisse “il drittone”
Michael Forest: Achille
Aldo Giuffré: Agamennone
Philippe Leroy: Ettore
Juan Luis Galiardo: Paride
Gigi Rizzi: Polite
Haydée Politoff: Criseide
Giancarlo Prete: Patroclo, detto Clò-Clò
Rosanna Schiaffino: Elena
Luciano Salce: Conte Mercurio
Franca Valeri: Cassandra
Gianrico Tedeschi: Priamo
José Calvo: il dottore

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Regia Enzo G. Castellari
Soggetto Henri Viard, Bernard Zacharias (romanzo)
Sceneggiatura Enzo G. Castellari, Sandro Continenza, Lucio Fulci, Leonardo Martín
Casa di produzione Empire Films
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Guglielmo Mancori
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Francesco De Masi, eseguite da Il Punto
Scenografia Alberto Boccianti

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agosto 17, 2009 Pubblicato da: | Commedia | , , , , | 10 commenti

La matriarca

La matriarca locandina

Margherita, chiamata da amici e parenti Mimi, è una giovane e bella donna, che all’improvviso si ritrova vedova, senza per’altro molta sofferenza da parte sua, visto che in un monologo inizale dice testualmente di non aver trovato motivi per piangere. Dopo il funerale la giovane, mentre è nell’azienda del marito, apprende dall’avvocato della stessa dell’esistenza di un appartamento intestato al marito, ma misteriosamente non compreso tra i suoi beni.

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Catherine Spaak è Mimi

La matriarca 1

Incuriosita, Mimi si reca nell’apartamento, e scopre che suo marito in realtà aveva una vita parallela a quella di bravo marito e industriale: nell’appartamento, arredato come una garconniere, con tanto di specchi, bar fornitissimo e altre comodità, l’uomo riceveva le sue numerose amanti, con le quali praticava sesso anche sadomasochistico. All’interno dell’appartamento, infatti, c’era un registratore ed una cinepresa, con la quale l’uomo filmava i suoi incontri erotici.

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Mimi, sconvolta da quanto ha appreso, si interroga sul perchè suo marito fosse così disinibito all’esterno, mentre era così riservato con lei; acquista quindi un libro sul sesso, e subito dopo, un pò per per curiosità, un pò per desiderio postumo di vendetta, inizia a portare nella garconniere uomini di ogni genere. Il primo è l’avvocato dell’azienda, nonchè amico del marito, e subito dopo tocca ad altri.

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La madre di Mimi, preoccupata dalle condizioni della ragazza, riesce a farla ricoverare per analisi nella clinica del suo compagno: qui la donna incontra il dottor De Marchi, e dopo breve tempo ne diventa l’amante. Sembra un’avventura come le altre, ma l’uomo è innamorato della ragazza, e dopo una terapia d’urto, e con molta dolcezza, riuscirà a convincerla di sposarlo.

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Diretto da Pasquale Festa Campanile nel 1968, La matriarca è una gradevole commedia, senza particolare impegno e senza grosse ambizioni, ad onta di un cast di ottimo livello, che vede protagonisti Catherine Spaak nel ruolo di Mimi, la giovane e confusa vedova, Jean Louis Trintignant in quello del dottor De Marchi, e uno stuolo di attori di ottimo livello in parti secondarie, a partire da Paolo Stoppa, che ricopre il ruolo del compagno della madre di Mimi, Luigi Pistilli,

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Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, un simpatico e stravagante Gigi Proietti nel ruolo dell’avvocato che tenterà invano di farsi sposare da Mimi, Nora Ricci, nei panni della madre della ragazza e infine Venantino Venantini , Gabriele Tinti e Renzo Montagnani, assolutamente irriconoscibile dietro strane lenti e capelli riccioluti, nei panni di un pervertito sadomasochista. Un film ben congegnato, a tratti anche gradevole, proprio per la leggerezza del tema trattato. da segnalare le numerose, anche se castigatissime, scene di nudo della Spaak, al massimo della sua bellezza.

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La matriarca, un film di Pasquale Festa Campanile. Con Paolo Stoppa, Luigi Pistilli, Jean-Louis Trintignant, Philippe Leroy, Catherine Spaak, Vittorio Caprioli, Renzo Montagnani, Luigi Proietti, Nora Ricci, Gabriele Tinti, Venantino Venantini, Frank Wolff
Commedia, durata 92 min. – Italia 1968.

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Gigi Proietti: Sandro Maldini
Catherine Spaak: Margherita, detta Mimmi
Jean-Louis Trintignant: dottor Carlo De Marchi
Luigi Pistilli: Otto Frank, detto Mr. X
Renzo Montagnani: Fabrizio
Fabienne Dalì: Claudia
Nora Ricci: madre di Mimmi
Edda Ferronao: Maria
Vittorio Caprioli: il libraio
Gabriele Tinti: uomo nella macchina
Venantino Venantini: Aurelio
Frank Wolff: dottor Giulio, il dentista
Paolo Stoppa: professor Zauri
Philippe Leroy: istruttore di tennis
Mario Erpichini: Franco, marito di Mimmi

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Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Nicolò Ferrari
Sceneggiatura Nicolò Ferrari, Ottavio Jemma
Produttore Silvio Clementelli
Casa di produzione Clesi Cinematografica, Finanziaria San Marco
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Armando Trovajoli
Tema musicale L’amore dice ciao di Guardabassi e Trovajoli, cantato da Andee Silver
Scenografia Flavio Mogherini
Costumi Gaia Rossetti Romanini
Trucco Franco Freda

Doppiatori italiani
Maria Pia Di Meo: Margherita, detta Mimmi
Cesare Barbetti: dottor Carlo De Marchi
Rita Savagnone: Claudia
Pino Colizzi: uomo nella macchina
Aldo Giuffré: dottor Giulio, il dentista
Sergio Graziani: istruttore di tennis
Luciano De Ambrosis: Franco, marito di Mimmi

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agosto 10, 2009 Pubblicato da: | Commedia | , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Il gatto

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Ugo Tognazzi e Mariangela Melato

Amedeo e Ofelia, due fratelli, hanno ricevuto in eredità dal padre uno stabile fatiscente con diversi appartamenti, tutti locati a canone fisso. I due, gretti, avidi, meschini, tiranneggiano gli inquilini, sopratutto dopo la proposta di un’immobiliare, che vuole acquistare lo stabile per una somma enorme, 500 milioni pro capite, con l’unico vincolo del palazzo libero da inquilini. La morte sospetta del loro gatto porta i due all’azione: spiando i condomini, cercano di capire quali vizi possano nascondere, in modo da trovare finalmente il casus belli che permetta loro l’agognato sfratto. Il primo a fare le spese della perfida e laida coppia di guardoni è un disgraziato commissario di polizia, che finirà per passare attraverso una montagna di guai sia con i suoi superiori sia con la stampa.

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Dalila Di Lazzaro

Amedeo e Ofelia iniziano così un’attività voyeuristica, che li porta a scoprire un piccolo bordello installato in uno degli appartamenti, frequentato da insospettabili avventori e da altrettanto insospettabili prostitute, fino alla scoperta (non casuale, ma costruita) di una improbabile centrale dello spaccio della droga, gestito da un gruppo di orchestrali in pensione.

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Con il ricatto e con altri mezzi sporchi, i due riescono a mandar via quasi tutti gli inquilini. Sarà la scoperta di un omicidio a provocare un’ accelerazione degli eventi, e alla fine i due finalmente si ritrovano con lo stabile sgombro. Ma il diavolo fa le pentole, dimenticando i coperchi…….

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Il gatto è un film grottesco, un classico lavoro alla Comencini, che assomiglia in maniera sinistra a Fratelli coltelli, film di molti anni successivo. Un prodotto in cui è difficile trovare un solo personaggio raffigurato in chiave positiva, a cominciare dai due avidi e amorali protagonisti, Amedeo-Ugo Tognazzi e Ofelia-Mariangela Melato, che si odiano, si disprezzano ma trovano nell’interesse un legame più forte del vincolo del sangue. I due usano mezzi bassi per muoversi comunque tra bassezze e miserie, in un universo costellato solo da persone alle quali non fanno difetto di certo le peggiori caratteristiche degli uomini.

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Meschinità, grettezza, arrivismo, tutto il peggio delle qualità negative racchiuse in un microcosmo, uno stabile che è decrepito e fatiscente come la moralità di coloro che lo abitano, proprietari inclusi. La storia del gatto diventa quindi un pretesto per una frustata generale, inferta da Comencini nel suo classico stile, anche se non così appariscente come per esempio nel citato Fratelli coltelli o nel ben più nichilista L’ingorgo, storia in cui proprio le qualità negative dei protagonisti diventano il centro della storia. La similitudine più azzeccata potrebbe essere, fatta salva l’ambientazione, il sottoproletariato, con il film di Scola Brutti sporchi e cattivi: un’umanità resa cinica ed egoista, vista attraverso quella che sembra essere la molla principale delle mosse umane, l’interesse. Comencini forse non graffia come altre volte, scegliendo di rimanere in bilico tra la commedia nera, la farsa, infarcita di grottesco e di situazioni al limite del surreale.

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Il gatto ha il suo limite proprio nell’essere monocorde, nel suo volere ad ogni costo dipingere in grottesco i personaggi del film stesso, rendendoli una massa amorfa di gente senza scrupoli, dignità o valori. Alla fine proprio le situazioni che si vengono a creare nel film diventano troppo macchinose: l’onorevole con la villa al mare accusato di aver avuto una relazione gay con un suo cameriere e di averlo ucciso, la ragazza dell’attico, cinica e amorale, che alla fine esce unica vera vincitrice dalla storia, i due stessi protagonisti principali, per i quali lo spettatore prova immediatamente repulsione e antipatia, caricaturizzati come sono, sin dal loro odioso dialetto milanese importato nella capitale. Un film quindi riuscito in parte, in cui le situaioni comico grottesche si accavallano, ma senza un ritmo ben definito. Un discorso a parte lo merita il cast, di rispetto: se Ugo Tognazzi e Mariangela Melato riescono, in qualche modo, a dare l’esatta dimensione della meschinità e dell’avidità ai loro personaggi, lo stesso non si può dire di Dalila Di Lazzaro, davvero a disagio nel ruolo della complessa inquilina dell’attico, così come poco convincente appare Philippe Leroy nei panni di in equivoco sacerdote. Il resto del film è popolato da caratteristi, che svolgono come possono il lavoro richiesto.

Film quindi in bilico tra luci ed ombre, comunque da vedere, come ogni prodotto del grande regista

Il gatto, un film di Luigi Comencini. Con Ugo Tognazzi, Philippe Leroy, Mariangela Melato, Dalila Di Lazzaro, Aldo Reggiani, Michel Galabru, Jean Martin, Matteo Spinola, Mario Brega, Adriana Innocenti, Armando Brancia, Raffaele Curi, Fabio Gamma, Bruno Gambarotta
Commedia, durata 115 min. – Italia 1977.

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Ugo Tognazzi: Amedeo Pegoraro
Mariangela Melato: Ofelia Pegoraro
Dalila Di Lazzaro: Wanda
Michel Galabru: commissario Francisci
Jean Martin: avv. Legrand
Aldo Reggiani: Salvatore
Adriana Innocenti: Principessa
Armando Brancia: capo della polizia
Philippe Leroy: Don Pezzolla
Angelo Matacena: Garofalo
Bruno Gambarotta: l’avvocato dell’immobiliare
Luigi Comencini: vecchio violinista
Mario Brega: killer barbuto
Raffaele Curi: se stesso, telecronista
Fabio Gamma: la guardia del corpo di Garofalo
Matteo Spinola: speaker televisivo
Vittorio Zarfati: anziano al processo
Pino Patti: portiere dello stabile
Franco Santarelli: il brigadiere
Nerina Di Lazzaro: sig.ra Tiberini
Lino Fuggetta: sig. Tiberini

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Regia Luigi Comencini
Soggetto Rodolfo Sonego
Sceneggiatura Rodolfo Sonego, Augusto Caminito, Fulvio Marcolin
Produttore Sergio Leone
Casa di produzione Rafran Cinematografica
Distribuzione (Italia) United Artists Europa
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Nino Baragli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Dante Ferretti
Costumi Danda Ortona

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luglio 25, 2009 Pubblicato da: | Commedia | , , , , | Lascia un commento

Femina ridens

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Un uomo cresciuto con la convinzione che le donne siano simili alle mantidi religiose, abituate a divorare il maschio dopo l’accoppiamento; una donna che accetterà supinamente il ruolo di vittima sacrificale delle deviazioni di lui, e che si rivelerà essere ben altro. Questo lo schema, l’impianto di Femina ridens, un thriller anomalo targato Pietro Schivazappa, girato nel 1969 con due attori non particolarmente conosciuti, all’epoca: la bellissima Dagmar Lassander e un insolitamente biondo Philippe Leroy.

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Philippe Leroy

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Lorenza Guerrieri

Sayer, il dottore traumatizzato, ha sviluppato una sessualità contorta, che lo porta a cercare, nei rapporti sessuali, un ruolo contemplativo, in cui si presenta come aguzzino e torturatore sia fisico che psicologco; la sua morbosità lo porta a cercare un ruolo dominante, e per appagare i suoi istinti, non esita ad assoldare, una volta alla settimana, delle donne che accettino il ruolo supino delle vittime. Per caso ( ma scopriremo che il caso non c’entra nulla), un giorno appare una nuova vittima, Marie, segretaria del dottore. Su di lei la follia contorta dell’uomo trova la massima espressione: le torture psicologiche si sommano a quelle fisiche. La donna viene messa in una piscina e colpita con violenti getti d’acqua, costretta a simulare di avere un rapporto sessuale con un uomo/totem in gomma, sotto gli occhi del dottore e via dicendo.

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Dagmar Lassander

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Maria sembra accettare in qualche modo il suo ruolo, e questo porta il dottore a provare per lei un sentimento diverso dai precedenti; forse si sta innamorando di lei, e dopo aver spinto la donna fin quasi sull’orlo del suiìcidio, le confessa che nei giochi precedenti ha sempre portato il gioco stesso fino alle estreme consguenze, senza però uccidere mai la propria vittima. Per la prima volta il dottore è innamorato e sembra che Marie lo ricambi. Ma la realtà è diversa…..

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Film più psicologico che d’effetto, Femina ridens è un curioso melange di vari generi; dal cinema psicologico al thriller, dall’erotico, peraltro assolutamente castigato, all’horror. Ma in realtà non appartiene a nessun genere ben definito, e si distingue per la morbosa aria di peccato, mai esplicitata nemmeno nei dialoghi, che pervade la pellicola. I due attori sono molto bravi neld elineare i due personaggi; da un lato c’è un Leroy quasi satanico agli inizi, dall’altro una Lassander ingenua al punto giusto

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Il capovolgimento dei ruoli sorprenderà lo spettatore proprio per l’abilità dei due protagonisti nel mascherare, ognuno, le vere motivazioni di quello che vedremo avvenire nel film. Buone le atmosfere, tra il gotico e il dark al punto giusto, buona la musica, d’effetto.

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Femina ridens,un film di Piero Schivazappa. Con Philippe Leroy, Dagmar Lassander, Lorenza Guerrieri, Mirella Pamphili
Drammatico, durata 88 min. – Italia 1969.

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Philippe Leroy: dottor Sayer
Dagmar Lassander: Mary
Lorenza Guerrieri: Gida
Varo Soleri: amministratore
Maria Cumani Quasimodo: segretaria
Mirella Pamphili: prostituta

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Regia Piero Schivazappa
Sceneggiatura Piero Schivazappa
Produttore Giuseppe Zaccariello
Casa di produzione Cemo Film
Fotografia Sante Achilli
Montaggio Carlo Reali
Effetti speciali Carlo Rambaldi
Musiche Stelvio Cipriani
Tema musicale Femina ridens di Giulia De Mutiis-Schivazappa-Cipriani, cantata da Olympia
Scenografia Francesco Cuppini
Costumi Enrico Sabbatini
Trucco Franco Freda

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febbraio 21, 2009 Pubblicato da: | Thriller | , , , | 11 commenti

Portiere di notte

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Un viaggio oscuro,attraverso il labirinto dei comportamenti umani,attraverso la sindrome di Stoccolma,vera o presunta,che si instaura tra una vittima e il suo carnefice.

Al tempo stesso un viaggio asettico e in bianco e nero,senza morali aggiuntive,senza denuncia,quasi un documentario su una relazione ambigua.Questo potrebbe essere uno dei fulcri del film Portiere di notte,di Liliana Cavani.Potrebbe,non è detto che lo sia.

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In una Vienna livida e cupa arriva Lucia,(Charlotte Rampling),una giovane donna dal passato è tragico;è stata detenuta in un campo di concentramento nazista,e ne è uscita segnata per sempre.

Quando arriva nell’albergo in cui prenderà alloggio,Lucia si trova immediatamente di fronte i fantasmi del suo passato,incarnati da Max,il portiere dell’albergo,l’uomo che l’aveva violentata durante la sua reclusione.

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L’uomo che la aveva utilizzata come strumento di piacere per gli ufficiali del lager,il responsabile dei suoi incubi;ma il rapporto tra i due ha mantenuto un sottile filo perverso,e ben presto nasce tra loro un complesso rapporto sado masochistico,in cui si allacciano mortalmente lussuria,senso di possesso,senso di sottomissione,in un intreccio inestricabile di sensazioni.

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Max,che copre anche con il suo lavoro alcuni dei vecchi gerarchi del campo,lavora per una donna,la Contessa,e gli procura giovani e focosi amanti;i vecchi aguzzini,però,hanno paura che la donna parli,e riveli particolari del loro fosco passato.E il film sfocia,fatalmente,in tragedia.

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Liliana Cavani affrontò con grande intelligenza esenza alcuna paura un tema scottante,assolutamente mal visto da intellettuali e non solo;e lo fece raccontando una storia nera al punto giusto,senza indugiare su sensi di colpa o su condanne etiche.

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Il risultato è un film cupo e drammatico,in cui la confusione di ruoli tra colpevoli e vittime,tra potere e succubi del potere assume confini incerti.

Grande prova d’autore per Bogarde e per la Rampling,due personaggi sinistri e tragici,resi con vigore nelle loro paure,angosce e nelle loro esaltazioni;eros e thanatos inestricabilmente uniti,in un gioco delle parti in cui nessuno ha un ruolo definito.Non ci sono vincenti o eroi,c’è solo l’ineluttabilità del destino.

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Portiere di notte

un film di Liliana Cavani. Con Gabriele Ferzetti, Charlotte Rampling, Philippe Leroy, Isa Miranda, Dirk Bogarde, Nora Ricci, Giuseppe Addobbati, Marino Masé, Piero Mazzinghi, Ugo Cardea, Amedeo Amodio. Genere Drammatico, colore 114 minuti. – Produzione Italia 1974.

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Dirk Bogarde: Maximilian Theo Aldorfer
Charlotte Rampling: Lucia Atherton
Philippe Leroy: Klaus
Gabriele Ferzetti: Hans
Giuseppe Addobbati: Stumm
Isa Miranda: contessa Stein
Nino Bignamini: Adolph
Marino Masè: Atherton
Nora Ricci: la “vicina”

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Regia Liliana Cavani
Soggetto Barbara Alberti, Liliana Cavani,
Amedeo Pagani e Italo Moscati
Sceneggiatura Liliana Cavani
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Franco Arcalli
Musiche Daniele Paris
Scenografia Nedo Azzini
Costumi Piero Tosi

Giuseppe Rinaldi: Dirk Bogarde
Vittoria Febbi: Charlotte Rampling
Pino Locchi: Philippe Leroy
Lydia Simoneschi: Isa Miranda

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aprile 29, 2008 Pubblicato da: | Drammatico | , , , , | Lascia un commento